Il “valore” del tempo

di Paolo Coluccia

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Il tempo è un moltiplicatore di contraddizioni,

ma riesce nel contempo anche a mitigare,

a sciogliere le contraddizioni…

(Niklas Luhmann)

 

 

   Non siamo padroni del tempo, che ci sfugge e non riusciamo a controllare, che non passa mai quando ci annoiamo, che non riusciamo a fermare per nemmeno per un attimo quando stiamo facendo qualcosa d’importante. “Il tempo che è possibile avere; il tempo che può scarseggiare, il tempo della fretta e della noia”. Il tempo rievoca il presente, l’oggi, il momento, l’attimo… ma anche la tristezza, la sfiducia, la mancanza di risposte del passato. E la speranza, l’impegno, il possibile del futuro: “Accanto al mondo concreto della cosiddetta realtà sociale, vi è un mondo invisibile e quindi solo immaginabile, ma non di meno importantissimo, per la comprensione del precedente: il mondo del possibile”.  Il proprio sé, legato al passato e al futuro, l’infinitamente indietro e l’imperscrutabile avanti, nello spazio, finito nel luogo, infinito nei contorni, negli orizzonti, i luoghi e i tempi della storia, i fatti, le azioni, le distruzioni, le passioni. “L’orizzonte non è un confine, non è possibile valicarlo. Prima o poi dobbiamo tornare indietro, nella direzione indicata dall’orizzonte opposto… ‘tornare indietro’ significa, del resto, avvicinamento ad un orizzonte, ma come allontanamento”.   

E’ chiaro che alla costituzione materiale di senso concorrono sempre e necessariamente due orizzonti. “Anche il tempo si distende fra orizzonti temporali particolari… il passato e il futuro. Gli orizzonti temporali si spostano via via che il tempo avanza. Quell’intervallo temporale tra passato e futuro in cui si realizza l’irreversibilità dei mutamenti, viene vissuto come presente. Il presente dura quanto dura l’irreversibilità”.

   Concetti generali, il tempo e lo spazio, che formano nella mente di filosofi e poeti categorie, teorie, visioni, fantasie del mondo e della vita: “In un presente infinito che sotto i piedi crolla di continuo nel passato, che poggia su argilla bagnata, viscida, appiccicosa e molle, proteso in un futuro di fango senza forma: passato di terra sbriciolata, presente fatto di nulla, di sorprese tiranno futuro informe”.  Più di un saggio si è soffermato a osservare e a riflettere sul tempo. Hanno parlato intere generazioni di pensatori del suo aspetto effimero, della sua concretezza oppure della sua illusione. E poi ancora il nulla, l’incertezza, la delusione, le ombre, le paure: “Tempo che vola, tempo che non esiste, che non scorre, tempo che non ha tempo”.

   L’avventura comincia nella notte dei tempi, al nascere delle prime forme di organizzazione sociale, dalla grande rivoluzione spaziale-temporale, durante il neolitico. Si cominciano a definire i luoghi stanziali, di attesa, di coltivo e di raccolta. Si scandiscono i ritmi del giorno e della notte, si intuiscono i tempi di semina, le stagioni, la vita e la morte. Cacciatori in continuo nomadismo, su uno spazio che diventa sempre più piccolo; raccoglitori in perenne situazione di scarsità, tra risorse sempre più da dividere con gli altri. Ogni momento di queste migliaia di anni è stato vissuto come l’adesso, ed è stato incorniciato in un processo irreversibile, sempre più razionalizzato, ingabbiato, disincantato. Oggi, sul limitare di un nuovo millennio, ci accingiamo a riflettere su questo lungo percorso… uno sguardo sul nostro passato, ma soprattutto sul poi.

   Le premesse di una dimensione spazio-temporale decenti e dignitose per l’umanità ancora persistono. Il problema è nella concezione del tempo, sul nostro modo di intendere il tempo. Fino a quando considereremo il tempo una misura, un processo legato alla produzione, al consumo, allo scambio economico non saremo che degli ignari seguaci di Beniamino Franklin, che coniò il famoso detto: “Il tempo è denaro”. Solo se penseremo il tempo come “vita”, come quotidiano rapporto con gli altri, svincolandolo dal concetto di valore e di interesse, capovolgeremo il detto con quello di “Il tempo… non è denaro”.

   C’è una sostanziale differenza tra il tempo con gli altri e il tempo della storia. Questo ultimo è un tempo artificiale, vuoto, che sta nella testa di un gruppo di sapienti, gli storici, appunto. “Uno strumento finto ma necessario ad ogni pensiero che vuole costruire la storia universale”, osserva Angel Enrique Carretero Pasin sulla scia del pensiero di Halbwachs. Questa concezione storica del tempo non ha alcun rapporto con il tempo “reale”, che è quello vissuto “con gli altri”, quello che si concentra nel presente, punto di partenza della memoria, in quanto il pensiero cerca di ri-memorizzare il fatto vissuto con l’altro. Da qui l’immagine, l’immaginazione, il simbolico, per secoli esclusi dall’indagine scientifica delle discipline sociali perché ritenuti elementi irrazionali (oltre il 50% del pensiero umano!), emergono nella radicalizzazione concettuale della relazione uomo-alter, uomo-spazio, uomo-mondo “facendo apparire la sinergia che esiste tra l’immaginazione umana e lo spazio di fronte all’angoscia provocata dalla scomparsa del tempo e dalla sua attualizzazione, la morte” .

   Ha detto Ivan Illich al Colloque International sur l’aprés-développement tenuto all’UNESCO nel marzo del 2002: “Je n’aurais pas en latin un mot pour traduire le concepte de valeur”.  “Non avrei in latino una parola per tradurre il concetto di valore”. Significa che il concetto di valore è estremamente recente, appartiene alla modernità, alla razionalità strumentale, al comportamento economico, cioè a quando si comincia a considerare il tempo che fa lievitare gli interessi e fa “lavorare” il denaro stesso. Ma il tempo della “vita” non ha un “valore” e soprattutto “non è denaro”, non può essere ridotto a uno scambio economico in senso totale. Tutte le religioni lo hanno evidenziato, tutte hanno condannato il prestito e l’usura, il denaro che sfrutta il tempo. Oggi, purtroppo, siamo ad un limite estremo, siamo nell’economicismo assoluto, abbiamo un martello economico, come dice Latouche, che batte nella nostra testa e che ci fa pensare solo al denaro, al valore, all’utile, alla crescita, all’arricchimento! Non serve cambiare martello: occorre cambiare “testa”! Anche se oggi molto del nostro tempo è dedicato a far lievitare l’economia di mercato, non possiamo imporcelo in assoluto. Il nostro tempo è qualcosa di molto più importante, è una grande ricchezza e non possiamo svilirlo rapportandolo in assoluto all’utilità e all’interesse. Il tempo che passa ogni giorno, ogni attimo, è tutta la nostra vita. dobbiamo togliere al tempo la nozione di “rendimento”, per sostituirla con quella fluttuante del “vivente”. Il tempo come un “nuovo fattore di ricchezza”:

- il tempo come legame tra le persone e non come misura;
- il tempo ciclico delle stagioni;
- l’autonomia dal tempo pianificato delle organizzazioni produttive;
- il tempo soggettivo, emotivo e il ritmo personale e comunitario;
- il tempo di scelta e di condivisione;
- la complementarietà dei tempi (storico, presente, breve, medio e lungo termine);
- l’accordo tra il tempo dell’industria con il tempo biologico e geologico, per il problema delle materie prime, dell’energia e dei rifiuti;
- riabilitare il presente, il nostro presente con il mondo e il vivente;
- concepire soprattutto la fine del nostro tempo di vita, cioè la nostra morte, come fondamento del nostro agire.

   Dice Patrick Viveret: “Per la specie umana si può in effetti avanzare l’ipotesi che ciò che costituisce in definitiva la gerarchia dei valori della vita è la coscienza della morte… La percezione della finitezza e della vulnerabilità è alla base di ogni valore”. La vera ricchezza non scaturisce dal nostro conto in banca, ma dalla nostra creatività, dalla nostra immaginazione e dai nostri sogni.

   Condividere il proprio tempo con quello degli altri è il fine della Banca del tempo, un luogo di scambio e di generosità, un modo per niente utopistico per arricchire la propria vita. “Sembra un paradosso che in una società dove il tempo a disposizione delle persone è davvero tanto, sia per chi lavora sia per chi non fa nulla, esso non basti mai. Nel tentativo di recuperare gran parte del tempo che si perde o si spreca, la Banca del tempo può svolgere un ruolo propedeutico importante”.

   La Banca del tempo può essere considerata un’innovazione sociale. E’ un termometro sociale con cui è possibile misurare la promozione di sé, la cittadinanza attiva, la solidarietà, la capacità di progettazione della comunità d’appartenenza, nella coesione sociale e nella salvaguardia delle diversità individuali, psicologiche e culturali.

 

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Riferimenti bibliografici:

Paolo Coluccia, La Banca del tempo, Bollati Boringhieri, Torino 2001.

IDEM, La cultura della reciprocità, Arianna, Casalecchio di Reno 2002.

IDEM, Il tempo… non è denaro, BFS, Pisa 2003.

IDEM, Questo mi ha detto un saggio, Ed. Lilliput-on-line, Martano 2001.

Niklas Luhmann, Sistemi sociali, Il Mulino, Bologna 1990.

Ivan Illich, Relazione al Colloque International “Défarie le développement, refaire le monde”, Parigi-Unesco 2002, ed. L’Aventurin-Parangon, Paris, 2003.

Nicholas Paschalis, Lo spazio sociale, in Esprit Critique, estate 2003.

Patrick Viveret, Riconsiderare la ricchezza, tr. it. a cura di P. Coluccia, in Ed. Lilliput-on-line, Martano 2003.

 

Nota biografica

Paolo Coluccia, dottore in Pedagogia, saggista e ricercatore sociale, ha pubblicato vari libri e saggi sul tema del tempo, della reciprocità e dei sistemi non monetari. Ulteriori notizie possono essere trovate sul suo sito Internet all’indirizzo http://digilander.libero.it/paolocoluccia, che tra l’altro contiene i testi delle Ed. Lilliput-on-line.