Alla ricerca di spazi comuni e di mondi possibili

 

 

di Paolo Coluccia (paconet@libero.it)

http://digilander.libero.it/paolocoluccia

Edizioni Lilliput-on-line

 

Siamo talmente deformati dalle abitudini industriali

che non osiamo più scrutare il campo del possibile.

[Ivan Illich]

 

Denaro e potere non possono né comprare

  imporre solidarietà e senso.

[Jürgen Habermas)

 

1. «Gli uomini non possiedono i prodotti, ma gli ecosistemi li donano agli uomini. Pertanto, la povertà e l’inquinamento non sono giustificati.» (Global Resource Bank – http://www.grb.net). Non si può affrontare la questione ecologica ed ambientale se non si mette in discussione il progetto sociale ed economico della modernità. Lo sviluppo, legato alla crescita e all’economicismo esasperato di marca liberista, è un progetto terminale della modernizzazione. Esso ha prodotto sfruttamento, profitto e consumo insensato delle risorse ambientali. Il modello economico occidentale porta all’individualizzazione e alla dispersione delle comunità locali. Occorre riflettere ed agire, anche in contesti limitati geograficamente, per innovare i comportamenti delle persone e quindi ideare una metodologia d’intervento per un progetto locale[1].

Occorre abbandonare la logica dominante di affidare la guida progettuale sempre e comunque al settore pubblico. Il cittadino può cogliere autonomamente le sue esigenze e proporle alla sua comunità. Si deve ideare un nuovo settore sociale, spontaneo e informale, basato sulla parità, sulla condivisione, sulla ragionevolezza. Queste peculiarità non appartengono al settore pubblico, né a quello economico, tanto meno al settore caritatevole-volontaristico e al terzo settore, quest’ultimo purtroppo, come dice Rifkin, «chiuso in un limbo fra quello privato e quello pubblico […] spogliato di buona parte della propria identità autonoma e reso dipendente dagli altri settori per la sua sopravvivenza»[2]. Non ci auguriamo che sia il «quarto settore», quello dell’economia sommersa, del mercato nero e della cultura criminale a prendere il sopravvento nel sistema societario. 

 

2. Costruire uno spazio sociale comune, dunque, per riqualificare le relazioni tra gli individui, i gruppi e le istituzioni, in poche parole riscoprire lo spazio comune della libera associazione umana. I sistemi di scambio locale non monetario (LETS, SEL, Tauschring, Clubs de Trueque, Banche del tempo ecc.)[3], insieme con tutti i movimenti alternativi ed innovativi comparsi recentemente nella società e in ogni parte del pianeta, possono realizzare uno spazio comune. Non ci può essere comunità e scambio sociale se non c’è legame e relazione sociale. Le associazioni di scambio locale non monetario sono laiche (da laόs, popolo). In esse l’ego e l’alter si fondono in un’osmosi e producono il noi, un nuovo senso del vivere mediante la condivisione delle risorse e la convivialità (semplicità) degli strumenti[4]. Questi sistemi di scambio sono modelli socio-economici che rappresentano forse una chance per la futura convivenza locale-globale, glocale

La strada della crescita infinita ed indefinita porta inevitabilmente ad una società duale: chi è sempre più ricco e chi invece diventa sempre più povero. «Va combattuta l’attuale tendenza alla dualizzazione delle nostre società», afferma Alain Touraine, ma «bisogna anche cambiare la nostra concezione della crescita […] Una crescita sostanziale è impossibile senza prevenire i rischi cruciali: ecologici, nucleari, sanitari, sociali, culturali. Innovazione e solidarietà sono elementi fondamentali di una crescita economica sostenibile»[5]. Spesso, però, in un sistema sociale sbilanciato lo sviluppo sostenibile «è una grande ipocrisia»[6], o, come dice Latouche, è un «ossimoro». Dice Rifkin: «Rammentiamo che, per gran parte dell’era moderna, abbiamo associato al concetto di libertà quello di autonomia, e fatto coincidere l’autonomia con la capacità di offrire il nostro lavoro sul mercato. I frutti del lavoro – la proprietà – sono stati considerati simboli della nostra libertà. Il diritto di escludere gli altri da ciò che ci appartiene è stato considerato il miglior modo di proteggere la nostra autonomia e la nostra libertà personale. La vera libertà, però, è figlia della condivisione, non del possesso: non si può essere davvero liberi, se non si può condividere, provare un sentimento di empatia nei confronti dell’altro, abbracciarsi»[7].

 

3. Globalizzazione, ricchezza, sviluppo, progresso, crescita: queste parole circolano freneticamente; il sistema societario mondiale è ormai prigioniero del sistema economico finanziario. Flussi inarrestabili di moneta elettronica mietono vittime in varie parti del mondo, anche in quelle stesse nazioni all’apice dello sviluppo economico e finanziario. «La ricchezza – ha sintetizzato François Terris[8], fondatore del primo SEL in Francia – dei 350 abitanti più ricchi della terra è uguale alla “ricchezza” (o alla miseria?) dei due miliardi e trecento milioni di abitanti più poveri. Il sistema monetario, vecchio e superato, continua a regnare producendo devastazione nell’umanità e i nostri telescopi sono così potenti nel vedere le cose lontane che non possiamo più vedere quello che ci passa vicino a casa nostra!». Perciò: «Come possiamo restare insensibili di fronte all’insuccesso delle politiche di integrazione sociale basate sulla crescita economica e la redistribuzione sociale, proprio quando le distanze sociali fra ricchi e poveri aumentano tanto su scala mondiale quanto all’interno di molte società nazionali?»[9].

Il «processo di occidentalizzazione»[10] sembra ormai inarrestabile. Si vuole esportare ovunque il modello di società europeo ed occidentale, esagerato dall’estremismo produttivistico e consumistico americano e giapponese. Questo modello, con forme e contributi differenti, sfocia spesso nel patetico e paternalistico atteggiamento assistenziale e caritatevole, che nella sostanza lascia inalterato, per un rapporto strutturalmente asimmetrico, lo squilibrio tra chi ha e chi non ha. È  emblematica la riflessione espressa da Giovanni Sarpellon, che, a proposito dell’azione volontaria del giorno dopo, dice: «Anche se so di non rendermi simpatico, mi vien da pensare a certe forme di volontariato che, pur meritorie per quello che fanno, si presentano come parentesi chiuse in una vita del tutto diversa: momenti di altruismo che lasciano intatti i meccanismi che generano la sofferenza che poi ci si mette a curare. Forse in tanti casi altro non si può fare e, piuttosto che niente… Ma almeno rendiamocene conto»[11]

La solidarietà non è l’assistenzialismo, anzi «è tutto l’opposto dell’assistenzialismo»[12]. La vera solidarietà poggia sulla reciprocità. Insieme con la simmetria e con il riconoscimento, riqualifica l’esistenza umana. Infatti, nel dare e nel ricevere di un sistema di scambio non c’è l’attesa di guadagno o di salvezza dell’anima, ma una diversa «dimensione strategica» dell’esistenza.

 

4.  Lo scenario di crisi del progetto della modernizzazione è ormai evidente. Navighiamo in mare aperto, siamo alla deriva. I sistemi sociali, istituzionali, politici e culturali non sanno più dare risposte concrete ai problemi e ai rischi ambientali, sociali, politici e culturali. La complessità strutturale è evidente. Il rischio è la sola certezza. Difficile trovare una rotta e, purtroppo, complicato decidere di invertire rotta. «Spesso - osserva Ulrich Beck - la facciata del benessere, del consumo, dello sfarzo ci impedisce di vedere quanto il baratro sia prossimo»[13]. Lo smarrimento è completo. Non ci sono più giganti cui ispirarsi, non possiamo più salire sulle loro spalle, noi piccoli nani post-moderni, per guardare più lontano. «L’unico scampo per il naufrago è di costruirsi una zattera per sopravvivere»[14]. E spesso il LETS ha rappresentato per molte persone la scialuppa di salvataggio del Titanic!

 La società mostra i rischi, i pericoli, le illusioni, il falso benessere, l’esclusione, la povertà. Gli individui cercano una dimensione più umana e solidale della società: tutte «le conseguenze – le chance così come gli oneri – si trasferiscono sugli individui»[15]. I sistemi sociali così tendono ad implodere: si rompe il legame con le istituzioni e con la società. Emergono la divisione sociale, la scarsa partecipazione al voto e alla vita pubblica, il disagio sociale, il senso d’impotenza, le nuove forme di esclusione e di povertà, lo smarrimento, l’individualismo esasperato, la sterilità dei rapporti, l’isolamento, la crisi delle famiglie, la rottura inter-generazionale, la scarsa qualità della vita. Si tratta di «patologie sociali»[16], che spesso è difficile cogliere nella loro specifica essenza e derivazione. Gesti irresponsabili e contraddittori (omicidio di parenti, suicidi, vandalismo, violenza di genere e di razza, sfruttamento) compaiono in tutta la loro gravità nello scenario sociale: sono segnali manifesti di tutta la turbolenza derivante da un’insufficiente ri-legatura degli individui e dall’assenza di solidarietà generalizzata. La ricchezza economica delle classi medie e agiate si orienta ai consumi sfrenati e diventa opulenza, spreco e rituale incontrollato. Si spinge con la pubblicità gli individui all’imitazione per accrescere il consumi: ma la crescita infinita, questo genere di crescita, non rappresenta un rimedio.

           

5. Se la teoria utilitaristica ha contagiato e condizionato in generale le scienze sociali, l’economia, spesso qualificata come scienza sociale dura, e qualche volta anche triste (avete notato la durezza-tristezza della faccia degli economisti?), ha imboccato un percorso di uniformità unilaterale, ignorando l’essenza dell’óikos e imponendo esclusivamente i paradigmi dell’utilitarismo, dello sviluppo e della produzione infinita di ricchezza, coltivando la razionalità strumentale organizzata dal Lógos epistemonikós, che ha scacciato negli ultimi secoli la Phrónesis (prudenza, ragionevolezza), «entrambi figli di Minerva»[17], imponendo i principi di «Efficienza, Calcolabilità, Prevedibilità, Controllo», per costringerci nella weberiana gabbia d’acciaio e nella «mcdonaldizzazione [che] sta dilagando in ogni angolo della società»[18]. L’esasperazione razionalistica ha disincantato il mondo e lo ha reso irrazionale e disumano: «La disumanizzazione è, inutile dirlo, un’irrazionalità fondamentale della razionalità»[19]. Tutti sono coinvolti, nessuno può sottrarsi: la nuova religione è quella dei consumi, con le sue cattedrali (i centri commerciali, disneyland, fast food, casino per il gioco d’azzardo ecc.), i pellegrinaggi di massa e i riti del fine settimana e della domenica (partite di calcio, mega concerti, notti in discoteche luccicanti), con ingorghi, code di automobili ed incidenti stradali.

Cosa fare per re-incantare il mondo?

Abbiamo bisogno dell’illusione e nello stesso tempo della chance di un sistema sociale diverso e più semplice, più conviviale, come dice Ivan Illich: «Conviviale è la società in cui prevale la possibilità per ciascuno di usare lo strumento per realizzare le proprie intenzioni»[20]. Non sarà facile. «Certo - osserva Latouche - non si rifarà il mondo dall’oggi al domani... [Ma] è tempo ormai di cominciare a decolonizzare il nostro immaginario»[21]. È un processo storico-utopico fondamentale, che parte dalla base sociale, essenziale per costruire una società più giusta e fraterna.

 

6. Compare sullo sfondo il profondo e complesso concetto di dono, che diventa «politico», riesce a «costruire società», dice Alain Caillé. «Il dono è il modo per eccellenza per costituire rapporti sociali»[22], anche se si tratta non del dono gratuito e unidirezionale (la carità, la beneficenza, la filantropia), ma di quello libero, quello dei nuovi stili di vita che si evidenziano in modo particolare nei sistemi di scambio locale non monetario, nella finanza etica, nel commercio equo solidale, nel turismo responsabile, nell’acquisto critico ecc.

Si dona dignità a chiunque scambiando alla pari, comprando un prodotto ad un prezzo equo e compensativo, assumendo un atteggiamento critico nei consumi, dimostrando responsabilità nello smaltimento dei rifiuti, rispettando le culture, i luoghi e l’ambiente. In questi nuovi sistemi di vita si realizza la complessa dimensione dell’in-timità, ovvero il giusto riconoscimento (timós)[23] dell’altro. Il dono è sempre spontaneo; ma, contemporaneamente, è un obbligo, una «tensione fondatrice del legame sociale, di fronte al quale il sociologo dovrà sempre restare modesto, riconoscere i propri limiti, ed essere pronto a far posto, ovvero a cedere il posto alle altre discipline delle scienze umane, ai filosofi e ai poeti»[24].

E gli economisti avranno poco da dire. Essi non sanno spiegare e giustificare il dono. Con il paradigma del dono la società può nuovamente essere «capace di intervenire su se stessa e con le sue idee, i propri conflitti e le proprie speranze», per poter vivere ancora insieme, «liberi, uguali e diversi»[25].

 

7. È possibile tutto questo? Io credo di si! E si può fare coniugando la grande varietà di innovazioni che fondano questi nuovi stili di vita. Dice Tonino Perna: «Attraverso mille forme e contraddizioni i nuovi movimenti che hanno promosso il fair trade, la finanza etica, la cooperazione popolare, lo scambio non monetario, una rete di rapporti basati sul principio di reciprocità, stanno contribuendo a creare una rete di economia “altra” che potrà svolgere un ruolo fondamentale nei prossimi anni»[26].

È importante non perdere di vista la dimensione locale, perché nella comunità le innovazioni hanno più fortuna. Allo stesso tempo, però, occorre promuovere sistemi d’interconnessione, di conoscenza e di scambio ad ogni livello. Oggi le TIC (Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione) offrono tante possibilità[27]. Ma è nel locale che si concretizza teoricamente e praticamente l’azione di solidarietà sociale ed economica di un sistema di scambio non monetario. Una comunità sopravvive se i suoi membri riescono a dedicare parte delle loro azioni, del loro tempo, delle loro energie ai loro compaesani, amici, vicini di casa, parenti. «La vera ricchezza di un paese sono le ore che ciascuno va a donare alla sua comunità», ha detto François Terris nel 1998[28].

È importante sottolineare il significato etimologico della parola «comunità»: deriva dal latino e significa semplicemente «cum munus» (con dono), cioè l’ego che entra in comunicazione con alter, crea legame e relazione sociale e fonda il noi. E cosa si ottiene, inoltre, capovolgendo la parola «comunicazione»? Semplicemente questo: «azione-comune». «Chiamiamo comunicazione – osservano Humberto Maturana e Francisco Varela – la mutua induzione di comportamenti coordinati che si verifica fra i membri di una unità sociale»[29]. In effetti: «Senza amore, senza accettazione dell’altro da parte di ciascuno, non c’è socializzazione, e senza socializzazione non c’è umanità»[30]. E per nostra pace e serenità «abbiamo a disposizione solo il mondo che creiamo con gli altri, e che solamente l’amore ci permette di creare un mondo in comune con gli altri»[31].

 

8. Nel sistema sociale esistono e possono coesistere vari sistemi (politico, economico, giuridico, religioso ecc.)[32], ma non può mancare la reciprocità, la cultura della relazione e la pratica del dono[33]. I sistemi di scambio locale non monetari, le banche del tempo, possono svolgere un ruolo cruciale in questo tentativo di ri-cucitura della società. Sono un percorso obbligato per la mediazione e per la comunicazione sociale. «Le banche del tempo, i cerchi di scambio e tutti i sistemi di scambio locale non monetario [...] sono delle utopie realizzate che ci mostrano un’idea di futuro ancora in gestazione. Ci obbligano a pensare, a creare il nostro modo di immaginare, di farci un’idea di società, non solo per i piccoli obiettivi della società (cioè del vivere insieme, dello scambio locale nella diversità), ma di tutta la società!»[34].

In questi sistemi, orientati alla solidarietà e alla reciprocità, si tenta di colmare i dislivelli e le asimmetrie sociali. Il Premio Nobel 2001 per l’economia è stato dato a tre economisti[35] che hanno condotto alcune ricerche empiriche sulle informazioni asimmetriche dell’economia di mercato, ovvero quelle possibilità di imbroglio economico generate dalla non reale conoscenza di ciò che si acquista, come per esempio quando si compra un’auto usata, i cui difetti, del motore sotto il cofano o del telaio, sono conosciuti solo dal venditore. «Da questa asimmetria informativa discendono alcune distorsioni del mercato», ma soprattutto «l’iniquità degli esiti (l’arricchimento indebito dell’insider[36]. Un argomento affascinante tanto da meritare un Nobel, anche se in verità è la scoperta dell’acqua calda!

 

9. Io non credo che le esperienze di scambio locale potranno ricevere un Nobel per lo sforzo di informazione simmetrica che cercano di instaurare tra i membri dei loro sistemi e nella società intera. Ma la reciprocità è fondata sulla simmetria, sullo scambio alla pari di servizi, di lealtà e di informazione. Tutti conoscono tutto di tutti: offerte, richieste, bisogni; scambi, contabilità, moneta; creatività, illusioni e sogni. Ogni informazione è a disposizione del gruppo. «Anche se nei riferimenti pratici ciò che si materializza è lo scambio di piccoli beni, modiche prestazioni, servizi e qualche sapere, lo spirito di fondo possiede una forte matrice antiutilitaristica e promuove una concreta simmetria sociale»[37]. Unico difetto, si fa per dire: non si usa il denaro negli scambi! E allora?… Addio Premio Nobel per l’economia!

Un colloquio internazionale svoltosi nel 2002 a Parigi[38], dove siamo stati in tanti impegnati a disfare lo sviluppo (Défaire le développement) per rifare il mondo (Refaire le monde), per ri-appropriarsi del denaro, ma anche per andare oltre il denaro, mi ha dato l’occasione di ricordare, in un momento di trasfigurazione riflessiva, alcune parole di Roland Barthes: «Vorrei dunque che la parola e l’ascolto che s’annoderanno qui siano simili al va e vieni di un bimbo che giochi intorno alla mamma, che se ne allontani, e poi a lei ritorni, per offrirle un ciottolo, un filo di lana, disegnando così, intorno a quel centro di pace, tutto un alone di gioco, all’interno del quale, il ciottolo, il filo di lana meno contano che il dono pieno di trasporto che viene fatto»[39].

 

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(*) LETS (Local Exchange Trading System). Questi sistemi di scambio locale non monetario si diffondono nel mondo con motivazioni e modelli differenti, anche se si riconosce unanimemente che il sistema iniziale e trainante è stato il LETS di M. Linton, elaborato in Canada sulle ceneri di un’esperienza analoga fallita per ingenuità e per inesperienza dei primi promotori. Dal 1975 si organizzarono in Canada i LETSystem (Local Echange Trading System), che utilizzarono monete locali riferite alla valuta nazionale, al dollaro o al tempo inteso come ora di lavoro. Dal 1985 i LETS, si sono diffusi rapidamente in Europa (Inghilterra, Germania, Francia, Belgio, Scozia, Italia ecc.) e nel mondo (Argentina, Messico, Venezuela, Brasile, Australia, Senegal ecc.). In Francia oltre ai SEL (Sistème d'Echange Local), orientati in senso ecologico ed anti utilitarista, si sono organizzati RERS (Réseau d'Echange Réciproque de Savoir - Rete di scambio reciproco di sapere) e Troc-Temp (Baratto di tempo). Interessante la Route des SEL, organizzazione nazionale di ospitalità per viaggiatori aderenti ai Sel che permette il pernotto gratuito presso le famiglie che vi aderiscono. In Germania esistono diverse configurazioni di sistemi di scambio: i Tauschringe (Cerchi di scambio), i Talents (sistema Talenti), le Zeitbörse (Borse del tempo). Singolare il motto dei Tauschringe: «Vai, anche senza marchi!» (Lange, 1997;  Kreuzberger Tauschring, 1997). In Belgio è testimoniata la presenza e la sperimentazione di SEL e di LETS, che significa soprattutto Locale Scambio di Talenti e di Servizi, e per talenti s’intendono le capacità personali creative dell'individuo. In Olanda è attivo un gruppo che divulga e sostiene i sistemi di scambio locale: Aktie-Strohalm. Questa associazione ha organizzato a Strasburgo nel 1998 un Seminario Internazionale Lets con il fine di sviluppare questi sistemi non monetari nelle nazioni dell’Est dell’Europa. Nel 1991 ad Ithaca (New York) parte un sistema orientato a controllare gli effetti negativi dell’economia di mercato. Si stampano le Ore di Ithaca, monete locali multicolorate e dipinte, su carta filogranata o su canapa tessuta a mano, con inchiostro termico alle quali si è dato un corso legale parallelo. Alcuni bar, ristoranti e cinema accettano le Ithaca-Hours. In Argentina, sempre agli inizi degli anni 90, si formano i Clubs de Trueque (Clubs di scambio) riuniti successivamente in un progetto di comunicazione denominato Red de Trueque. Con queste associazioni si tenta di rilanciare il dinamismo economico perduto dalle comunità negli anni ’80. Interessante il forum organizzato sul sito http://money.socioeco.org dal 5 febbraio al 5 aprile 2001 sul tema della Moneta Sociale e in preparazione del Seminario internazionale di Santiago (Cile) rivolto alla creazione di un Polo di SocioEconomia Solidale in seno all’Alleanza per un Mondo Responsabile, Plurale e Solidale. L’Australia conta il sistema Lets più numeroso per numero d’iscritti (si parla di 1800 aderenti) e di famiglie coinvolte nello scambio: il Blue Mountain. In Senegal sono nati i SEC (Sisthème d’Echange Communitaire). Si prefiggono non tanto di generare legame sociale (l’Africa ne ha da «vendere») ma di dinamizzare gli scambi, la reciprocità e l’autoaiuto, mediante reti locali e principi di vicinato e di prossimità, con una particolare attenzione alle persone svantaggiate. Interessante la recente attività di scambio on-line sulla rete Internet da parte di due organizzazioni: Notmoney in Venezuela (si scambia di tutto: vacanze, viaggi, attività ecc. Stimolante il progetto Interser coordinato da Alberto Moron) e GRB (Global Resource Bank), di cui abbiamo accennato all’inizio del saggio. Ultimamente M. Linton ha spostato il suo campo d’azione in Giappone dove sta stimolando, tra tanti problemi e preoccupazioni, sistemi di scambio basati sulla moneta sociale. In Italia il fenomeno delle Banche del tempo e dei sistemi locali di scambio non monetario che generano altruismo reciproco generalizzato è molto differenziato. Possiamo distinguere, in modo molto approssimativo, tre modelli di Banca del tempo: a) la Bdt (60%) organizzata, finanziata e gestita dal Comune, a seguito di deliberazione della giunta comunale, con un funzionario pubblico che fa l'animatore, il coordinatore e il segretario dell'esperienza; b) la Bdt (30%) che nasce all'interno di un’associazione, di una cooperativa o di un’organizzazione sindacale (Arci, Misericordie, Mag, Auser ecc.). Questi gruppi già costituiti e funzionanti fanno muovere (a mo’ di balie) i primi passi alla neonata iniziativa sociale; c) la Bdt (10%) come sistema autonomo, autofinanziato e autogestito che nasce su iniziativa di alcuni individui ampiamente motivati, spesso carburati ideologicamente (in senso politico, ambientalista, solidaristico ecc.), che si riuniscono ed elaborano un progetto di azione comune, che si autofinanziano e che si autonormano con uno statuto ed un regolamento e con degli strumenti semplici di informazione e di contabilità, per favorire e per registrare gli scambi di reciprocità generalizzata.      Il modello di Banca del tempo che divulgo e promuovo è quello autonomo e autogestito, sensibilmente differente da quello genericamente divulgato in Italia, sostenuto e appoggiato da Tempomat (Osservatorio delle Banche del tempo italiane nato nell’organizzazione sindacale della CGIL). Esiste una Legge dello Stato (Legge 8 marzo 2000, n. 53 “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”) che tenta di stimolare la nascita di Banche del tempo. Come tutte le leggi in materia di legislazione sociale, tale norma disciplina (o almeno cerca di disciplinare) e istituzionalizza, lo spazio d’azione pubblico, che è cosa ben diversa dallo spazio comune. L’organizzazione non profit Lunaria di Roma si sta muovendo con una notevole attività di divulgazione di questi sistemi locali di scambio non monetario. Con il patrocinio della Commissione Europea ha organizzato il 7 giugno 2001 il primo meeting dell’European Network of Non-Monetary Echange Systems (ENNES), al fine di formalizzare una rete cui aderiscono le più significative esperienze di scambio europee. La rete persegue la promozione dei sistemi non monetari, considerati strumenti di inclusione sociale, mediante la divulgazione di informazioni sulle esperienze attive e significative. I sistemi di scambio non monetario ricreano le reti della comunità riequilibrando il tempo di lavoro con il tempo della vita e facendo emergere le risorse locali, sviluppando le opportunità per uomini e donne e favorendo le buone relazioni. Nel 2003 l’Osservatorio nazionale delle Banche del tempo ha cessato la sua attività. Restano in piedi sul territorio italiano varie iniziative d’informazione, di scambio e di relazione sociale, che isolatamente o raccordandosi promuovono iniziative culturali e socioeconomiche di vario livello.


 

[1] Alberto Magnaghi, Il progetto locale, Bollati Boringhieri, Torino 2000.

[2] Jeremy Rifkin, L’era dell’accesso, Mondadori, Milano 2000, p. 339.  

[3] Vedi nota (*) a fine testo. Cfr. Paolo Coluccia, La banca del tempo, Bollati Boringhieri, Torino 2001; Idem, La cultura della reciprocità, Arianna, Casalecchio 2002; Idem, Il tempo non è denaro, BFS, Pisa 2003.

[4] Nell’accezione, cioè, espressa da Ivan Illich nella sua opera La Convivialità, Milano, Mondadori,1974.

[5] Alain Touraine, Liberarsi dal liberismo, Il Saggiatore, Milano 2000, p. 40.

[6] Bruno Amoroso, L’Europa e il Mediterraneo tra globalizzazione e co-sviluppo, in «Da Qui», rivista di letteratura, arte e società fra le regioni e le culture del mediterraneo, n. 6, anno 2001, p. 202.

[7] Jeremy Rifkin, op. cit., p. 353.

[8] http://www.selidaire.org .

[9] Alain Touraine, Libertà, uguaglianza, diversità. Si può vivere insieme?, Il Saggiatore, Milano 1998, p. 54.

[10] Serge Latouche, L’occidentalizzazione del mondo, Bollati Boringhieri, Torino 1992.

[11] In «Rivista del Volontariato», pubblicata dalla FIVOL (Federazione Italiana del Volontariato), anno 2001 , n.3.

[12] Alain Touraine, Libertà..., cit., p. 154.

[13] Ulrich Beck, I rischi della libertà, Il Mulino, Bologna 2000, p. 6.

[14] Alain Touraine, La libertà..., cit., p. 58.

[15] Ulrich Beck, I rischi..., cit., p. 9.

[16] Jürgen Habermas, Teoria dell’agire comunicativo, Il Mulino, Bologna 1987.

[17] Serge Latouche, La sfida di Minerva. Razionalità occidentale e ragione mediterranea, Bollati Boringhieri, Torino 2000.

[18] George Ritzer, Il mondo alla mcDonald’s, Il Mulino, Bologna 1997, p. 65.

[19] Idem, p. 275.

[20] Ivan Illich, La Convivialità, cit., p. 14.

[21] Serge Latouche, La sfida..., p. 137.

[22] Intervento di A. Caillé al Convegno “Oltre i diritti: il dono”, Roma, 28 e 29 marzo 2000, in «La Rivista del Volontariato», cit., anno IX, maggio 2000, pp. 31-35.

[23] Platone, La repubblica. Aristotele, Etica Nicomachea: (le tre forme dell’anima: razionale, volitiva e timotica).

[24] Jacques T. Godbout, Il linguaggio del dono, Bollati Boringhieri, Torino 1998, p. 84. In appendice c’è un saggio di Alain Caillé, Di chi fidarsi? Dono, fiducia e indebitamento reciproco positivo.

[25] Alain Touraine, Libertà..., cit., p. 9.

[26] Tonino Perna, Fair Trade. La sfida etica del mercato mondiale, Bollati Boringhieri, Torino 1998, p. 152.

[27] Commissione Europea, Libro verde: “Vivere e lavorare nella società dell’informazione”, Bruxelles, 1996.

[28] Intervento al Colloquio Internazionale di Martano (LE) su «I Sistemi locali di reciprocità indiretta», 11 e 12 agosto 1998, Edizioni Lilliput 1998 in http://digilander.iol.it/paolocoluccia. Gli Atti del Colloquio sono stati parzialmente pubblicati anche in «S!lence. Revue de Ecologie, Alternatives, Non-violence», Lyon (F), nn. 246/247, luglio-agosto 1999.

[29] Humberto Maturana/Francisco Varela, L’albero della conoscenza, Garzanti, Milano 1999, p. 167.

[30] Idem, p. 204.

[31] Idem, p. 205.

[32] Cfr. Niklas Luhmann, Sistemi sociali, Il Mulino, Bologna 1990; La comunicazione ecologica, Franco Angeli, Milano 1996.

[33] Jeaques T. Godbout, Lo spirito del dono, (insieme con Alain Caillé), Bollati Boringhieri, Torino 1993. Cfr. inoltre l’intervista a Jeremy Rifkin a «Carta», n. 17, 2001, p. 60 dal titolo: La politica e l’economia dominano. La cultura e la società ci possono salvare.

[34] Conclusioni al Colloquio Internazionale di Martano, cit.

[35] George A. Akerlod, Michel A. Spence, Joseph E. Stiglitz.

[36] Il Sole24ore, n. 280, giovedì 11 ottobre 2001, p. 9.

[37] Paolo Coluccia, La banca del tempo, cit., 104.

[38] “Défaire le développement, Refaire le monde”, Colloque International sur l’aprés-developpement, Palais de l’Unesco, Paris, les 28 février, 1-2-3 mars 2002.

[39] Dal discorso tenuto nel 1977 in occasione dell’assegnazione della cattedra al Collège de France.