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“Corte sconta detta arcana” – ed. BUR 1991

Qui ho riportato:


Tutto vero o quasi.

 Che differenza c’è tra il romanzo storico e la fiaba? Si sa che Alessandro Manzoni, alla fine, non seppe trovare una risposta. E che il suo maestro, sir Walter Scott, fa ancora mostra di sé nelle piccole librerie dei nostri bambini, dove Robin Hood si confonde con Robin Goodfellow, il diavolo folletto di una tradizione che va da prima di Merlino fino a Karl Marx.
Qui, certo, nel mondo dichiaratamente fiabesco di Hugo Pratt, dichiarato tale dai più storici dei suoi personaggi, tutto è storico, reale, minuziosamente documentato. L’effetto di straniamento non si produrrebbe senza questa ossessione di realtà, senza questa caccia al dettaglio individuale che è la passione dei veri storici. Del resto, l’effetto di straniamento è nato forse in questo paesaggio tra Cina e Siberia, in questi anni in cui Sergej Tretjakov e Bertolt Brecht cominciavano a conoscere la Cina e la sua cultura come qualcosa di reale, più stupefacente delle fiabe di Messer Polo.
Dunque, dichiariamolo subito chiaramente. È tutto vero e ci vogliono ricerche che forse è peccato affrontare, per ritrovare in questo romanzo i dettagli e i personaggi che forse non sono esistiti (chi può dirci se non leggeremo domani, in qualche storia della rivoluzione mongola pubblicata a Ulan Bator, della feconda collaborazione tra i due dioscuri della rivoluzione, e il leggendario amico venuto da Occidente, Corto Maltese, marinaio come quelli del Potemkin?).
Roman Nikolaus Ungern Sternberg, preteso barone, mezzo tedesco e mezzo ungherese, ufficiale dell’armata dello zar e tentato erede di Gengiz Khan, è davvero esistito, naturalmente. E ha davvero dominato le vicende della zona di confine tra Siberia, Manciuria e Mongolia tra il 1919 e il 1920. Luogotenente dell’ataman cosacco Nikolai Scmenov, già comandante della guardia consolare di Urga e poi capo di una sorta di governo controrivoluzionario insediatosi a Cita nel 1918 sotto la protezione degli invasori giapponesi, Ungcrn è stato spesso descritto come un autentico folle. Semenov era mezzo mongolo buriato e una delle carte che giocò effettivamente nella guerra antibolscevica fu l’idea della risurrezione dell’impero di Tamerlano. Quanto a Ungern Sternberg, nessuno è in grado di dire come fu che si convincesse di essere la reincarnazione di Gengiz Khan, lui che avrebbe potuto benissimo essere un discendente dei cavalieri teutonici, quelli di Alexandcr Nevskij. Certo è che non ebbe successo nel convincere quelli che avrebbero dovuto essere i suoi sudditi, i nuovi cavalieri dell’Orda d’oro. Secondo il racconto di uno storico sovietico, l’armata che guidava nel 1920 era composta di 4000 russi, 1500-2000 tungusi e qualche decina di ufficiali giapponesi, mentre già l’anno dopo, quando entrò a Urga, il suo piccolo esercito era composto soprattutto dei giapponesi che lo appoggiavano. Però le sue fortune sembrarono davvero, per un attimo, promettere bene. I mongoli erano irritati del dominio cinese dei signori della guerra, in particolare del “piccolo Hsu”, il generale che aveva dominato Urga e imprigionato il Budda celeste. Due mesi dopo la presa di Urga, Ungern Sternberg marciava già oltre la frontiera sovietica con un grosso esercito di 11.000 uomini, fondamentalmente reclutati tra i mongoli. Fu un errore fatale perché i russi avevano appena finito di aiutare la fondazione del partito rivoluzionario del popolo mongolo, di un governo provvisorio mongolo e di un esercito rivoluzionario del popolo mongolo: guidati, appunto, dai nostri  Sukhebator e Choibalsan, il Lenin e lo Stalin della Mongolia, ancora oggi il più misterioso dei paesi e da allora il più fedele o l’unico vero alleato dell ‘Urss. I sovietici intervennero per la prima volta fuori della loro frontiera asiatica per respingere l’invasore e aiutare la rivoluzione mongola. Non ebbero difficoltà a sconfiggere il barone megalomane, definitivamente. E il 22 settembre 1921 lo processarono e le fucilarono a Novosibirsk.
Anche il resto è vero. Vera ovviamente, la storia dei cecoslovacchi che si impadronirono della Transiberiana e determinarono a lungo le sorti della guerra, in alleanza e in dissenso alternati con l’ammiraglio Kolciak e l’ataman Semenov. Vero, anche se oggi non ce lo ricordiamo più, che oltre ai giapponesi a Vladivostock sbarcarono i corpi di spedizione di tutte le principali potenze, inglesi, francesi, persino gli americani di Wilson, come qui si testimonia. Veri i nomi dei signori della guerra cinesi, Hsu Shi tseng e Chang Tso lin, alternatisi al controllo della Manciuria e anche loro amici e protetti dei giapponesi invasori. Il secondo, che non va confuso col (forse immaginario) generale Chang del racconto di Pratt (che lo nomina espressamente, forse per non farsi confondere con lui), finirà davvero su un treno, qualche anno più tardi. I giapponesi lo faranno saltare per aria, a Mukden, sperando di liberarsi di uno scomodo alleato concorrente nei controllo della Manciuria. Calcolo errato, visto che il figlio di Chang, il piccolo maresciallo Chang Hsuc liang, sarà un personaggio molto più scomodo. E qualche anno dopo arriverà a sequestrare Chang Kai sheck, forse d’accordo con i comunisti di Mao, per costringerlo a far la guerra sui serio al Sol Levante (questa storia si chiama l’incidente di Sian).
Queste, ad ogni modo, sono vicende più tarde. Più antico, invece, è il nome della setta segreta femminile con cui Corto è alleato in questa storia, le “Lanterne rosse”. Questo era il nome dell’organizzazione femminile dei boxers, i rivoluzionari che per la prima volta fecero parlare il mondo del pericolo giallo. Pratt immagina (o sa?) che le Lanterne rosse siano risorte alla vigilia della rivoluzione cinese, provvisorie alleate del dottor Suo Yat sen in nome del riscatto del loro paese. Dopo qualche anno diventeranno il distaccamento femminile rosso, un altro nome caro agli appassionati di fumetti.
Per concludere, un piccolo rimpianto. Peccato che la storia finisca qui. Fosse durata ancora pochi mesi, fino al settembre 1920, e forse Corto avrebbe accompagnato gli amici Sukhcbator e Choibalsan fino a Baku, non troppo lontano, al Congresso dei popoli dell’Oriente. L’avete appena visto, quel congresso, al cinema. Che bello sarebbe stato trovare anche Corto Maltese insieme a John Reed e a tutti gli altri.

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La lunga caccia

1967: Una Ballata del Mare Salato, prima apparizione di Corto maltese sul numero I del Sgt. Kirk. Lo conosciamo a memoria, cara immagine avventurosa diventata fatto di una vita che non potremo mai vivere, ma di cui il nostro eroe ci ha fornito al meno tanto generosamente quanto ritrosamente l’illusione: Corto Maltese comincia a uscire nei Mari del Sud. Anzi, dai Mari del Sud. Spunta dall’Oceano Pacifico, più o meno crocifisso, lasciato ad arrostire di sole e di sale da una ciurma ribelle. Lo pesca, è il caso di dirlo, un altro scorridore dei paraggi, il pirata Rasputin, ora suo avversario, ora suo complice ma alla fine sempre avversario e sempre complice, un mascalzone di contorno che è un dcuteragonista ideale. Solo dopo essere stato pescato dal suo deuteragonista ideale Rasputin, Corto Maltese ha l’opportunità di radersi, con un deciso rasoio a mano eliminante i peli superflui in una nevicata di bioccoli di sapone. Così appare finalmente, e saimo alla cinquantaseiesima vignetta di Una Ballata del Mare Salato, in quello che sarà a lungo il suo aspetto tradizionale, sin quasi ai nostri giorni, sino a quando Hugo Pratt, forse tediato dalla convivenza con un personaggio troppo familiare e famoso, come ogni creatore di eroi popolari che si rispetti, non deciderà di cambiargli un poco i connotati, tanto per rinfrescare un rapporto di troppi anni, e incorrerà, puntualmente, come ogni creatore di eroi popolari che si rispetti, nelle ire e proteste dei lettori di Linus maggiormente affezionati al passato.

1977: Corto Maltese rinasce a nuova vita in questo secondo lungo romanzo a fumetti, Corte Sconta detta Arcana. Certo, in mezzo tra la prima e la seconda storia ci sono stati tanti episodi dell’inimitabile carriera del celebre marinaio, racconti perfetti, straordinari, irresistibili, ma un racconto è un racconto, e un romanzo è un romanzo. Un racconto riuscito può essere migliore di un romanzo fallito, ma un romanzo riuscito ci dà di più di un racconto riuscito. Corte  Sconta detta Arcana ci dà di più, molto di più. Ci dà molto di più sul vero bersaglio di una nostra ormai lunga indagine che concerne forse Hugo Pratt maggiormente che Corto Maltese. Corte Sconta detta Arcana, per l’esattezza, ha cominciato a uscire nel 1974 sul numero 108 di Linus, ma ha impiegato ben tre anni a venire definita, disegnata, pubblicata, la vera data di uscita è, dunque, quella della prima edizione presso la Milano Libri di questa raccolta di puntate srotolatesi con eccessiva lentezza nel tempo. Comunque, ricordiamo bene l’impresione che ci ha suggerito la prima vignetta, la lunga striscia contenente il titolo, di quel Linus. La riflessione dell’autore, sotto il titolo, e la ripetizione, o forse l’invocazione, del nome e cognome del nostro eroe: “Ci sono a Venezia tre luoghi magici e nascosti. Uno in Calle dell’Amor degli Amici, un secondo vicino al Ponte delle Maravege, il terzo in Calle dei Marrani nei pressi di San Geremia in Ghetto Vecchio. Quando i veneziani sono stanchi delle autorità costituite, vanno in questi tre luoghi segreti e aprendo le porte che stanno nel fondo di quelle calli se ne vanno per sempre in posti bellissimi e in altre storie …” E la riflessione del protagonista a lato, ben rasato, con il suo berretto da marinaio in testa, ma già avvolto i una pelliccia che anticipa i rigori dell’avventura esotica che si approssima a interpretare: “Sto pensando che dovrei decidermi a partire. Ogni volta chc vengo a Venezia mi impigrisco ...” .E’ patente che qui a riflettere non può essere il celebre marinaio, a riflettere è di sicuro il Maestro di Malamocco, più che mai in pericolo di identificarsi, anima e corpo, nel suo schermo. Corte Sconta detta Arcana ci mette in quello stato d’animo del cacciatore che intravede la preda. Ammesso che si possa scambiare un biografo per un cacciatore. Un biografo non avrà mai l’opportunità finale di fermare l’oggetto della ricerca, e questa è la fortuna, l’inferiorità e insieme la superiorità del biografo sul cacciatore.

Da una Corte Sconta detta Arcana, Corto Maltese passerà a una lunga avventura esotica, eccetera. La storia si apre su un ricordo di un colloquio a Venezia tra Corto Maltese e la sua amica colorata e magica Bocca Dorata, dal ricordo, non si sa se realistico o immaginario, il ricordo di un sogno o il sogno di un ricordo, si passa al resoconto, non si sa se immaginario o realistico, il resoconto di un sogno o il sogno di un resoconto, un colloquio a Hong Kong tra Corto Maltese e il suo amico colorato e magico Vita Lunga. I colori della pelle di Bocca Dorata e di Vita Lunga sono diversi, ma Corto Maltese non è mai a disagio a contatto con uno straniero, lo tratta sempre come un compaesano. Ed è inutile qui obiettare che è 1a solita disinvoltura del fumetto, la disinvoltura che rese possibile dal 1934 in poi a Flash Gordon di dialogare a tu per tu in inglese o in nerbinese con l’imperatore Ming dcl pianeta Mongo. Non è la stessa cosa. Lo sa chi ha avuto la fortuna di vivere qualche ora accanto a Hugo Pratt nella hall dell’albergo Napoleon di Lucca durante qualche Salone del fumetto. Lo sa chi lo ha sentito parlare e visto gestire in tutte le lingue con una comprensione veneziana di ogni idioma e cultura. Veneziana, si afferma e conferma, si proclama e si riproclama, e non maltese. E’ l’ora di strappare a Malta questa gloria che Hugo Pratt le ha abusivamente conferito, è l’ora di ridare a Venezia quello che è di Venezia. E’ l’ora di ridisegnare (almeno con l’immaginazione) l’inizio di Una Ballata del Mare Salato, sostituendo, ai Mari del Sud, la Laguna Veneta. Perché Corto Maltese non nasce da quelle parti? Forse, ci stonerebbe? E ci stonerebbe da quelle parti Rasputin, il deuteragonista a ideale Rasputin, che dopo il colloquio con Vita Lunga sbuca dalle calli di Venezia (no, facciamo confusione, di Hong Kong) per ripescare un’ennesima volta Corto Maltese?

A questo punto, il biografo deve fermare il suo slancio sospetto. Tornare a rendere conto del proprio operato, rinunciare a imporre i propri umori ai dati. In un certo senso, una buona biografia è un caso fortunato. D’altra parte, è illusorio pensare che si tratti di casi. Una buona biografia non viene sollecitata dalle qualità proprie del soggetto, ma dall’opportunità che il biografo vi scorge, consapevolmente o no, di esprimere se stesso per loro tramite. Questo, sorry, non è di sicuro il nostro caso. Ci riconosciamo persino troppo inferiori al compito e, quindi, ci rifacciamo a testimonianze più attendibili. Cominciamo con quella di Alberto Ongaro, veneziano, amico e primo biografo di hugo Pratt, una testimonianza relativa alla nascita di Corto Maltese nei Mari del Sud: “Come molti della sua generazione Hugo Pratt cominciò ad avvertire il fascino dei mari del Sud dopo aver visto il film di Frank Lloyd L’Ammutinamento del Bounty.  Prima di allora il Pacifico meridionale era stato nella mente di Pratt e in quella della sua generazione un qualsiasi luogo lontano che possedeva sì il fascino dei luoghi lontani ma non aveva una collocazione precisa nella geografia avventurosa. E lo si può capire. Nel 1935, l’anno in cui L’Ammutinamento del Bounty  fu realizzato dalla Metro Goldwyn Mavcr, Hugo Pratt aveva otto anni, ne aveva nove quando il film arrivò in Italia e in quell’epoca, per quello che io ricordo, i Mari del Sud non avevano ancora fatto la loro comparsa nel cinema e nella letteratura allora a disposizione dei ragazzi italiani. Non importava che il film fosse stato girato migliaia di miglia lontano dall’isola polinesiana di Torfua davanti alla quale l’ammutinamento scoppiò e ancor più lontano dall’isola di Pitcairn dove gli ammutinati andarono a rifugiarsi: le onde dei Mari del Sud galopparono attraverso gli oceani e i mari, arrivarono fino in Italia, raggiunsero il cinema Malibran di Venezia dove il film fu presentato per la prima volta afferrando gli spettatori e trascinandoli, si af per dire, con il loro moto di risacca fino al Pacifico meridionale, inedito luogo di passioni di to e di avventura …”.

Continuiamo con la testimonianza di Piero Canotto, veneziano, amico e non ultimo davvero tra i biografi di Hugo Pratt, sempre in relazione alla venezianità di ritorno di Corto Maltese: “Una Venezia sedimentata dal lungo sonnecchiare nel cuore di Hugo Pratt. Quella Venezia che ripetutamente, in questi e in altri episodi, fa dire a Corto  Maltcse: - Dcvo decidermi a partire. Ogni volta che vengo a Venezia mi impigrisco - . Ma sono partenze che hanno il sapore del “ritorno”. In qualsiasi posto Hugo vada, infatti, e la sua vita di globe-trotter non lo fa stare mai fermo, si tratta appunto di un ritorno. E ovunque egli si trovi, Venezia rimane in cima ai suoi pensieri. Se ne è avuta l’intera straripante dimensione con Una Ballata del Mare Salato, il primo lungo introduttivo racconto al serial che il disegnatore avrebbe poi intestato a Corto Maltese. In quella poetica e romantica saga ambientata nelle isole dei Mari del Sud, luoghi visitati più volte da Hugo Pratt, ovviamente, egli attuò una simpatica libertà idiomatica facendo parlare gli indigeni in uno schietto dialetto veneziano: 1° stesso dialetto che accompagna Hugo nel suo conversare con gli amici di ogni lingua. Tra realtà e sogno. Secondo scansioni poetiche che al di là della ‘‘nostalgia’’ rivelano umori fecondamente umani. Leggetevi, a riprova di ciò, la pagina a colori dedicata a Corto Maltcse che, solitaria, Linus  pubblicò nel  numero di luglio dell’anno scorso (1981?). Hugo immerge Corto nei propri pensieri mentre marcia con Rasputin nel deserto, guardato da un soldato cinese a cavallo: ‘‘…Quando Venexia mia / sora i tetti de le tue case / una gloria de sol / xe sparpagnada / lassime dir se / el paragon te piase / che ti me par una bela tosa spensierada...’’. Come turbato dal suo silenzio Rasputin gli chiede: ‘‘A cosa stai pensando, Corto?’’. ‘‘A Eugenio Genero, un poeta vernacolo veneziano”, è la risposta. Eugenio Genero era il nonno di Hugo Pratt ...”.

Corto Maltese nella tavola citata è stato a un punto di tradirsi, di rispondere: “ A Eugenio Genero, mio nonno”. Per tradirsi o per dimostrare al suo creatore la massima fedeltà? Il momento dell’identificazione totale non è lontano. Ecco un’ulteriore testimonianza, e direttamente di Hugo Pratt, veneziano, amico e biografo insostituibile di Corto Maltese, una testimonianza a proposito di Corte Sconta detta Arcana raccolta direttamente da noi: “L’idea mi è venuta leggendo in un’enciclopedia militare inglese una notizia sulle guerre in Manciuria. Ho letto di un barone russo che si era convinto di essere una reincarnazione di Gengis khan, ti sa? E conquistò Urga che in mongolo me par che si dica Unda, una delle tre città sante dei monaci tibetani. Così ho pensato di far conoscere a Corto questo barone. E allora, come al solito, mi sono messo a studiare, a raccogliere informazioni. La ricerca del personaggio. Questo ufficiale. Nobile. Ho pensato a un aggancio avventuroso per fare che Corto Maltese lo conoscesse. Un aggancio avventuroso, disonesto, questa storia del treno d’oro, il treno con il tesoro degli Zar. E ci ho messo drento tutto il resto. Il corpo di spedizione americano. Ti sa che molti dei ferrovieri americani erano ebrei? E che gli atamani cosacchi depredavano sopratutto le popolazioni di frontiera ebree? Dunque gli americani andavano contro i cosacchi? Era il tempo dei protocolli di Sion...”. Domandare a Hugo Pratt qualche dato sull’idea e la costruzione di una sua storia equivale a buttarsi allo sbaraglio non solo in questo secolo, ma nei secoli dei secoli. E, nel riferire, si sa già in partenza di essere sconfitti, perché nessuno riesce a parlare nell’italiano leggero, cantante, venezianissimo e internazionalissimo di Hugo Pratt, un linguaggio e un accento che sono gli stessi dei suoi disegni che raccontano stragi e amori, con una grazia che li spoglia di ogni volgarità, ma anche di ogni ingenuità.

Questa seconda edizione di Corte Sconta detta Arcana della Milano Libri esce a cinque anni dalla prima, e, dunque, ci sentiamo tenuti ad aggiungere per i nuovi lettori che, nel frattempo, persino con quella saggia pigrizia che la maturità ha indotto in Hugo Pratt, le vicende di Corto Maltese sono andate avanti. Così nel 1979 la Milano Libri ha potuto presentare Sirat al Bunduqiyyah o come cavolo si chiama il terzo lungo romanzo a fumetti dedicato al celebre marinaio e già pubblicato insolitamente a puntate sci un settimanale di politica, attualità e cultura quale L’Europeo. Ebbene Sirat al Bunduqiyyah consente un qualche approfondimento della nostra indagine. In un’arguta prefazione Hugo Pratt si perde maggiormente nei labirinto veneziano: “ Avevo quattro o cinque anni, forse sei, quando mia nonna si faceva accompagnare da me al Ghetto Vecchio di Venezia. Andavamo a visitare una sua amica, la signora Bora Lesi, che abitava in una casa vechia ...La signora Levi mi dava un confetto, una tazza di cioccolata bollente e densa, e due biscotti senza sale, che non mi piacevano. Poi lei e mia nonna, immancabilmente, si sedevano e giocavano a carte, sorridendo e sussurrando frasi per me incomprensibili... Un po’ imbarazzato andavo alla finestra della cucina e guardavo giù in un campiello erboso con una vera da pozzo coperta di edera. Quel campiello ha un nome: Corte Sconta detta Arcana. Per entrarvi si dovevano aprire sette porte, ognuna delle quali aveva inciso il nome di un shed, ovvero di un demonio della casta di Shedim, generata da Adamo durante la sua separazione da Eva, dopo l’atto di “disubbidienza”. Ogni porta si apriva con una parola magica, che era poi il nome del demone stesso. Li ricordo ancora quei nomi terribili: Sam Ha, Mawet, Ashmodai, Shibbetta, Ruah, Kardeyakos, Na’Amah...”.

Huga Pratt si confessa più che mai veneziano, rimescolando una cultura con l’altra nell’avventura assoluta. Corto Maltese pare appena un suo nome d’arte. O di pudore? Il pudore del bambino in visita al Ghetto Vecchio. E’ impossibile non credergli di volta in volta. Ma credergli significa credere per contagio a nostra volta in altro, cercare di aumentare il rimescolio. Nel suo capolavoro di riflessioni sulla favola, The Uses of Enchantment, Bruno Bettelheim, il grande psicologo dell’infanzia, si rifà a una novella delle Mille e una notte, “Il pescatore e il Genio”, per meglio mettere in lucc i rapporti dell’uomo con la fantasia. “Il pescatore e il Genio” racconta la storia di un povero pescatore che per tre volte non pesca granché dal mare. La prima volta raccoglie una carcassa d’asino. La seconda volta una cesta piena di pietrisco e fango. La terza volta pietre, conchiglie e rifiuti. La quarta volta, ecco un vaso d’ottone. Appena lo apre, ne sbuffa fuori un’enorme nuvola che si materializza in forma di un Genio che minaccia di uccidere il pescatore, nonostante le sue suppliche. Il pescatore deve la salvezza a un’astuzia. Sfida il Genio, dicendogli che non riuscirà mai a credere che, grande com’è, sia potuto stare in un recipiente così piccolo. Incita il Genio a reintrodursi nel vaso per provare che, invece, può. Ovviamente, il pescatore è pronto a richiudere il vaso e ributtarlo in mare. Lo stesso tema è trattato in altre culture, in altre versioni, ma Bettelheim preferisce questa, e spiega il perché.

La storia de “Il pescatore e il Genio” è più ricca di sottintesi delle altre versioni dello stesso tema; contiene, infatti, particolari importanti che non si trovano nelle altre novelle. Si apprende, a esempio, per quale motivo il Genio è tanto crudele da volere uccidere  l’uomo che gli rende la libertà; si apprende anche  che i tre tentativi di pesca infruttuosi sono stati ricompensati dal quarto. Secondo la morale degli adulti, più l’imprigionamento è lungo più il prigioniero dovrebbe essere riconoscente verso il liberatore. Ma non è proprio quello che racconta il Genio. Nel corso del primo secolo d’imprigionamento nel vaso, giurò che, se qualcuno l’avesse liberato, lo avrebbe reso ricco; ma il secolo passò, e nessuno gli venne in aiuto. Durante il secondo secolo, prese l’impegno di donare l’accesso di tutti i tesori della terra a chiunque lo avesse messo in libertà; ma non fu maggiormente fortunato. Durante il terzo secolo, promise di soddisfare quotidianamente tre desideri del suo eventuale liberatore, di qualsiasi natura potessero essere; ma questo secolo passò come tutti gli altri, e lui continuò a restare nelle stesse condizioni. Infine, infuriato di essere prigioniero da tanto tempo, decise che, se fosse stato liberato in seguito da qualcuno, lo avrebbe ucciso senza pietà... “E’ esattamente “ assicura Bettelheim, “quello che prova il bambino che viene “abbandonato”. Dapprima si consola immaginando come sarà felice quando la madre tornerà; o, se è chiuso nella sua camera, come sarà contento quando avrà il permesso di uscirne, e come ne sarà grato alla madre. Ma, via via che il tempo passa, la collera dei bambino può solo crescere, e immagina le terribili rivalse che si concederà contro coloro che lo hanno rinchiuso e “abbandonato”. Il fatto che, in realtà, il bambino possa essere felice ai momento della liberazione non gli impedisce di pensare, più che al ringraziamento, alla punizione di coloro che gli hanno inflitto un dispiacere. E’ per questo che l’evoluzione del pensiero del Genio costituisce per il bambino una verità psicologica…”.

Sarà un caso, ma nel terzo lungo romanzo a fumetti dedicato da Hugo Pratt a Corto Maltese, a un certo punto da un recipiente sigillato con un Leone di San Marco da latteria lagunare, in cui si imbatte il nostro eroe a Venezia, sbuca fuori in un’enorme nuvola un Genio che rassomiglia come una goccia d’acqua a Rasputin. E Rasputin, il pirata, non è ugualmente presente negli altri due lunghi romanzi a fumetti dedicati da Hugo Pratt a Corto Maltese? Anche il celebre marinaio è del nostro parere, ed essendo già impegolato in una concitata avventura con massoni, fascisti, carabinieri, D’Annunzio, Baron Corvo e una certa Hipazia, protesta addirittura contro ulteriori complicazioni: “Rasputin?!? Ma cosa fai qui a Venezia?!? …”. E’ vero che il Genio risponde: “Io non mi chiamo Rasputin. Io sono Saud Khalula, colui che ritrovò lo Smeraldo Magico …”. Però non c’è da prestargli fede. Rasputin è abituato a ben altre menzogne e truffe, a ben altri imbrogli e raggiri, a ben altre mistificazioni e prevaricazioni.

A impressionarci maggiormente è una successiva dichiarazione del Rasputin Genio: “Credi che io abbia sempre voglia di disegnare?”, dice a un dato momento a Corto Maltese. E qui, dopo aver pensato di essere così vicini alla soluzione della nostra lunga indagine, alla definitiva identificazione tra protagonista e autore, siamo storditi dalla vertigine della perplessità. Per caso, non viene proposta una nuova identificazione tra autore e deuteragonista per eccellenza? A che gioco giochiamo? Non è Hugo Pratt a non aver più tanta voglia di disegnare? O almeno di disegnare tanto quanto vorremmo noi?

E’ proprio vero che per un biografo appassionato la caccia non finisce mai, non finirà mai. Le piste della preda si biforcano, si moltiplicano. In questo 1982 su  L’Eternauta, (A SUIVRE) e Le Matin  è apparsa la prima puntata di un quarto lungo romanzo a fumetti del ciclo di Corto Maltese. Si intitola, infatti, La giovinezza di Corto Maltese. Corto Maltese, però, non si vede  affatto all’inizio, si vede, invece, uno scatenato soldato dei reparti siberiani che non vuole considerare finita la guerra con i giapponesi e si ribella alla pace, uccidendo a destra e a manca. Questo soldataccio rassomiglia piuttosto a Rasputin. Dite che sarà una nostra fissazione? Eppure, basta disegnargli una barbaccia nera sulla grinta spigolosa, e la rassomiglianza grida vendetta. D’improvviso Hugo Pratt pare aver riassaporato la voglia di disegnare. Il soldataccio omicida per guerra privata ammette di chiamarsi Rasputin. Ma un corrispondente dal fronte americano di nome Jack London (ma ritratto con quale rassomiglianza con Hugo Pratt giovane) introduce Corto Maltese. Un Corto Maltese in grado, a diciassette anni, di coinvolgere tutti a partecipare a un’ulteriore avventura. Il mistero si infittisce.

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Strisce

Bocca Dorata, Corto ... 

... Venezia e favole ...

34 dicembre ...

... e il 27 è Natale

... Rasputin ... incontro a Hong kong
 

Shangai Lil

il generale Chang

la Duchessa Marina Seminova ...

... il Barone Von Ungern Sternberg

...  e il treno dell'oro

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Ultimo aggiornamento: maggio 2000
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