INTRODUZIONE

alla "Meghillath Ruth"

edita a cura di Rav Shalom Bahbout

in occasione del Bat Mizvà di Nicole Braha

in Roma il 23 di Tevet 5753, 16 gennaio 1993.


Tra i libri per i quali i Maestri si sono interrogati se fosse opportuna la loro inclusione nel canone biblico vi è anche il libro di Ruth.

Nel suo commento al primo verso della Genesi, Rashi sente il bisogno di riportare quanto scritto nel Midrash Tanhumà per giustificare l'inclusione nel Pentateuco del libro della Genesi e dei primi undici capitoli dell'Esodo. Scrive Rashi: "La Torà avrebbe dovuto avere inizio solo da "Questo mese è per voi", che costituisce la prima mizwà impartita al popolo d'Israele, e qual è il motivo per cui inizia con Bereshit?..."

Tra i libri che i Maestri volevano escludere dal Canone biblico vi era ad esempio il Cantico dei Cantici e l'Ecclesiaste (Avoth de-Rabbi Nathan 1:4). I motivi addotti per l'esclusione di ciascuno di questi libri variano da caso a caso: Ecclesiaste contiene affermazioni contrastanti tra loro, oppure in apparente contrasto con la tradizione; il Cantico, se interpretato alla lettera, descrive a volte in una forma fin troppo cruda, l'amore tra un uomo e una donna. Naturalmente i Maestri hanno trovato poi motivi sufficienti per giustificare l'inclusione dei questi libri nel Canone.

"Questa meghillà perché è stata scritta?"

a) Il giusto premio per chi compie opere di bene

Anche per il libro di Ruth i Maestri si sono chiesti "Perché è stata scritta questa Meghillà?" (Ruth Rabbà 2:15), dando varie risposte che cercano di collegare la Meghillà con il mondo delle mizwoth e dei valori della Torà.

"Ha detto Rabbi Zeirà: Questa meghillà non contiene né norme sull'impurità e sulla purità, né norme su ciò che è proibito o permesso. Ma allora perché è stata scritta? Per insegnarti quanto è grande il premio per coloro che fanno opere di bene" (R.R. ibid.). L'importanza insita nell'atto di solidarietà, nelle opere di bene, è tale che merita di trovar posto nel Canone. I Maestri affermano che:

"La Torà inizia con opere di bene e finisce con opere di bene"; i profeti affermano che il Signore "desidera le opere di bene e non i sacrifici" (Osea 6:6); il re David, discendente di Ruth, così scrive nei Salmi (101:1): "Io canterò per celebrare la bontà e la giustizia".

Varie sono le manifestazioni di bontà di cui parla la Meghillà:

Ruth e 'Orpà si comportano bene nei confronti dei mariti, sebbene siano già morti, e nei confronti di Noemi (1:8); Ruth si comporta bene nei confronti di Boaz (3:10); quest'ultimo le ricorda anche la sua buona azione di essersi associata al popolo d'Israele (2:11), e si comporta con Ruth con grande benevolenza quando le permette di raccogliere le spighe anche tra i covoni (2:16-17); Noemi riconosce il bene che ha fatto a lei il Signore e alla sua famiglia tramite Boaz (2:20); anche le donne di Betlemme parlano della bontà del Signore che non ha fatto mancare un Redentore per la sua famiglia (4:14). Il livello massimo di bontà viene raggiunto dall'azione compiuta da Boaz, quando decide di riscattare il campo che apparteneva ad Elimelech, compiendo un'opera che va al di là di quelle che sono le normali leggi di giustizia familiare e sociale previste dalla Torà, in quanto, in ordine di precedenza, non era il parente cui sarebbe spettato questo compito (1).

Si può avere l'impressione che venga qui compiuta la mizwà del levirato; in realtà questo non avviene, sia perché Boaz non è fratello del marito di Ruth, sia perché, comunque, Ruth non era ancora ebrea nel momento in cui il marito Machlon morì e quindi sul piano legale doveva essere considerata ancora un'estranea.

b) Per far conoscere la stirpe del re Davide

Accanto al primo motivo che è senza dubbio quello che ha contribuito maggiormente a spingere i Maestri a includere la Meghillà nel Canone, ve ne sono altri. Uno dei più noti è quello per cui la Meghillà sarebbe stata scritta per trasmetterci la discendenza da Perez, figlio di Giuda, fino a Davide. "Rabbi Elazar beRabbì Josè diceva: per farti conoscere la stirpe di Davide che è di argento puro".

Secondo Rav Shmuel di Amsterdam (Binyan Ariel, Tarnov 5665, p. 248) la Meghillà è stata scritta dal profeta Samuele per dimostrare che David discendeva dalla moabita Ruth e che la cosa era stata approvata da Dio stesso.

c) "Per questa donna giusta"

Nello Zohar (Zohar hadash 468) questo motivo viene ritenuto insufficiente per spiegare l'inclusione di tutta la Meghillà nel canone. Infatti, la Meghillà avrebbe potuto avere inizio dal secondo capitolo, da quando cioè si inizia a parlare di Boaz:

Ha detto Rabbì Josè ben Kismà: "Mi chiedo: se questa Meghillà è stata scritta con il solo scopo di raccontarci quali sono gli ascendenti del re David, perché c'era bisogno di tutto questo libro? - avrebbe potuto scrivere la genealogia da Boaz, che sposa Ruth, e dire: "Questa è la genealogia di Perez" fino a "Ishai generò David"! Ma tutto quanto viene scritto prima era necessario per farti conoscere questa donna giusta che si è convertita ed è venuta a riparare sotto le ali della Shekhinà, e per farti conoscere la sua umiltà, la sua modestia e la sua giustizia". (Zohar hadash 150).

Secondo lo Zohar, quindi, se la Meghillà prende il nome da Ruth, ciò non può essere privo di significato e quindi è proprio per insegnarci qualcosa su questo personaggio che la Meghillà è stata scritta. (2)

Gli insegnamenti della Meghillà

La Meghillà di Ruth è piena di concetti, di valori e di insegnamenti che costituiscono un insieme che sintetizza bene quali sono gli obiettivi che si propone l'ebraismo.

a) i tre amori

Nella dichiarazione di Ruth trovano la loro massima espressione tre grandi amori: quello verso il Signore, quello verso il popolo d'Israele e quello verso la Terra d'Israele:

Ovunque andrai tu, andrò anch'io

dormirò dove dormirai

il tuo popolo è il mio popolo

il tuo Dio è il mio Dio

Se si fa un confronto con la regina Ester, l'altra eroina delle Meghilloth, possiamo osservare che mentre di Ester il testo sottolinea la bellezza e il fatto che non aveva rivelato a nessuno che era ebrea, di Ruth il testo descrive il carattere e le qualità, ma nulla dice della sua bellezza. La Bibbia ci racconta invece che Ruth abbandona la sua terra d'origine per andare in una terra che non conosce e per vivere con un popolo di cui non può che sapere assai poco; che Ruth è una ragazza che non corre dietro ai ragazzi; che Ruth, per dirla con il libro dei Proverbi (31, 1), è "una donna di valore". Ibn Fzrà (3:10) fa tuttavia presente che: "Tutti amavano Ruth per la sua bellezza", una bellezza che traspare dal testo senza che ci sia bisogno di alcuna parola.

Per quanto concerne gli antenati di Ruth, il testo non dà molte notizie, ma dice solo che era moabita. Ruth sceglie di seguire la suocera, ma avrebbe potuto tornare alla sua terra. Il midrash (Nazir 23b, Sanhedrin 105b) afferma che era figlia di Eglon re di Moab, nipote di Balak, ed era quindi di discendenza regale; non sembra che fosse orfana: da vari accenni della Meghillà si deduce che aveva ancora la madre (1:8) e il padre (2:11) e, tornando nella sua terra, avrebbe potuto risposarsi (1:9).

Pur non essendo una regina, Ruth, secondo un'espressione che usano i Maestri (Bavà Batrà 91b), sarebbe divenuta per i suoi meriti la "madre del regno".

(b) Reazione contro la sorte

Uno degli insegnamenti fondamentali della Meghillà è che si deve sempre reagire alla cattiva sorte. Ruth ce ne dà vari esempi:

mentre Noemi accetta il destino che le è toccato in sorte e cerca di convincere le sue due nuore a tornare a casa dopo la morte dei mariti, Ruth non solo rifiuta il consiglio della suocera, ma si sforza prima di seguire Noemi e poi di trascinarla dando un nuovo senso alla sua vita: va a spigolare, conosce Boaz, e con le sue azioni spinge Noemi ad organizzare l'incontro con Boaz, un incontro che cambierà il loro futuro.

Può essere interessante fare un confronto tra le due Meghilloth che hanno al centro della vicenda Ester e Ruth.

Ester è la Meghillà della lotta per la sopravvivenza dell'Ebraismo e del popolo ebraico nella Diaspora, mentre Ruth è la Meghillà del ritorno in Terra d'Israele. In Ester, la lotta termina con la vittoria sia dei singoli che della collettività e nella stessa struttura del libro si riflette il capovolgimento del destino: i primi cinque capitoli del libro di Ester narrano la progressiva ascesa di Haman, le preoccupazioni degli ebrei per la sorte che li attende, fino alla costruzione dell'albero sul quale avrebbe dovuto essere impiccato Mordekhai; gli ultimi cinque capitoli descrivono invece l'ascesa di Mordekhai, e il capovolgimento della situazione e la sconfitta di Haman e dei suoi seguaci.

La meghillà di Ruth contiene la lotta di una proselita, che viene inizialmente respinta dalla suocera, che cerca di farsi strada con le proprie forze per entrare a far parte a pieno titolo del popolo d'Israele e che riuscirà infine a far sì che la terra che apparteneva alla famiglia del suocero torni ad essere di loro proprietà. La struttura della Meghillà è simile a quella di Ester: i primi due capitoli descrivono la disperazione e l'incertezza per il futuro, mentre gli ultimi due rappresentano la svolta verso il cambiamento e verso una soluzione della situazione che farà di Ruth la "Madre del regno"

Accanto a Ruth, che è il personaggio più positivo e attivo del libro, non troviamo personaggi che possano essere definiti come "negativi" in assoluto: del marito Elimelech e dei due figli di Noemi, Machlon e Kilion, il Midrash ci dà una descrizione negativa, ma il testo non dice nulla. Noemi passa attraverso fasi alterne: da Betlemme raggiunge il paese di Moab, per poi tornare a Betlemme a mani vuote (1:21), ma per poi quasi rinascere quando Ruth partorisce e le gente dice: "Un bambino è nato a Noemi".

c) Il giusto premio per chi compie opere buone

Il libro di Ruth, nonostante inizi a raccontarci eventi tragici accaduti nella terra di Giuda, è tutto incentrato sull'idea dell'importanza delle opere di bene e sulle conseguenze positive per chi le compie. Come si è detto le opere di bene non costituiscono in alcun modo un obbligo per chi le fa, ma sono del tutto volontarie e derivano dall'amore per il prossimo e per il Signore. L'uomo rinuncia a qualcosa di proprio a favore del prossimo senza aspettarsi nulla in cambio. Tutto ciò che si fa per onorare i morti è considerato "opera di bene" poiché non si ha alcuna intenzione di ricevere alcunché da un morto. Così quando rinuncia alla sua casa, alla sua patria e al suo futuro per unirsi al popolo d'Israele, Ruth non può aspettarsi nulla da Noemi, che la mette bene in guardia dal non farsi alcuna illusione. Sulla stessa linea si muove anche Boaz quando presta aiuto a Ruth e quando si dichiara disponibile a riscattare il campo di Elimelech ed a sposare Ruth. Le opere di bene sono accompagnate nel libro dalla benedizione del Signore: "Sia benedetto dal Signore, perché non ha tralasciato la sua bontà verso i vivi e verso i morti" (2:20); oppure: "Benedetto sia il Signore che non ti ha fatto mancare oggi un "goèl" (un redentore)". La benedizione è una testimonianza che le opere dell'uomo sono strettamente legate alle opere di Dio e sono da Lui indirizzate.

L'unico che non compie opere di bene è la persona che ha la precedenza di riscattare il campo e quindi di sposare Ruth, cioè il goèl. C'è qui una sovrapposizione tra l'istituzione della Gheullà (il riscatto di un campo venduto a un estraneo, cosa che deve essere fatta dal parente più vicino disposto a esercitare questo diritto) e quella dell'Ibbum, il levirato (la norma per cui, se una persona sposata muore senza lasciare figli, il fratello maggiore, oppure uno degli altri fratelli, ha l'obbligo di sposare la cognata - levamà - e trasmettere il nome del fratello al primo figlio che nascerà da questa unione) (Deut. 25:5-10). Anche l'istituzione dell'Ibbum è considerata un'opera di bene pur essendo una mizwà: infatti ad essa ci si può sottrarre mediante la Chalizzà (scalzamento). L'autore della "Akedat Izhak" scrive (Ruth 3:9): "Sembra che esistesse un'usanza in Israele che così come la Torà comanda di fare il levirato, così i parenti prossimi usavano sposare le mogli dei loro parenti morti per mantenere in vita il nome dei morti, cosa che era da considerarsi come una forma di bontà". Nel libro di Ruth questa azione è chiamata "Gheullà". Il Ramban (Genesi 38:8) sostiene che "Gli antichi Maestri di Israele (...)introdussero in Israele l'uso di fare quest'azione fra tutti gli eredi, tra coloro per i quali non v'era alcuna proibizione di incesto e hanno chiamato questo uso "Gheullà"".

La vendita e il riscatto

Quando Noemi torna dal paese di Moab a Betlemme afferma che quando era partita era ricca e il Signore l'aveva fatta tornare a mani vuote: queste parole dimostrano che Noemi non possedeva più nulla a Betlemme e che Elimelech, prima di abbandonare il paese, aveva venduto il proprio campo. Ma, per buona sorte di Noemi, è prevista una soluzione per chi si trova in questa situazione: la Torà stabilisce che la terra non può essere venduta per sempre. Sembra quasi che la Meghillà di Ruth stia lì a dimostrarci che le leggi della Torà relative alla vendita dei campi venivano effettivamente messe in pratica (Levitico 25: 23-25).

Il primo capitolo ci presenta gli effetti della vendita su Noemi, che perde tutto ciò che aveva nel paese di Moab, come a dire che l'ebreo non ha una propria eredità fuori di Erez Israel.

Al centro del secondo capitolo sta invece il precetto della spigolatura (Leket): Ruth essendo priva di un campo aveva diritto di spigolare (Levitico 19: 9-10). Per ben sette volte il testo parla di Ruth come spigolatrice e per altre cinque volte si parla della sua spigolatura. Ruth acquisisce il diritto a spigolare sia per il suo stato di povertà che per quello di proselita (ghijoret). Poi Noemi scopre che più di una persona può riscattere il campo che era stato di Elimelech e che uno di essi è Boaz. Riacquistare il campo sarebbe comunque un'impresa, oltre che impossibile, anche inutile se non ci fosse qualcuno poi in grado di lavorarlo. E' per questo che Noemi è pronta a trasmettere il diritto al riscatto del campo alla persona che si dichiarerà pronta, oltre che a riscattare il campo, anche a sposare Ruth. È chiaro che il piano di Noemi non combacia con quanto già afferma la Torà a proposito del levirato (Deuteronomio 25: 5-9), ma è in qualche modo un'estensione, secondo lo spirito della meghillà che è tutta piena di opere di bontà. Vediamo quali sono gli elementi che discordano con quanto stabilito dalla Torà per il levirato:

a) Ruth era moabita quando si era sposata con Machlon e tale era rimasta fino a dopo la morte del marito. In quanto moabita, le leggi matrimoniali ebraiche non hanno nessun effetto su di lei;

b) Il levirato riguarda i fratelli da parte di padre e non c'era nessun fratello nelle condizioni legali di dover fare il levirato;

c) Secondo il levirato il figlio maggiore nato dal matrimonio con la cognata diventa il legittimo erede dei beni del primo marito. Ruth si rivolge a Boaz non in quanto possibile javam (cognato), ma in quanto goèl (riscattatore). Attraverso l'atto di Boaz, Ruth potrà tornare alla normalità e cioè a possedere una terra come tutte le famiglie in Israele. Nonostante non si possa dire che venga qui applicato l'istituto del levirato, è chiaro che Boaz sa che tutta la sua azione è tesa solo a sistemare Ruth "Ora, figlia mia, non temere, ciò che chiederai farò, perché tutta la città sa che tu sei una donna a modo" (3:11).

Si delinea quindi una svolta che porterà al riscatto - e non al levirato - per Ruth, e anche Noemi trarrà beneficio da questa situazione perché potrà seguire la nuora. Le azioni che vengono fatte nel corso della cerimonia del riscatto non sono simili a quelle del levirato: levarsi la scarpa non è paragonabile all'essere scalzato dalla cognata, ma ha qui il solo scopo di consegnare ad un'altra persona il diritto al riscatto. Né troviamo qui la proclamazione che accompagnava lo scalzamento e gli atti di riprovazione che faceva la donna. Non vi è tuttavia alcun dubbio che si respira in questo capitolo "aria di halizzà" e come si è già detto, alcuni commentatori (Ramban e Akedath Izhak) sottolineano questa somiglianza (3).

E' comunque evidente che le vicine di Noemi interpretano l'atto quasi come un atto di levirato, quando dicono che è nato un bambino a Noemi, al quale poi spetterà il campo che era già stato di Elimelech.

D'altra parte, Boaz rivolgendosi al legittimo "goel" manifesta chiaramente quelle che sono le condizioni per chi acquista il diritto a comperare il campo, diritto che adesso è di Noemi: "Noemi, ritornata dalle campagne di Moab, ha venduto l'appezzamento di terreno che era del nostro fratello Flimelech. Ho pensato di fartelo sapere e ti dico: acquistalo dinanzi ai presenti, dinanzi agli anziani del popolo; se vuoi riscattarlo, riscattalo; se non vuoi, dimmelo, ché io sappia, perché non c'è nessun altro prima di te che lo possa riscattare, e dopo di te vengo io". Quando quello si dichiara disponibile a riscattare il campo, Boaz aggiunge a sorpresa "Il giorno in cui tu acquisterai il campo da Noemi e da Ruth la moabita, moglie del defunto, ti assumi il dovere di mantenere il nome del defunto sul suo retaggio".

Quest'ultima condizione non è accettabile per il parente legittimo "goel", perché sostiene "rovinerei il mio retaggio": forse perché l'introduzione di una seconda moglie avrebbe potuto creare qualche lite in casa (Targum), forse perché non vuole sposare una donna di origine moabita (Rashi) (4). Ogni acquisto avveniva mediante l'atto di togliersi la scarpa, ed era cosa assai nota a tutti; diversa era, invece, la situazione per quanto concerne "l'acquisto di Ruth" assieme al campo: era una cosa del tutto nuova e quindi non ci sorprende che il goèl si sia rifiutato di farla.

Dal libro di Ruth si deducono diverse norme e usanze. Prima fra tutte l'esclusione delle donne moabite dal divieto di sposare ebrei, scritto nel Deuteronomio (23:4) "Un moabita non entrerà nella radunanza del Signore": Un moabita e non una moabita. Ma anche le regole relative ai proseliti, le regole relative al permesso o meno di abbandonare Erez Israel, le regole sul matrimonio (la benedizione degli sposi richiede il minian), il saluto che va fatto usando il nome del Signore, l'uso di avere vestiti da indossare per i giorni feriali e altri per quelli festivi (Shabbath 13a, commento a Ruth 3:3), il divieto per uno studioso di uscire da solo di notte, il divieto per una persona più giovane di sedersi fino a quando una più adulta gli dice: siedi.


NOTE 

(1) Il concetto di Hesed, che abbiamo tradotto con opere di bene e bontà è così interpretato dai Maestri: Rav Hunnà obietta, è scritto ""Giusto è il Signore in tutti i suoi comportamenti" ed è scritto "Buono (Hassid) è in tutte le sue azioni" - all'inizio è giusto e infine è buono". Rashi così interpreta questo detto talmudico: Giusto - perché dà un giusto giudizio; "Hassid" - perché va al di là della norma.

(2) Alcuni hanno espresso l'opinione che questa Meghillà sarebbe stata scritta in segno di protesta per la cacciata delle donne moabite, sposate con ebrei, effettuata da Ezrà e Nehemià (Ezrà 9) nell'anno 397 o 346 A.E.V.: Il fatto che Boaz sposa una moabita da cui discenderebbe nientemeno che il re David potrebbe essere portato a giustificazione del comportamento di questi ebrei. Questa opinione lascia piuttosto perplessi: come si può ad esempio giustificare il fatto che Mahlon e Kiliòn, che avevano sposato delle straniere, erano morti? L'attaccamento di Ruth al popolo di Noemi e al suo Dio non sono forse un esempio che va in direzione opposta a quella delle donne moabite del tempo di Ezrà, che vengono allontanate proprio perchè costituiscono un pericolo per il popolo ebraico?

(3) Secondo Giuseppe Flavio (Antichità giudaiche 5, 9) si tratta qui di un vero e proprio scalzamento: "Ordinò alla donna di scalzare la scarpa del parente avvicinandosi a lui secondo la legge e sputandogli in faccia".

(4) I Maestri discutono su chi fa l'azione di togliere la scarpa: Boaz che acquistava oppure il Goel che rinunciava al diritto di riscattare (Bavà Mezià 47a). Rabbi Yehudà sostiene che il Goel dava la scarpa a Boaz. Tuttavia dalla successione delle parole sembra che sia il Goel a togliersi la scarpa e a darla a Boaz che acquista così il diritto all'eredità e a Ruth: Il Goel disse allora a Boaz: "compralo per te" e si tolse la scarpa: non è probabile che il soggetto possa cambiare nello stesso versetto. Nella Halakhà è stato stabilito tuttavia che è la persona che acquista che dà un proprio oggetto al venditore.

Va sottolineata la differenze che c'è tra la radice "halaz" (scalzare) e "shalaf" (togliersi la scarpa). La prima ha un chiaro significato dispregiativo della donna nei confronti dell'uomo che si rifiuta di fare il levirato; la seconda ha un significato "neutro", perchè viene fatta dalla persona stessa che si toglie la scarpa in senso di rispetto (Mosè o Giosuè di fronte alle manifestazioni divine) o di semplice scambio (come nella meghillà di Ruth).


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