Ex libris di Walter Sobotka.
 

 

 


SPETTATORI E SPETTACOLO

 

 

 

Senza dubbio il teatro di Nohant, dipinto, allestito, scolpito, illuminato, composto e recitato dal solo Maurice, offre uno spettacolo di una totalità e di un’omogeneità che si realizzerebbe difficilmente altrove e che non ha ancora il suo corrispettivo al mondo. Detto ciò, la costruzione e l’organizzazione di questa sorta di spettacoli non è comunque la meno realizzabile delle fantasie d’artista, poiché ci si può dedicare in molti. A noi interessava testimoniare il fatto verificabile che abbiamo visto prodursi: cioè che un artista da solo può dare uno spettacolo completo, perfino quello di una féerie grand spectacle, ancora più maestoso di quello dei nostri grandi teatri, perché noi possiamo introdurvi la folla nella sua giusta prospettiva grazie ai personaggi di dimensioni proporzionate[1]. Limitandosi alla commedia e alle farse, si può ancora, senza troppa difficoltà, offrire delle belle serate. I burattini di M. Lemercier de Neville hanno, m’han detto, molta finezza e molto ingegno, e non spetterebbe che a lui solo di dare più sviluppo ai mezzi materiali che abbiamo appena descritto e messo alla portata di ogni artista o amatore dotato come lui di talento e d’invenzione.

      La musica può contribuire attivamente al successo degli spettacoli di marionette. Si ricorda che Haydn scrisse e fece eseguire più operette per le marionette del principe Esterhazy. Quando si ha un’orchestra o anche solo uno strumento a proprio servizio, la féerie o il dramma volano più in alto. Noi abbiamo spesso deliziose improvvisazioni o reminiscenze perfettamente adattate da un seducente violino dei nostri amici. Quando non ce l’abbiamo, una scatola di Ginevra, un organetto di Barberia, un flauto armonico fanno il necessario negli spettacoli buffoneschi. L’ouverture di zufoli con cembali e tamburi è tanto più spassoso e propedeutico al riso quanto più ciascuno suona un’aria differente in un guazzabuglio musicale. Certi spettacoli, pantomime o balletti, non possono fare a meno della musica. Maurice ha fabbricato una dozzina di personaggi classici che noi chiamiamo la compagnia italiana (Arlecchino, Pierrot, Cassandra, Scapino, Pulcinella, Colombina, ecc.) e che funzionano grazie a un sistema di sua invenzione. Sono marionette con gambe e corpo completi che camminano, muovono le braccia, si siedono, danzano e assumono qualsivoglia graziosa o comica postura senza fili né molle. Agiscono come i comuni Guignol per mezzo della mano dell’oprante nascosta sotto i loro vestiti. Ma il braccio, che sarebbe visibile dal pubblico, è mascherato da leggere balaustre disposte su differenti piani e raffiguranti le terrazze di un giardino all’italiana. I personaggi si muovono lungo queste balaustre, le scavalcano, vi montano a cavallo, vi si sdraiano sopra o le sfiorano danzando, di modo che questo esile diaframma si trova fra la parte inferiore dei loro corpi e il braccio che le governa. È uno spettacolo molto bello, applicabile solo a un genere speciale, il cui spirito è soprattutto nelle gambe e nelle pose degli attori. Si può servirsene negli intermezzi come si farebbe con saltimbanchi ed equilibristi a molla mossi dal basso.

      Ma il vero spirito dei burattini risiede, come per noi uomini, nella testa e i loro sistemi di supporto permettono – a quelli tradizionali che non hanno gambe – di mostrarsi per due terzi e di sfoggiare il lusso dei loro costumi. Ciò che resta nascosto della loro statura disturba così poco l’occhio dello spettatore, che egli crede di vederli interi. Alcune persone poi non s’accorgono nemmeno ch’essi non hanno né piedi né gambe e altre persone addirittura si alzano per vedere il suolo dove si suppone ch’essi camminino.

      Ed ora che abbiamo esposto minuziosamente come questo ingegnoso e divertente intrattenimento sia realizzabile, osserviamo un po’ qual è la morale, la filosofia se si vuole, di quest’arte.

      Noi viviamo in un’epoca grigia e triste. All’indomani delle nostre grandi disgrazie pubbliche, ci agitiamo nella lotta dei partiti, troppo preoccupati dei nostri interessi privati e delle nostre teorie personali. Passiamo tre quarti della nostra vita a cercar di sapere come vivremo il giorno appresso, sotto quale regime e in quali condizioni. La politica ci rende veramente tediosi, soprattutto in provincia, dove più si parla quanto più la sfera d’azione è ridotta. Parole al vento, previsioni inutili, timori chimerici, speranze vane, teorie incomplete o false, problemi insolubili e sempre mal posti, sciocca presunzione della maggior parte di coloro che parlano, funesta credulità della più parte di coloro che ascoltano, tempo sprecato senza esito: ecco la vita intellettuale di questi tempi torbidi da cui la saggezza dell’avvenire si libererà comunque, speriamo! E tanto più lo speriamo oggi! Ma quanto cammineremmo più velocemente verso la soluzione se ci occupassimo dieci volte di meno di definirla ciascuno dal proprio punto di vista! Senza dubbio, a suo tempo e luogo, la discussione è interessante e proficua. Si capisce un certo dispendio di tempo per informarsi e commentare gli avvenimenti che succedono, per comprenderli quanto possibile. Ma come sarebbe bene d’essere sobri di discussione e avari di dispute! Quante affermazioni false e quante predizioni assurde, quanto vano orgoglio e quante oziose futilità si risparmierebbero! Quante buone letture e sagge riflessioni si porterebbero a profitto della propria causa! In questo mondo, niente si sistemerà più se non attraverso la ragione, l’equità, la pazienza, il sapere, lo zelo e la modestia. Si dice che una volta lo spirito francese era leggiadro e ci si domanda perché la conversazione sia diventata da noi un pugilato. Lo spirito d’un tempo era senza dubbio troppo leggero, poiché l’arte del conversatore era di sfiorare senza approfondire, ma lo spirito d’oggigiorno è caduto nell’eccesso contrario. È pesante come il passo dell’elefante e minaccioso come quello del cavallo da battaglia. Tutto quello che prima si evitava per mantenere una buona armonia, ora ce lo si butta in faccia con un’asprezza volgare. È che siamo della razza degli artisti e quando il nostro cervello non è occupato dalla ricerca di un ideale, bello o grazioso, allegro o drammatico, s’arrabatta nel cupo, nell’incongruo, nello sciocco e nel laido. Ecco perché predico il piacere fra le genti della mia razza. Sì, il piacere: tutti gli uomini vi hanno diritto e tutti gli uomini ne hanno bisogno. Il piacere onesto, disinteressato nel senso che deve essere una comunione d’intelligenze, il piacere vero col suo senso di ingenuità e simpatia, il suo modesto insegnamento nascosto dietro il riso o la fantasia. Tutte le altre occupazioni utili dello spirito sono più serie e si chiamano studio, ricerca, lavoro, produzione. I grandi divertimenti pubblici sono emozionanti e faticosi. Il divertimento propriamente detto è per ciascuno di noi un bel piccolo ideale da cercare e da realizzare in un angolo del focolare, al posto del gioco in cui ci si intristisce e delle chiacchiere in cui si litiga, quando non si dice male di tutti gli amici. Troviamo altro per i nostri bambini, qualsiasi cosa, delle commedie, dei racconti, tutto ciò che volete, ma qualche cosa che ci distragga dalle nostre passioni, dai nostri interessi materiali, dai nostri rancori, da questi tristi odi di famiglia che si chiamano questioni politiche, religiose o filosofiche, che non dovrebbero mai essere affrontate con leggerezza, né trattate senza sufficiente competenza.

      Finiremo quest’articolo con un’estesa citazione[2], vale a dire una delle commediole del teatro di burattini di Nohant, che servirà da specimen del genere. L’autore ha messo in scena un’allucinazione contemporaneamente graziosa e comica che proviene naturalmente da una situazione reale. Perfino senza gli ornamenti dell’improvvisazione e il prestigio della scena, questa corta fantasia ci sembra affascinante, e adatta a darci un assaggio di una maniera di scrittura condensata che ha senza dubbio il suo interesse e il suo merito letterario.

 

 

 

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[1] Ovviamente, all’Opéra e nei teatri di féerie, ci si preoccupa della profondità di campo, poiché si collocano come figuranti al secondo e terzo piano delle grandi scenografie le donne e i bambini. È comunque raro  che l’effetto di tali quadri sia felice. I personaggi vivi, per quanto piccoli li si scelga, son sempre troppo grandi per la distanza a cui si è obbligati a metterli. Essi schiacciano la scenografia e distruggono l’idea di profondità e di trasparenza (nota al testo della stessa Gorge Sand).

[2] Si tratta di Jouets et mystères, commedia per burattini poi raccolta in M. Sand, Le théâtre des marionettes, Paris, Lévy, 1890.