Sguardo sull’intervento sociale

 

di George Bertin

 

     (Traduzione italiana di Paolo COLUCCIA – paconet@libero.it http://digilander.libero.it/paolocoluccia)

 

***

 

 

George Bertin, dottore abilitato in scienze sociali, è direttore generale dell’Istituto di formazione e di ricerche in scienze sociali d'Angers, membro del Centro di ricerche sull’Immaginario, direttore di ricerche associato all’Università di Pau e dei paesi dell’Adour (laboratorio Processo, accompagnamento, formazione).

 

Riassunto

Tra interposizione e mediazione, l’intervento sociale si è caricato di senso nella pratica dei suoi operatori, in particolare nel settore sociale. Partendo dalla figura mitologica di Hermès, proponiamo, in quest’articolo, dopo aver passato in rassegna gli usi e i metodi, di porla come prassi sociale, in una duplice dimensione: euristica e operativa, essendo l’una e l’altra legate nelle loro implicazioni dialettiche ai loro campi di produzione e d’applicazione. La funzione simbolica vi sarà riabilitata come terza, in seno alle “traiettorie” indotte dalle posizioni dell’intervento.

 

Parole chiave: intervento, mediazione, prassi, ermeneutica, simbolo, immaginario, traiettoria.

 

***

 

L’etimologia c’indica che la parola intervento può avere un doppio significato:

 

 

 

Di fatto chi interviene sarà portatore di molti significati, veicolati talvolta a sua insaputa, il che definirà l’ambivalenza di ogni intervento, prima sopravveniente, visitatore, o ancora fornitore di risposte, garante, e anche mediatore, assistente.

 

Si vuole qui prendere in riferimento la figura mitologica di Hermès, il Mediatore, il dio dei mucchi di pietre (herméia). Hermès mostra il cammino, segnala gli spazi sconosciuti. Tutta la sua attività è “tesa verso gli scambi tra le cime dell’Olimpo e i sotterranei dell’Ade” (Sorel, 1998, p. 599).

 

Messaggero di Zeus, si attarda spesso sulla terra, luogo dell’indivisione, e ha partecipato all’invio del Male agli umani da parte degli Dei dell’Olimpo sotto forma di una donna, Pandora. Mettendo nel cuore di Pandora menzogne, parole seducenti ed ingannevoli, ha teso una trappola all’uomo e si trova dunque nell’incavo del doppio senso e dell’enigma. La sua parola è spesso contorta, ma allo stesso tempo, è il compagno degli uomini poiché presiede agli scambi, favorisce i contatti.

Hermès è nella sua origine alla congiunzione delle polarità sfavorevoli. Nato dall’unione del luminoso (Zeus Olimpio) e del sotterraneo (Maia, figlia d’Atlante alloggiata in una caverna), egli congiunge ciò che è distinto: la cima ed il fondo. A lui tocca il compito di fare il fuoco sfregando un bastone maschile in una tazza femminile. Nel rituale di spartizione di Hermés, l’uguaglianza delle proporzioni delle parti è rispettata e cancella il risentimento di Zeus contro gli uomini. Quando guida il vecchio re Priamo fino alla tenda di Achille, egli è ben colui che congiunge ciò che è separato. Infine, padroneggia la lingua, l’impiego a doppio senso della parola, posto che è al crocevia dell’uso pericoloso della parola e del silenzio. È il dio mediatore del senso. Errando, è presente fra gli uomini, sia per il loro bene, sia per privarli. Il giorno della sua nascita, ha superato la soglia della grotta materna per ritornarvi il giorno stesso poiché è dentro/fuori. Agendo nell’oscurità e nella luce, ne conserva la funzione di psicopompo[1] che guida le anime verso gli inferi ma anche verso l’alto. Così, ricorda Eracle che trascina Cerbero. Conoscitore dei trucchi per uscire dall’Inferno, è il dio di tutti coloro che cercano, portatore di conoscenza, d’illuminazione, di discernimento, qualsiasi compito di cui si deciderà che siano ancora oggi (per quanto tempo?) quelli che si assegnano spesso all’interveniente.

L’ermeneutica, per noi propedeutica d’ogni intervento, mira dunque alla rigenerazione dell’essere umano poiché la conoscenza è vista come strumento di perfezionamento. E, come sottolinea Gilbert Durand (1985, p. 306), arriviamo a questo punto esatto dove l’ermetismo della nostra epoca forza l’interveniente al pluralismo inerente al riconoscimento del tragitto antropologico. Il mito di Hermès risolve, di fatto, a suo dire, l’indicibile del dilemma di ogni intervento, cioè, rapportato al contesto dell’analisi istituzionale: “Insieme di operazioni fatte su richiesta di un cliente per delucidare le strutture ed il loro funzionamento interno” (Lapassade, 1975). L’intervento, in scienze umane, è il luogo privilegiato del legame tra:

·        Teoria e pratica,

·        Azione e riflessione,

·        Laboratorio e terreno.

In scienze antropo-sociali, anche se non è tanto di (questa) disciplina che si preoccupa l’intervento:

1. In psicanalisi, designa così l’abuso di autorità con il quale un analista istituisce un rituale secondo il quale egli è solo padrone a bordo, a partire dalle rimozioni dei problemi del suo cliente o dell’istituzione-cliente.

2. Per i psicosociologi, l’intervento è più un insieme di pratiche che mirano a facilitare un cambiamento non soltanto nelle relazioni umane ma anche in alcune disposizioni, strutture e regolazioni delle organizzazioni e delle collettività (Ardoino, 1977). È dunque, allo stesso tempo, un metodo, una deontologia, una prassi. La si distinguerà qui dalla competenza quando i psicosociologi hanno il compito di realizzare dispositivi che facilitino gli scambi degli attori interessati, per una migliore comprensione delle situazioni vissute, un lavoro collettivo che arriva all’introduzione di cambiamenti di atteggiamenti e di metodi.

3. Alla congiunzione di queste due discipline, i sociopsicoanalisti (Mendel, 1969) pensano l’intervento in una visione di studio dell’anima collettiva sottoposta alla doppia pressione alienante dell’inconscio e dell’ambiente. Da cui:

·        l’aggiornamento del conflitto coscio ed inconscio esistente all’interno di una società,

·        lo studio delle tensioni e dei sintomi nevrotici o psicotici della civiltà moderna (cfr. l’opera di Reich, Bertin, 2004),

·        l’attuazione di socioterapie o d’interventi sociopsicoanalitici.

4. Un’altra scuola, legata al movimento istitutionalista, fondata contemporaneamente sulla psicanalisi e sull’analisi critica di tipo marxista o anarchico sindacalista, (Ardoino, Lapassade) concepisce l’intervento come socioanalitico. Questo metodo designa un passaggio pratico e che consulta e collega un sistema, l’analisi, ad un’organizzazione ed ai suoi gruppi. L’interveniente, un terzo, vi tenta una comprensione dialettica della realtà in una mediazione positiva (neutrale) o negativa (ingerente).

5. Per gli economisti, l’intervento è diventato dottrina, l’interventismo, che designa l’intervento più o meno ampio dello Stato, una pianificazione flessibile, imperativa, che mira all’aumento degli scambi. Esso si manifesta in due versioni:

·        liberale, quando lo Stato interviene per vegliare sulla concorrenza,

·        sociale quando si occupa di correggere le diseguaglianze.

Esso ha, in tutti i casi, per scopo:

·        La trasversalità, sia lo studio dei funzionamenti propri dei gruppi rigidi, dei loro meccanismi di fusione, quando sono posti in un immaginario indifferenziato, che i ruoli sociali vi sono negati dagli individui che li costituiscono, a vantaggio di un collettivo mortifero.

·        L’analisi delle relazioni istituzionali, che costituiscono la realtà dell’organizzazione nella quale i gruppi si trovano qui ed ora.

·        Il cambiamento sociale, che scova le ideologie implicite del gruppo.

Le constatazioni di base sulle quali l’intervento si basa (nel modello sviluppato dalla corrente dell’analisi istituzionale) sono sviluppate da Lapassade (1975) in sette momenti:

Effetto Weber: la società tecnica è sempre meno trasparente agli individui, razionalizzata, tecnicista.

Effetto Lukacs: la società non sa niente di se stessa, c’è rottura tra le condizioni di produzione di una scienza e la sua formalizzazione, essa sfocia in un diniego.

Effetto Heisenberg: gli specialisti delle scienze umane sono, che lo vogliano o no, nell’oggetto della loro ricerca e devono impegnarsi a decostruire i meccanismi di transfert e di contro-transfert di cui sono attori.

Effetto caldo e freddo: la storia alterna i periodi caldi (favorevoli all’analisi istituzionale) e i freddi (dove le condizioni della sua generalizzazione non sono riunite).

Effetto Muhlmann: accade che il pronostico è sbagliato, in  questo caso le norme prendono il sopravvento.

Effetto periferico: il centro è dappertutto, presente soprattutto in periferia (tesi sviluppata in particolare da Lourau in L’Etat Inconscient).

Come si vede, l’insieme di questi principi è lungi da definire, nelle scienze umane, un processo scientifico soltanto finalizzato ad a priori verificabili, a linearità causative e alla produzione della prova. In questi spazi/tempi indefiniti dell’intervento, in entrambe le situazioni esplorate, si profila già una metodologia, quella di ricercatori attivi, o «ricercatori esperti», impegnati ad esplorare più l’interazione nelle sue attività o simbolismi che l’applicazione di modelli predefiniti.

Intervenire significa mettere in campo dispositivi che facilitino gli scambi, la comprensione condivisa delle situazioni  vissute, ciò sfocia evidentemente in un lavoro collettivo che conduce a rivedere i propri atteggiamenti, a cambiare i propri metodi.

L’intervento, poiché partecipa alla comprensione dialettica della realtà, obbliga l’interveniente, in quanto terzo, ad una neutralità espressa sia positivamente sotto forma di riparazione, sia negativamente sotto forma di ingerenza, la quale è intervento invasivo ed istituente.

Qui, l’agente doppio, che è il mediatore o l’interveniente, è allo stesso tempo destinatario e rivelatore, attento allo stesso tempo al non detto dell’istituzione ed alle devianze ideologiche, organizzative o libidinali, non tanto per ciò che sono devianti ma per ciò che sono istituenti del fatto stesso, della loro posizione marginale, quasi triviali (nel senso etimologico del termine: ciò che si tiene al centro delle tre vie). Provocatore, partecipa lui stesso dell’istituzione dell’intervento sociale in quella, molto immaginaria, della società.

Là, la forza dell’approccio simbolico è giustamente introdurre l’intervento, tra immaginario e realtà, come rivelatore del tragitto antropologico, tra polarità sfavorevoli e necessarie, come polo dell’eterogeneità. L’archetipo vi trova la sua forza di coesione comprensiva comune ai regimi dell’Immaginario in conflitto, come risoluzione sempre provvisoria di valori antagonistici.

Contro l’intervento degli organizzatori ordinati nella logica di progetto, ed intestarditi nella conformità delle leggi dell’omologia, l’intervento dinamico si nutre delle tensioni, degli antagonismi, esso è costitutivo delle società e delle culture.

Intervenire, è anche mettere in tensione, e Dumézil (1968) ricordava, molto a proposito, che la società romana era scomparsa in conseguenza della sua depolarizzazione, quando la funzione marziale era prevalsa sulle altre. Nella sua estensione, l’assolutismo reale ha distrutto i tre ordini che definivano, circa da 4000 anni, gli equilibri sociali, nelle società indoeuropee, ordini di cui ci parlano i miti fondatori quando mettono in scena, ad esempio, gli oggetti funzionali dei cortei degli Sciti o del Graal o anche le divinità trine dei Romani, degli Scandinavi e dei Celti.

Coscienze individuali e societarie muoiono per astenia delle tensioni interne, e se le società sono più ricche degli uomini delle loro contraddizioni interne, sono tanto più fragili in quanto si centralizzano, si monopolizzano.

L’intervento mirerà dunque ad attuare questa polarizzazione plurale in un mondo disumanizzato, ridotto ad un sistema formale di relazioni, scientificamente purificato. Procedono da questo stato d’animo le esigenze “di trasparenza” spesso messe avanti da chi comanda interventi più interessati di controllo sociale che di valutazione (Berger ed Ardoino, 1988) e dunque poco accessibili all’alterazione dei sistemi viventi.

Questo sforzo di lavoro su molti campi d’applicazione e teorici come “macchine per produrre senso” (Barbier, 1997) porta a lavorare per aree culturali, a riconoscerne le singolarità, quindi non tanto per produrre classificazioni, anche se il lavoro sociologico ci conduce inevitabilmente ad elaborare tipologie, che ad esaminare nel pubblico interessato:

·        le condizioni di produzione e di ricezione dei fenomeni sociali,

·        la loro veicolazione.

Si vede che questo può essere esercitato soltanto in una prospettiva interattiva e sistemica, da cui la necessità di un approccio trasversale.

Il coinvolgimento conduce il ricercatore esperto ad osservare l’effervescenza del vivente, salvo a confondere reale ed immaginario.

L’intervento, al contrario dei modelli meccanici, quelli degli intervenienti regolatori/operai addetti ai traslochi, non è fondato che sull’organico. È sicuramente una cultura del vivente, nella misura in cui il sociale può essere compreso soltanto nel collegamento (reliance) tra l’individuo ed il suo ambiente. Si esercita fra reale ed immaginario, fra tempo e spazio, fra sacro e profano, fra organizzazione ed istituzione, che cessano di essere percepite contraddittoriamente.

Jung, come Durkheim, aveva percepito che ciò che crea la coesione dei gruppi sociali sono le forme sociali, di cui il mito rende conto, poiché ciò che è unificato nell’uomo sono i suoi contenuti psichici, e l’unità profonda degli esseri umani risiede certamente nell’esperienza del sacro, esperienza del totalmente altro, a sua volta affascinante, attraente e rifiutante, esperienza, in fondo, poetica, poiché i metodi logici si applicano soltanto alla risoluzione di problemi d’interesse secondario ed essendo l’atteggiamento realistico fatto di sufficienza piatta è anche ostile ad ogni slancio intellettuale e morale.

La complessità

Qui, i lavori di Edgar Morin sulla complessità, ci servono su un piano morfologico, quando si tratta di descrivere le situazioni incontrate, quando egli descrive la cultura come sistema che dialettizza un’esperienza vissuta ed una conoscenza costituita tramite i mediatori sociali che sono codici e patterns.

Lascia tuttavia in sospeso ciò che chiama la zona oscura antropo-cosmica con la quale abbiamo a che fare in qualsiasi intervento lavorando sul mito e sul simbolo, che s’impongono a noi.

In questo ricorso alle categorie dell’antropologia simbolica ed a quelle dell’analisi istituzionale, ci troviamo con un sistema interpretativo a tre piani, che fonda ogni analisi dell’intervento sociale che diviene in modo permanente ed in interazione costante:

·        sincronico con Edgar Morin,

·        dialettico con l’analisi istituzionale,

·        culturale con Gilbert Durand, Michel Maffesoli e la corrente dell’antropologia dell’immaginario.

È anche nella riflessione sulla crisi attuale dell’immaginario e dell’immaginazione nelle società attuali che si origina l’approccio di Castoriadis (1999) e la sua meditazione sulla democrazia.

Egli è molto vicino alle analisi di Michel Maffesoli quando interroga nell’uomo il senso della tragedia e la sua autolimitazione (1991). Ma, previene, l’eccesso (hubris) è sempre possibile –  e si riconosce là la figura dell’ombra di Dioniso – che proviene dal sottofondo dell’essere, dall’abisso che dietro è del tutto esistente ma che è anche universo, creazione di forme. La profondità mitica presso Gilbert Durand è così allo stesso tempo rimozione ed attualizzazione, amalgama di contraddizioni. È precisamente ciò che in qualsiasi intervento deve avvenire, nel nostro senso, interrogare e questo porta Castoriadis ad osservare l’immaginazione radicale - sia la psiche che il caos che crea un universo o vis formandi (forza creatrice). “La forma, c’insegna Michel Maffesoli, c’incita a pensare partendo dal parossismo e dall’eccesso” (1999, p. 105 e ss.), e quest’autore interpreta la ragione sensibile come dinamismo e come flusso, che chiama razio-vitalismo-entusiasta, che mette in campo “una forza istituente di cui si può sottolineare il carattere demoniaco” (Maffesoli, 1996, p. 197).

Evocando questo tratto umano che fa sì che l’uomo sostituisca il piacere organico con quello della rappresentazione fornendo alla psiche – è il ruolo dei simboli e dei miti – un’altra fonte di senso, la significazione immaginaria sociale, come l’istituzione, socializza il senso fornendo agli individui in società la fonte di creazione a livello del collettivo e del reale che si origina nella psiche. L’immaginario sociale o istituzione prima della società è il fatto “che la società stessa si crea come società”, (Castoriadis, 1975, p. 291) e questa istituzione primaria s’articola e s’evidenzia in istituzioni secondarie di cui alcune sono trans-storiche –  i miti ne fanno parte.

Durand (1996) descrive questa dialettica tra il sociale ed il mitico (come Castoriadis tra immaginario radicale e sociale) nella definizione che dà del contratto sociale come amalgama di contraddizioni. In lui quest’articolazione si gioca su tre piani

E così intervenire consisterebbe precisamente nel collegare paradossalmente i tre piani nel gioco delle corrispondenze trasportate dal mito, sempre supportato a sua volta da antagonismi e da dinamiche contraddittorie. L’intervento è qui, in quest’aggiornamento del inconscio sociale, luogo d’incontro, di coincidenza degli opposti, così come ce lo rivelano i miti, forme sociali, totalità espresse nelle loro parti; ed abbiamo individuato che queste forme esprimono, mettono in rappresentazione la relazione che noi intratteniamo nel tempo.

Ogni epoca incarna, infatti, i principi del suo funzionamento sociale nei suoi miti, cosa che interessa naturalmente la sociologia dell’intervento. Questi principi si succedono secondo cicli o leggi generali che ne governano i ritmi e tutti i fenomeni sociali vi sono sottoposti, secondo una curva diluita con i ritardi.

Queste grandi correnti trascinano gli uomini e si rivelano a noi, con le concezioni e le opinioni che dominano in un’epoca data, dallo stato d’animo e dalle azioni di questi uomini, nell’immaginario sociale di cui sono al loro volta matrici e motori.

Quest’aspetto (l’articolazione dei poli reale-immaginario-simbolico) è poco trattato dalle sociologie dell’intervento sociale, benché i partner incontrati ce ne parlino quasi spontaneamente, come se oltre le questioni di funzionamento, sempre pretesto ad un intervento, ciascuno lo incontri, nelle sue preoccupazioni quotidiane, esistenziali, poiché il simbolismo soltanto è suscettibile di aiutarlo a lavorare sulla questione del senso che può dare alla sua azione.

Questo ci obbliga dunque a pensare l’intervento nelle categorie del coinvolgimento dell’esperto ricercatore e dell’ermeneutica come assimilazione dinamica del senso con il senso, poiché “si apre alle contraddizioni proprie dei simboli, dunque non lascia spazio ad interpretazioni razionali” (Humeau, 2004).

Infatti, le immagini simboliche, lungi da essere residui passivi, sono dotate a loro volta di possibilità di rappresentazioni accordate ai nostri sistemi di rappresentazione e di un’energia incredibile di trasformazione di quelli, cosa che resta, ci sembra, il proposito d’ogni intervento sociale.                                                                                                                                   

 

Riferimenti bibliografici

Ardoino Jacques, Education et Politique, Paris, Editions Anthropos, 1999, 2a edizione.

Barbier René, L'approche transversale, l'écoute sensible en sciences humaines, Editions Anthropos, Paris, 1997.

Berger G. e Ardoino J., D'une évaluation en miettes à une évaluation en actes, Paris, Matrice/UNESCO, 1988.

Bertin Georges, Wilhelm Reich, un imaginaire de la pulsation, Québec, PUL, 2004. 

Bertin G et Liard V., C. G. Jung et les grandes images, à paraître, Québec, U. de Laval, 2005.

Castoriadis Cornélius, L'institution imaginaire de la société, Paris, Le Seuil, 1975.

Castoriadis Cornélius, La montée de l'insignifiance, Paris, Le Seuil, 1996.

Dumézil Georges, Mythe et épopée, Paris, Gallimard, 1968.

Durand Gilbert, Les structures anthropologiques de l'Imaginaire, Paris, Dunod, 1985, 10a edizione.

Evans Moyra, An Action research Enquiry, Thèse de doctorat, Bath University, 1993.

Gomez Jean-François, Le Temps des rites, handicaps et handicapés, Paris, Desclée de Brouwer, 1999.

Humeau Magali, Imaginaire et connaissance, l'implication de l'enseignant dans les savoirs enseignés, communication présentée au séminaire de l’IFORIS: Implication, Imaginaire, Institution. Juillet 2004. 

Imbert Francis, Pour une praxis pédagogique, Paris, Matrice, 1985.

Lagache Daniel, L'unité de la psychologie, Paris, PUF, 1949

Lapassade Georges, Socianalyse et potentiel humain, Paris, Gauthier Villars, 1975.

Lobrot Michel, La pédagogie Institutionnelle, Paris, Gauthier-Villars, 1966.

Lourau René, L'Analyse Institutionnelle, Paris, éditions de Minuit, 1970.

Lourau René, L'Etat inconscient, Paris, Minuit, 1973.

Maffesoli Michel, La connaissance ordinaire, Paris Librairie des Méridiens, 1985.

Maffesoli Michel, L'ombre de Dionysos, essai pour une sociologie de l'orgie, Paris, Méridiens Klinsckieck, 1991.

Maffesoli Michel, Eloge de la raison sensible, Paris, Grasset, 1996.

Magnin Thierry, Entre science et religion, quête de sens dans le monde présent, Monaco, éditions du Rocher, 1998.

Simmel Georg, Sociologie et épistémologie, Paris, PUF, 1981.

Sorel Reynal, Hermés, in « Dictionnaire critique de l'ésotérisme », Paris, PUF, 1998.

Wunenburger Jean-Jacques, Philosophie des images, Paris, PUF-Thémis, 1997.

 

Nota

Bertin Georges, Regards sur l’intervention sociale, in « Esprit critique », Autunno 2004, Vol. 06, No. 04, ISSN 1705-1045, consultabile su Internet: http://www.espritcritique.org  

                                                                                             

***

 (Traduzione italiana di Paolo COLUCCIA – paconet@libero.it http://digilander.libero.it/paolocoluccia)


 

[1] “Psicopompo” è il nome del dio Mercurio quando accompagna il carro dei defunti (NdT).