“Oltre l’occupazione”

 

Trasformazione del lavoro ed evoluzione del diritto del lavoro in Europa

 

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SINTESI

del RAPPORTO SUPIOT

per la Commissione europea

(1998)

 

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Titolo originale:

Transformation of labour and future of labour law in Europe

Rapporto alla Commissione europea, a cura di un gruppo di esperti sotto la direzione di Alain SUPIOT

 

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La traduzione italiana è stata fatta da  Paolo Coluccia da una sintesi in lingua francese

http://digilander.libero.it/paolocoluccia

 

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Il gruppo di esperti istituito dalla Commissione europea ha tentato di condurre un approccio trans-disciplinare e trans-nazionale all’evoluzione del diritto del lavoro. La sua preoccupazione è stata quella di superare la frattura tra lo studio giuridico dell’evoluzione del diritto positivo e l’approccio sociologico, economico e culturale delle realtà del lavoro, per tentare di pensare descrittivamente e normativamente l’articolazione del diritto con le nuove pratiche sociali. Si trattava tanto di un esercizio di comprensione quanto di un esercizio di proposta.

 

 

QUADRO GENERALE DELL’APPROCCIO

 

Il modello classico del diritto del lavoro

 

Il punto di partenza dell’analisi è stato la constatazione della crisi del modello di regolazione socioeconomica a cui si poggiava il diritto del lavoro all’inizio del secolo. Questo modello industriale conosceva importanti varianti nazionali. Può tuttavia essere descritto in modo ideal-tipico come un quadro regolatore centrato su:

-         una forma di subordinazione standardizzata;

-         la diffusione della famiglia nucleare;

-         e l’istituzionalizzazione di attori collettivi nel quadro di uno Stato nazionale.

Sul piano istituzionale, questo modello può essere visto come un triangolo formato da tre istanze: l’impresa, il sindacato e lo Stato. Sul piano della sua organizzazione interna, l’impresa fordista è orientata soprattutto verso la produzione massiccia di prodotti poco differenziati. Dissocia sistematicamente le fasi di concezione e d’esecuzione del lavoro. La relazione di lavoro tipica è la relazione salariale (lavoro subordinato) che collega un datore di lavoro con un lavoratore, il cui tempo di formazione è relativamente breve, è un padre di famiglia (breadwinner[1] maschile), è impegnato a tempo indeterminato per una prestazione definita dal posto di lavoro. Il sindacato di tipo fordista è un’organizzazione attiva centrata non sul mestiere (modello precedente delle corporazioni), ma piuttosto sul settore di attività. Il livello di negoziato chiave è dunque il ramo professionale (ad eccezione della Gran Bretagna, dove il livello dell’impresa è stato sempre privilegiato). Infine, lo Stato è

-         uno Stato keynésiano, che mira a sostenere la domanda interna (col rischio dell’inflazione);

-         uno Stato nazionale. che protegge i mercati interni dalla concorrenza estera;

-         uno Stato concertativo, che istituisce meccanismi di negoziato sociale.

Il diritto del lavoro e della protezione sociale è standardizzante, nel senso che privilegia un modello unico di rapporto di lavoro (fondato sul binario lavoro subordinato/lavoro indipendente), garantisce una sicurezza individuale passiva del lavoratore, un orario di lavoro omogeneo,  negoziati collettivi relativamente autonomi ed uno statuto particolare per il funzionario, legato alla nozione di servizio pubblico.

                                                                                                                          

L’evoluzione attuale

 

Non è difficile constatare l’esplosione del modello nelle sue tre espresioni. La riorganizzazione del lavoro interno alle imprese ha modificato la distinzione concezione/esecuzione, in particolare mediante la comparsa di una produzione più “dedicata” di prodotti destandardizzati; di conseguenza, il rapporto di lavoro si è flessibilizzato e suppone un apprendistato lungo e continuo del lavoratore. Le donne hanno fatto un’entrata massiccia nel mercato del lavoro, minando il modello patriarcale fordista. La stabilità dell’occupazione lascia il campo a contratti più aleatori, e che non sono più definiti esclusivamente in riferimento al posto di lavoro. Da parte loro, di fronte alla disoccupazione sorta dalla crisi economica, i sindacati sono stati portati a ridefinire la loro funzione: non si tratta più soltanto di redditi e di condizioni del lavoro maschile, ma anche d’occupazione, di sopravvivenza dell’impresa e di parità uomini/donne. Infine, lo Stato ha abbandonato la sua politica keynésiana per diventare uno Stato antinflazionista che controlla il suo bilancio, orientato verso il mantenimento delle condizioni della concorrenza, e la cui sovranità nazionale è relativizzata dall’emergenza di movimenti regionalisti mediante la comparsa del livello europeo.

 

Gli orientamenti del gruppo

 

Di fronte a queste trasformazioni, il gruppo di esperti ha scartato due scelte possibili: la scelta della destrutturazione del diritto del lavoro a vantaggio di una ri-contrattualizzazione (nel senso del diritto civile) del rapporto di lavoro e della protezione contro il rischio; la scelta della disconnessione del sociale e dell’economico da una parte, attraverso la promozione di una flessibilità non inquadrata dall’attore collettivo e lo Stato, e dall’altra parte mediante la proclamazione di diritti sociali completamente staccati dall’inserimento degli individui nella sfera economica. La terza via scelta dal gruppo si poggia su una diagnosi che riguarda l’evoluzione socioeconomica ed il richiamo delle esigenze democratiche che hanno presieduto all’instaurazione del diritto sociale.                

 

La diagnosi

 

Il gruppo di esperti ha preso atto (cfr. spec. il capitolo VII) della molteplicità dei “mondi di produzione” che caratterizza attualmente il sentiero di crescita europeo. In questo contesto, il lavoro salariato classico e la produzione di massa continuano ad occupare un posto relativo, di fianco ad altre procedure d’organizzazione della produzione. Sul piano dell’azione, tanto individuale che collettiva, questa molteplicità delle opzioni si conclude con un aumento dell’incertezza. La nozione di flessibilità deve essere interpretata in questo quadro. Il suo referente economico non è soltanto l’esigenza di un’ottimizzazione delle relazioni di mercato (come se il mercato fosse il modello unico di coordinamento economico, da sostituirsi ormai al modello welfarista). È soprattutto l’esigenza di un’ottimizzazione [!] di rapporti plurali di produzione, che implica simultaneamente

-         la sicurezza del lavoratore e delle imprese di fronte al rischio;

-         lo sviluppo di potenziali individuali e collettivi;

-         e il dispiegamento di rapporti di produzione di prossimità, più spesso territorializzati.

 

Le esigenze democratiche

 

Il diritto sociale ha portato nel campo socioeconomico esigenze democratiche specifiche, che devono essere mantenute e riformulate tenendo conto della situazione presente. Il gruppo ha prestato attenzione particolarmente a quattro di esse. Innanzitutto, l’esigenza d’uguaglianza deve essere mantenuta, ma deve integrare la problematica relativamente nuova della parità uomini/donne. In seguito, l’esigenza di libertà suppone che sia mantenuta la protezione del lavoratore contro la dipendenza. Ma questa assume forme nuove. In terzo luogo, l’esigenza di sicurezza individuale, che passa per un’ampia gamma di diritti sociali, deve essere riconsiderata come una sicurezza non contro il rischio eccezionale, ma di fronte ad un rischio diventato onnipresente, tenuto conto dell’aumento inevitabile dell’incertezza. Si tratta dunque di integrare la gestione dell’incertezza nella definizione stessa della sicurezza. Infine, i diritti collettivi sono i garanti di una partecipazione effettiva delle persone interessate alla definizione del senso del lavoro, tanto delle finalità quanto dei mezzi dello sviluppo economico. Questi diritti devono essere mantenuti, pur aprendosi a nuove forme di rappresentazione, d’azione e di negoziato collettive non escludenti le forme precedenti. Il gruppo si è dunque preoccupato di riformulare le condizioni d’efficacia di queste quattro esigenze in vari aspetti del diritto del lavoro. A questo scopo, non ha cercato d’inventare di sana pianta un nuovo modello, ma di sposare in modo selettivo delle tendenze già verificabili nell’evoluzione del diritto europeo, e di proporre un quadro di chiarezza che permetta di orientare le politiche future.

                                                                                                                                                  

LAVORO E POTERE PRIVATO

 

L’analisi

 

Tre tendenze caratterizzano l’evoluzione della nozione di subordinazione. Innanzitutto, la tendenza ad un certo rilassamento delle pratiche gerarchiche. Si constata, al centro anche della relazione salariale, una più grande autonomia operativa del lavoratore. Simultaneamente, anche se il livello quantitativo del lavoro indipendente è soltanto in lenta progressione nei paesi europei, si constata, sul piano del diritto, una tendenza all’arretramento delle rivendicazioni di lavoro salariato: la volontà tanto del giudice quanto del legislatore sembra essere quella di allargare il campo anche al lavoro indipendente. Tuttavia, seconda tendenza, anche se formalmente le pratiche di subordinazione si riducono, la precarietà del lavoro, l’esistenza di una disoccupazione di massa e le nuove pratiche manageriali possono causare un appesantimento del peso della subordinazione, che assume la forma di pressioni informali sui lavoratori, specialmente più giovani, le donne ed i meno qualificati. Infine, terza tendenza, la relazione tra datori di lavoro e lavoratori diventa più complessa con l’introduzione di terzi, sotto forma di subappalto o d’interim. Questa evoluzione ha effetti rilevanti sulla protezione offerta dal diritto sociale. Il primo effetto è, in numerosi casi, un aumento dell’insicurezza delle persone. Il caso del “falso” indipendente o quello del lavoratore precario “invitato” a non sindacalizzarsi è eloquente. Il secondo effetto è l’aumento di una “zona grigia” situata tra lavoro dipendente ed indipendente. Persone o imprese in subappalto giuridicamente indipendenti sono all’occasione economicamente dipendenti da uno solo o da alcuni clienti o datori d’ordine; per contro, lavoratori giuridicamente dipendenti somigliano sempre più, nella realtà, a lavoratori autonomi. Infine, in terzo luogo, il rapporto di lavoro deve essere pensato nel quadro di reti d’impresa, in particolare per ciò che riguarda la responsabilità del datore di lavoro principale in materia di sicurezza e d’igiene dei lavoratori dell’impresa che è in subappalto o la protezione del lavoratore interinale o ancora la corresponsabilità delle imprese implicate nel rispetto della durata del lavoro ecc.

 

Gli orientamenti

 

Di fronte a queste evoluzioni, il gruppo di esperti tiene a sottolineare la necessità di una doppia scelta:

1) la riaffermazione del principio fondamentale secondo il quale le parti di un rapporto di lavoro non sono competenti della sua qualificazione giuridica;

2) la volontà (previsione) di allargare il campo d’applicazione del diritto sociale per includere tutte le forme di contratto di lavoro di altro tipo e non soltanto la subordinazione stretta del lavoratore.

In questa prospettiva, il gruppo raccomanda i seguenti orientamenti generali:

- l’adozione di una definizione comunitaria della nozione di lavoratore dipendente. Questa definizione comune esiste attualmente soltanto in materia di libera circolazione dei lavoratori. Imponendola, la Corte di giustizia ha voluto evitare che uno Stato possa, giocando con una definizione restrittiva, limitare a suo gradimento il campo d’applicazione di questo principio. Questa ragione vale per l’insieme delle disposizioni del diritto sociale comunitario;

- il mantenimento del potere di riqualificazione del contratto di lavoro da parte del giudice. La tecnica, approvata giuridisprudenzialmente dall’insieme dei codici, deve permettere di adattare il campo d’applicazione del diritto del lavoro alle nuove forme d’esercizio del potere nell’impresa, astenendosi da ogni definizione restrittiva della subordinazione in base ad uno solo criterio (fosse quello della “dipendenza economica” o dell’ “integrazione all’impresa altrui”);

- il consolidamento di uno statuto specifico dell’impresa d’interim, la messa in cantiere di categorie di coattività e di corresponsabilità dei datori di lavoro dovrebbero permettere di affrontare il problema della complessità sorto dall’aumentato ricorso all’impresa in subappalto. Parallelamente, la lotta contro il traffico di manodopera resta sicuramente una priorità. Tutto ciò potrebbe essere oggetto, nel rispetto del principio di sussidiarietà, di un intervento europeo (sul modello delle direttive relative alla prestazione di servizio intra-europeo; o della direttiva che impone un coordinamento alle imprese che intervengono su uno stesso cantiere d’edilizia o d’ingegneria civile per ciò che riguarda la salute e la sicurezza dei lavoratori);

- l’applicazione di alcuni aspetti del diritto del lavoro ai lavoratori che non sono né dipendenti né imprenditori, nella necessità di una protezione adeguata alla situazione propria di questi lavoratori, è stata presa in considerazione da molti diritti nazionali (nozioni d’arbeitnehmeränhliche Personen in diritto tedesco, o di parasubordinazione in diritto italiano). I lavoratori che non possono essere definiti lavoratori dipendenti, ma che si trovano in una situazione di dipendenza economica di fronte ad un datore di lavoro, devono potere beneficiare dei diritti sociali che questa dipendenza giustifica.

                                                                                                                                                  

LAVORO E STATUTO PROFESSIONALE

 

L’analisi

 

In diritto del lavoro, la nozione di statuto professionale lega forme di protezione diverse alla qualificazione delle situazioni di lavoro nelle quali si svolge la vita del lavoratore. Ora, il modello fordista dello statuto professionale è in via di decomposizione, su quattro punti. Per prima cosa, la continuità dello statuto era tipicamente assimilata alla continuità di un’occupazione lungo tutto il corso della vita. Ora, questa continuità dell’occupazione è messa in dubbio dalla flessibilità interna (trasformazioni del lavoro al servizio di uno stesso datore di lavoro) o esterna (precarietà dei contratti) e anche dall’esistenza della disoccupazione. Inoltre, lo statuto professionale fordista era definito dalla professione. Si constata tuttavia un relativizzazione del criterio professionale a vantaggio di altre definizioni, in particolare quella fondata sul posto di lavoro valutato in termini monetari (vedere per esempio le norme della disoccupazione). In terzo luogo, la pluralità degli statuti mette in ridicolo l’ideale d’unicità fordista. Occorre notare che i pubblici poteri, con la loro politica di finanziamento delle occupazioni, mercantili o non mercantili, hanno fortemente contribuito a questa esplosione. Infine, l’unicità del datore di lavoro è messa in scacco, tanto in sincronia (gruppi o reti di imprese) che in diacronia (successione di datori di lavoro).

 

Gli orientamenti

 

Dinanzi a questa situazione, la scelta del gruppo di esperti non è il mantenimento del modello dell’occupazione al centro del diritto del lavoro. Ai suoi occhi, sarebbe, tenuto conto della flessibilità inevitabile del lavoro, un incoraggiamento alla dualizzazione del mondo del lavoro. Auspica piuttosto una riconfigurazione della nozione di sicurezza, su tre piani combinati:

 

- lo statuto professionale deve essere ridefinito in modo da garantire la continuità di una traiettoria piuttosto che la stabilità delle occupazioni. Si tratta per prima cosa di proteggere il lavoratore nelle fasi di transizione tra occupazioni. Si deve essere particolarmente attenti ai diritti di riclassificazione in caso di licenziamento; ai cambiamenti di statuto (da lavoratore dipendente a indipendente, per esempio); all’abbinamento tra formazione ed occupazione; tra disoccupazione e formazione, tra scuola ed impresa; all’accesso al primo impiego ed all’evitabilità della disoccupazione di lunga durata. In secondo luogo, occorre costruire nuovi strumenti giuridici per garantire la continuità dello stato professionale delle persone, oltre la diversità delle situazioni di lavoro e di non lavoro. La sfida non è niente meno che l’abbandono del modello della carriera professionale lineare. Le interruzioni di carriera ed i ri-orientamenti d’attività devono essere integrati come le condizioni normali di questo stato professionale. Questa continuità può essere garantita dalla legge o dalla convenzione collettiva;

 

- lo statuto professionale deve essere determinato non più a partire dalla nozione restrittiva d’occupazione, ma dalla nozione allargata di lavoro. Il diritto sociale non può più spingere nell’ombra le forme non mercantili del lavoro. Tuttavia, la nozione d’attività è stata allontanata dal gruppo, in ragione della sua indeterminazione. Il lavoro si distingue dall’attività in quanto risponde ad un obbligo, volontariamente sottoscritto o legalmente imposto, sottoscritto a titolo oneroso o gratuito, legato ad uno statuto o ad un contratto. Il lavoro s’inscrive sempre in un legame di diritto. Di conseguenza, lo stato professionale delle persone allargato copre tre dei quattro ambiti del diritto sociale. I diritti propri del lavoro dipendente (l’occupazione), i diritti comuni dell’attività professionale dipendente o indipendente (igiene, sicurezza ecc.) ed i diritti fondati sul lavoro non professionale (carico della persona altrui, lavoro disinteressato, formazione di sé ecc.) costituiscono insieme i tre ambiti di diritti che devono essere legati alla nozione di statuto professionale. I diritti sociali universali, garantiti indipendentemente da qualsiasi lavoro (cura di salute, aiuto sociale minimo ecc.), sfuggono a questa nozione. Meritano di essere protetti da una legislazione specifica. Quanto al principio di parità di trattamento tra uomini e donne, si applica indistintamente ai quattro ambiti;

 

- allo stato professionale delle persone corrispondono diritti di prelievo sociali di diversi ordini. Si constata oggi la comparsa di diritti sociali specifici, nuovi su due piani: sono all’occasione slegati dall’occupazione in senso rigoroso (crediti d’ora dei delegati sindacali, crediti formazione; congedi parentali ecc.), anche se sono legati ad una forma di lavoro che costituisce un credito; si esercitano in modo facoltativo e non in funzione del verificarsi di rischi. Questi diritti d’opzione si aggiungono ai diritti sociali tradizionali permettendone una gestione individuale della flessibilità. Il gruppo raccomanda di iniziare la riflessione sulla ri-configurazione del diritto del lavoro in termini di distribuzione di diritti di prelievo sociali, nozione che sembra atta ad incontrare l’esigenza di una “sicurezza attiva nell’incertezza”.                                                                                                                                              

 

LAVORO E TEMPO

 

L’analisi

 

A prescindere dalla problematica quantitativa dell’orario di lavoro, che è realmente importante ed è stato oggetto di dibattiti molto attuali, il gruppo di esperti si è concentrato sull’analisi della problematica qualitativa. Tre nuovi elementi rovesciano in effetti la percezione del tempo sociale. Per prima cosa, il tempo fordista era una norma generale del lavoro e di conseguenza la sua regolamentazione era uno degli strumenti regolatori privilegiati. Ora, questo strumento è adeguato soltanto in un quadro tayloriano di produzione di massa. La comparsa di nuovi modi di produzione esige altre norme di misura del lavoro, della subordinazione che gli è legata e delle insicurezze che fa sorgere. In particolare, la terziarizzazione di molti lavori, ivi compresi quelli del settore manifatturiero, modifica qualitativamente la relazione al tempo. Così, il surmenage (strapazzo) e la mobilizzazione totale del lavoratore possono paradossalmente andare di pari passo con una diminuzione formale dell’orario di lavoro. Il mantenimento di una norma puramente quantitativa del tempo rischia dunque di mascherare la diversità dei modi d’implicazione al lavoro, richiedendo nuove protezioni. In secondo luogo, la flessibilità dell’organizzazione del lavoro comporta una frammentazione del tempo, secondo due punti di vista. Dal punto di vista del lavoratore individuale, il tempo parziale ed il tempo flessibile sono tanto promesse di libertà quanto minacce di aumento della subordinazione. Le donne in particolare sono vittime del processo. La questione chiave a tale riguardo risiede nei dispositivi di negoziato della flessibilità e del ricorso al tempo parziale. La differenza è grande tra i paesi dove il processo è stato negoziato collettivamente (Paesi Bassi) ed i paesi dove fanno difetto questi inquadramenti collettivi. Dal punto di vista collettivo, la frammentazione del tempo comporta nuovi problemi di coordinamento. I ritmi collettivi sono rotti e con essi le condizioni di un’integrazione sociale. Il dibattito sul riposo domenicale è rivelatore su questo punto. Infine, appare chiaramente una nuova problematica del tempo disponibile, impercettibile in termini fordisti. Questi definiscono a torto il tempo disponibile come un tempo di riposo. Ora, questo tempo è dedicato in parte a compiti non professionali (istruzione, compiti domestici, vita comunitaria), che occorre trattare come veri lavori. Aggiungiamo che il lavoro proietta la sua ombra sul tempo disponibile (lavoro a chiamata, compiti non contabilizzati ecc.). Di conseguenza si pone la questione delle condizioni d’efficacia della  libera disposizione del tempo non professionale.

                                                                                                                                      

Gli orientamenti

 

Anche se si deve optare per il tempo uniforme, non si può negare che il diritto può garantire un minimo d’integrazione delle temporalità. A questo scopo, il gruppo ha evidenziato alcuni orientamenti:

 

- una versione comprensiva del tempo individuale e del tempo collettivo è imposta dal diritto. Si devono trarre tutte le conseguenze del principio generale dell’adattamento del lavoro all’uomo (e non l’inverso). Sul piano individuale, occorre per esempio non limitare soltanto la riflessione al tempo della prestazione, ma includere anche una riflessione sulla durata del contratto. Questa non è senza incidenza sulle condizioni d’apprendimento delle norme elementari di sicurezza, per esempio. Inoltre, il tempo della vita, con le sue varie esigenze (maternità, educazione dei bambini, formazione...) deve essere mantenuto in modo comprensivo. Sul piano collettivo, il diritto deve vigilare sul rispetto di alcuni principi che strutturano il coordinamento ed i ritmi sociali, sia quelli della famiglia che quelli della città;

 

- questa concezione è declinata in principi sostanziali. Principi generali, che aprono a diritti soggettivi effettivi, devono essere garantiti, compresi a livello comunitario. Per esempio, il diritto ad una vita familiare e sociale è un principio sancito dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo; esso va più lontano della direttiva 93/104, che resta ancorata ad una definizione fordista del tempo libero e si preoccupa soltanto della salute e della sicurezza del lavoratore. La questione del lavoro notturno potrebbe essere riferita a questa serie di principi;

 

- questa concezione è attuata in dispositivi collettivi di negoziato. L’individualizzazione dell’orario non deve essere confusa con la ri-contrattualizzazione del negoziato sull’orario. I negoziati collettivi sono il livello più adeguato di produzione della norma temporale. Devono essere sistematicamente incoraggiati, sotto pena di sanzioni. Ma ciò suppone una modifica significativa delle coordinate del negoziato collettivo, di cui andiamo ora a trattare.                                                                                                                                                    

 

LAVORO ED ORGANIZZAZIONE COLLETTIVA

 

L’analisi

 

Riguardando il negoziato collettivo, il gruppo di esperti ha potuto constatare il dinamismo stupefacente di questa istituzione fordista in via di ri-configurazione, dinamismo caratterizzato da un’estensione tripla. Estensione degli oggetti del negoziato innanzitutto, nella misura in cui il negoziato rientra ormai risolutamente nel campo della gestione delle imprese (flessibilità del tempo e del lavoro, piani sociali) e collega il mondo degli attivi al mondo degli inattivi (salvaguardia dell’occupazione). Estensione dei soggetti, in seguito, nella misura in cui questi negoziati riguardano ormai anche lavoratori non salariati o padroni atipici (mondo associativo). Estensione delle funzioni, infine, che, oltre alle funzioni di gestione interna all’impresa, si esprime in una complessità notevole della relazione tra legge e convenzioni collettive: la convenzione collettiva si vede affidare funzioni d’attuazione dell’imperativo legale o funzioni quasi legislative, sia perché la legge si annuncia come suppletiva riguardo alla convenzione, sia perché l’elaborazione della legge è rinviata alla concertazione sociale (a livello comunitario, questa tendenza è consacrata l’art. 3 dell’accordo sociale di Maastricht). Tuttavia, questo dinamismo deve essere messo in relazione con due elementi di disturbo sulla concertazione sociale, che a loro volta ne risultano e l’alimentano. C’è per prima cosa un disturbo sulla rappresentanza: da una parte, si constata una tendenza alla de-sindacalizzazione; dall’altra si affermano la frammentazione e la complessità della rappresentanza, in seno al mondo sindacale o all’esterno di esso, mediante la comparsa di rappresentanze alternative (disoccupati, altri gruppi d’interesse come i consumatori o i difensori dell’ambiente). Ciò comporta un doppio movimento di ricomposizione interna dell’attore sindacale e/o della sua relativizzazione in seno all’arena del negoziato. Lo stesso processo si osserva dalla parte padronale, caratterizzata da una super-rappresentanza dell’impresa industriale rispetto al “nuovo padronato” (piccole e medie imprese, in particolare). Il secondo disturbo riguarda l’architettura della concertazione. Da una parte, si assiste ad un ri-accentramento in seno allo statuto fordista: l’impresa tende ad essere ad un livello sempre più privilegiato a detrimento del ruolo centrale attribuito tradizionalmente al ramo professionale (comparsa del Ôfflnungsklauseln in Germania, in Italia ed in altri paesi). D’altra parte, uno statuto in gestazione tende a sovrapporsi allo statuto fordista. Alla gerarchia impresa/settore/nazione si sovrappone tendenzialmente una costruzione impresa/reti di imprese (gruppi, territori...)/Europa. Il coordinamento delle istanze diventa di conseguenza estremamente confuso, confusione che si evidenzia in particolare nelle difficoltà d’interpretazione del principio di benevolenza, principio fondamentale del diritto del lavoro tradizionale.

                                                                                                                                      

Gli orientamenti

 

Di fronte a queste tre evoluzioni, il gruppo di esperti raccomanda:

 

- il sostegno attivo delle istanze statali (comunitarie in particolare) alla ricomposizione del negoziato collettivo: l’apertura del campo del negoziabile, la pluralità dei soggetti e delle funzioni del negoziato devono essere incoraggiate come la sola risposta alle esigenze di flessibilità che siano conformi alla tradizione del diritto del lavoro. Questo sostegno può passare attraverso obblighi da negoziare e disposizioni procedurali in materia di rappresentanza;

 

- per quanto riguarda la rappresentanza: il gruppo vede un pericolo in relazione all’accentramento esclusivo dell’impresa. È in questa prospettiva che ha abbordato il dibattito sul doppio sistema di rappresentanza (consigli d’impresa/delegazione sindacale). Il gruppo ritiene che la loro complementarità prevalga sulla loro discordanza. Questa complementarità deve essere pensata come quella di un sostegno reciproco. I sindacati hanno bisogno di rappresentanti in seno alle imprese, la cui la legittimità può avvenire per via elettiva; per contro, la rappresentanza d’impresa deve potersi sostenere su istanze di coordinamento a livello più elevato, per attenuare gli effetti di “corporativismo d’impresa”. Inoltre, mette in guardia contro qualsiasi tendenza neo-corporativista, che rifiuterebbe forme di rappresentanza alternativa: l’apertura degli oggetti, dei soggetti e delle funzioni implica ipso facto l’apertura a forme alternative di tematizzazione dell’interesse collettivo. Tutto ciò conduce, in conformità con le tendenze della giurisprudenza (francese in particolare) a sconsigliare il principio del monopolio sindacale puro e semplice;

 

- per quanto riguarda la pluralizzazione dei luoghi di negoziato: senza negare la pertinenza di altre istanze, il gruppo di esperti sottolinea l’importanza della ri-configurazione centrata su reti di imprese (di cui la direttiva 92/57 costituisce un avvio) e reti territoriali che riuniscono imprese ed altri gruppi di interessi (a livello comunale o regionale, per esempio). Questa configurazione sembra adatta ad affrontare le sfide sorte dalla ri-organizzazione delle imprese e, più generalmente, potrebbe facilitare il passaggio da una politica dell’occupazione ad una politica del lavoro, nel senso definito sopra. Per ciò che riguarda il principio “di benevolenza”, il gruppo raccomanda non di attenersi ad un’interpretazione individualista e monetaria dell’interesse del lavoratore, ma d’integrare altri criteri, collettivi e non monetari.

                                                                                                                                      

 

LAVORO E STATO

 

L’analisi

 

Con il fordismo, lo Stato nazionale e keynésiano è entrato in crisi. Sono soprattutto le condizioni della regolamentazione che sono state rovesciate: lo Stato fa fronte ad un’individuazione crescente degli stili di vita e delle domande cittadine, individuazione che contesta apertamente il carattere paternalista che ha potuto prendere lo Stato-provvidenza. Inoltre, l’apertura del mercato europeo, le restrizioni di bilancio e l’esigenza di lotta contro l’inflazione mettono un termine all’espansione continua dei servizi statali. In secondo luogo, le condizioni dell’azione pubblica si modificano. Al livello dei servizi pubblici, il movimento generale è il passaggio da uno Stato che gestisce ad uno Stato che garantisce. Ciò suppone nuove forme d’intervento nella società civile. Da parte sua, il settore pubblico non è risparmiato: lo statuto particolare del funzionario tende a trasformarsi in un contratto di lavoro privato (a gradi diversi secondo i paesi). Infine, trasferimenti relativi della sovranità sono stati consentiti a vantaggio dell’Unione. Queste tre evoluzioni minacciano le possibilità d’autodeterminazione della società politica. Questa non può essere soddisfatta né da uno Stato minimo (neoliberalismo) né dal mantenimento puro e semplice del Stato-provvidenza. Un nuovo modo d’intervento dello Stato deve essere individuato, specialmente in materia socioeconomica.

 

Gli orientamenti

 

Il gruppo di esperti suggerisce che questa rifondazione sia legata ad una concezione globale dei diritti sociali basata sulla solidarietà. Secondo il gruppo, questa solidarietà non deve essere concepita soltanto come una solidarietà di fronte al bisogno individuale. Tale comprensione accorderebbe i diritti sociali soltanto in situazione di carenza individuale acclarata. Trasformerebbe lo Stato sociale in Stato d’assistenza, o di carità. Il suo oggetto non deve più essere definito come una protezione passiva degli individui e delle imprese, sulla base di un catalogo di rischiose chiusure. Si tratta piuttosto di una solidarietà che garantisce una sicurezza individuale e collettiva di fronte al rischio, nel senso definito (in particolare al capitolo VII del rapporto).                                                                                                                                              

Due tipi di garanzie devono potere essere portate in questo settore:

 

- garanzie procedurali. I diritti sociali suppongono la partecipazione delle persone interessate alla loro determinazione attraverso mediazioni collettive, in particolare attraverso rappresentanze riconosciute e istanze di concertazione sociale demoltiplicate. Se la legge fissa i grandi obiettivi del sistema, la loro attuazione è chiusa in una logica convenzionale. Pertanto, la convenzione non appare più come un semplice modo di regolazione dei rapporti tra le parti, ma come uno strumento giuridico d’associazione delle parti per il perseguimento degli obiettivi definiti dalla legge. In questo lavoro d’appropriazione dell’interesse generale, agenzie indipendenti potrebbero svolgere un ruolo utile, a condizione di essere gestite da una gamma aperta di attori collettivi.

 

- garanzie sostanziali. In termini di contenuto materiale, in modo prioritario l’Unione europea dovrebbe preoccuparsi di garantire i diritti sociali fondamentali a livello europeo. Questi principi di base, che si trovano già parzialmente riconosciuti nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali, potrebbero utilmente essere costituzionalizzati. Tale prospettiva s’inscrive naturalmente nella dinamica comunitaria, segnata dalla prevalenza del socioeconomico, in questa fase della sua costruzione. Questi diritti fondamentali devono essere declinati nei quattro ambiti definiti sopra, secondo il principio di sussidiarietà. Più che quello di protezione sociale, il concetto di cittadinanza sociale sembra adatto a sintetizzare oggi gli obiettivi di un re-impiego del diritto al lavoro e del diritto sociale in generale. Nonostante la diversità di concezioni nazionali della cittadinanza, questo concetto potrebbe costituire uno strumento concettuale adeguato per pensare il diritto sociale a livello europeo. Presenta l’interesse di essere includente (copre numerosi diritti, non soltanto l’affiliazione all’assicurazione sociale); collega i diritti sociali alla nozione d’integrazione sociale e non soltanto a quella di lavoro; e, soprattutto, connota l’idea di partecipazione. La cittadinanza suppone in effetti la partecipazione delle persone interessate alla definizione ed all’attuazione dei loro diritti. È inoltre notevole constatare che la cittadinanza sociale può essere oggetto di un riconoscimento giuridico, come è già in Germania.

                                                                                                                                      

 

LA LOTTA CONTRO LA DISCRIMINAZIONE UOMINI/DONNE

 

L’analisi

 

Il gruppo di esperti ha ritenuto che in ragione della sua importanza e della sua permanenza, la questione della discriminazione uomini/donne nel campo del lavoro meritasse di essere trattata in un capitolo distinto. La constatazione di base è la seguente: le trasformazioni attuali del lavoro introducono fattori di discriminazione uomini/donne che non si sostituiscono, ma si aggiungono ai fattori di discriminazione che trovavano la loro fonte nell’organizzazione del lavoro sorta durante l’industrializzazione. Questa organizzazione, che stabiliva una separazione tra un lavoro femminile riproduttivo ed un lavoro maschile produttivo, è stata formalizzata dal diritto del lavoro classico. Come si sa, quest’ultimo fu in effetti segnato da un forte pregiudizio patriarcale, che trasforma il lavoratore di sesso maschile nel suo referente quasi esclusivo. Nonostante l’entrata in massa delle donne sul mercato del lavoro a partire dagli anni sessanta, il diritto del lavoro non è riuscito a venire a capo delle discriminazioni: l’estensione dell’uguaglianza formale alle lavorattrici ha permesso di lottare contro alcune discriminazioni, ma sono sfuggiti fattori reali di discriminazione sorti della divisione sessuale del lavoro e dalla ripartizione delle responsabilità domestiche. Le disparità salariali ed il sovraccarico di lavoro (il “doppio giorno di lavoro”) sono persistiti. A questa situazione, si aggiungono ormai due serie di fattori che peggiorano le discriminazioni. Le trasformazioni attuali del lavoro, in tutti i registri che abbiamo citato sopra, hanno effetti reali particolarmente pesanti per le donne: l’aumento della subordinazione, l’insicurezza aumentata, la perturbazione della vita privata dalla flessibilità degli orari... toccano particolarmente le donne. A questi fattori endogeni al campo produttivo si aggiungono fattori esogeni, sorti dalla trasformazione della vita familiare, che hanno spesso per risultato l’aumento delle costrizioni economiche che pesano sulle donne, che rafforzano così gli effetti dei primi fattori.

                                                                                                                          

Gli orientamenti

 

Di fronte a queste discriminazioni peggiorate, il gruppo di esperti raccomanda:

 

- di prolungare lo sforzo d’uguaglianza formale uomini/donne in tutti i settori dove ciò risulta sufficiente;

 

- completare queste protezioni con misure specifiche che tengano conto di situazioni particolari delle donne e delle diseguaglianze persistenti nella ripartizione dei compiti domestici: congedi di maternità, continuità dello stato professionale nonostante interruzioni, congedi educativi ecc. Queste misure possono portare ad un’azione positiva; a tale riguardo, il gruppo invita la Commissione e gli Stati membri ad utilizzare, senza timidezza eccessiva, l’articolo 141.4 del trattato di Amsterdam;

 

- di portare un’attenzione particolare alla questione della rappresentanza degli interessi delle donne nei negoziati collettivi. Tenuto conto della strutturazione ancora maschile del mondo sindacale e padronale, occorrerebbe interrogarsi sulla possibilità di introdurre obblighi particolari di rappresentanza femminile nelle istanze della concertazione sociale.

 

 

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Composizione del Gruppo di Esperti

 

Maria Emilia Casas

Professor – Complutense University of Madrid

 

Jean De Munck

Professor – Louvain University (College Thomas More)

 

Peter Hanau

Professor – Cologne University

 

Anders Johansson

Professor – Stockholm University

 

Pamela Meadows (da gennaio 1998 a febbraio 1998)

Professor – Policy Studies Institute (LOndon), Senior Research Fellow, National Institute of Economic and Social Research, London

 

Enzo Mingione

Professor – Padova University

 

Robert Salais

Director – Laboratory «Institutions et Dynamiques Historiques de l’Economie» (CNRS-Ecole Normale Supérieure de Cachan)

 

Alain Supiot

Professor – Nantes Universiy, Member of Wissenschaftskolleg zu Berlin

 

Paul van der Heijden

Professor – Amstedam University

 

                                                                

                                                                 General Rapporteur – Alain SUPIOT

 



[1] Letteralmente “chi porta il pane a casa”.