Parole per Victor

(Prefazione al libro di Joan Jara VICTOR JARA - UNA CANZONE INFINITA)

La prima volta che ho visto questo libro, nell’edizione spagnola, è stato in una libreria dell’aeroporto di Madrid. Gli aeroporti. Sono sinonimo di addii, ho pensato in un primo momento, e non mi sono fermato, ma quasi subito mi sono ricordato che gli aeroporti sono anche luoghi in cui le persone si ritrovano, così sono tornato sui miei passi. ho comprato una copia del libro e sono uscito tenendola stretta al petto.
Ho cominciato a leggere i sereni ricordi di Joan e mi è tornata alla memoria l’immagine di quell’uomo, di quel ragazzo, di quel fratello, di quel compagno con cui ho diviso momenti intensi di lotta, di creazione artistica e, soprattutto, sogni, tanti sogni.
Spesso la gente mi chiede come fosse Victor Jara. Per rispondere chiudo gli occhi e lascio che il ricordo mi trasporti fino al vecchio edificio della Scuola di Teatro dell’Università del Cile, dove Victor insegnava e io studiavo.
Qui, tra i mille impegni politici, tra l’entusiasmo di tutti quelli che come me sognavano di costruire un Cile diverso, l’ardore e il coraggio di Victor ci spingevano ad assumere tutti i compiti con spensieratezza creativa. Parlavamo di Brecht e organizzavamo gruppi teatrali nelle fabbriche. Parlavamo di Pirandello e organizzavamo centri culturali nei quartieri proletari. Parlavamo di Shakespeare e organizzavamo laboratori culturali tra i lavoratori delle miniere di carbone. E Victor trovava sempre il tempo per prendere la chitarra e cantare, perché Victor cantava sempre, nonostante la fatica e lo sfinimento, e la sua voce rinnovava le nostre energie.
L’aveva fatto, per esempio, durante una lunga camminata in occasione della marcia da Valparaiso a Santiago, una manifestazione di solidarietà con il Vietnam alla quale avevano partecipato migliaia di militanti della Gioventù Comunista del Cile, nel 1967. Eravamo carichi di zaini, sacchetti di roba da mangiare, scarpe comode per i compagni più poveri. Victor aveva portato la sua chitarra e un poncho nero che durante le soste stendeva per terra facendone un palcoscenico, un teatro in cui cantavamo, leggevamo poesie, declamavamo la nostra essenza solidale e internazionalista, orgogliosi di essere figli della nostra epoca, di essere i prescelti a superare le più brutali contraddizioni sociali.
L’amicizia con Victor è legata, nei miei ricordi, al "nostro Sessantotto" sudamericano e cileno, che ebbe un’importanza decisiva per l’organizzazione della gioventù cilena e della politica che contribuì al trionfo elettorale di Salvador Allende e all’avvio della nostra rivoluzione pacifica.
Quando ci incontravamo, Victor come prima cosa mi chiedeva sempre "Come va, negrito?". Al che io rispondevo:
"Bene, e tu, negrito?" Poi ci mettevamo seduti e cominciavamo a sognare a voce alta, perché era quello il nostro modo di fare politica.
La sua voce dolce e lenta, le sue parole ben modulate non mancavano mai di infondere coraggio in chi si perdeva d’animo durante le lunghe giornate di quel nostro Sessantotto, in cui paralizzammo il Cile con un grande sciopero, prima degli studenti, poi dei professori, movimento che cercava di democratizzare l’istruzione, la scuola, l’università, a cui poi si unirono gli operai di diversi sindacati.
Victor Jara, fratello. Ti ricordi, Victor, l’eccidio di Pampa Irigoin, a Puerto Montt? Il governo di Frei, attraverso il suo ministro Edmundo Pérez Zujovic, soffocò in un bagno di sangue l'occupazione di terre da parte di gente che semplicemente non aveva un posto dove vivere. "Morì senza sapere perché gli crivellavano il petto di pallottole, lottando per il diritto a una terra in cui vivere, Puerto Montt, oh, Puerto Montt, ah, che essere indegno, quello che ordinò di sparare, pur sapendo come evitare quel vile massacro", cantasti in francese, Victor, e io ti accompagnai leggendo una poesia per quelle stesse vittime, a una manifestazione con i sopravvissuti. Credo che quella fu la prima volta che ci trovammo insieme su un palco, pienamente convinti che la nostra arte dovesse essere provocatoria, fino alle estreme conseguenze. Ricordo che rientrammo a Santiago quasi senza parlare, con la sensazione di aver firmato un patto di sangue, definitivo, con i nostri.
Durante quel viaggio di ritorno, un compagno lesse una poesia del poeta cubano Fayad Jamìs: "Per questa rivoluzione bisognerà dare tutto, e non sarà mai abbastanza". E tu hai dato tutto, compagno. Non c’era manifestazione a cui non partecipassi, e dopo il trionfo elettorale di Salvador Allende non mancasti a una sola giornata di lavoro volontario, con la tua chitarra, la tua voce, la tua forza serena e convincente.
Victor Jara era il compagno artista, dirigente, intellettuale di alto livello, ma soprattutto, era l’aria pura di campagna, la voce di mille compagni che non avevano voce.
Generoso, coerente, allegro, serio, fraterno. Victor simboleggiava la parte migliore della mia generazione e oggi è l’esempio migliore del valore di quella generazione.
A volte, Victor, quando la tua voce riempie la sala di casa mia o quando pulisco i vecchi dischi, uno dei miei figli domanda chi canta, e la risposta è sempre la stessa: quest’uomo che canta è mio fratello e in ognuna delle mie carezze ci sono anche le sue mani.
La sua morte, il suo atroce assassinio, ordinato di persona da Pinochet, è una ferita aperta nel cuore di tutto il popolo cileno. una ferita che si rimarginerà solo quando tutti i criminali saranno stati giudicati e condannati.
Le sue mani tozze vivono in tutti i pugni levati, nel lavoro quotidiano di tutti i democratici, di tutti coloro che non rinnegano il proprio passato e le proprie idee.
La tua voce continua a pervadere tutto, fratello. La tua voce si chiama sindacato, manifestazione, resistenza, speranza, generosità, libro aperto, pane in tavola.
Le iene che si sono accanite contro il tuo canto cominciano a pagare per i loro crimini e tra pochissimo tempo nessuno ricorderà più i loro nomi. Quando si scriverà la vera storia del Cile, quei vermi in borghese e in uniforme non vi troveranno posto, ma la tua voce continuerà a riempire le stanze in cui si ama e si sognano giorni migliori.
E' bello che sia Joan, la gringa, la tua compagna, a restituirci la tua immagine completa di uomo e di combattente.
Con queste parole ti saluto, poeta, cantore dei poveri, innovatore dell’arte popolare, amato fratello, amatissimo compagno Victor Jara.

LUIS SEPÙLVEDA