ARCANGELI PACIFICO

Cappellano militare, letterato (n. Treia - Macerata)  il 4 marzo 1888 - morto sul monte Asolone il 6 luglio 1918). Figlio di Nazareno e di Elisa Bellioni, ortana, all'età di 8 anni si trasferì con la famiglia a Orte, dove frequentò la scuola pubblica e successivamente, con notevoli sacrifici personali e della famiglia che non disponeva di mezzi adeguati, il locale seminario vescovile. Si mantenne agli studi - grazie anche al nome che si andava facendo con le prime pubblicazioni - lavorando come istruttore di collegio a Como e a Firenze, dove conseguì il diploma liceale. Rientrato a Orte, terminò gli studi teologici nel vicino seminario di Civita Castellana. Ordinato sacerdote il 20 dicembre 1912, ebbe l'incarico di operare nella sua cittadina, in presenza di una forte fazione anticlericale, Amante della letteratura, pubblicò molti articoli su quotidiani e riviste a partire dal 1907 e, nel 1915, la sua prima raccolta di poesie Verso l'ideale (Tuscania, Casa Ed. G. Berlutti, 1915), cui fece seguito Letteratura e crestomanzia giapponese (Milano, Hoepli, 1915). Allo scoppio della prima guerra mondiale fu chiamato alle armi e assegnato all'ospedale militare del Celio in Roma, ma per la sua sensibilità patriottica e a necessità di rendersi maggiormente utile fece presto presto domanda di essere destinato come cappellano a un reparto operativo, e in breve tempo raggiunse al fronte il 40° reggimento artiglieria. Nel frattempo proseguì la sua attività letteraria con la pubblicazione di Orizonti, spigolature e critiche letterarie (Tuscania, G. berlutti ed., 1917) e del saggio storico-critico Da chi avemmo l'Italia (Firenze, Rassegna nazionale, 1), cui seguirono il suo ultimo volume pubblicato, Sotto la mitraglia: discorsi e liriche, con un'introduzione sui problemi spirituali della guerra (Napoli tip. pontificia M. D'Auria, 1917), dedicato ai suoi artiglieri, e nel 1918 il pregevole opuscolo Rifare gli Italiani. Passato al 252° reggimento fanteria dopo la disfatta di Caporetto, volle seguire come di consueto il suo reparto quando il 6 luglio 1918 ebbe l'ordine di riconquistare quota 1503 sul monte Asolone. Caduto il comandante, come più alto in grado guidò il primo assalto fuori della trincea, armato di solo bastone. Colpito mortalmente da una granata, volle restare appoggiato a un albero a rincuorare i soldati fino alla riuscita dell'operazione, e spirò poco dopo nell'ospedale da campo. Per il suo eroismo venne insignito di medaglia d'oro, unico tra i cappellani della prima guerra mondiale.

(Dizionario storico biografico del Lazio)

(Vladimiro Marcoccio 2014)