Il "lunedì nero" delle Ferrovie (3/7/2008)

“Certo che può sembrare inutile / una stazione a chi non parte mai, / ma i treni che davvero portan via, / non han fiori sui sedili, / ma da fuori non lo sai, / devi entrarci per sapere dove vai” cantava Roberto Vecchioni. Be’, i pendolari che lunedì scorso, 23 giugno, hanno cercato di tornare come ogni sera da Milano sicuramente non pretendevano di trovare fiori sui sedili: si sarebbero accontentati di sapere se e quando avrebbero raggiunto casa propria. In un mese di giugno tormentato da ritardi, inefficienze e guasti, il 23 può essere a buon diritto considerato il “lunedì nero” di Trenitalia, il giorno in cui il servizio ferroviario ha dato prova di tutta la propria inadeguatezza e mancanza di organizzazione.

La cronaca dell’odissea provocata da un guasto alle infrastrutture nella stazione di Codogno racconta di partenze da Milano rimandate di oltre un’ora, lunghissime soste sotto il sole in aperta campagna, trasbordi in massa da un treno all’altro, controllori in affanno costretti a rifiutarsi di far salire altri passeggeri su carrozze piene all’inverosimile, macchinisti che si scambiano alla guida di due motrici applicando sofisticate metodologie di planning per decidere su quale salire (“Pari o dispari?”, “Bim, bum, bam… Pari! Io prendo quella”), segnali verdi che tutti sembrano ignorare, viaggiatori che, stravolti dal caldo e dalla rabbia, si sporgono dai finestrini lanciando imprecazioni come tifosi della curva rivolti a un arbitro sfacciatamente di parte.

Non basta ancora per rendere l’idea dello spettacolo avvilente offerto dalle ferrovie nell’occasione? Allora, forse si può aggiungere un accenno alla scarsa mira del macchinista che conduceva il regionale delle 17,26, partito da Lambrate alle 18,25: giunto in prossimità di S. Zenone, decide di fermarsi fuori stazione, costringendo i passeggeri che devono scendere a farlo sulla massicciata, mentre coloro che vogliono salire spuntano dall’erba alta, come indiani all’attacco della diligenza. In effetti, sembra proprio di trovarsi nel selvaggio West, vuoi per il caldo torrido, vuoi per la sensazione di essere in balìa degli eventi, la stessa che devono aver provato i pionieri inoltrandosi in territori quasi inesplorati e probabilmente ostili.
Si potrebbe obiettare che un guasto può sempre succedere. D’accordo, ma a parte il fatto che la situazione generale è comunque disastrosa anche in condizioni “normali” (i ritardi sono all’ordine del giorno, e quella mattina stessa se ne sono verificati parecchi, anche molto consistenti), c’è da chiedersi come mai, proprio per il fatto che la probabilità di un guasto è reale, sembra non esistere invece un programma d’intervento, una procedura che indichi chiaramente ai dipendenti FS cosa fare, come comportarsi, quali sono le priorità: ogni volta che c’è un intoppo (e non si parla di meteoriti sui binari o di un uragano, ma di scambi inceppati, motrici «svampate» e così via), l’impressione è che il personale viaggiante sia abbandonato a se stesso e che il destino di migliaia di pendolari dipenda dal buonsenso, dalla buona volontà o dalla perspicacia del singolo capotreno, che si trova il più delle volte tra l’incudine e il martello, tra utenti che hanno tutto il diritto di esigere un servizio dignitoso e una dirigenza che sembra disattendere regolarmente alla propria funzione di coordinamento.

Nel caso di lunedì, per esempio, perché non è stato predisposto un servizio sostitutivo di autobus? Magari non nell’immediato ma, visto che i disagi si sono protratti fino a tarda sera, dopo qualche ora forse si sarebbe potuta trovare un’alternativa soddisfacente. Possibile che le ferrovie siano più disorganizzate di una bocciofila? Possibile che solo l’esondazione del Po le abbia spinte a prendere provvedimenti? Bisogna davvero sperare che, se problema dev’essere, sia di natura catastrofica?

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