Parashat Tazria-Mezora’

 

E chiunque venga toccato da uno Zav che non abbia  lavato le sue mani in acqua , lavi le sue vesti e si lavi nell’acqua e sara’ impuro fino a sera.” (Levitico XV, 11)

 

“che non abbia  lavato le sue mani in acqua: che non abbia levato la sua impurita’ attraverso un bagno rituale; ed anche se la perdita è finita ed egli ha contato sette giorni ma non ha ancora fatto il bagno rituale, trasmette ugualmente impurita’. Ed il fatto che il testo si riferisca al bagno rituale del corpo dello Zav con un espressione di lavaggio delle mani è per insegnarti che le parti interne non hanno bisogno di entrare in contatto con l’acqua ma le parti esterne come le mani si.” (Rashi’ in loco citando Torat Coanim)

 

Come abbiamo ricordato la scorsa settimana ci troviamo nelle sette settimane di preparazione per la ricezione annuale della Tora’ a Shavuot. È proprio in queste settimane che i Saggi ci invitano a rafforzarci nell’osservanza delle mizvot beneficiando dell’influenza positiva di questi giorni dell’Omer che il Ramban paragona ai giorni di Chol Hammoed, di mezza festa.

 

A livello collettivo segnaliamo questa preparazione attraverso il precetto di contare i giorni ed attraverso l’uso di leggere nei sei Sabati precedenti alla festa di Shavuot i sei capitoli del Pirke’ Avot, le Massime dei Padri.

 

Per capire fino a che punto è cardinale la preparazione continua alla ricezione della Tora’ ricorderemo che nel trattato di Shabbat (TB Shabbat 87a ) vengono ricordate le tre cose che Moshe’ fece “di testa sua” e per le quali ricevette a posteriori l’approvazione dell’Eterno: aggiunse un giorno ai 49 di preparazione per la ricezione della Tora’, si separo’ sessualmente dalla moglie e ruppe le tavole. Vale la pena ricordare che proprio a quest’ultima iniziativa si riferisce la Tora’ secondo Rashi’ quando tesse le lodi di Moshe’ nell’ultimo verso della Tora’. Ci siamo gia’ occupati di questo passo Talmudico altre volte ma ricorderemo qui che il filo conduttore di queste iniziative è la preparazione per la ricezione della Tora’.

 

Il Marhal di Praga si sofferma molto nei suoi scritti sull’autorita’ delle disposizioni rabbiniche in particolare nel Beer HaGola’ e nel Tiferet Israel.

 

Spiega il Marahal che queste tre decisioni di Moshe’ hanno una forte discriminante nei confronti di tutte le altre interpretazioni rabbiniche: il fatto che Moshe’ ottenne l’approvazione del Santo Benedetto Egli Sia pone le tre iniziative del Profeta allo stesso livello della Tora’ scritta laddove i nostri Maestri pur appoggiandosi sul Testo Biblico non hanno (e non hanno bisogno) dell’approvazione Divina. La parola chiave nel discorso è proprio l’Asmachta: ossia l’appoggio, il riferimento nel testo che permette ai Saggi di legiferare. Il Ritva nel  suo commento al trattato di Rosh Hashana’ (TB RH 16a) scrive: “Ogni cosa che ha un Asmachta da un verso significa che ha testimoniato il Santo Benedetto Egli Sia che è proprio fare cosi’, ma non lo ha stabilito obbligatoriamente e lo ha passato ai Saggi…e non come coloro che dicono che che le Asmachtaot sono come dei segni …poiche’ questa è una visione eretica.

 

L’esempio piu’ classico ce lo offre proprio il Marahal all’inizio del suo Beer HaGola’.

 

La Tora’ dice nella nostra Parasha’:

 

E chiunque venga toccato uno Zav che non abbia  lavato le sue mani in acqua , lavi le sue vesti e si lavi nell’acqua e sara’ impuro fino a sera.” (Levitico XV, 11)

 

Nel Talmud (TB Chulin 106a) troviamo:

 

Ha detto Rabbi Elazar ben Arach: ‘Da qui i nostri Saggi hanno poggiato il  lavaggio delle mani prima del pasto (la Netillat Yadaim) dalla Tora’. Rava’ disse ha Rav Nachman: ‘come si capisce?’ ‘Dal momento che dice ‘e non abbia lavato e sue mani in acqua’. Sembrerebbe che se le avesse lavate la persona toccata sarebbe pura. Ma una persona impura ha bisogno di un bagno rituale completo! Allora si tratta di un'altra persona [non completamente impura] che richiede [solo] il lavaggio delle mani.

 

 

Lo Zav è una persona che ha avuto una particolare perdita dall’organo sessuale. Senza entrare nelle complesse regole che riguardano lo Zav diremo che come persona impura è bandita dal Santuario e dal contatto con cibi consacrati fino a che non ha completato il processo di purificazione. Allo stesso modo egli trasmette impurita’. Dal nostro verso sembrerebbe di capire che se egli avesse fatto la Netilat Yadim, ossia se avesse lavato le mani, non trasmetterebbe impurita’ anche senza aver avuto un bagno rituale completo. Cio’ è palesemente inesatto giacche’ sappiamo bene che una persona impura non sana il suo status senza essersi immersa in un mikve.

 

I Saggi hanno allora capito che in questa particolare incongruenza era celato un insegnamento che la Tora’ aveva lasciato deliberatamente nascosto in attesa che i Saggi lo rivelassero. Nel particolare si stabilisce qui, come ricorda Rashi’ nel suo commento alla Tora’, un principio cardinale nelle regole della purita’ che vuole le mani particolarmente portate a divenire impure in quanto spesso in contatto con il mondo e quindi con elementi ritualmente impuri.

 

Nella realta’ l’istituzione della Netillat Yadaim vuole ovviare al fatto che le mani sono potenzialmente impure ma vuole anche metterci alla stregua dei Sacerdoti per i quali essa è richiesta prima del culto Sacerdotale, ogni qualvolta ci sediamo alla nostra mensa, rendendola quindi mensa consacrata. Dunque le decisioni rabbiniche non sono mai indipendenti dallo schema generale impostato dalla Tora’ ma vengono anzi a perfezionare l’impalcatura della Tora’ attraverso decisioni preparate ma non legiferate dall’Eterno che ci ha dato il compito di completare il Suo mondo e di fare della Sua Tora’ la nostra Tora’.

 

Rav Chajm Friedlander (Sifte’ Chajm III, 85) si sofferma in proposito sulla prima delle tre iniziative di Moshe’: l’aggiunta di un giorno nel processo di preparazione alla ricezione della Tora’.

 

Moshe’ ha interpretato l’ordine di D. ed ha ricavato dal testo stesso (cfr TB Shabbat 87a) la necessita’ di prepararsi per un ulteriore giorno. Iddio si proclamo’ favorevole de facto ed infatti la Presenza Divina non scese sul Sinai altro che di Shabbat, ossia nel cinquantunesimo giorno virtuale dell’Omer.

 

Per meglio apprezzare quanto spiega Rav Friedlander ricorderemo che i Saggi definiscono l’azione Divina e l’azione umana rispettivamente come “risveglio dall’Alto” e “risveglio dal basso”. Essi usano questi due termini ad indicare se l’avvicinamento tra D. ed Israele proviene dall’alto (ossia gratuitamente da parte di D) o se è stato fatto uno sforzo dal basso (e quindi ci troviamo in una dinamica di giustizia).

 

Rav Friedlander sottolinea come fino al momento del dono della Tora’ gli eventi si sono verificati prettamente in una dimensione di risveglio dall’Alto: le dieci piaghe, l’apertura del Mare ecc.

 

Moshe’ si rende conto del fatto che affinché la Tora’ sia effettivamente la Tora’ d’Israele è necessario un risveglio dal basso e questo non è possibile senza un ulteriore preparazione. Dunque Moshe’ aggiunge un giorno per segnalare lo sforzo di Israele. La Tora’ Israele la riceve effettivamente lo Shabbat (51) e non nel Venerdi’ (50). Dobbiamo ricordare che è pero’ proprio il Venerdi’, ossia il 6 di Sivan ad essere il momento del dono della Tora’: non solo noi festeggiamo il 6 la Festa di Shavuot (secondo il programma originale di D.) ma anche veniamo avvisati dai Saggi (TB Avoda’ Zara’ 3a) che l’articolo “il sesto”, HaShisi’, che troviamo nella Genesi e che citiamo nel Kiddush del Venerdi’ sera indica il patto tra D. e la Creazione: D. pone come condizione per la sussistenza del mondo il fatto che Israel accetti la Tora’. (il 6 di Sivan, Venerdi’ e dunque anche sesto giorno).

 

Il Maghen Avraham si domanda quindi “Mi è difficile il fatto che noi diciamo a Shavuot ‘tempo del dono della nostra Tora’ …e la Tora’ è stata data il 7 …ma noi festeggiamo Shavuot sempre il 6 …e cio’ che è ancora piu’ difficile è che la Tora’ è stata data il cinquantunesimo giorno del conto giacche’ uscirono dall’Egitto di giovedi’ e la Tora’ è stata data di Shabbat.”

 

Rav Friedlander spiega a nome del Maghen Avraham che questa apparente incongruenza è comprensibile se la si ritiene la fonte per l’aggiunta del secondo giorno di festa della Diaspora che coincide con l’effettivo giorno del dono della Tora’. Il Chatam Sofer aggiunge che tutto sommato il secondo giorno non sarebbe necessario di Shavuot se il motivo è il dubbio (dovuto alla difficolta’ nelle comunicazioni) come nelle altre feste, giacche’ la data di Shavuot è legata a quella di Pesach, ed una volta appurata la reale data di Pesach, si sa’ automaticamente la data di Shavuot. Dunque spiega il Chatam Sofer che qui il motivo per il secondo giorno nella diaspora non è il dubbio ma l’autorita’ dei Maestri che scaturisce dallo stesso dono della Tora’ e che ci invita a rafforzarci per due giorni.

 

Per coloro che vivono in Erez Israel e che quindi festeggiano solo il 6 di Sivan mi pare notevole quanto dice il Marasha proprio su TB Avoda’ Zara’ 3a. Il 6 di Sivan (50) è il giorno aggiuntivo di preparazione e dunque di Yrat Chet, di timore del peccato, laddove il 7 di Sivan (51) è l’effettiva ricezione. Festeggiando il 6 e non il 7 noi sottolineiamo la superiorita’ del timore del paccato umano, della preparazione umana, persino rispetto alla ricezione vera e propria della Tora’. Noi festeggiamo il dono della Tora’ nel giorno in piu’ che ci siamo presi per prepararci e che simboleggia il nostro attaccamento e dunque lo sforzo ed il risveglio dal basso.

 

Eppure noi sappiamo che nonostante tutta la nostra preparazione la ricezione effettiva della Tora’ è avvenuta un po’ sotto minaccia come riporta il Talmud (TB Shabbat 88a) dicendo che Iddio li minaccio’ sospendendo sopra di loro il Monte. La stessa fonte indica l’epoca di Assuero come l’epoca della spontanea accettazione della Tora’ come si impara dalla Meghilat Ester. Il Marahal (Tiferet Israel) sottolinea come l’epoca di Assuero è l’inizio del periodo della Keneset Haghedola’, l’epoca della Grande Assemblea che ha stabilito le regole di Purim ma che anche ha imposto di creare una siepe attorno alla Tora’ ed ha piu’ di tutti portato avanti il principio del potere che la Tora’ da ai Saggi nel loro complesso per innalzare questa siepe. Quindi la Tora’ data dall’alto il 7 di Sivan viene accettata liberamente dal basso a Purim. La libera e vera accettazione della Tora’ avviene di Purim, con Shvuot noi segnaliamo la nostra preparazione alla ricezione della Tora.

 

Ricordavamo la scorsa settimana che le feste d’Isrele ed i momenti consacrati non sono semplici eventi storici ma sono dei momenti della nostra stessa vita.

 

In proposito dice il Ramchal nel Derech Hashem (4,7,6) che la stessa luce spirituale che ha illuminato l’evento storico brilla nuovamente nell’anniversario dell’evento. Ed il Rav Desler aggiunge straordinariamente (Miktav MeEliau II, 21) che i tempi dell’anno non sono altro che tappe nel circolo del tempo che tornano su se stesse ogni anno. Quello che conta pero’ è che non è il tempo a tornare sull’uomo ma è piuttosto l’uomo a viaggiare nel tempo e quando questi si trova in quella specifica tappa attinge dalla luce spirituale di quell’evento.

 

E noi torniamo quindi continuamente nello stesso percorso cercando di migliorare ogni volta la nostra preparazione.

 

Le regole della purita’ che troviamo nella nostra doppia Parasha’ sembrerebbero legate ad un epoca scomparsa. Esse sono nella realta’  fonte inesauribile alla quale veniamo chiamati ad attingere. La purita’ che viene richiesta all’ebreo esula dal concetto contingente di bene e male ma si inquadra meglio in un ottica di sforzo nazionale per il conseguimento della missione di Israele. Le regole del ciclo mestruale cosi’ come discusse nel Talmud e codificate nello Shulchan Aruch sono il risultato dell’accorpamento delle regole del ciclo e delle regole dello Zav. Si tratta di una particolare costruzione rabbinica supportata dal criterio generale per il quale “le figlie di Israele sono state severe con loro stesse”.

 

Ed è proprio il desiderio delle figlie di Israele di essere particolarmente ligie nelle loro regole che rende questo capitolo della vita d’Israele la “Taarat HaMishpacha’”, la purita’ della Famiglia.

La nostra generazione, che dimostra un rinnovato attaccamento alla Tora’, deve capire a fondo che Essa è un insieme unico inscindibile nel quale trovano fonte tutte le disposizioni rabbiniche e tutte le future decisioni. Deve essere altresi’ chiaro che queste non sono il frutto di ragionamenti indipendenti ma si radicano nel testo stesso della Tora’ e formano un tutt’uno organico.

 

La Netillat Yadaim è dunque per eccellenza il nostro modo per ricordarci delle regole della purita’ ogni qualvolta ci sediamo a tavola secondo l’esempio dei nostri padri Farisei che stabilirono di mangiare anche cibo non consacrato in stato di purita’.

 

Per concludere mi pare straordinario il fatto che il criterio per il quale un Libro fa parte degli scritti sacri o meno è l’essere incluso o meno nella lista di Libri che per disposizione rabbinica rendono impure le mani e che quindi non vanno toccati direttamente. In caso contrario è poi necessaria la Netilat Yadaim.

 

La Tora’ Scritta che viene dall’Alto non ha senso se non si ricorda che essa da l’Autorita’ ai Saggi di istituire organicamente  dal basso siepi e giardini per proteggere la Tora’ e per abbellirla.

 

Imponendo la Netillat Yadaim per il contatto diretto con la Tora’ Scritta i Saggi hanno voluto sottolineare la predominanza della Tora’ Orale avvertendoci che non si puo’ avere per le mani la Tora’ senza tenere conto delle regole rabbiniche che hanno l’ultima parola persino con(tro) D.

 

Un buon proposito per questo periodo dell’Omer puo’ essere proprio una particolare attenzione alle regole della Netillat Yadaim che rendono la nostra tavola consacrata al D. d’Israele.

 

Shabbat Shalom e Moadim LeSimcha’ LiGheulla’ Shelema’,

Jonathan Pacifici