Intervento al convegno di Villa Serra (GENOVA)
12 ottobre 2002
Presentazione del libro:
La cultura
della reciprocità. I sistemi di scambio locale non monetari
Arianna Editrice,
Casalecchio (BO) 2002
***
Questo
libro è il frutto di una seconda fase della mia ricerca nell'ambito dei sistemi
di scambio locale e di reciprocità, ovvero delle
Banche del tempo.
Il
libro pubblicato l'anno passato si intitolava La Banca del tempo. Un'azione
di reciprocità e di solidarietà, edito da
Bollati Boringhieri, Torino 2001.
Nella
nostra vita, qualsiasi cosa noi decidiamo di fare, sia se operiamo nel settore
pubblico, sia in quello privato o in famiglia, ma anche nel tempo libero o in
quello che dedichiamo agli altri, seguiamo idealmente e psicologicamente un
percorso organizzativo delle nostre azioni molto semplice, che è possibile
individuare in tre fasi: come, quando,
perché.
Rispondiamo istintivamente e involontariamente a tre domande: Come facciamo qualcosa? Quando Facciamo
qualcosa? Perché facciamo qualcosa? Anche io, nel
momento in cui ho iniziato la mia riflessione sui sistemi di scambio e sulle
BdT, ho cercato o sto cercando di rispondere proponendo questo trittico
nell'ambito della ricerca e conseguentemente sulle azioni socio-economiche
legate a queste particolari forme di associazione.
"Come"
si fa una BdT è la cosa più necessaria da sapere.
Questo è stato il contenuto del libro che ho
pubblicato l'anno passato. In Italia questo tema è stato affrontato ampiamente
e a più riprese negli anni passati, anche in vari
livelli. I contenuti delle BdT sono stati molto pubblicizzati, soprattutto dai
mass media. Oggi sembrano un po' messi da parte, accantonati, vengono fuori in
qualche occasione; forse sarebbe il caso di farli riemergere, con nuove idee,
come per esempio quella di Federico Mascagni, che cerca di utilizzare e di
sfruttare in pieno il WEB e le tecnologie informatiche.
Il
"Perché" lo tratterò nel mio prossimo libro, che verrà
pubblicato nei primi mesi del 2003, che porterà il titolo Il tempo… non è denaro! (BFS, Pisa).
Ma veniamo alla seconda fase della mia ricerca, che è
appunto il "Quando".
Quando noi sentiamo dentro di noi la necessità di fare
qualcosa? Infatti, se noi non sentiamo il bisogno di
fare qualcosa, con piacere e con costanza, la finalità di quel qualcosa che noi
vogliamo o sappiamo fare rischia di non essere reale, non riusciremo a
perpetuarla nel tempo e non sapremo renderla incisiva come azione sociale.
E'
importante, perciò, avere una grande capacità
interiore nell'intuire quando è il momento
di fare una BdT, così come per ogni altra nostra azione. Questo è lo scopo di
questo libro, quello che si prefigge, che oggi ho il piacere di presentarvi,
ringraziando in modo particolare la casa editrice Arianna per averlo voluto
pubblicare, e che porta il titolo La
cultura della reciprocità.
Cominciamo
dal termine cultura: io intendo un senso e un significato molto ampio di questa
parola. Qualcuno, nei precedenti interventi istituzionali, ha parlato di
tornare ad re-immaginare il vicinato, o qualcun altro
ha invitato ad acquisire doti di solidarietà. Altri hanno rappresentato la
necessità di intervenire a livello normativo, come si è fatto e come si
continuerà a fare, per creare i presupposti di un'azione solidale tra i
cittadini.
Ma io vedo il termine cultura in maniera assai differente e
complessa. Essa fa parte di tutto ciò che noi immaginiamo individualmente e
collettivamente, del nostro modo di essere e delle
nostre capacità, come pure del modo di essere degli altri e delle loro
capacità. Avere nel proprio sé una cultura della reciprocità significa avere
riconoscenza e riconoscimento per sé e, soprattutto, per gli altri.
Riconoscendo l'altro, e
l'altro riconoscendo me, rendo possibile lo scambio,
la reciprocità: quindi la solidarietà.
La solidarietà ha delle
accezioni di significato molto diversificate, a
seconda di chi la usa o in quale contesto si usa. In ambito giuridico, per
esempio, significa restituire: si è solidali con l'altro, quando si è estinto
un debito che si era precedentemente contratto. Si
deve restituire in solido il debito,
non a parole!
Ma noi, a livello sociale o
economico, quale debito abbiamo con gli altri?
Ciascuno di noi, osservo in
un saggio pubblicato recentemente, nasce con un debito e con un credito nei
confronti degli altri. Non è tutto merito o demerito nostro quello che siamo. Saremmo potuti nascere in modo differente dalla
nostra attuale condizione sociale ed economica. Se noi
ci troviamo individualmente, nel nostro percorso esistenziale, in una
determinata posizione sociale (buona, cattiva, ricca, povera) significa che non
è tutto merito nostro, come pure non è nostro demerito esser nati in una
situazione di precarietà. Quindi, noi contraiamo con l'altro un credito e un
debito nel momento, nell'istante in cui veniamo al
mondo.
All'inizio del libro
riprendo una storiella che viene narrata in varie
occasioni. Viene raccontato ad un gruppo di ragazzi
che si preparano per la prima comunione che nell'inferno e nel paradiso in
sostanza si sta tutti insieme. Non esiste un piano inferiore per i cattivi e un
piano superiore per i buoni. Si dice che tutte le anime sono sedute alla stessa
tavola, ben imbandita di cibi e vivande, e tutti hanno la stessa possibilità di
nutrirsi, seguendo però una condizione psicofisica molto particolare. Le anime
hanno legata al braccio una lunga forchetta, di circa
due metri, con la quale e soltanto con essa possono infilzare le vivande per
portarsele alla bocca. Chi osserva la scena, però, vede che appartengono ai
dannati dell'inferno le anime magre e smunte, mentre coloro
che sono i beati del paradiso godono "ottima salute", pur
essendo defunti come gli altri. Si capisce bene che i beati riescono a
nutrirsi, i dannati no. Viene fatta così ai ragazzi
una domanda: "Perché?". I ragazzi rimangono
smarriti, non sanno darsi una risposta. Alla fine, il missionario che
racconta la storiella, dice loro: "I beati, cioè
coloro che sono salvi in paradiso, non portano inutilmente la forchetta alla
propria bocca, ma la dirigono verso quella del proprio vicino; tutto il
contrario fanno le anime dell'inferno, che cercano egoisticamente senza
riuscirci di orientare la punta della forchetta verso la propria bocca.
Pertanto i primi riescono 'vicendevolmente' a nutrirsi e sono "in buona
salute". I dannati dell'inferno, invece, vittime del loro egoismo, sono
condannati a "deperire" e a morire di fame in eterno".
In termini sociologici,
possiamo dire che si tratta del famoso dilemma dell'azione collettiva. Cosa vuol dire? Nella prima parte del libro cerco di
approfondire questo argomento. Tutte le società hanno
avuto sempre difficoltà a convivere, e sono cresciute quelle società in cui gli
individui sono riusciti sempre a collaborare tra loro. Vincere il dilemma
dell'azione collettiva significa porre a fondamento della propria vita la
reciprocità e la collaborazione.
Vorrei essere più chiaro.
Questo che dico non vuol essere un invito ad essere più buoni.
Non si educa gli altri ad essere più buoni. Magari lo fosse. Le migliaia di anni della
nostra storia, i fatti passati e recenti ce lo indicano chiaramente. Non è così
semplice. E' solo quando stabiliamo un patto che riusciamo
a costruire la nostra salvezza sociale. Dice infatti
Marcel Mauss nel suo famoso Saggio sul
dono che gli individui possono scegliere di battersi o di collaborare. Solo che se si battono vanno incontro a molte difficoltà nel vivere
sociale, mentre se collaborano le chances di sopravvivenza aumentano.
Abbiamo ancora oggi bisogno
di ricordare questo principio, noi che parliamo di Banche del tempo e di
sistemi di scambio locale non monetario, di dono libero, non unidirezionale
come quello caritatevole ma di dono reciproco, di scambio, di rapporto come
relazione ed interazione con l'altro, abbiamo ancora bisogno di illuderci
(perché anche l'illusione è una gran bella emozione
che può rappresentarci una chance di sopravvivenza) che la reciprocità possa
essere riproposta nel nostro mondo in termini politici, economici, culturali.
Ecco perché, dunque, la necessità di acquisire una "cultura della
reciprocità".
Oggi il dilemma in questa
situazione socioeconomica critica è grande e non
bisogna sottovalutarlo. Abbiamo grandi difficoltà a livello sociale ed
economico, anche se ci viene detto continuamente di
stare tranquilli e di aumentare i nostri consumi, di comprare ciò che offre il
mercato. Il serpente si morde la coda, autodivorandosi. La crisi argentina del
2001 è un importante esempio su cui occorre riflettere. Anche la nostra
società, all'apparenza opulenta, non mi sembra goda di
ottime previsioni.
Concludo questa breve presentazione
del libro dicendo che nella parte centrale tratto un'esperienza effettivamente
vissuta nel mio piccolo comune del Salento, Martano, non perché vuole essere
d'esempio, ma solo perché è importante che ciascuno costruisca e narri la
propria storia. Ciascuno di noi ha il diritto-dovere di fare e di dire la
propria storia, con gli errori e con le cose positive.
Nell'ultima parte, invece,
il libro si arricchisce di documenti sui principi che animano i sistemi di
scambio locale a livello internazionale, tratti da Internet e da me tradotti
o rielaborati. Forse è la parte più
scientifica, più considerevole.
Chiudo con le parole che ho avuto modo di dire durante un'intervista rilasciata ad un
giornale del sud-Italia La gazzetta del
mezzogiorno, in occcasione della pubblicazione del libro del 2001. “La
Banca del tempo è come un impermeabile”, che se tu lo indossi con una bella
giornata e con il sole qualcuno che ti guarda creperà dalle risate e penserà: 'Guarda un po' quello stupido che va in giro con addosso un
impermeabile con questo bel sole!'. Se invece quando
comincia a piovere improvvisamente tu cacci fuori l'impermeabile dalla borsetta
o dal marsupio, puoi passare per una persona saggia ed intelligente. La Banca
del tempo, il sistema di reciprocità e di scambio non monetario, dove non ci
sono ricchezze o denari, ma circolano solo capacità, saper fare e saper essere,
è un modo saggio per affrontare le difficoltà quotidiane mediante la
collaborazione e la reciprocità, e può essere l'impermeabile
che se "piove" può essere utile.
Grazie.
Domanda: Scetticismo, fiducia, target di qualità ecc.
Come si coniuga questo in una BdT?
Le sue sono delle domande
teoriche e di tipo generale. Allo stato pratico non esiste una risposta
univoca. Ogni realtà, in Italia e all'estero, dalla Sicilia a Pordenone, nel
Nord e nel Sud dell'Europa, dà a queste problematiche risposte diverse. Io,
pertanto, non potrò che dare delle risposte altrettanto teoriche e generali, e
che possono anche capitare allo stato pratico, quando si vivono queste
esperienze. Allora, innanzitutto noi abbiamo nel nostro
immaginario un chiodo fisso, il sistema economico, siamo colonizzati
dall'idea di mercato, dell'economia di mercato. Quando noi compriamo qualcosa abbiamo sempre la necessità che da parte del venditore ci
venga dato qualcosa in cambio della nostra moneta che risponda a degli standard
di qualità. Ma quante fregature non prendiamo
giornalmente quando compriamo le nostre cose? E' stata fatta una teorizzazione
dell'informazione asimmetrica (il premio Nobel per l'economia è stato dato ad
alcuni economisti, tra cui Stiglitz, che hanno trattato questa situazione
idealtipica dell'economia di mercato). Quando si
compra, per esempio, un'auto usata, che è un bene di largo consumo, si possono
prendere delle fregature, perché mai il rivenditore ci rivelerà i difetti
nascosti del motore o del telaio.
Nel nostro caso, tra le
Banche del tempo e nei sistemi di scambio locale non monetari basati sulla
reciprocità, non siamo nella sfera dell'economia di mercato, ci troviamo ad
intendere non ad un "contratto" (che è regolato anche giuridicamente
da un insieme complesso di norme che vigilano su chi trasgredisce) ma siamo
nell'ambito del "patto". Non si vedrà mai due o più componenti di una BdT scambiare con qualcuno se già non
hanno raggiunto con lo stesso un grado di fiducia vicendevole più che
sufficiente. E' proprio il contrario di ciò che avviene nell'economia di
mercato, dove il rapporto di compravendita è spersonalizzato.
Il legame sociale è alla
base di questi sistemi, come le pratiche del dono descritte da Mauss e
Malinowsky. Il legame sociale è un concetto che molta politica e molta
sociologia cercano di far riemergere nelle nostre società individualizzate. Il
legame sociale che ha legato per millenni, nel bene e nel male, le antiche
culture si è gradualmente andato affievolendo perché il progetto della modernizzazione ha imposto l'idea che la libertà individuale
è pienamente raggiungibile mediante il possesso, l'accumulo, la proprietà. Proprio
per questo il processo sociale si è individualizzato. Ci si è ritrovati chiusi
tra le quattro pareti della propria casa e comunichiamo ormai con l'esterno
mediante i mass-media e il telefono, oggi anche con il computer e Internet,
spesso seduti comodamente alla poltrona. Abbiamo costruito, come ha detto
qualcuno, "la società dello schermo e della poltrona". Quando
qualcuno bussa alla nostra porta di casa c'è sempre in
noi l'inquietudine che possa rappresentare un problema, o che possa
infastidirci, che possa turbare la nostra pivacy.
E' per questa triste
situazione che una certa forma di circuito associativo, di legame artificiale
(non bisogna mai dimenticare che all'inizio una BdT rappresenta una forma di
socialità artificiale) può generare del legame sociale, allo stesso modo di
come l'economia di mercato può generare ricchezza. Ma
non sempre ciò avviene, in entrambi i casi. Perciò,
stiamo con i piedi per terra. Non tutte le banche del tempo riescono a
decollare, come non tutte le banche "vere" riescono a soddisfare i
loro clienti. Però c'è una bella differenza. Dice, infatti Michel Linton, il fondatore del sistema LETS in
Canada, che se la BdT fallisce non ci perde nessuno, mentre se fallisce il
sistema bancario sono guai seri per tutti i risparmiatori.
Chi ha speso il suo tempo in
una BdT sicuramente ha anche incrementato le sue
capacità, non ha perso il senso pratico e continuativo della sua abilità.
Immaginiamo, a titolo di esempio, un cassaintegrato a
cui viene interdetta l'attività lavorativa dalla sua azienda, quale beneficio
psicologico, professionale e persino economico (non monetario) riuscirebbe a
trarre nell'effettuare il suo mestiere o altre abilità in un sistema di scambio
locale non monetario, ricevendo e spendendo ore e creando intorno a sé e alla
sua famiglia una "fortuna" relazionale, più che posizionale. Ma la cosa principale è che potrebbe salvaguardare nella
continuità la propria professionalità e potrebbe superare con più ottimismo le
difficoltà contingenti ed economiche del momento. Visto come tira l'occupazione
ai nostri tempi è uno scenario economico del genere
che abbiamo davanti, non creiamoci false illusioni. Abbiamo insegnanti che non
hanno la possibilità di insegnare, abbiamo molti pensionati che sono espulsi
dalle attività lavorative, abbiamo aziende che licenziano in massa, abbiamo
giovani che non riescono a trovare, e che non troveranno forse mai, un lavoro
dignitoso.
Dobbiamo inventarci qualcosa
di diverso. Perché, allora, non immaginare un circuito
non monetario dove poter inserire e far crescere le proprie abilità, le proprie
capacità? Perché lasciar disperdere nella noia e
nell'abbandono tanta ricchezza creativa? Perché
rinunciare al legame sociale. Come ha affermato P. Viveret, poniamoci il
problema di quali sono oggi le nuove forme di ricchezza, in
quanto il PIL proveniente dalla contabilità di una nazione non
rappresenta più l'unica ricchezza di un popolo, ma c'è anche il PIL fatto di
buone relazioni, che arricchisce tutti, soprattutto chi ci impiega o chi ci
rimette il proprio tempo.