I parapioggia innamorati

di Andrea Camilleri

A mezzanotte e mezza, proprio quando il mio amico Gigi aveva attaccato a provare il monologo di Amleto che avrebbe dovuto recitare il giorno appresso davanti a Silvio d’Amico, presidente dell’Accademia d’arte drammatica, mi pigliò una botta di sonno irresistibile. Gigi mi pregò e ripregò di restare ancora una mezzorata, ma io proprio non ce la facevo. Era una tiepida notte romana. Ai primi giorni di maggio del 1950. Allora le stagioni non avevano ancora perso l’onore e se s’appresentavano come primavera o estate mantenevano la parola ed erano primavera o estate per i tre mesi di loro spettanza. Gigi abitava vicino a piazza Bologna, io a piazzale degli Eroi che non aveva ancora la fontana. Considerato che tutto il mio capitale consisteva in lire mille e centesimi cinquanta, decisi di farmela a piedi per sparagnare. La situazione non era tanto disperata : mangiando una volta al giorno all’Onarmo (primo, secondo, frutta, bevande escluse, lire 105) e arrangiandomi coi cappuccini, potevo tirare avanti per una simanata, poi Dio avrebbe certamente provveduto anche perché un tetto l’avevo ; la mia " stanza in famiglia " era pagata sino alla fine del mese. Va magari considerato. a giustificare l’ottimismo, che avevo venticinque anni. Fu dopo un’orata di cammino che, mentre facevo una strada poco illuminata, da un portone aperto uscì all’improvviso un omo con un coltello in mano. La prima cosa che notai, malgrado lo scuro, furono i suoi occhi spirdati, tra il pazzo e lo scantato. Forse, in quel momento, io ero meno scantato di lui.

" Dammi il portafoglio ! " - ordinò in un italiano pronunziato alla bastarda.

" Perché proprio io ? " - mi lamentai.

" Perchè sei il primo che passa " - rispose con logica inappuntabile.

Gli diedi il portafoglio. Lo aprì, si pigliò le mille lire (Ah ! Che largo e confortevole linzòlo che erano ! ), se le mise nella sacchetta della giacchetta, me lo restituì. Era addiventato leggero come una piuma.

" Fammi vedere le tasche ".

Gliele mostrai e poi aprii la mano con la mezza lira.

" Queste lasciamele per il tram ".

" Va bene. E grazie ".

Rimasi insallanuto. Ma come, un ladro che ringrazia ?

Parve leggermi nel pensiero.

" Non sono un ladro. Mi trovo in difficoltà " - disse chiudendo il coltello - " Domani vai all’albergo Vittorio e dì che ti manda Arcangelo, Buonanotte ".

Ripigliai a camminare. Ma ora avevo il passo più pesante, senza quelle mille lire la situazione cangiava. Capii a un certo momento che m’ero perso e m’assittai, sconsolato, sui gradini di una chiesa. Poi mi feci forza e ripigliai a camminare. A un tratto capii che stavo percorrendo la parte alta di via Veneto. E qui vidi venirmi incontro un omo alto, magro, magari a distanza si vedeva che era un cinquantino elegantissimo. Mi si parò davanti, si levò il cappello. Io risposi con un mezzo inchino.

" Mi scusi, ma mi trovo in difficoltà " - fece.

Ancora ? Vuoi vedere che a forza di levare gli altri dalle difficoltà mi ci sarei trovato annegato io ?

" Stanotte ho perso tutto al gioco. Ma proprio tutto, sa ? ".

Non commentai la notizia, sapevo già dove il distinto signore sarebbe andato a sparare.

" Abito lontano da qui. Avrebbe qualche spicciolo per il tram ? Non posso farmela a piedi, sono stanco ".

Cercai in fondo alla sacchetta, trovai i cinquanta centesimi superstiti e glieli diedi.

Mi dispiace, è tutto quello che ho " - dissi. Mi taliò perplesso. " Davvero ? ".

Feci segno di sì con la testa . Allungò la mano con la mezza lira. " Se li riprenda ".

" Vuole scherzare ? " - dissi e feci per allontanarmi. Si levò nuovamente il cappello. " Grazie ", " Non c’è di che ".

Ma che ore si erano fatte ? L'orologio d’oro che mi aveva regalato papà aveva da tempo pigliato una cattiva strada, quella dei pegni. Continuai a camminare e a un tratto scoprii che ero arrivato in cima a Trinità dei Monti. Mi sedetti sui primi gradini, m’appoggiai al muro e chiusi per un istante gli occhi. Invece m’addormentai. Quando mi risvegliai, m’accorsi che Roma stava cangiando dimensione. Quello che ho appena scritto è facile a dirsi, ma assai difficile a essere spiegato. Mi ci provo. La luce che colorava la città era di un azzurro intenso che trasformava le facciate e le mura dei palazzi, l’intrico delle strade e dei vicoli in una sorta di scenario teatrale dipinto da un pittore metafisico. Tutto era un a un tempo reale e irreale, tanto più che non c’era cosa o uomo che si muovesse. E questo dava un senso di sospensione del tempo, di fatata immobilità. Come ipnotizzato, mi alzai, scesi i gradini, entrai nell’azzurro liquido di via Condotti. C’era un silenzio assoluto che venne improvvisamente rotto, a metà strada, da uno schianto secco che mi fece sussultare. Qualcosa di scuro era precipitato dall’alto a due passi da me. Mi avvicinai. Erano due parapioggia, i manici allacciati, anzi come avvinghiati. Nella caduta uno dei due si era scompostamente aperto a mezzo. Da un vicolo, una testa umana iniziò a galleggiare verso di me. O almeno, questa fu la sconvolgente prima impressione che ebbi. Poi capii che si trattava di un uomo, un netturbino perfettamente mimetizzato nel colore, perché allora i netturbini portavano una specie di spolverino grigio-azzurro. Si fermò accanto a me, guardò magari lui i parapioggia in silenzio. Poi disse la cosa più incantevolmente assurda che io potessi immaginare : " Poveracci ! ".

" Chi ? ". Accennò col mento ai due parapioggia. " Nun lo vedi? Se sò suicidati, All’alba, come fanno gli amanti disperati ". Si chinò, raccolse con delicatezza i due corpi, pardon, i parapioggia, se li portò nel vicolo dove aveva lasciato il suo carrettino. Io ero rimasto folgorato dalla rivelazione. Perché aveva ragione il netturbino, le cose dovevano essere andate proprio così. E infatti per quale ragione un uomo dovrebbe alzarsi all’alba, aprire la finestra e gettare in una strada due parapioggia ? Non aveva senso. Ne aveva assai di più la ricostruzione del netturbino. I due parapioggia innamorati, avendo constatato l’impossibilità di vivere insieme per i veti imposti dalle famiglie, l’avevano fatta finita dopo un’estrema notte d’amore. In quella luce, in quel tempo sospeso, avevo visto concretizzarsi un racconto di Alberto Savinio. Andai avanti e via via che procedevo la luce rosata del mattino era sì bellissima, ma, come dire, normalizzava tutto. Con un certo dispiacere rividi i tram, le auto, le persone consuetamente affrettarsi. Mi diressi verso piazza Cavour. Sul ponte, mi fermai a taliare il Tevere e mi venne voglia di sentire più da vicino l’odore del fiume. Trovai una scala, principiai a discenderla, ma mi fermai di colpo. Sotto di me, addossati al muro in modo da non esser visti dai passanti, c’erano tre uomini vestiti di nero, cappello compreso. Ognuno aveva un libro in mano e intensamente leggeva. Solo che stavano accovacciati perfettamente allineati, i pantaloni abbassati e soddisfacevano un loro bisogno naturale. Perchè in quel posto, in quell’ora e in quel modo ? Mi mancò il netturbino, certamente avrebbe saputo spiegarmi tutto. Arrivai a casa stremato, mi gettai sul letto, sprofondai in un sonno piombigno. Quando mi svegliai, erano le tre del pomeriggio. Calmai parzialmente i crampi allo stomaco con due bicchieri d’acqua e un vetusto panino trovato in un cassetto. E fu allora che mi tornò a mente quello che mi aveva detto l’uomo che mi aveva pigliato le mille lire. Consultai l’elenco telefonico, l’albergo era appunto dalle parti di piazza Vittorio. No, a piedi non era cosa, non ci sarei mai arrivato. Mi cangiai i pantaloni e da un tasca, con un suono di campane pasquali, caddero cento lire dimenticate. Ero un signore. Presi due tram, arrivai all’albergo di quarta categoria : " Mi manda Arcangelo " - feci al portiere novantenne : " La roba è là " - mi disse indicando in un angolo un rotolo immenso di pelle per fare suole di scarpe, legato col filo di ferro. Me lo caricai sulle spalle, uscii barcollando. Fatti pochi passi, vidi un negozietto : " Si riparano scarpe ". Mi diedero venticinquemila lire. E da allora capii che Roma era una città magica, che andava guardata con occhi diversi.

(Tratto dalla raccolta di autori vari "Lettere da Roma")