Testo di base per l’intervento al Seminario di Città della Scienza/Meridione sul tema:

"Identità meridionale e processi di mutamento",

5 e 6 dicembre 2001.

 

 Paolo Coluccia

Sistemi di scambio locale non monetario e Banche del tempo. Le basi di un progetto locale.

(paconet@libero.it)

http://digilander.libero.it/paolocoluccia                 

 

1. Premessa sui sistemi di scambio locale e le banche del tempo.

1.1. La reciprocità generalizzata. La simmetria. Lo scambio sociale.

                Cos’è la reciprocità generalizzata o, più semplicemente, indiretta? Si dà a qualcuno, per ricevere da qualcun altro. Si scambiano così, senza l’intermediazione del denaro, beni, servizi e saperi. L’azione è locale. Lo strumento è un’associazione senza fini di lucro che in Italia ha preso il nome di Banca del tempo. Il fine è la solidarietà tra i soci e di questi verso la comunità d’appartenenza. L’idea di fondo è che tutti hanno la possibilità di dare e chiunque ha bisogno dell’altro per ricevere. Il comportamento individuale, pertanto, si fonda su una triplice azione: dare, ricevere e ricambiare. E’ chiaro il paradigma antropologico di riferimento che si fonda sul dono (Mauss, 1965). E’ uno scambio tra equivalenti, ma non è come quello degli equivalenti dell’economia di mercato (Zamagni, 1997), dove lo scambio segue la contrattazione diretta (qualcuno cede la merce in cambio del denaro di qualcun altro). Nella reciprocità si dà a qualcuno, per ricevere ciò che occorrerà da qualcun altro in tempi e modi differenti. Al posto del contratto c’è il patto. Ma soprattutto non c’è l’intermediazione del denaro. Questo sistema di scambio reciproco multidirezionale non è nemmeno assimilabile al baratto, come confusamente molti sottintendono, perché anche il baratto si svolge frontalmente tra gli equivalenti: si dà un oggetto in cambio di un altro di uguale valore, d’uso o convenzionale non importa, sempre a seguito di contrattazione. Infatti, "il principio del baratto dipende per la sua efficacia dal modello di mercato" (Polanyi, 1974).

La simmetria è fondamentale in questi rapporti interindividuali. Si manifesta:

a) nella produzione e nell’uso dell’informazione (tutti contribuiscono a creare il circuito informativo di ciò che si dà e di ciò che si riceve – bollettino offerte-richieste);

b) nella parità sostanziale degli individui in rapporto alla prestazione offerta nel sistema (un’ora dell’imbianchino vale quanto un’ora dell’esperto informatico);

c) nel pareggio a saldo di tutti i conti individuali, in dare o in avere, considerato che tutti partono con un conto zero (quando qualcuno riceve si "indebita" mentre chi ha dato si "accredita" di ore di tempo o di unità locali di conto).

                Lo scambio sociale che ne deriva consiste della relazione di ego verso alter; della solidarietà del noi, del legame sociale (condivisione); della comunic-azione (azione-comune). La dimensione umana della reciprocità instaura un nuovo settore sociale: quello della spontaneità e del dono libero. Non si vuole soppiantare lo stato o il mercato, - questo è importante, anche se non è tutto (Rifkin, 2000) e regola gli scambi della maggior parte degli individui (Godbout, 1993) - ma si cerca di immettere nel sistema sociale un’innovazione basata sui fondamenti antropologici e culturali del dono. "Le società hanno progredito nella misura in cui esse stesse, i loro sottogruppi e, infine, i loro individui, hanno saputo rendere stabili i loro rapporti, donare, ricevere e, infine, ricambiare!" (M. Mauss, 1965). Infatti, "l’etica dello scambio sociale permette di concepire una rifondazione della democrazia" (Latouche, 2000).

 

1.2. La Banca del tempo.

Ma come si arriva a creare un sistema del genere, come si pattuisce un sistema di reciprocità indiretta?

"Metti insieme 10-15 individui (e già questo comporta notevoli difficoltà ai giorni nostri, soprattutto perché ciascuno non ha mai tempo!), consegna loro un pezzo di carta e una penna e chiedi di scrivere, oltre ai propri dati, ciò che sanno fare o ciò che vogliono dare o che vorrebbero ricevere. Aggrega le offerte e le richieste su un foglio più grande, fanne diverse copie e consegna una a testa. Ora l’informazione è comune: tutti dispongono dei nomi, dei numeri di telefono, delle attività, delle disponibilità e dei bisogni di ciascuno. Una Banca del tempo autonoma e autogestita come un sistema di reciprocità indiretta nasce proprio così. Decolla quando realmente si comincia a chiedere e ad offrire. Alla fine di ogni prestazione si stacca un tagliando dove si attesta il valore del bene, del servizio o del sapere ricevuto. Si conteggia in ore o utilizzando un’unità di conto convenzionale e locale. Un gruppo di amministrazione coordina le attività, anima l’associazione, aggiorna i conti, cura la redazione periodica del bollettino offerte-richieste, predispone gli strumenti minimi di funzionamento, presenta i nuovi entrati nel gruppo, convoca riunioni periodiche. Si agisce nella massima parità e trasparenza. Chi fa il furbo o cerca di approfittarsi prima o dopo viene scoperto e non ha vita facile. Sembra tutto molto semplice, ma vi assicuro che dopo anni di attività diretta e di analisi di varie esperienze nazionali ed internazionali, non è proprio così. Sembra proprio una bella idea: purtroppo nella pratica succede di tutto, anche l’imprevedibile" (Coluccia, 2001).

 

1.2.1. Questi sistemi di scambio locale si diffondono nel mondo con motivazioni e modelli differenti, anche se si riconosce unanimemente che il sistema iniziale e trainante è stato il LETS di M. Linton, elaborato in Canada sulle ceneri di un’esperienza analoga fallita per ingenuità e per inesperienza dei primi promotori.

 

Dal 1975 si organizzarono in Canada i LETSystem (Local Echange Trading System), che utilizzarono monete locali riferite alla valuta nazionale, al dollaro o al tempo inteso come ora di lavoro. Dal 1985 i LETS, dopo qualche clamoroso fallimento e qualche affinamento tecnico-contabile e con l’apertura della gestione e dell’organizzazione agli aderenti, si sono diffusi rapidamente in Europa (Inghilterra, Germania, Francia, Belgio, Scozia, Italia ecc.) e nel mondo (Argentina, Messico, Venezuela, Brasile, Australia, Senegal ecc.). La parola lets, oltre che il significato dell’acronimo, può significare provocatoriamente anche "Lasciatecelo fare!".

In Francia oltre ai SEL (Sistème d'Echange Local), orientati in senso ecologico ed anti utilitarista, si sono organizzati RERS (Réseau d'Echange Réciproque de Savoir - Rete di scambio reciproco di sapere) e Troc-Temp (Baratto di tempo). Interessante la Route des SEL, organizzazione nazionale di ospitalità per viaggiatori aderenti ai Sel che permette il pernotto gratuito presso le famiglie che vi aderiscono.

In Germania esistono diverse configurazioni di sistemi di scambio: i Tauschringe (Cerchi di scambio), i Talents (sistema Talenti), le Zeitbörse (Borse del tempo). Singolare il motto dei Tauschringe: "Vai, anche senza marchi!" (Lange, 1997; Kreuzberger Tauschring, 1997).

 

In Belgio è testimoniata la presenza e la sperimentazione di SEL e di LETS: quest'ultimo acronimo, a differenza di quello inglese riferito allo scambio commerciale ed economico, significa soprattutto Locale Scambio di Talenti e di Servizi, dove per talenti s’intendono le capacità personali creative dell'individuo (Lacroix, 1998).

 

In Olanda è attivo un gruppo che divulga e sostiene i sistemi di scambio locale: Aktie-Strohalm. Questa associazione ha organizzato a Strasburgo nel 1998 un Seminario Internazionale Lets con il fine di sviluppare questi sistemi non monetari nelle nazioni dell’Est dell’Europa.

 

Nel 1991 ad Ithaca (New York) parte un sistema orientato a controllare gli effetti negativi dell’economia di mercato. Si stampano le Ore di Ithaca, monete locali multicolorate e dipinte, su carta filogranata o su canapa tessuta a mano, con inchiostro termico alle quali si è dato un corso legale parallelo. Alcuni bar, ristoranti e cinema accettano le Ithaca-Hours. Questo contante rispetta l’ambiente, non è speculativo e crea lavoro e consumo responsabile.

In Argentina, sempre agli inizi degli anni 90, si formano i Clubs de Trueque (Clubs di scambio) riuniti successivamente in un progetto di comunicazione denominato Red de Trueque. Con queste associazioni si tenta di rilanciare il dinamismo economico perduto dalle comunità negli anni ’80. La Red cerca di mettere le popolazioni in condizione di rispondere ai problemi di esclusione generati dalla globalizzazione dei mercati. Il motto è: "Il futuro non sta scritto!". Interessante il forum organizzato sul sito http://money.socioeco.org dal 5 febbraio al 5 aprile 2001 sul tema della Moneta Sociale e in preparazione del Seminario internazionale di Santiago (Cile) rivolto alla creazione di un Polo di Socio.Economia Solidale in seno all’Alleanza per un Mondo Responsabile, Plurale e Solidale.

L’Australia conta il sistema Lets più numeroso per numero d’iscritti (si parla di 1800 aderenti) e di famiglie coinvolte nello scambio: il Blue Mountain.

 

In Senegal sono nati i SEC (Sisthème d’Echange Communitaire). Si prefiggono non tanto di generare legame sociale (l’Africa ne ha da "vendere") ma di dinamizzare gli scambi, la reciprocità e l’autoaiuto, mediante reti locali e principi di vicinato e di prossimità, con una particolare attenzione alle persone svantaggiate.

Interessante la recente attività di scambio on-line sulla rete Internet da parte di due organizzazioni: Notmoney in Venezuela (si scambia di tutto: vacanze, viaggi, attività ecc. Stimolante il progetto Interser coordinato da Alberto Moron) e GRB (Global Resource Bank) negli (una Banca globale di risorse che produce ricchezza in maniera conforme alle necessità della produzione e dell’ecosistema: si può godere la prosperità globale, eliminare la povertà, l’inquinamento e rendere l’ambiente naturale sano e generoso mediante gli eco-crediti, la vera ricchezza della terra).

Ultimamente M. Linton ha spostato il suo campo d’azione in Giappone dove sta stimolando, tra tanti problemi e preoccupazioni, sistemi di scambio basati sulla moneta sociale.

In Italia il fenomeno delle Banche del tempo e dei sistemi locali di scambio non monetario che generano altruismo reciproco generalizzato è molto differenziato. Possiamo distinguere, in modo molto approssimativo, tre modelli di Banca del tempo:

- la Bdt organizzata, finanziata e gestita dal Comune, a seguito di deliberazione della giunta comunale, con un funzionario pubblico che fa l'animatore, il coordinatore e il segretario dell'esperienza. Questo modello, sviluppatosi in molte città italiane del centro-nord, vede nella Bdt un servizio pubblico da fornire al cittadino, qualificato come utente o cliente, che per le sue necessità si rivolge ad uno sportello, stacca degli assegni per le prestazioni, si accredita o si indebita per le prestazioni date o ricevute, riceve il suo bravo estratto conto periodico, proprio come avviene nell’immaginario economico e monetario del sistema bancario, solo che al posto delle monete in queste organizzazioni si deposita e si conteggia il tempo.

- la Bdt che nasce all'interno di un’associazione, di una cooperativa o di un’organizzazione sindacale (Arci, Misericordie, Mag, Auser ecc.). Questi gruppi già costituiti e funzionanti fanno muovere (a mo’ di balie) i primi passi alla neonata iniziativa sociale In positivo, si lascia alla fine che la Bdt proceda con le proprie gambe e che si apra alla comunità; in negativo, può avvenire che il rapporto ideologico di fondo crei dipendenza, perduri all'infinito e che il sistema rimanga chiuso ed individualizzato all'ambiente sociale.

- la Bdt come sistema autonomo, autofinanziato e autogestito che nasce su iniziativa di alcuni individui ampiamente motivati, spesso carburati ideologicamente (in senso politico, ambientalista, solidaristico ecc.), che si riuniscono ed elaborano un progetto di azione comune, che si autofinanziano e che si autonormano con uno statuto ed un regolamento e con degli strumenti semplici di informazione e di contabilità, per favorire e per registrare gli scambi di reciprocità generalizzata Non nascondo una certa simpatia per questo modello, pur con qualche riserva. Infatti, il substrato ideologico, se per un verso fa da collante, dall’altro può isolare il gruppo dalla comunità. Inoltre, quando le controversie non si ricompongono facilmente si rischia l’implosione del sistema.

Il modello di Banca del tempo che divulgo e promuovo è quello autonomo e autogestito. Dunque, non è lo stesso modello genericamente divulgato in Italia.

 

Tempomat (Osservatorio delle Banche del tempo italiane nato nell’organizzazione sindacale della CGIL) censisce le esperienze sul sito Internet http://www.cgil.it/cittadinoritrovato/Tempomat e organizza vari incontri e conferenze a livello nazionale e regionale.

Esiste una Legge dello Stato (Legge 8 marzo 2000, n. 53 "Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città") che tenta di stimolare la nascita di Banche del tempo. Come tutte le leggi in materia di legislazione sociale, tale norma disciplina (o almeno cerca di disciplinare) e istituzionalizza, lo spazio d’azione pubblico, che è cosa ben diversa dallo spazio comune.

Di recente l’organizzazione non profit Lunaria di Roma si sta muovendo con una notevole attività di divulgazione di questi sistemi locali di scambio non monetario. Con il patrocinio della Commissione Europea ha organizzato il 7 giugno 2001 il primo meeting dell’European Network of Non-Monetary Echange Systems (ENNES), al fine di formalizzare una rete cui aderiscono le più significative esperienze di scambio europee. La rete persegue la promozione dei sistemi non monetari, considerati strumenti di inclusione sociale, mediante la divulgazione di informazioni sulle esperienze attive e significative. I sistemi di scambio non monetario ricreano le reti della comunità riequilibrando il tempo di lavoro con il tempo della vita e facendo emergere le risorse locali, sviluppando le opportunità per uomini e donne e favorendo le buone relazioni.

 

1.2.2. A Martano (LE) l’esperienza di Banca del tempo autogestita inizia nel 1996, assai simile ad un Lets. Nel tempo il sistema si evolve. Qui l’idea di fondo è il dono, quello libero, riconducibile al triplice comportamento del dare, del ricevere e del ricambiare, così felicemente descritto da Marcel Mauss nel Saggio sul dono. Gli scambi si conteggiano in mistòs (dal grìco - lingua locale – che significa soldo, ma anche "ricompensa", secondo Benveniste). Dieci mistòs valgono più o meno un’ora. Nel sistema è transitato di tutto: verdure spontanee, ortaggi ecologici, trasporto di cose e persone, aiuto allo studio, piccole manutenzioni, consigli estetici, lavori al computer, attività di cucito, artistiche, sportive, lavori di giardinaggio, cibi, torte ecc. Ma è transitata soprattutto tanta socialità, promozione sociale e comunicazione. C’è stato un notevole interesse per l’esperienza da parte di mass-media locali e nazionali. Alcune tesi di laurea discusse in varie facoltà universitarie italiane hanno trattato questa esperienza associativa di scambio locale. Molti, però, sono stati i problemi e i momenti di difficoltà: fraintendimenti, incomprensioni nell’ambiente locale, contrasti e polemiche tra i soci, periodi di inattività, rifiuto di scambiare, iscrizioni solo formali, abbandoni improvvisi e non giustificati, scarsa partecipazione alle riunioni, manifestazione od ostentazione di potere. Queste problematiche compaiono in quasi tutte le esperienze finora conosciute. Ma non bisogna abbattersi, anzi, occorre stimolare le esperienze a continuare l’attività o a ricrearsi.

La Banca del tempo può essere considerata un’innovazione sociale. E’ un termometro sociale con cui è possibile misurare la promozione di sé, la cittadinanza attiva, la solidarietà, la capacità di progettazione della comunità d’appartenenza, nella coesione sociale e nella salvaguardia delle diversità individuali

 

2. La Banca del Tempo: le basi di un progetto per la comunità.

 

2.1. Oggi è importante proporre un progetto locale, seguendo in senso ampio la felice intuizione di Alberto Magnaghi (2000). E’ una necessità ed un’urgenza. Inoltre, occorre finalizzare la proposta soprattutto verso l’orizzontalità dei rapporti inter-individuali e inter-soggettivi. Devono far parte del progetto sia gli attori cosiddetti forti sia quelli considerati ingiustamente deboli, anche se questa terminologia mi sembra abusata e consunta, oltre che improponibile, in una società complessa e conflittuale, che si differenzia continuamente e diventa sempre più imprevedibile (Luhmann, 1990; Fukuyama, 1996, 1999; Touraine, 1998).

Il problema sorge, però, quando si deve individuare chi può proporre "il progetto locale"! Su questo punto la visione di Magnaghi rimane, purtroppo, molto ancorata al settore pubblico. E’ sempre il comune, considerato nel contesto normativo delle autonomie locali, che deve farsi carico di "concertare" il tavolo di incontro e di negoziazione di un progetto di sviluppo locale (Laville/Gardin, 1999), dove riunire, con pari dignità, tutti gli attori (deboli e forti) sociali appartenenti al territorio comunale e intercomunale. Anche se è vero che il comune dopo la Legge 142/90 non riveste più il semplice ruolo di appendice territoriale e politica del potere politico, intenderlo come "municipalità", allo stato attuale, è ancora un po’ troppo azzardato e prematuro e passerà certamente ancora del tempo perché questa specificità entri nella testa delle migliaia di amministratori locali e degli stessi cittadini. Inoltre, l’intera impostazione innovativa di intendere ruoli e funzioni da parte della sfera pubblica locale è variata normativamente in quest’ultimo decennio e puntualmente l’applicazione della normativa medesima è stata differente da regione a regione, se non da località a località.

In ogni caso, anche se il comune italiano fosse già divenuto soggetto portatore di municipalità e deciso protagonista autonomo e responsabile di una riqualificazione della comunità, il problema rimarrebbe sia in forma teorica sia in forma pratica, in quanto la logica dominante dell’ente locale, pur reso attento normativamente e politicamente ad esigenze di crescita locale, non può essere che di tipo pubblico, forse appena contaminata da influenze privatistico-economiche e volontaristico-terzo-settoriali. La sfera pubblica seleziona regole e procedure formali, insegue formali progettazioni e bilanci, burocrazie e percorsi che sono per, un certo verso, resi obbligati da molte norme statali.

 

2.2. Pertanto: chi può proporre una metodologia per un progetto di riqualificazione locale, contestualizzando rapporti sociali e relazionati tra soggetti diversi, inaugurando una ricostruzione sociale inter-soggettiva basata sulla pari dignità? Chi fa questa proposta non può che essere un "soggetto sociale" (Touraine, 1998), che già nella sua impostazione culturale possieda valori basati sulla parità (che non significa uguaglianza) e sull’orizzontalità strutturale. Questa specificità soggettiva non appartiene al settore pubblico, né a quello economico, tantomeno a quello caritatevole-volontaristico-sociale o, come confusamente si è voluto definire in Italia, terzo settore, chiuso "in un limbo fra quello privato e quello pubblico […] spogliato di buona parte della propria identità autonoma e reso dipendente dagli altri settori per la sopravvivenza" (Rifkin, 2000, p. 339; ma si veda anche Colozzi, 1997, Zamagni, 1997). Per nulla è augurabile aspettarsi che tale proposta provenga dal quarto settore, "da un sempre più protervo quarto settore", secondo la singolare individuazione di Rifkin (p. 340), ovvero da quella triste realtà sociale e infrastrutturale "dell’economia sommersa, del mercato nero e della cultura criminale" (p. 340). Questo settore si è talmente sviluppato, a livello globale e al livello locale, che muove capitali finanziari di smisurata entità e produce culture individuali e collettive deviate e tristemente influenti nei larghi strati degli altri tre settori. Non bisogna trascurare un suo preciso orientamento determinato a ridurre la società ad un grande sistema basato sull’illegalità.

Occorre, perciò, cercare di intuire e riscoprire un quinto settore, autonomo e spontaneo, determinarne l'azione e favorirne lo sviluppo, che si faccia carico della metodologia di una proposta per un progetto locale complessivo. Definisco questo ipotetico settore con il termine comune, nel quale, e per il quale, sistemi psichici, collettivi ed inter-individuali, istituzionali e di struttura pongano i fondamenti di una riqualificazione della comunità d’appartenenza, secondo principi d’autodeterminazione, d’autonomia, di conflitto e di relazione sociale. In una parola: "Lo spazio comune del libero associarsi umano" (Donati, 1997, p. 68), anche se in senso molto più ampio e complesso e non intermediato da vincoli e norme di derivazione pubblica, economica e spirituale.

 

2.3. Una Banca del tempo, nell’accezione autopoietica ed autogestita, dove i suoi aderenti si relazionano tra pari, si auto-organizzano, attuano con la norma (il loro statuto e regolamento) un rapporto d’isonomia, non sono diretti e organizzati da sindaci, capitani d'impresa o manager, da presidenti o governatori di turno, ma, al massimo, coordinati nelle essenziali necessità associative da uno o più aderenti al sistema, ha tutte le premesse ideali, settoriali e pratiche per inaugurare e sperimentare uno spazio comune (relazionato), differente da quello pubblico (burocratico) e da quello privato (economico-familiare), nel quale le azioni dei suoi membri risultino inter-connesse ed intenzionate alla costruzione di legame sociale, e da qui proporre, sempre nella logica della relazione comunitaria e ad un livello successivo, una metodologia per un progetto locale basata sull’accesso informativo e sull’implementazione di tutti i soggetti istituzionali, economici e sociali esistenti nella comunità.

In una Banca del tempo l’informazione è comune, tutti la costruiscono (offerte e richieste), tutti ne usufruiscono (reciprocità generalizzata), non ci sono filtri o gerarchie, né omogeneità di sistemi, né interessi economici, ma c’è soprattutto diversità e solidarietà. Il circuito informativo (il bollettino) e il trasferimento di doni liberi non unidirezionali ma reciproci, contabilizzati con attestazioni o cedole formali sottoscritte dagli interessati, definiscono un'ampia differenza dallo scambio tra "equivalenti" (Zamagni, 1997) dell’economia di mercato. Nella Banca del tempo si realizza, mediante l'azione di reciprocità (Coluccia, 2001), il beneficio sociale, relazionale ed inter-individuale. Il beneficio può anche assumere connotati decisamente materiali, ma non economici. Inoltre la Banca del tempo non risponde ad un credo ideale o trascendente: essa è un soggetto immanente, composto di individui del luogo (sistema locale), un sistema differenziato e de-strutturato vicino all'immaginario informale del vicinato. Non è una corporazione o una gilda o una cooperativa sociale e di servizi alla persona. E’ uno spazio comune, un micro-sistema che contabilizza i suoi scambi solo per rendere edotto chi non ne fa parte, per evidenziare il circuito di ricchezza relazionale che nessun PIL è capace di conteggiare. Infatti, il sistema di contabilità serve essenzialmente per evidenziare quanti beni relazionali (e non puramente posizionali) transitano tra i suoi membri e da questi alla comunità. E’ un’associazione tipicamente laica (laòs, popolo), nella quale individuo e collettività si fondono in un’osmosi teorica e pratica e definiscono l’impronta di partenza per la fondazione innovativa di uno spazio/settore comune. La Bdt è solo uno strumento e non un fine. Il suo fine è la relazione sociale, lo sviluppo dei legami comunitari e la riqualificazione della comunità d’appartenenza.

 

2.4. Dunque: chi più di un sistema che non conosce gerarchie e posizioni dominanti, con un'informazione comune, con uno spazio d’azione comune, con un obiettivo comune, con una logica basata sul patto, sulla relazione e sulla condivisione, lontano dalle logiche pubbliche, privatistiche, economiche e terzo-settoriali, non illegale perché rispettoso della norma (in senso isonomico) può proporre un progetto locale, una concertazione, un tavolo comune per la riqualificazione della comunità, del territorio, dell’ambiente e per la rifondazione della municipalità?

La Banca del tempo, come soggetto sociale autopoietico e autoreferenziato, ha tutte le carte in regola per proporre (non unicamente, in ogni caso) una rete di sviluppo locale composta da soggetti che si considerino pari, priva di prevaricazioni e spinte monopolistiche, poiché già nella sua formazione e nella sua espressione strutturale pone la necessità di una non-struttura funzionale, ricerca l’orizzontalità dei rapporti nella libertà d’azione e nell’accesso incondizionato all’informazione. Gli altri settori, purtroppo, sono ancora molto lontani da questi presupposti, sono e si sentono ancora "attori forti", che equivale a dire "poteri forti", e, pertanto, un soggetto che si ritiene "forte" perché possiede influenza strategica e decisionale sfugge alle esigenze "dell’agire comunicativo" (Habermas, 1997), e, quando propone o coordina un progetto, cade facilmente ed inevitabilmente nella trappola di proporre e di coordinare il suo progetto, basato su suoi indiscutibili interessi e principi. Il rischio è (come avviene ormai da tempo) di costruire lo sviluppo della comunità con proprie logiche e quindi di rimanere ulteriormente alla corda di partenza della modernità e di contare e di ri-contare nuovamente gli innumerevoli guasti (ambientali, sociali e culturali) prodotti dalle strategie progettuali dei poteri dominanti nell’occidente (Latouche, 1992), che senza alcuna discussione, critica o concertazione, hanno di fatto (come è avvenuto negli ultimi decenni) imposto il proprio esclusivo modello di sviluppo sociale ed economico.

Se con una nota di pessimismo guardiamo a come si sta "globalizzando" il modello economico occidentale basato sul pensiero unico e utilitaristico, con il rischio effettivo di disperdere i valori e le diversità delle comunità locali abbagliate dal profitto e dal consumo, ci rendiamo conto che non è più tempo di tergiversare e di aspettare che qualcuno al posto nostro, orientato esclusivamente dalla sua logica specialistica di settore, proponga ed attui con fondi comuni (e non semplicemente e dichiaratamente pubblici) il proprio modello di sviluppo, ma occorre muoversi e pungolare coscienze ed individualità a ideare e a proporre una metodologia di progetto locale, al di là di ogni antagonismo finalizzato al compromesso, affinché si pongano in essere le premesse metodologiche e progettuali di un progetto locale comune, fondato su un patto inter-individuale e inter-soggettivo, in una logica di scambio non utilitaristico, privo di prevaricazioni verticistiche e immune da idealità terzo-settoriali, supportato da logiche di relazione, di reciprocità e di solidarietà. Sembra un sogno, ma si può fare…

Una proposta fondata su questa metodologia di partenza può produrre uno spazio comune di secondo livello e un progetto locale di ri-qualificazione della comunità autopietico, autoreferenziato, "autosostenibile" (Magnaghi, 2000), in una parola, municipalizzato. Gli sviluppi di questa metodologia autoreferenziata per progetti inter-comunitari e societari possono essere veramente interessanti se, opportunamente considerati e valutati, sono posti in una prospettiva sociale evolutiva. In una visione più ampia (europea) qualcuno ormai esprime da qualche tempo la necessità di ridisegnare la stessa Europa in diversi "anelli della solidarietà". Infatti: "L’Europa policentrica si deve raccordare alle quattro importanti meso-regioni che la circondano – il Baltico, L’Europa Centrale, il Mediterraneo e l’Europa Occidentale. Questa forma deve sostituire la strategia d’integrazione basata sul progressivo ampliamento del cerchio esistente dell’Unione Europea" (Amoroso, 2000, p. 17).

 

2.5. Chi si pone in quest’ottica della ricerca sociale, chi divulga questi sistemi e chi pratica, ancora a livello di nicchia, azioni di reciprocità e di solidarietà in un limitato spazio comune è ancora un pioniere che propone un’innovazione e come tutte le innovazioni possono essere o meno comprese e adottate dagli altri, il che significa che con grande difficoltà potranno essere o meno identificate e interiorizzate, e chissà, con un po’ di fortuna, anche adottate e praticate. Le innovazioni non nascono nelle organizzazioni stabilizzate temporalmente, siano esse pubbliche o private (De Masi, 1999, p. 38), e il più delle volte danneggiano gli interessi conservativi ed economici di entrambe. Penso in ogni caso che un’idea innovativa, una volta partita, tende sempre più a conquistare un certo spazio d’azione sociale. Le premesse dell’ideazione e della fondazione di un settore comune basato sulla condivisione, sulla complementarietà, sulla relazione e sul patto associativo mi sembrano emergenti e dirompenti nell’attuale sistema sociale. Ciò rappresenta, a mio avviso, la chance della futura convivenza locale e globale - glocale, dicono con un artificio terminologico Bonomi (1996), Goldsmith/Mander(1998) e lo stesso Magnaghi (2000) -, le basi della socialità fondata sulla condivisione, mediante l’uso parsimonioso dei beni e delle risorse, di cui nel passato, al contrario, si è particolarmente abusato (ed oggi ancora non si è da meno!), puntando esclusivamente all’accumulo e al possesso. Non mancano demenziali teorizzazioni in proposito, finalizzate alla costruzione di una fantastica e salvifica, ma oltretutto deplorevole, "piramide della ricchezza" (Thurow, 2000), per avere una torta economica sempre più grande da dividere tra i sempre più ricchi, destinando le briciole a quelli sempre più poveri. Mi sembra felice l’intuizione di Amatya Kumar Sen quando osserva che "alcuni dei più laceranti problemi dell’etica sociale sono infatti di natura profondamente economica" (1989). Non ci si può ripetere nelle critiche delle velleità dominanti del pensiero unico, ma riportiamo soltanto l’acuta osservazione di un economista fuori dagli schemi convenzionali dell'economicismo-istituzionalizzato-utilitarista-individualista e quindi una nota stonata nell’armonia generale e inqualificabile della predica utilitarista: "Rammentiamo che, per gran parte dell’era moderna, abbiamo associato al concetto di libertà quello di autonomia, e fatto coincidere l’autonomia con la capacità di offrire il nostro lavoro sul mercato. I frutti del lavoro - la proprietà - sono stati considerati simboli della nostra libertà. Il diritto di escludere gli altri da ciò che ci appartiene è stato considerato il miglior modo di proteggere la nostra autonomia e la nostra libertà personale. La vera libertà, però, è figlia della condivisione, non del possesso: non si può essere davvero liberi, se non si può condividere, provare un sentimento di empatia nei confronti dell’altro, abbracciarsi" (Rifkin, 2000, p. 352).

La società che si profila in questo millennio sembra orientarsi, anche se le apparenze possono far pensare tutto il contrario, alla cultura del patto. Allo scambio commerciale lentamente sta subentrando la dimensione della reciprocità e del dono (munus). Se si parla tanto di comunità, vi è di certo un senso: etimologicamente questa parola significa semplicemente questo: cum-munus, con dono! Quest’innovazione culturale è ancora agli albori, ma un occhio attento può già scorgerla in molti segnali. Sembra essere il movente che investirà gran parte delle azioni degli individui e dei soggetti sociali nel prossimo futuro: "Il movente del dono, la passione pura e semplice di donare e di ricevere in cambio, si basa semplicemente sul bisogno di amare e di essere amato che è altrettanto forte, anzi probabilmente più forte e più fondamentale, del bisogno di acquisire, di accumulare cose e di ottenere beni in cui consiste il movente del guadagno. L’uomo è in primo luogo un essere di relazione e non un essere di produzione" (Godbout, 1998, p. 30). Prima del mercato c’era il dono (Mauss, 1965).

Sono ormai molti gli intellettuali che annunciano da tempo la "fine della modernità" (Vattimo, 1984). La modernità è stata un’epoca di contrasti, di compromessi, di smentite, di tradimenti, di guerre, di divisioni, di accumulo, di possesso, di sfruttamento e di esclusione. La società emergente (Boff, 1994; Luyckx, 1998), quella che si profila all’orizzonte di questo millennio, sembra mostrare valori differenti: diversità, inclusione, condivisione. Su questa visione ci giochiamo una chance (Coluccia, 1998) e una possibilità di poter "vivere insieme" (Touraine, 1998), liberi, uguali e diversi, in una società conflittuale e complessa. Infatti, "la diversità, il conflitto, la contingenza, l’instabilità sono diventati strutturali della nostra società" (Belardinelli, 1997, p. 107) e non si può non tener conto, in senso assoluto, che ormai "la società civile si definisce oggi in termini culturali e non più economici" (Touraine, 1998, 258). La modernità ha mietuto vittime innocenti nella spasmodica ricerca dell’omogeneità, della standardizzazione e della massificazione totale di ogni espressione sociale e culturale. Oggi cominciamo a renderci conto (anche se siamo ancora molto pochi) dei disastri prodotti da questa forzatura razionalistica ed epistemologica (Latouche, 2000), coadiuvata dagli stretti ormeggi e dalle formali riflessioni logico-filosofiche del XIX secolo.

Per quello che è stato fatto, possiamo fare molto poco, al massimo recuperare il recuperabile e cercare di invertire la tendenza dell’occupazione onnicomprensiva dello spazio sociale (materiale e culturale). Ci sorregge in ogni caso l’intuizione che se veramente "vogliamo scoprire in che cosa consiste l’uomo possiamo trovarlo solo in ciò che sono gli uomini e questi sono soprattutto differenti" (Geertz, 1987, p. 14).

 

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Riferimenti bibliografici

 

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Breve biografia dell’autore.

Paolo Coluccia (e-mail: paconet@libero.it), dottore in Pedagogia e ricercatore sociale indipendente, è nato nel 1953 e vive a Martano (LE), un comune del Salento, estrema penisola a Sud-Est dell’Italia. Sensibile ai temi ambientali, culturali, sociali ed economici, ad una formazione filosofica e psicopedagogica associa una buona conoscenza della legislazione sociale e del lavoro. Dipendente della Provincia di Lecce/Settore Sviluppo Economico/Politiche del Lavoro, è divulgatore, promotore e animatore di Banche del tempo e di Sistemi di scambio locale non monetario. Il suo sito Internet: http://digilander.iol.it/paolocoluccia

 

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