Parashat Bemidbar

Molto spesso la Torà è paragonata alla luce. I Maestri sostengono infatti che c'è una allusione, nella Genesi, al rapporto Torà-luce. Nel primo giorno della Creazione la parola "luce" ricorre infatti cinque volte, come i libri della Torà stessa. Nella quarta occasione però la parola luce è accompagnata dalla parola "buio". Questo perché il quarto libro della Torà, il libro di Bemidbar che cominciamo questa settimana, è sì caratterizzato dalla luce come gli altri libri, ma è anche caratterizzato da continue cadute spirituali del popolo d'Israele.

La nostra Parashà si occupa soprattutto di un argomento: la disposizione del popolo. Essa inizia con il comandamento del censimento e prosegue poi con la descrizione dell’accampamento. Queste due operazioni sono caratteristiche di ogni società in via di formazione: ci si conta e si stabiliscono le zone di residenza. La differenza dell’approccio della Torà rispetto queste apparentemente normali esigenze umane e la stretta regolamentazione che le accompagna sanciscono e motivano in maniera definitiva la diversità di Israele dalle altre nazioni.

Il censimento non è un atto di valutazione della propria potenza. A noi è proibito contarci. D-o, padrone di Israele, conta la sua proprietà come un uomo conta il suo gregge. Sorge spontaneo chiedersi come mai D-o ordini un censimento, non sa forse il D-o onniscente quanti granelli di sabbia ci siano su questo pianeta? È forse un problema per il Creatore del mondo contare un popolo? Eppure D-o chiede a Moshè Suo servo di eseguire assieme ad Aron il censimento. Il censimento è quindi finalizzato non al conto stesso, che D-o già conosce, quanto all'insegnamento che Egli, benedetto sia, vuole darci. Innanzitutto dobbiamo sapere che D-o vuole il numero preciso perché ogni ebreo è a Lui caro. Nonostante ciò, vuole che siamo raggruppati in tribù, poiché ogni ebreo da solo non ha valore se egli si isola dalla sua comunità. Ogni Tribù ha un compito diverso ed ognuna porta il suo contributo al culto dell'Onnipotente. Così il censimento diventa una valutazione delle forze spirituali che abbiamo per servire D-o, un richiamo alle nostre origini tribali che ci riconducono direttamente ai Patriarchi ed al loro esempio.

Nella stessa ottica si colloca la disposizione del popolo attorno al Santuario. E qui sorge subito il contrasto stridente. I Maestri si affrettano a metterci al corrente che la disposizione delle Tribù attorno al Santuario è la stessa che i fondatori di ogni Tribù presero attorno al feretro di Jacov. Ossia, lo schema è lo stesso con una differenza: al posto del Santuario c'era il feretro di Jacov. Secondo un sistema classico nello studio della Torà, si viene così a formare un rapporto di identità tra il feretro di Jacov ed il Santuario. Due le discrepanze fondamentali. La prima è come si possa paragonare il Santuario, fonte della spiritualità, al corpo umano. Secondo, a maggior ragione, come si può paragonare il Santuario ad un corpo umano morto, ossia privato della Sua parte spirituale e ridotto alle sue caratteristiche materiali.

La seconda domanda crolla di fronte ad un sublime, per quanto strano principio: I Maestri, dopo morti, continuano a vivere non solo nel Mondo Futuro ma anche in questo mondo, ed i più grandi tra loro non sono affetti dall'impurità legata al corpo esanime.

Jacov è lo studioso di Torà per eccellenza e quindi continua a vivere tanto in questo mondo quanto nel Mondo Futuro non "portando" impurità rituale.

Risolto il secondo problema, quello del corpo di un morto, rimane da spiegare come un corpo umano in genere possa rappresentare il Santuario. Bisogna ricordare che esiste secondo la tradizione un Santuario celeste parallelo a quello terrestre. Forse il Santuario celeste è fatto di spirito, ma quello terrestre è fatto di materia. È qui il grande insegnamento. La sacralità che D-o pretende come dimora in questo mondo non si basa che su cose strettamente materiali che vengono spiritualizzate dalle nostre azioni attraverso la Torà.

Così il corpo di uno zaddik e studioso della Torà come Jacov può simbolizzare il Santuario. Perché è il giusto con le sue azioni che crea le condizioni per il Santuario come residenza Divina. D-o dimora nei giusti, e quindi i giusti sono il Santuario di D-o.

Ora possiamo capire che cosa intende il Midrash quando ci dice che il volto di Jacov è scolpito sul trono Divino. E che cosa è il trono Divino se non il Santuario? E per essere più precisi D-o è chiamato "Colui che siede sui Cherubini". Ossia il Trono di D-o è l'Arca, contenente la Torà. I giusti della statura di Jacov arrivano ad identificarsi con la Torà e ad essere un trono per la Presenza Divina. Ecco che la disposizione delle Tribù dei figli di Israele/Jacov attorno al Santuario è quella che hanno avuto attorno al feretro del padre, il feretro di un Maestro di Torà che anche nella morte vive poiché è fonte viva di insegnamento per i figli. Le Tribù si accampano attorno al Santuario per studiare Torà, così come attorno al feretro di Jacov.

Così, quando la Torà ci dice che ogni tribù aveva una bandiera, possiamo capire che cosa intendono i Maestri dicendo che il colore delle bandiere corrisponde al colore della pietra che rappresenta la Tribù sul pettorale che il Sommo Sacerdote porta sul cuore.

Questo è importante proprio nel libro di Bemidbar che riporta le cadute spirituali di Israele perché il Coen Gadol, nel fungere da avvocato difensore di Israele, ha sul cuore l'unica cosa che può difendere Israele: la sua ordinata disposizione attorno alla Torà ed al Santuario che la contiene. Attorno agli insegnamenti di un padre contenuti simbolicamente nel suo feretro che continua a vivere nonostante la morte.

Questa ordinata disposizione fatta di tante diversità, se schierata attorno alla Torà, ci porterà al Mondo Futuro nel quale impareremo da Jacov vivo e non dal suo feretro vivente, e celebreremo D-o attraverso il Santuario ricostruito e non attraverso il ricordo vivo di un Santuario distrutto. Per ora abbiamo solo il feretro vivente di Jacov e le pietre del Santuario distrutto. Attraverso questi avremo domani Jacov vivo ed il Santuario ricostruito.

Shabbat Shalom e Chag Sameach

Jonathan Pacifici

 

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