Lo sguardo di Windows

La seduzione della tecnologia nel pensiero di Ivan Illich

 

di Paolo Coluccia

(paconet@libero.it)

 

II PARTE

 

 

2. La distopia istituzionalizzata e lo sviluppismo tecno-scientifico portano alla distruzione delle capacità umane. Si tende all’ipertelia, che «è lo sviluppo esagerato e sterile di alcuni organi negli esseri viventi», disse ad un intervistatore Roger Caillois. Parafrasando, egli osserva che si tratta di «un’inflazione mortale, l’esaurimento del senso a causa della crescita del segno, in breve è qualcosa che va oltre la propria finalità»[1]. Significa nella sostanza la cessazione della produzione umana, in quanto s’innesca un processo non umano di controproduzione e di monopolio radicale.

 

2.1 Agli inizi degli anni 70, in piena crisi energetica, il Club di Roma diffuse l’idea che la produzione di beni materiali avrebbe finito per distruggere la natura. Pertanto, bisognava orientare l’economia verso la produzione di servizi (beni immateriali). Illich gridò apertamente il suo dissenso a questo disegno di politica economica, frutto secondo lui della mente frastornata di autentici dilettanti, e non esitò a dichiarare che questo nuovo tipo di produzione, oltre una certa soglia, sarebbe stato molto più distruttivo per la cultura umana, più di quanto non lo fosse la produzione di merci per la natura.

Nel 1976, dopo la chiusura del Centro Interculturale di Documentazione (CIDOC) di Cuernavaca in Messico, egli cominciò, da filosofo itinerante, ad esaminare e ad approfondire nuovi temi, intraprendendo nuovi percorsi di ricerca, che spesso disorientavano per la diversità tematica anche i suoi stessi allievi: il modello vernacolare, l’archeologia delle certezze moderne, le professioni dominanti, la tirannia dei sistemi, la storia del corpo, dell’ospitalità e dell’amicizia, il genere e il sesso, l’acqua ridotta ad elemento chimico e privata dell’intrinseca dimensione di sogno, il senso della giusta misura o della proporzionalità, la visione del presente nello specchio del passato, la sparizione del terreno da sotto i piedi ecc. Su tutti questi temi, la tecnologia, o meglio, la seduzione incontrollata dello sviluppo tecnologico e scientifico, ha giocato un ruolo fondamentale, in quanto ha contribuito a costruire una rappresentazione della realtà nell’immaginario collettivo ed individuale basata su slogan, dal momento che dice qualcosa, mentre fa qualcosa di diverso.

Illich trova l’unità di questi approcci epistemologici in una breve frase: ensarkosis tou logou (incarnazione del verbo). Per Illich, l’incarnazione di Gesù rende il verbo e la carne proporzionali, in un certo senso simili. A partire dall’incarnazione, «la società moderna è il residuo disincantato di comunità raccolte intorno alla fede nell’ensarkosis […] La marcia lenta verso la modernità può allora essere descritta come una perdita progressiva della proporzionalità o dell’analogia tra la parola e la carne, l’uomo e la donna, il corpo e il mondo, i sensi e la natura, i piedi e il suolo»[2]. Quando qualcosa diventa sempre tecnologicamente migliore, dà per risultato qualcosa di pessimo: è questo il significato del concetto Corruptio optimi. Si tratta della corruzione di una parte della storia, fino alla modernità, della trasformazione delle meraviglie in orrori, risultato estremo di una scienza-tecnologia che atrofizza i corpi, spegne l’intelletto, rende inospitale il mondo. È la parola che divorzia dalla carne, la disincarnazione dell’esperienza del mondo, e la speranza per gli esseri umani è che «solo la pratica dell’amicizia può rendere capaci di affrontare insieme questo abisso senza affondarvi»[3].

 

2.2 Possiamo a questo punto porci la seguente domanda: ci è rimasta o no la capacità di essere liberi? Possiamo liberarci dallo sguardo di Windows, pur continuando liberamente ad usarlo in tutte le sue meraviglie, ma senza farci dominare da uno stupido correttore automatico di un suo pacchetto applicativo? Gli animali reagiscono come robot quando diamo loro qualcosa. Gli umani hanno la capacità di scegliere. Ma generalmente si comportano d’animali. Le istituzioni e le tecnologie avanzeranno sempre di più, offrendo sempre più a buon mercato prodotti e  servizi di vario genere, utili o meno utili; ma gli esseri umani hanno e avranno sempre la capacità di essere liberi di scegliere o meno se richiedere o dominare questi servizi e prodotti? Cosa possiamo fare per conservare questa capacità di scelta, questa nostra libertà? Questa capacità e questa libertà sono oggi sotto assalto, da parte delle istituzioni, della tecnoscienza-mercato e da parte degli stessi esseri umani. Dobbiamo ritornare ad imparare ad usare ragione e saggezza per preservare capacità e libertà. Forse tanta libertà è impedita dalle tante possibilità di scelta. Illich pensava che fossero le distrazioni dalle scelte fondamentali della vita quelle che si dovrebbero per forza evitare.

 

2.3 Queste sono le conseguenze più scottanti della seduzione tecnologica: il problema dell’energia, il problema dell’equità. Sullo sfondo della società sviluppata incombe lo spettro dell’iniquità e della sproporzione, giustificato con il dramma della rarità, che non è una falsità della teoria economica: infatti, chi consuma l’80% dell’energia è inversamente proporzionale al numero della popolazione della terra che ne fa uso. Il risultato è inquietante: velocità sempre più alte, strumenti sempre più veloci. Si pensi al record della velocità di 574 km l’ora conseguito il 3 aprile 2007 da un treno francese sulla tratta Parigi-Strasburgo. Meraviglia per il risultato inimmaginabile qualche anno fa, orrore, a parte i costi, per la composizione del treno: due potenti motrici, una in testa e una in coda, e nel mezzo solo tre vagoni destinati al trasporto di quei pochi individui baciati dalla fortuna o dal malaffare che non hanno tempo da perdere, ma certamente a discapito dei milioni di pendolari che perdono un terzo del loro tempo di vita per andare a lavorare con treni lentissimi o in ritardo o di quei miliardi di persone che non hanno mai preso una tradotta. Il risultato è uno solo: la perdita di senso.

In verità, e questa è pazzia pura per molti umani, dovremmo anche cominciare a convincerci che non possiamo più andare per esempio in auto. Ma non sapremo mai rinunciare alla seduzione di vivere gran parte della nostra vita legati ad un sedile, finché qualcuno non ci costringerà a farlo con un atto di forza. Dice Illich: «In un mondo che riesce a dire basta solo quando la natura smette di funzionare come miniera o come immondezzaio, l’essere umano non è orientato verso la propria soddisfazione, ma verso la riluttante acquiescenza»[4].

Nella prospettiva vernacolare-conviviale, persino l’auto può diventare uno strumento conviviale: Illich ha riportato (con il suo amico Jean Robert) l’esempio del Sistema Autostop in un intervento-provocazione durante il «Simposio sulla libertà della bicicletta» nel 1992 a Berlino:

 

Vogliamo raccontare una storia che riflette una certa assurdità circa il nostro modo di vivere: questa storia riguarda il traffico. La raccontiamo perché crediamo che domani mattina tutti potrebbero vivere in una società più tranquilla e, forse, persino basata sulla bicicletta, se soltanto la gente credesse che la semplicità possa guidare la scelta politica.

Secondo il nostro ragionamento, il trasporto può aumentare la libertà di movimento soltanto entro i limiti in cui uno può rinunciarvi. Oggi, tale rinuncia è a malapena possibile in una società in cui l’ingorgo stradale è diventato il paradigma di tutti i generi di consumo. Il trasporto, pubblico o privato, porta ad inevitabili conseguenze. Oltre una determinata soglia, diminuisce la mobilità personale in proporzione al maggior numero di miglia percorse da chi viaggia.

[…]

Immaginiamo che la Suprema Corte ritenga anticostituzionale che si conduca un veicolo per la via pubblica a meno che non si operi come un servizio pubblico. Di conseguenza, tutti i veicoli capaci di portare un passeggero devono accettare quelli che facciano un segno in un luogo e per la strada. Questa decisione potrebbe aiutare a cambiare sul posto tanto il traffico che la nostra mentalità. Per realizzare la decisione, il Congresso approva una legge che limita le patenti ai conducenti di auto che producono passeggeri-miglia e ricavano il loro reddito facendo così. Non c’è bisogno di Samaritani. D’ora in poi tutti coloro che non sono conducenti saranno scorrazzati e tutti i conducenti saranno disponibili come autisti.

È fattibile l’impensabile? Può una semplice sentenza cambiare il modo in cui ora pensiamo al capovolgimento dei beni economici? Senza alcuna innovazione tecnica, può una società trasformare il suo ambiente sociale e fisico? Può un piccolo cambiamento nel tipo di trasporto condurre ad una rivalutazione morale del luogo?

Come immaginare i dettagli? Ogni cittadino riceve una Hack-Card. Se un passeggero potenziale fa segno ad un’automobile che passa con un posto vuoto, il conducente deve fermarsi. L’automobile contiene un computer con tanti posti quanti sono i sedili. Per la costruzione della “scatola nera”, per il modo di riscossione dei crediti e per pagare i conducenti, si direbbe a Toshiba di consultarsi con la Segreteria dell’Azienda.

Si potrebbe fare in modo che le spese facciano parte della dichiarazione dei redditi (che potrebbe rendere i viaggi economicamente vantaggiosi e/o gratis per coloro che hanno redditi bassi) o fare in modo che esse siano spedite come oggi si fa per la fattura del telefono. Ci sarebbero dei luoghi stabiliti dove le persone che aspettano segnalano la loro direzione, e dove ogni automobile che passa con un posto vuoto deve fermarsi se qualcuno fa un cenno. Si potrebbero rendere gradevoli e accoglienti questi luoghi che ricadono negli angoli isolati e ombreggiarli dove i raggi del sole battono.

[…]

Per coloro che qui vedono un progetto, ci sono molte domande pratiche da esaminare. Per esempio:

·           Quanto si snellirebbe il traffico eliminando gli ingorghi?

·           Quanto spazio ne deriverebbe  per i pedoni e le bici?

·           Quanti rinuncerebbero al trasporto, e quando?

·           E chi infine potrebbe permetterselo?

·           Quanti nuovi impieghi nascerebbero per i conducenti contro quelli persi nell’industria automobilistica?

·           Quali conseguenze sociali deriverebbero da una situazione discontinua e dalla flotta di automobili del governo?

·           Potrebbe una persona limitare il privilegio del poliziotto di fare un passo avanti sulla linea quando è in uniforme?

·           Quale sarebbe l’impatto ecologico?

·           E una tale decisione accelererebbe la transizione a meno veicoli inquinanti?

·           Quanto sarebbe salvato negli investimenti pubblici?

·           Quanto velocemente potrebbe questo risparmio creare i fondi per coprire le perdite societarie dovute alla minore costruzione di automobili, comprate e guidate?

·           Come affrontare i sindacati dei conducenti di taxi quando essi provano a sfidare la decisione della Suprema Corte?

·           Come raccontare una storia migliore per inaugurare l’immaginazione sociologica?

Diremo che il sentimento comune gioca a favore della vittoria (corsivo nostro).

Se questo è solo un racconto a sfondo morale, perchè abbiamo l’esperienza di gente che si arrabbia quando diciamo queste cose? È arrabbiata perché non proponiamo una nuova tecnologia? Né difendiamo un’ideologia? Ma è per noi soltanto una semplice proposta per una considerazione ponderato.

Questo è il proposito del libello: scuotere la sclerosi dell’immaginazione morale. Ogni giorno, questa appare paralizzata per la confusione tra la libertà di muoversi e l’invasione dello spazio pubblico da parte delle macchine, tra un’attività umana e l’incorporazione sistemica dell’economia[5].

 

Appare chiaro ed inequivocabile il principio fondamentale su cui si fonda il pensiero più genuino di Ivan Illich, cioè che il successo di ogni riforma può dipendere soltanto da una condivisione concertata di tutti. E per questo occorre una rinuncia radicale del potere.

 

2.4 Mai l’economia e l’interesse speculativo (che in verità hanno da sempre influito sulla tecnica e sulla scienza) hanno creato un divario così grande di bisogni, povertà, ricchezza e miseria. Il nipote di un capo villaggio africano, che tornava in vacanza dopo un periodo di studi in un College all’estero, chiese al nonno di comprargli un orologio da polso. “A che cosa ti serve?”, chiese il nonno; “A sapere l’ora: tutti i miei compagni di scuola portano uno al polso!”, rispose il nipote. “Allora – disse il capo villaggio – chiedi a loro che ora è!”.

L’uomo non è un essere fondato sul bisogno e sull’avere, ma sull’agire. Se gli s’impedisce d’agire (e la tecnologia, oltre una certa soglia, induce all’inattività totale) diventa schiavo della tecnica che lui stesso produce, ovvero causa un controsenso: annulla la sua produzione e genera lavoro ombra. Destra e sinistra tendono a preservare la supremazia dell’economia nella società. Lo sviluppo tecnologico hard-soft pone due interrogativi: proteggere o distruggere la natura? proteggere o distruggere l’economia? Si cerca di rispondere su due assi: Destra (DX) e Sinistra (SX), duro-soffice, che nessuno mette in discussione, e oltretutto nessuno pone la questione della dipendenza dal mercato, come mentalità economica mercantile che si basa sulla creazione di nuovi bisogni e sulla dipendenza. L’economia di mercato è un sistema che si basa su un’ideologia efficace, non su un obbligo e sulla dipendenza. Il suo cuore è l’idea di efficienza. Ma l’efficienza è un assioma, è il dio unico che unisce DX e SX. Nessuno mette in discussione l’efficienza: e questo permette la stabilità del sistema.

Illich contrasta tutto ciò con una mentalità orientata alla “sussistenza”: non tanto il recupero del vernacolare (che ormai è andato...), ma orientamento alla sussistenza (economia informale). Occorre liberarsi dalle categorie economiche, come la povertà e la miseria. Il concetto di decrescita umana (teorizzato da Nicholas Georgescu-Roeghen e recentemente ripreso da Serge Latouche) non contrasta con il miglioramento generale della qualità della vita sociale. L’utopia di Illich si basa su una riflessione etica e pratica della vita. La politica feticizza la vita (individuale e collettiva), la tecnoscienza causa una matematizzazione estrema della realtà. Resistere a questi estremismi significa liberarsi dai feticismi e poter vivere in un mondo più gioioso. Solo la pratica dell’amicizia (suggellata dalla commensalità, da un tavolo comune, un piatto di spaghetti e del buon vino, e una ricca biblioteca a portata di mano) e la riconquista dello spazio comune può preservare l’umanità dalla povertà e dalla miseria, materiale e spirituale, e può permettere di rinunciare alle seduzioni dell’economia moderna fondate sul connubio della tecno-scienza che oltre un certo limite diventa incontrollato e distopico. In ogni caso, però, occorre recuperare la comunità (commons, communaux, usi civici, Allmende, Algme, talvera, gemeentegronden, ejidos: ogni lingua ha e conserva i suoi termini specifici), che è  «l’esatto contrario di una risorsa economica»[6].

 

Conclusione

Dice un detto: la tecnologia non è né buona, né cattiva; ma non è neanche neutra. Questo ci fa riscoprire il tema della proporzionalità e i suoi sviluppi epistemologici. Waldemar de Gregori ha scritto che c’è «la necessità di un nuovo supporto teorico/ideologico perché l’umanità si percepisca in modo nuovo nel processo di globalizzazione e di transizione per un nuovo ordinamento politico, economico e spirituale come parte dell’ecosistema globale: umanità co-proprietaria, co-responsabile e co-creativa di un nuovo mondo possibile»[7]. Solo partendo da una nuova visione del pianeta si fonda una nuova forma di auto-percezione includente, una nuova teoria della globalizzazione, che non preveda esclusi né vittime, né relitti né naufraghi dello sviluppo, per dirla con Latouche, ridotti alla miseria, fantasmi che, nell’ideologia dello sviluppo imperante, si aggirano tra montagne di carcasse arrugginite ed immense distese di rifiuti, dove cercano qualcosa per poter sopravvivere ai margini della sproporzionata opulenza di pochi ricchi. Tra una sproporzionalità alta e una sproporzionalità bassa il punto intermedio è rappresentato dal punto de oro, il punto dorato, che è espressione dell’equilibrio, della giustizia e della bellezza. Questo punto esiste in natura, osserva de Gregori, ma gli umani lo trasgrediscono. Questo punto dorato è la nuova frontiera d’utopia, da costruire ogni giorno, per una nuova epistemologia inclusiva ed universale, nell’amicizia universale dei differenti, a fondamento etico della vita e di una società giusta e fraterna.

Il principio della proporzionalità e il principio della democrazia diretta e partecipativa possono essere le basi su cui impostare una grande rete interdipendente, che si auto crea e si auto organizza, e nello stesso tempo si auto complessifica (secondo il principio dell’autopoiesi di Maturana e Varela), nell’unico strumento conviviale per ri-comprendere e ri-unificare il pianeta e i suoi abitanti all’interno di un grande ecosistema integrato ed interagente. Un mondo di senso che tutti potrebbero ricominciare a gustare, a vivere e a rispettare, nell’esplosiva sintesi che combina i cinque sensi e l’intelletto supportato dalla saggezza (froenesis). Si realizzerebbe un formidabile passaggio politico: dalla econocrazia tecno-scientifica esclusiva (subentrata qualche secolo fa alla teocrazia) alla civicrazia conviviale ed inclusiva.

C’è molta gente nel mondo che lavora e che resiste contro un mondo sempre più impossibile da vivere e da gustare, un mondo economicizzato, tecnicizzato e standardizzato, ma imposto da alcuni, che in realtà sono pochi, ma potenti. Quale lezione possiamo trarre da questo? Abbiamo bisogno di capire dove ci porterà questo tipo di mondo. Non tutti i movimenti umani hanno idee che possono essere adeguate a farci capire questo. L’uomo può avere idee adeguate e inadeguate, per fare un riferimento a Spinoza. Ci sono movimenti terroristici che fanno spesso il gioco dei potenti del mondo, e danno sfogo alla madre delle tecnologie che è la tecnologia bellica. Cosa fare, allora? Occorre che ciascuno di noi sviluppi idee che ritiene adeguate, con lucidità e lungimiranza, per il mondo che sta fuori di noi e per quello che sta dentro di noi.

Non è importante operare sostituzioni di potere, perché potrebbero essere sostituzioni che si riveleranno inadeguate e si ritorcerebbero a loro volta contro noi stessi prima o poi. Occorre che ciascuno cominci per suo conto, poi si confronti con gli altri, in un clima di condivisione e di fraternità, e poi cominciare a ribaltare le convinzioni di ciascuno a partire dal giorno dopo, in un perenne ricominciamento, in un perenniter philosophare. Questo è in sostanza il destino del filosofo, e nessuno di noi può sottrarsi!

 

 

Breve nota bio-bibliografica

 

Paolo Coluccia, dottore in Pedagogia e ricercatore socio-economico indipendente, anche se non strutturato nel sistema universitario, dal 2003 è membro del Centro Interdipartimentale di Ricerca sull’Utopia istituito presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze sociali dell’Università di Lecce. Saggista e traduttore, ha pubblicato La Banca del tempo (Bollati Boringhieri, Torino 2001), La cultura della reciprocità (Arianna, Casalecchio-BO 2002), Il tempo... non è denaro! (BFS, Pisa 2003), Dalla distopia ipertelica all’etica conviviale: verso nuovi fattori di ricchezza, (nel vol. a cura di C. Quarta, Una nuova etica per l’ambiente, Dedalo, Bari 2006) e ha tradotto il libro/rapporto di Patrich Viveret, Ripensare la ricchezza (TerrediMezzo, Milano 2005). Collaborando con saggi e recensioni, fa parte della redazione della “Rivista di Studi Utopici” di Lecce, promossa dal Centro Interuniversitario di Studi Utopici, ed è saggista e traduttore della rivista elettronica  di scienze umane e sociali “M@gm@” di Catania. Ulteriori notizie sull’autore sono su Internet: http://digilander.libero.it/paolocoluccia


 

[1] R. Caillois, Testi e saggi. Tr. it. a cura di Ugo M. Olivieri, Milano 2004.

[2] J. Robert, In memoria di Ivan Illich (2002), in http://digilander.libero.it/paolocoluccia/illich-robert.htm.

[3] Ibidem.

[4] Nello specchio del passato, cit.,  p. 133.

[5] Il testo completo della conferenza è stato tradotto da Lucia C. Antonazzo per le Edizioni Lilliput-on-line sul sito Internet: http://digilander.libero.it/paolocoluccia/AUTOSTOP.htm.

[6] D. Cayley, Conversazioni con Ivan Illich, cit.

[7] Waldemar de Gregori, Manifesto de la Proporcionalidad, in www.ciberneticasociale.org. Questo manifesto è stato sottoscritto da un gran numero d’intellettuali e di scienziati.