Purtroppo sono ancora oggi troppi i pesci che finiscono in un sacchetto di plastica legato alla cinta dei pantaloni di qualche "furbacchione", di qualche "ignorantone", o di qualche "(come definireste chi pur sapendo di fare una cosa non corretta, ti vuota il torrente sotto casa di tutti quei pesci che per tanto tempo hai amorevolmente allevato?)". Ecco, questo piccolo scritto è dedicato a loro, è dedicato a quei pesci che sono finiti in padella o, e questo è ancora peggio, nel cassonetto della nettezza!
Mi piace ricordare quando ho iniziato a pescare a mosca: ero un ragazzino, ero andato come al solito a pescare sull'Arno. Non potevo allontanarmi, non avevo ancora l'età per il motorino e l'unico mezzo per spostarmi alternativo ai piedi era la mia bicicletta; mi piaceva pescare i cavedani a cucchiaino sopra alle pescaie, dove l'acqua inizia a scivolare giù e dove i pesci quasi si strusciano sullo scivolo per non essere trascinati di sotto. La prima volta che ho avuto "un'incontro ravvicinato" con la mosca è stato proprio sopra ai "massini", uno sbarramento di massi subito a monte della città, dove l'acqua creava le condizioni migliori per pescare i cavedani e le lasche (allora c'erano ancora anche le vecchie "lasche"). Più di una volta mi era capitato di osservare un vecchio pescatore con il suo barchino che nel tratto di Arno sotto l'abitato di Sant'Andrea a Rovezzano, frustava con la sua canna, e quei gesti ( e soprattutto tutte le catture che faceva) mi affascinavano non poco. Un mio amico aveva "fregato" un contenitore con alcune mosche alla vecchia Standa del Viale dei Mille (a quei tempi vendevano anche materiale da pesca) e me lo aveva regalato perché non sapeva come usarle. Anche quella volta il "pescatore con la frusta" era sul barchino in mezzo al correntone e frustava e catturava come sempre; il mio cucchiaino invece veniva trascinato giù dallo scivolo dell'acqua e i cavedani che lo rincorrevano non riuscivano mai a prenderlo prima che cadesse giù. Che spettacolo vedere quei pesci e non riuscire a prenderli; improvvisamente sentii la voglia di provare ad usare una di quelle mosche, ma non avevo certo l'attrezzatura per poter lanciare frustando un'esca così leggera. Allora presi un pezzo di filo di nylon del 40 che avevo nel mulinello che tenevo nella cassettina da pesca e che usavo per pescare a fondo le carpe e ci aggiunsi un piccolo spezzone di nylon più fine perché fosse meno visibile ai pesci. Certo non fu facile, ma quando mi metto in testa una cosa bene o male riesco sempre a portarla a fine: dopo alcuni tentativi riuscii a capire il movimento giusto per far in qualche modo distendere quella specie di finale e la moscaccia (una specie di red tag molto grossolana, pesante e di taglia grandina) che avevo attaccato. Forse il signore decise che quello era il momento di premiarmi, e io non dimenticherò mai quell'istante: un bel cavedanone che si stacca dal fondo e segue la mia mosca fino quasi al momento in cui venne trascinata giù dalla corrente. Che emozione e che batticuore, non lo scorderò mai, già quello sarebbe bastato per iniziarmi alla mosca, ma doveva accadere qualcosa di ancora più grande; al lancio successivo mi tremavano ancora le mani e forse fu proprio per questo che la mosca anziché posarsi sull'acqua, ci arrivò in modo maldestro, sbattendoci sopra con un bel "plop". Il cavedanone di prima non si limitò a seguirla come aveva fatto prima, ma senza pensarci nemmeno un secondo si staccò di schianto dal fondo e si tuffò a bocca aperta sulla mia mosca. Se non fosse stato perché la corrente stava già trascinando il finale di sotto e questo consentì all'amo di fare presa, io sarei ancora lì a bocca aperta come il cavedanone. Vi giuro che quando ripenso al quel momento rivedo ancora la moscona nera sparire dentro alla boccona bianca del pescione. Non mi è mai piaciuto mangiare il pesce e giuro che non ho mai portato in vita mia un pesce a casa (non che non ne abbia presi, eh?) e come da sempre ho fatto, rimisi il cavedanone nell'acqua. Ricordo bene che lo vidi subito rinfilarsi nel branchetto dei suoi compagni. Felice ed emozionato continuai a pescare per un altro bel pò, ma senza più riuscire a prendere nessun pesce. Ancora nessuno mi aveva mai detto che se rilasci subito un cavedano puoi anche smettere di pescarci in quel posto, gli stessi membri di quel branco non ci cascheranno più almeno per quel giorno. Il giorno dopo avevo già iniziato a cercare delle soluzioni per poter lanciare meglio quella specie di finale, e ricordo che la mia prima vera "canna da frusta" furono gli ultimi 3 pezzi di una canna fissa: una Lerc in conolon verde con il cimino in fibra di vetro a cui avevo legato uno spezzone di 45 lungo quasi il doppio e scalato poi fino ad arrivare allo 0,20. con questo sistema battèi in un paio di giorni tutte le correntine del tratto cittadino, Ponte alle Grazie compreso, e fu proprio lì sotto che conobbi un pescatore di quelli bravi, uno che già si faceva le mosche da solo e che lanciava di fino, con una bella canna ed un bel mulinello inglese. Mi ricordo lo stupore che provai quando aprì la sua scatola e mi regalò due moschine (erano due spider legate su un unico finale). Niente a che vedere con le moscone grossolane che avevo rimediato dal mio amico (quelle della Standa). Una cosa però non mi andava giù: quelle spider non galleggiavano, è vero che catturavano sempre, ad ogni lancio, ma non era la stessa cosa di vederci salire un pesce. Da allora sono sempre stato un pescatore "a secca", e nonostante tutti i miei amici abbiano provato in mille modi (compreso umiliarmi con catture da urlo), nessuno è mai riuscito a privarmi del piacere di prendere anche un solo pesce, ma vedendolo salire. Mi piace ricordare anche un' episodio che mi accadde dopo qualche tempo, un piccolo, insignificante all'apparenza, episodio che ha contribuito in maniera determinante a sviluppare in me questa "sensibilità": grazie Roberto (Pragliola)!. Stavo pescando nella zona di Rosano (in un tratto di Arno subito a monte della confluenza della Sieve) insieme all'amico Paolo Grassellini, con cui dividevo le mie giornate di pesca dopo la scuola. A un certo punto Paolo mi chiama e ricordo che dopo essermi avvicinato a lui mi disse: guarda che spettacolo, è un mostro! Botta botta, pesce pesce. Era lui, il grande Roberto Pragliola che "batteva" quella zona. Ho usato il termine batteva volontariamente, proprio per meglio far comprendere quanto voglio dire: quella volta il maestro, ha insegnato con un modo tutto suo e che sempre lo contraddistinguerà, a me e al mio amico a pescare i cavedani. Ci siamo avvicinati per cercare di rubare con gli occhi come facesse a prendere un pesce ad ogni lancio, e dopo un po' di esitazione, dovuta ad un dovuto timore reverenziale nei suoi confronti, chiesi a quel pescatore con quale mosca stesse pescando; fu difficile capire la sua risposta alla prima, io e il mio amico ci guardavamo senza capire cosa stesse facendo quel pescatore: continuava a lanciarci vicino la sua mosca facendola sbattere volutamente nell'acqua e ritirandola immediatamente per poi ribattercela davanti ancora una volta. Dato che evidentemente non avevamo capito alla prima, si avvicinò un po' a noi due e ci disse: stò usando una blu-bottle (ricordo ancora come se fosse successo stamani quando me ne mise una in mano: corpo in quill di pavone e hackles di gallo nero), ma non ti serve sapere quale mosca stò usando, ti serve capire come la uso! E ricominciò a "sbatterla" qua e là sull'acqua. Improvvisamente la luce: quel "plop" sull'acqua era la fonte di tutte le sue catture. Che mente eccelsa, soltanto lui, il Pragliola, poteva arrivare a rendere così indelebile nei nostri ricordi, e con un semplice gesto, una semplicissima spiegazione: i cavedani si pescano "a battere"! Da quella volta, grazie a lui, ho iniziato a catturare tanti bei cavedanoni, e fino a quando non avranno imparato tutti la lezione, credo che non riuscirò a smettere!
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