Parashat Vaishlach

"E sorse per lui il sole quando passò ‘penuel’, e lui zoppicava sul suo fianco." (Genesi XXXII, 32)

"Passi per favore il mio signore davanti al suo servo, ed io mi incamminerò al mio passo lento, al passo del gregge che procede dinanzi a me ed al passo dei bambini, fino a che arriverò dal mio signore a Seir." (Ivi XXXIII, 14)

Nel commentare il passaggio di Jacov del fiume Yabbok, Rashì afferma che il nostro terzo patriarca "fece di se stesso come un ponte, prendeva le sue proprietà da una parte e le posava dall’altra". Senza dubbio questa figura di Jacov come un ponte è appropriata, soprattutto in un momento di passaggio così particolare. Jacov sta tornando in Erez Israel in conformità all’ordine Divino: la sua vita e quella dei suoi figli sta passando dall’esilio alla redenzione. (I Maestri usano esilio e redenzione come indicatori del fatto che Israel/Jacov risieda o no in Erez Israel.)

È questo il momento in cui Jacov cambia nome diventando Israel. Subito dopo la lotta con l’uomo, nel quale i Maestri individuano l’Angelo di Esav, troviamo lo strano verso citato all’inizio. Da questo ricaviamo una serie di cose:

  1. Rashì, citando Bereshit Rabbà, sottolinea la stranezza lessicale di "sorse per lui il sole". Forse il sole non sorge su tutto il mondo allo stesso modo? Quando Jacov partì per la Mesopotamia, il Signore aveva accorciato la giornata per farlo pernottare sul luogo del Santuario. Ora, mentre Jacov torna in Erez Israel, il Signore "restituisce" quei momenti di luce sottratti venti anni prima, bilanciando nuovamente il conto e beneficiando Jacov che aveva bisogno di luce. Secondo i Maestri questo anticipare il tramonto e l’alba è simbolico del nostro esilio: il Signore ha anticipato il nostro esilio ma allo stesso tempo anticiperà la nostra redenzione.
  2. Il Bet-Hallevì sostiene che "e sorse per lui il sole" si riferisce alla redenzione finale. La redenzione dall’Egitto, la redenzione di notte, è una redenzione provvisoria: il Signore ci ha redento con anticipo dall’Egitto perché se non ci avesse redento subito saremmo diventati hamez e non saremmo potuti più essere redenti dopo. Il fatto di aver anticipato la redenzione ha però comportato che noi tornassimo di nuovo in esilio. La redenzione finale sarà invece una redenzione di giorno, dopodichè non vi sarà più altro esilio.
  3. Jacov chiama il luogo dello scontro con l’Angelo "peniel" ma lo stesso luogo è chiamato poi "penuel". R. Munk spiega che ciò è dovuto all’etimologia della parola. Jacov, al quale è stato annunciato dall’Angelo che D-o cambierà il suo nome in Israel, afferma "peniel", "il mio volto è verso il Signore". Per i suoi figli, ossia noi, il luogo dello scontro diventa un imperativo, "penuel", "volgetevi verso il Signore".
  4. L’Angelo colpisce Jacov sulla gamba. Secondo Rashì (su Parashat Ekev, Deuteronomio XI, 6) delle varie parti del corpo dell’ebreo le gambe rappresentano il sostentamento economico che supporta lo studio della Torà. Le gambe quindi come beni materiali. Come già detto l’Angelo è il genio di Esav; egli rivendica colpendo la gamba i beni materiali sottratti da Jacov con la benedizione paterna. Colpisce Jacov su una delle due gambe quasi a dire che Jacov non sarà in grado di godere totalmente di tutti i beni materiali che gli ha sottratto. Dovrà zoppicare.

Ed è proprio la differenza tra Israel ed i suoi figli, citata al punto 3 che diventa qui fondamentale. Dopo aver fallito nel tentativo di distruggere fisicamente Jacov, Esav prova a distruggere l’identità del fratello tentando di attaccarsi a lui. Lo scorso anno ci siamo dilungati sulla strategia di Esav e sulle risposte di Jacov; ci soffermeremo ora su un particolare della difesa del nostro patriarca.

Nel secondo verso citato all’inizio Jacov afferma che egli non può andare allo stesso passo di Esav. Deve andare piano, non perché zoppicante a causa dello scontro ma a causa del passo dei bambini e del gregge. La parola "passo" è in ebraico la stessa di "gamba" ossia "reghel". Avevamo rilevato come l’andare piano al passo dei figli indica l’imperativo della trasmissione che segna tutta la storia del popolo ebraico.

Come funziona questa trasmissione? Fondamentalmente attraverso le feste, chiamate "regalim", dalla stessa radice di gamba. Le feste sono cicliche come il passo.

Jacov dice quindi ad Esav che non può andare con lui perché sono le sue due gambe ad imporgli di andare piano: i beni materiali e l’educazione dei figli. La gamba dei beni materiali va piano non perché colpita nello scontro ma per scelta. A Jacov i beni materiali servono solo per fare le mizvot, lui sceglie una vita modesta. Per quanto riguarda i figli bisogna andare piano piano, un piede dopo l’altro, un "reghel" dopo l’altro, ossia una festa dopo l’altra.

Ad osservare bene il testo troviamo dei rimandi alle varie feste nella nostra parashà:

Pesach:

Jacov dice "Con il mio bastone ho passato questo Giordano". Secondo il Midrash, il Giordano si apre dinanzi alla verga di Jacov come il Mare dinanzi alla verga di Moshè. È detto che Jacov "vajachaz", divise, la sua gente in due accampamenti. La stessa parola è usata nel Seder di Pesach. "Jachaz" è l’azione con la quale dividiamo la seconda delle azzime. Una volta operata la divisione ci sono nel cesto quattro pezzi di mazzà ed in effetti Jacov alla fine divide i figli e le mogli in quattro gruppi (secondo le madri) presentandoli ad Esav. Così come uno dei pezzi viene nascosto fino all’Allel (l’Afikomen), così Rachel muore prematuramente ma in sua virtù finirà l’esilio e tornerà alla vita con i morti che risorgeranno. (Nessun merito dei patriarchi secondo il Midrash è sufficiente a garantire la redenzione finale tranne quello di Rachel che per non affliggere la sorella non rivela a Jacov l’inganno di Labano). Inoltre il primo luogo dove va Jacov dopo aver lasciato Esav si chiama "Succot" come il luogo che dove andarono i figli d’Israele dopo aver lasciato Faraone e l’Egitto. In "Succot" gli ebrei fecero proprio le mazzot.

Shavuot

Una delle interpretazioni del sogno della scala della scorsa Parashà verte sul fatto che la parola "sulam", scala, ha lo stesso valore numerico di "Sinai". Gli angeli che salgono e che scendono sarebbero Moshè ed Aron. Il sogno sarebbe un anticipazione della rivelazione sinaitica.

All’inizio della nostra parashà Jacov dice "ho abitato con Lavan". La parola "garti" (ho abitato) ha il valore numerico di 613, il numero delle mizvot. Jacov dice quindi ad Esav che pur avendo abitato con Labano non ha trasgredito nessuna delle 613 mizvot. Anche se la Torà viene data sul Sinai i patriarchi osservavano già tutte le mizvot.

Prima di tornare sul luogo del Santuario, Bet El, la futura Gerusalemme, Jacov ordina ai suoi figli di lavare le vesti e purificarsi, questo ricorda la preparazione del popolo d’Israele sotto il Sinai durante la quale lavarono le vesti e si purificarono.

Succot

Jacov è il primo a costruire delle Succot. Egli le fa per il suo gregge (ma forse anche per i figli). La precarietà materiale della Succà è la più grande delle dimostrazioni che Jacov dà ai figli. Esav prende la via di Seir (Sair è il capro espiatorio dei pccati di Israele), la via del male. Jacov quella delle Succot, della fiducia in D-o.

Abbiamo detto due settimane fa che la dimensione di Esav è la dimensione del due. Anche questa settimana si verifica lo stesso schema. Secondo il Midrash la nuova proposta di Esav in questa Parashà è quella di spartire a metà con il fratello sia questo mondo che quello futuro. Una nuova proposta che viene bocciata per lo steso motivo: non si divide per due! Esav colpisce una delle due gambe, colpisce la materialità che sostiene la Torà. Jacov zoppica ma rimane in piedi perché la seconda gamba, la gamba dei bambini contiene tre "regalim" (gambe), tre feste su cui può poggiare in maniera stabile.

"E arrivò Jacov integro alla Città di Shechem" (Genesi, XXXIII, 18) Rashì dice che Jacov integro si riferisce a:

Possiamo trovare un ultimo accenno alle feste:

La vita del popolo d’Israele è appoggiata sulle tre feste come un corpo è appoggiato sulle gambe.

Israel è colui che mette in discussione persino il fatto che le gambe siano due. È Israel che proclama le tre feste che può dire ad Esav che nonostante lui veda solo due gambe e pensi di poterci far perdere l’equilibrio in realtà chi segue la Torà poggia su tre gambe solide e non cadrà mai.

Shabbat Shalom,

Jonathan Pacifici