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RAV RICCARDO PACIFICI - DISCORSI SULLA TORÀ

XXXVI

BEHA'ALOTEKHA

(Numeri VIII - XII)

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Fra i molteplici episodi ed argomenti contenuti nella Parashà odierna, quello che senza dubbio maggiormente si impone alla nostra attenzione è quello relativo alla prima protesta del popolo contro Mosè nel deserto. Questa sarà la prima di una serie di proteste, che poi in varie occasioni si ripeteranno e che metteranno a dura prova la grande pazienza e tolleranza del sublime condottiero ebreo. Sarà anche questa la prima volta che si delineerà quel contrasto e quell'incomprensione tra popolo e capo che purtroppo si ripeterà come una nota determinante nella storia d'Israele. Qui il pretesto alla sommossa viene offerto da contingenze relative alla vita materiale del popolo.

Siamo nel deserto, in quel grande deserto che Israele dovrà imparare a percorrere in lungo e in largo. Fin dai primi giorni dopo il passaggio del Mar Rosso, fin da quando Israele ha messo piede nella regione desertica, la vita alimentare del popolo è stata assicurata, in modo semplice, ma nello stesso tempo eccezionale, attraverso la Manna. La manna, che esteriormente aveva l'aspetto di un seme di coriando e il colore della perla, scendeva invariabilmente ogni giorno, eccetto il sabato, dal cielo. Questa sostanza che copriva ogni mattina la distesa dell'accampamento d'Israele, veniva regolarmente raccolta dal popolo che, a quanto sembra, poteva cucinarla in modi diversi, traendone anche diversissimi gusti. A un certo momento però il popolo, anzi una parte del popolo, la parte peggiore, secondo alcuni quella aggregatasi in occasione dell'uscita dall'Egitto, cominciò ad annoiarsi di questo cibo invariabilmente uguale, cominciò quasi a disprezzare questo pane del cielo, che pure era sembrato il segno più manifesto della provvidenza di Dio. Il popolo reclama qualcosa di più: e ricorda quasi nostalgicamente il periodo della egiziana servitù, ove, nonostante tutto, non mancavano i pesci che così abbondantemente erano forniti dalle acque del Nilo, non mancavano i legumi di ogni specie; ed ora invece la manna, sempre la manna, dice il popolo. Le lamentele aumentano, i mormoratori anche. Mosè è letteralmente assediato dalle incessanti richieste, sente il peso di questa massa popolare e, rivolgendosi a Dio, ne chiede ispirazione ed aiuto. L'una e l'altro gli vengono concessi: Mosè nel suo immane compito sarà d'ora innanzi aiutato da 70 consiglieri, uomini scelti e di spirito altamente religioso, uomini sui quali Dio stesso poserà il Suo spirito e la Sua volontà. E il popolo? E le sue tracotanti richieste? Mosè sente tutta l'offesa verso Dio che è contenuta nelle richieste del popolo, Mosè avverte tutta la forza dell'ingratitudine di questa massa materialista e ingorda che per un pezzo di carne dimentica in un momento tutti gli immensi benefici da Dio ricevuti. Mosè sente quanto grande sia ancora l'im-preparazione del popolo e quanto indegno sia del suo Dio. Mosè sente tutto questo e lo proclama: proclama apertamente al popolo la sua grave colpa, quella di aver disprezzato il Signore che è in mezzo a lui e di aver quasi auspicato il ritorno in Egitto. Nello stesso tempo annuncia che il popolo otterrà quello che desidera, otterrà la carne, soddisferà il suo volgare appetito, ma troverà nel soddisfacimento delle sue voglie il meritato castigo, sarà vittima della propria voracità. Quale grande insegnamento nell'episodio esaminato! Non vedete, infatti, in esso, il primo e più chiaro segno di quell'ingratitudine e di quell'atteggiamento ostile verso Dio e verso i di Lui inviati che sarà purtroppo come la nota che accompagna la futura storia d'Israele? Non vedete l'incomprensione, la grande incomprensione del popolo per i valori assoluti per quei valori dello spirito a servire i quali era stato pure eletto? C'è qui un po' la storia e la psicologia di molti ebrei, di molti fra coloro che disprezzano o misconoscono il grande segno dell'elezione di Israele, di coloro che antepongono i propri appetiti, le proprie brame a tutti i valori ideali possibili, c'è qui la storia dell'inadeguatezza di molti, di troppi ebrei al grande destino cui erano serbati, c'è la storia dell'ingordigia, dell'ingratitudine, del materialismo che prende il sopravvento e schiaccia le cose più alte e sublimi.

È questo il vero Israele? Quell'Israele che, come dice Mosè, ha nel suo seno il nome di Dio e porta infallibilmente il segno della di Lui volontà? No, questo è l'Israele peccatore, è l'Israele indegno che perirà vittima delle proprie colpe.

L'Israele vero è altrove, è sui pochi, è sugli eletti, è su coloro che sanno scegliere il pane della miseria col sale della Torà; è su coloro che sanno provare le rinunce del corpo per le conquiste dello spirito; è su di loro che - come dice Mosè - si poserà lo spirito di Dio e volesse il cielo che questo spirito avvolgesse tutto Israele e ne facesse, com'è nei destini supremi, un popolo di profeti, un popolo di sacerdoti.


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