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RAV RICCARDO PACIFICI - DISCORSI SULLA TORÀ

XLVIII

SHOFETÌM

(Deuteronomio XVI, 18 - XXI, 9)

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Fra i diversi argomenti di cui si occupa la Parashà odierna, attraggono la nostra attenzione le norme che presiedono l'istituzione del potere legislativo in Israele, e soprattutto l'istituzione dei tribunali, dei consessi destinati ad amministrare la giustizia.

Il nome anzi di questa Parashà, Shofetim, è proprio dedotto dalla prima parola che significa appunto i "giudici". Chiunque abbia un po' di familiarità con l'idee dell'ebraismo, chiunque abbia anche solo superficialmente scorso le pagine della Bibbia, sa quale sia l'enorme, incalcolabile portata che ha nell'ebraismo il concetto di giustizia. Si potrebbe dite che su questa parola, su questo termine s'imperni la dottrina, la prassi religiosa d'Israele, e non sarebbe difficile dimostrare come in ogni libro della Bibbia quell'idea sia largamente e decisamente rappresentata. Dato ciò, non fa certo meraviglia trovare raccomandato al principio della nostra Parashà il dovere non solo dell'istituzione dei giudici e dei tribunali, ma il dovere per i giudici stessi di amministrare rettamente la giustizia e di essere scrupolosi esecutori dell'alto mandato di cui sono stati investiti. Merita che noi rileggiamo le parole con cui ha inizio questa Parashà. "Shofetim ve-shoterim", Giudici e amministratori.

A spiegare in parte questa direi accorata insistenza sul dovere di perseguire la giustizia, varrà tener presente che secondo l'ebraismo il giudice nell'esplicazione del suo mandato, è quasi considerato un esecutore diretto della divina Volontà; poiché Dio è nella sua più profonda essenza, principio sommo di giustizia, il giudice nell'atto di esaminare la vertenza a lui sottoposta è quasi l'inviato di Dio in terra. Iddio è nei Salmi considerato come presente nel consesso dei giudici! "Iddio è presente nella radunanza divina " (Salmo LXXXII, 1). Questo spiega perché anche la più alta autorità rappresentativa in Israele, il Re, sia considerato come unto di Dio, da Lui destinato a governare e ad amministrare il popolo, in quanto che il re è simbolo della giustizia: "Poiché là seggono i troni della giustizia, i troni della casa di David" (Salmo CXXII, 5). La giustizia, si dice nei Salmi, è il trono del re, è il seggio e la base su cui si fonda la sua potenza. "Ecco il re regnerà secondo giustizia" (Isaia XXXII, 1), dice il profeta; ed infatti tutta la prammatica relativa al sovrano in Israele, contenuta proprio nella Parashà di oggi accanto a quella dei giudici, mira a dimostrare che il Re deve essere completamente imbevuto dei principi di rettitudine e di morale proclamati dalla Torà, anzi la Torà deve essere l'insegna del Re d'Israele. Egli ne deve scrivere per suo conto una copia, la deve studiare e meditare e soprattutto la deve applicare per sé e per i suoi sudditi. Tutta la storia d'Israele dimostra che i Re in Israele hanno avuto un loro significato solo in quanto si sono resi strumenti di questa superiore volontà divina di amministrare la giustizia, la gloria, la potenza; lo splendore del trono non può essere insomma per Israele che un raggio dello splendore e della potenza di Dio. Solo così si può rendere stabile la potenza dell'uomo sulla Terra, solo cioè attuando fra gli uomini e per gli uomini il senso di quella reale e vera giustizia, l'attuazione della quale è e resta ancora il supremo ideale per noi su questa terra.


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