Parashat Vaielech

Shabbat Teshuvà

La Parashà di questa settimana contiene due mizvot positive:

  1. L’Akhel (raduna);
  2. L’obbligo per ognuno di scriversi un Sefer Torà.

Vediamo da dove si ricavano queste mizvot e che cosa comportano:

[1] "E Moshè li comandò [i Sacerdoti] dicendo: ‘Al termine dei sette anni, al tempo dell’anno Sabbatico nella festa di Succot, nel giungere di tutto Israele per comparire dinanzi al Signore tuo D-o nel luogo che Egli sceglierà, leggerai questa Torà dinanzi a tutto Israele nelle loro orecchie. Raduna il popolo, gli uomini e le donne e i bambini ed il tuo straniero che abita nelle tua città, affinché ascoltino ed affinché imparino e temano il Signore vostro D-o…’". (Deuteronomio XXXI,10-12)

Una volta ogni sette anni quindi, nell’anno che segue l’anno Sabbatico, il primo giorno di Chol HaMoed (mezza festa) di Succot, l’intera nazione ha l’obbligo di radunarsi al Santuario per ascoltare il Re d’Israele che legge la Torà. I brani da leggere sono tutti nel libro di Devarim (Deuteronomio): dall’inizio del libro fino alla fine del primo brano dello Shemà (I, 1 - VI, 9), il secondo brano dello Shemà (XI, 13-21) ed infine altri brani dallo stesso libro (XIV, 22 - XXVIII, 69).

Il tema predominante è il patto tra D-o ed il popolo ebraico ed il premio e la punizione per l’osservanza della Torà. È da notare una stranezza halachika (normativa): sono incluse nella mizvà non solo le donne, generalmente esenti dai precetti positivi il cui tempo è fisso, ma anche i bambini che sono esenti da tutte le mizvot. Il motivo è che l’Akhel, questo il nome della mizvà in questione, simboleggia una riaffermazione del patto tra D-o ed Israele e perciò è necessaria anche la presenza delle donne e dei bambini che erano presenti sotto al monte Sinai e che hanno anche loro accettato il patto (le donne ancor prima degli uomini). Inoltre debbono intervenire anche gli stranieri, termine che indica i non ebrei che osservano le sette leggi di Noè valide per tutta l’umanità. Forse anche la loro presenza è collegabile al Sinai perché il Midrash dice che il decalogo fu promulgato in settanta lingue ed ascoltato da tutta l’umanità.

[2] "Ed ora scrivete per voi questa cantica ed insegnatela ai Figli d’Israele, ponetela nelle loro bocche, affinché questa cantica sia per Me da testimone contro i figli d’Israele".(Deuteronomio XXXI, 19)

Con questo verso il Signore comanda a Moshè ed a Jeoshua di scrivere ed insegnare ai Figli d’Israele la Cantica di Hazinu contenuta nella prossima Parashà. I Maestri però imparano da questo verso che ogni ebreo ha l’obbligo di scrivere un Sefer Torà (rotolo della Torà). La lettura che i Maestri danno del verso equipara la parola Torà alla parola Shirà (cantica). La Torà tutta infatti è un canto all’Onnipotenza Divina. Come si mette in pratica questa mizvà? Secondo il Rambam (Hilchot Sefer Torà 7,1) basta correggere una sola lettera danneggiata di un Sefer Torà preesistente. Questo perché anche una sola lettera danneggiata rende inutilizzabile il Sefer. Secondo altri (Rosh) persino il comprare libri di Torà e di commento alla Torà per apprendere il volere del Signore può considerarsi come conseguimento di tale mizvà. Da notare che questa mizvà è l’ultima delle 613 mizvot: l’ultima cosa che la Torà ci comanda è proprio di diffondere la Torà stessa. In questa impresa la responsabilità è di tutti: tutti sono tenuti a scrivere un Sefer perché tutti sono responsabili della trasmissione della Torà.

Il Re d’Israele è doppiamente vincolato da questa mizvà. Infatti non solo deve scriversi un Sefer come un ebreo qualunque, ma ne deve scrivere un secondo in ottemperanza ad una mizvà specifica per i Re d’Israele.

Le due mizvot contenute nella Parashà hanno un denominatore comune: il Sefer Torà. Già all’inizio di questa Parashà, nel verso che precede la mizvà dell’Akhel ci viene detto che "…Moshè scrisse questa Torà e la diede ai Sacerdoti figli di Levi che portano l’Arca del Patto del Signore, ed a tutti gli Anziani d’Israele" (Ivi v.9). Più avanti è detto: "E Moshè comandò i leviti, portatori dell’Arca del Patto del Signore dicendo: ‘Prendete questo Sefer Torà e ponetelo affianco all’Arca del Patto del Signore vostro D-o, e sarà lì per te da testimone" (Ivi vv. 25-26). Si parla qui del Sefer Torà scritto da Moshè che per primo ha messo in pratica il comandamento di scrivere un Sefer Torà compilando la copia "originale"; questo Sefer è chiamato dai Maestri "Sefer HaAzarà" (Sefer del Cortile del Tempio).

Abbiamo già detto che il Re deve scrivere due Sefarim. Potremmo quindi pensare che per eseguire la mizvà dell’Akhel il Re usi uno di questi due. Invece no. Rashì (TB Bava Batrà 14b) spiega:

"Sefer HaAzarà: il Sefer che scrisse Moshè su cui si legge nel Cortile del Tempio la Parashà del Re in occasione dell’Akhel e quella del Sommo Sacerdote nel giorno di Kippur."

Nel Talmud (TB Bava Batrà 14a) c’è un accesa discussione tra R. Meir e R. Jeudà circa l’esatta collocazione del Sefer di Moshè. Il primo ritiene che esso fosse posto all’interno dell’Arca affianco alle "Tavole della Legge", mentre il secondo pensa che su un lato dell’Arca ci fosse una sorta di cesta contenente il Sefer di Moshè. In entrambi i casi la Torà si trova all’interno del Santo dei Santi luogo che, come noto, è accessibile solo al Sommo Sacerdote nel giorno di Kippur affinché questi esegua "l’aspersione del sangue" e "l’offerta dell’incenso" così come richiesto dal cerimoniale della giornata.

Sorge subito un problema: è mai possibile che per queste due letture si utilizzi il Sefer di Moshè se questo è conservato nel Santo dei Santi? Rispondono i Tosafisti che, seguendo un principio talmudico esposto in TB Eruvin 105a, sostengono che si possa entrare persino nel Santo dei Santi per fare riparazioni, per esempio per riparare il Sefer di Moshè!

Noi ci chiediamo se è permesso entrare nel Santo dei Santi per prelevare dall’Arca (o dalla cesta presso l’Arca) la Torà scritta da Moshè e Tosafot ci rispondono che è permesso entrare nel Santo dei Santi e prelevare la Torà per ripararla!

Abbiamo già detto che Rambam ritiene che l’azione minima per eseguire la mizvà di scrivere un Sefer sia riparare una singola lettera su un Sefer già esistente.

Se mettiamo insieme questi due insegnamenti possiamo dire che è permesso entrare nel Santo dei Santi e prelevare la Torà per la mizvà dell’Akhel o per la lettura del Sommo Sacerdote nel giorno di Kippur, perché ogni ebreo è tenuto a scrivere un Sefer Torà.

Nella mizvà dell’Akhel l’atto principale è l’ascolto: "leggerai questa Torà dinanzi a tutto Israele nelle loro orecchie".

Nella mizvà della scrittura del Sefer invece l’atto principale è la lettura "Ed ora scrivete per voi questa cantica ed insegnatela ai Figli d’Israele, ponetela nelle loro bocche". Il precetto infatti era sia per Moshè che per Jeoshua ed i Maestri spiegano che mentre Moshè scriveva Jeoshua leggeva a voce alta.

Per eseguire la mizvà dell’Akhel c’è bisogno di gente che ascolti ma scrivendo un Sefer c’è bisogno di chi lo legga.

Il popolo di Israele è il popolo di coloro "che ascoltano", "Shemà Israel", "Ascolta oh Israele"; ma è anche il popolo di coloro che insegnano, che parlano.

Il popolo d’Israele è il popolo di coloro che fanno Teshuvà. Fare Teshuvà significa allo stesso tempo tornare e rispondere. Il ritorno verso D-o è simbolizzato dal ritorno al Santuario del Signore che sorge nel luogo in cui Adamo fu creato, è un ritorno anche alle proprie origini ed al proprio ruolo nella Creazione. La risposta è la risposta all’interrogativo Divino, è l’osservanza della Torà.

Ascoltare la Torà dai Maestri e leggerla alle nuove generazioni è la chiave della sopravvivenza di Israele, un operazione che richiede tanto la mizvà dell’Akhel che quella dello scrivere un Sefer Torà, tanto ascoltare che leggere.

Tornare nel Santo dei Santi, origine del primo uomo, per prendere la Torà di Moshè, e rispondere al popolo leggendo da questa Torà, in ebraico si dice con una parola sola: Teshuvà.

Il processo della Teshuvà, così importante nello Shabbat chiamato Shabbat Teshuvà, non può che riportarci verso il Santo dei Santi nel quale solo il Sommo Sacerdote può entrare, una volta l’anno, per espiare le colpe di Israele, ma nel quale qualsiasi ebreo può entrare, in qualsiasi momento, per riparare il Sefer dettato a Moshè nostro Maestro da Colui che nel Santo dei Santi sceglie di risiedere per amore di Israele.

Shabbat Shalom e Hatimà Tovà

 

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