“Cioè… vedete lì, dove l’acqua arriva… sale sulla spiaggia poi si ferma… ecco, proprio quel punto, dove si ferma… dura proprio solo un attimo, guardate, ecco, ad esempio lì… vedete che dura solo un attimo, poi sparisce, ma se uno riuscisse a fermare quell’attimo… quando l’acqua di ferma, proprio quel punto, quella curva… è quello che io studio. Dove l’acqua si ferma.”

“E cosa c’è da studiare?”

“Be’, è un punto importante… a volte non ci si fa caso, ma se ci pensate bene lì succede qualcosa di straordinario, di… straordinario.”

“Veramente?”

Bartleboom si sporse leggermente verso la donna. Si sarebbe detto che avesse un segreto da dire quando disse “Lì finisce il mare.”

Il mare immenso, l’oceano mare, che infinito corre oltre ogni sguardo, l’immane mare onnipotente – c’è un luogo dove finisce, e un istante – l’immenso mare, un luogo piccolissimo e un istante da nulla. Questo, voleva dire Bartleboom.

La donna fece correre lo sguardo sull’acqua che scivolava incurante, avanti e indietro, sulla sabbia. Quando rialzò gli occhi su Bartleboom erano occhi che sorridevano.

(…)

“La natura ha una sua perfezione sorprendente e questo è il risultato di una somma di limiti. La natura è perfetta perché non è infinita. Se uno capisce i limiti, capisce come funziona il meccanismo. Tutto sta nel capire i limiti. Prendete i fiumi, per esempio. Un fiume può esser lungo, lunghissimo, ma non può esser infinito. Perché il sistema funzioni, deve finire. E io studio quanto può essere lungo prima di finire. 864 chilometri. E’ una delle voci che ho già scritto: Fiumi. Mi ha preso un bel po’ di tempo, lo potete ben capire.”

Ann Deverià capiva.

“Per dire: la foglia di un albero, se voi la guardate per bene, è un universo complicatissimo: ma finito. La foglia più grande la si può trovare in Cina: larga un metro e 22 centimetri, lunga più o meno il doppio. Enorme, ma non infinita. E c’è una logica precisa, in questo: una foglia più grande potrebbe crescere solo su un albero immenso e invece l’albero più alto, che cresce in America, non supera gli 86 metri, un’altezza considerevole, certo, ma del tutto insufficiente a sostenere un numero, anche limitato, perché  sarebbe certo limitato, di foglie più grandi di quelle che si trovano in Cina. La vedete la logica?”

Ann Deverià la vedeva.

“Sono studi faticosi, e anche difficili, non si può negarlo, ma è importante capire. Descrivere. L’ultima voce che ho scritto è stata: Tramonti. Sapete, è geniale questa cosa che i giorni finiscono. E’ un sistema geniale. E giorni e poi le notti. E di nuovo i giorni. Sembra scontato, ma c’è del genio. E là dove la natura decide di collocare i propri limiti, esplode lo spettacolo. I tramonti. Li ho studiati per settimane. Non è facile capire un tramonto. Ha i suoi tempi, le sue misure, i suoi colori. E poiché non c’è un tramonto, dico uno, che sia identico a un altro allora lo scienziato deve saper discernere i particolari e isolare l’essenza fino a poter dire questo è un tramonto, il tramonto. Vi annoio?”

Ann Deverià non si annoiava. Cioè: non più del solito.

“Così adesso sono arrivato al mare. Il mare. Finisce, anche lui, come tutto il resto, ma vedete, anche qui è un po’ come per i tramonti, il difficile è isolare l’idea, voglio dire, riassumere chilometri e chilometri di scogliere, rive, spiagge, in un’unica immagine, in un concetto che sia la fine del mare, qualcosa che si possa scrivere in poche righe, che possa stare in un’enciclopedia, perché poi la gente, leggendola, possa capire che il mare finisce, e come, indipendentemente da tutto quello che può succedergli attorno, indipendentemente da…”

 

(da “Oceano Mare”, di Alessandro Baricco)