I parapioggia innamorati
A mezzanotte e mezza,
proprio quando il mio amico Gigi aveva attaccato a provare il monologo di Amleto
che avrebbe dovuto recitare il giorno appresso davanti a Silvio d’Amico,
presidente dell’Accademia d’arte drammatica, mi pigliò una botta di sonno
irresistibile. Gigi mi pregò e ripregò di restare ancora una mezzorata, ma io
proprio non ce la facevo. Era una tiepida notte romana. Ai primi
giorni di maggio del 1950. Allora le stagioni non avevano ancora perso l’onore
e se s’appresentavano come primavera o estate mantenevano la parola ed erano
primavera o estate per i tre
mesi di loro spettanza. Gigi abitava vicino a piazza Bologna, io a piazzale
degli Eroi che non aveva ancora la fontana. Considerato che tutto il mio
capitale
consisteva in lire mille e centesimi cinquanta, decisi di farmela a piedi per
sparagnare. La situazione non era tanto disperata : mangiando una volta al giorno
all’Onarmo (primo, secondo, frutta, bevande escluse, lire 105) e arrangiandomi
coi cappuccini, potevo tirare avanti per una simanata, poi Dio avrebbe
certamente provveduto anche perché un tetto l’avevo ; la mia " stanza in famiglia
" era pagata sino alla fine del mese. Va magari considerato. a giustificare l’ottimismo, che avevo venticinque anni. Fu
dopo un’orata di cammino che, mentre facevo una strada poco illuminata, da un
portone aperto uscì all’improvviso un omo con un coltello in mano. La prima cosa che
notai, malgrado lo scuro, furono i suoi occhi spirdati, tra il pazzo e lo
scantato. Forse, in quel momento, io ero meno scantato di lui.
" Dammi il portafoglio ! " - ordinò in un italiano pronunziato alla bastarda.
" Perché proprio io ?
"
- mi lamentai.
" Perchè sei il primo
che passa " - rispose
con logica
Gli diedi il portafoglio. Lo aprì, si
pigliò le mille lire (Ah ! Che largo e confortevole linzòlo che erano ! ), se le
mise nella sacchetta della giacchetta, me lo restituì. Era addiventato leggero
come una piuma.
" Fammi vedere le tasche
Gliele mostrai e poi aprii la mano con la mezza lira.
" Queste lasciamele
per
il tram ".
" Va bene. E grazie
Rimasi insallanuto. Ma come, un ladro che
ringrazia ?
Parve leggermi nel
pensiero.
" Non sono un ladro. Mi
trovo in difficoltà " - disse
Ripigliai a camminare. Ma ora avevo il
passo più pesante, senza quelle mille lire la situazione cangiava. Capii a un
certo momento che m’ero perso e m’assittai, sconsolato, sui gradini di
una chiesa. Poi mi feci forza e ripigliai a camminare. A un tratto capii che
stavo percorrendo la parte alta di via Veneto. E qui vidi venirmi incontro un omo alto, magro,
magari a distanza si vedeva che era un cinquantino
elegantissimo. Mi si parò davanti, si levò il cappello. Io risposi con un mezzo
inchino.
" Mi scusi, ma mi trovo
in difficoltà " - fece.
Ancora ? Vuoi vedere che a forza di levare
gli altri
" Stanotte ho perso tutto
al gioco. Ma proprio tutto,
Non commentai la
notizia, sapevo già dove il distinto
" Abito lontano da qui. Avrebbe qualche
spicciolo per
Cercai in fondo alla sacchetta, trovai i
cinquanta centesimi superstiti e glieli diedi.
Mi dispiace, è tutto
quello che ho " - dissi.
Mi taliò
Feci segno di sì con la testa . Allungò la mano con la
" Vuole scherzare ? " - dissi e feci per allontanarmi. Si
Ma che ore si erano
fatte ? L'orologio d’oro che mi aveva regalato papà aveva da tempo pigliato
una cattiva strada, quella dei pegni. Continuai a camminare e a un tratto
scoprii
che ero arrivato in cima a Trinità dei Monti. Mi sedetti sui primi gradini, m’appoggiai al
muro e chiusi per un istante gli occhi. Invece m’addormentai. Quando mi risvegliai,
m’accorsi che Roma stava cangiando dimensione. Quello che ho appena scritto è
facile a dirsi, ma assai difficile a essere spiegato. Mi ci provo. La luce che
colorava la città era di un azzurro intenso che trasformava le facciate e le
mura dei palazzi, l’intrico delle strade e dei vicoli in una sorta di scenario
teatrale dipinto da un pittore metafisico. Tutto era un a un tempo reale e
irreale, tanto più che non c’era cosa o uomo che si muovesse. E questo dava un senso di
sospensione del tempo, di fatata immobilità. Come ipnotizzato, mi alzai,
scesi i gradini, entrai nell’azzurro liquido di via Condotti. C’era un
silenzio assoluto che venne improvvisamente rotto, a metà strada, da uno
schianto secco che mi fece sussultare. Qualcosa di scuro era precipitato dall’alto a due
passi da me. Mi avvicinai. Erano due parapioggia, i manici allacciati, anzi come
avvinghiati. Nella caduta uno dei due si era scompostamente aperto a mezzo. Da
un vicolo, una testa umana iniziò a galleggiare verso di me. O almeno, questa
fu la sconvolgente prima impressione che ebbi. Poi capii che si trattava di un
uomo, un netturbino perfettamente mimetizzato nel colore, perché allora i
netturbini portavano una specie di spolverino grigio-azzurro. Si fermò accanto
a me, guardò magari lui i parapioggia in silenzio. Poi disse la cosa più
incantevolmente assurda che io potessi immaginare : " Poveracci
"
Chi
? ". Accennò
col mento ai due parapioggia. " Nun lo vedi? Se sò suicidati, All’alba, come
fanno gli amanti disperati ". Si
chinò, raccolse con delicatezza i due corpi, pardon, i parapioggia, se li portò nel
vicolo dove aveva lasciato il suo carrettino. Io ero rimasto folgorato dalla
rivelazione. Perché aveva ragione il netturbino, le cose dovevano essere andate
proprio così. E infatti per quale ragione un uomo dovrebbe alzarsi
all’alba, aprire la finestra e gettare in una strada due parapioggia ? Non
aveva senso. Ne aveva assai di più la ricostruzione del netturbino. I due
parapioggia innamorati, avendo constatato l’impossibilità di vivere insieme
per i veti imposti dalle famiglie, l’avevano fatta finita dopo
(Tratto dalla raccolta di autori vari "Lettere da Roma")