Articolo scritto per il notiziario quotidiano La non violenza è in cammino (28-09-2005), a cura del Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo coordinato da Beppe Sini. Tutti i fascicoli quotidiani dal dicembre 2004 possono essere consultati in rete alla pagina: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html . Dalla fine di settembre nel notiziario compaiono numerosi articoli sul Referendum brasiliano per l’abolizione delle armi da fuoco.

 

 

Sì. Aboliamo le armi da fuoco

di Paolo Coluccia

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paconet@libero.it

 

Aboliamo le armi da fuoco d’ogni tipo e tutti i loro derivati. Appoggiamo il referendum indetto per il 23 ottobre in Brasile (www.referendosim.com.br) ed impegnamo le nostre energie e le nostre intelligenze a fare la stessa cosa nelle nostre nazioni. Leggevo qualche anno fa che in Brasile le auto che incrociavano un semaforo rosso preferivano proseguire la marcia perché si rischiava di più a fermarsi (qualcuno appostato poteva sparare dal finestrino per derubarti) che a scontrarsi con qualche altro autoveicolo che transitava col verde. Può sembrare un paradosso, ma a volte il rischio che si reputa minore è sempre una buona scelta. Oggi non so se la situazione sia la stessa. In ogni caso, dall’insediamento del governo Lula, tra incertezze e contraddizioni, critiche e demistificazioni, molte cose sono cambiate e continuano a cambiare. Alla loro base c’è semplicemente un ideale, un progetto politico, che ha portato un’insperata vittoria politica, sofferta, denigrata e osteggiata dai ricchi, sostenuta da chi vuole costruire un mondo migliore, diverso, intessuto di relazioni pacifiche, solidali, paritarie, un mondo più vivibile, ecologicamente più responsabile, plurale nella biodiversità, non violento, rispettoso di diritti e animatore di speranze. Il partito dei lavoratori è andato al governo di una nazione immensa, sterminata, martoriata dalla storia e dal progresso economico, dalla speculazione finanziaria e dai programmi di aggiustamento. Lula, il leader dei movimenti di liberazione brasiliani, è stato l’unico capo di stato ad aver proclamato (e a poter proclamare) ad un convegno internazionale sulla povertà di conoscerla personalmente, la povertà, di averla vissuta, sulla propria pelle, da sempre, fin dall’infanzia, di averla vista crescere sulla pelle di milioni di persone, di bambini, adulti, donne, anziani. Unica arma: il coraggio di un’ideale, di un progetto, di una nuova visione politica e della politica economica e sociale. Che oggi propone il referendum popolare per l’abolizione delle armi da fuoco, della loro fabbricazione, commercializzazione ed uso sul territorio brasiliano. Un’utopia, dirà qualcuno. Qualcuno, però, che misconosce il significato più vero di questa parola, l’utopia, il progetto storico dell’umanità, che sempre più avanza, si costruisce e si ricostruisce, tra mille ostacoli e contraddizioni. Ogni momento di speranza, ogni azione, ogni movimento rivolto alla giustizia ne determina il cammino. L’utopia, così spesso fraintesa e denigrata, perché ritenuta il non-luogo (T. More, L’isola di Utopia), ma che nel suo significato più intrinseco contiene anche il concetto di eutopia (il luogo buono, giusto), contrapposta alla distopia (realizzazione perversa dell’ideale utopico, come il comunismo societico), l’utopia che molti ritengono un sogno impossibile, una chimera, mentre invece è un progetto, un insieme di progetti che ripropongono continuamente una società di giustizia, di speranza per l’umanità. L’approfondimento dell’utopia intesa in questo senso si trova nelle riflessioni condotte al Centro Interdipartimentale di Ricerca sull’Utopia animato dal prof. emerito dell’Università di Lecce Arrigo Colombo (tra l’altro autore del libro L’Utopia. Rifondazione di un’idea e di una storia, Dedalo, Bari 1997), di cui faccio parte, insieme con un gruppo di storici, filosofi e ricercatori in scienze sociali, e nel “Movimento per una Società di Giustizia e per la Speranza” (http://digilander.libero.it/altroparadigma/MSGS/homeMovimento.htm) che tenta di perseguire praticamente il progetto storico di una società giusta e fraterna, con iniziative e progetti, stimoli ed idee, locali e internazionali. Oggi questo nuovo progetto in Brasile c’infonde un’infinita speranza, questo referendum che punta ad abolire le armi da fuoco, e ci viene ancora dal Brasile, un altro tassello del grande progetto politico e sociale di Lula e del suo governo, di quelle armi da fuoco con cui si fa “tiro a segno” ai ragazzi di strada, ai ragazzi delle favelas, abbandonati a se stessi, spesso figli di nessuno, che per non morire di fame sono costretti a rubare per non morire. Armi da fuoco che sostengono guerre, che girano per il mondo, per le guerre del mondo, nella povertà dei popoli illusi dallo sviluppo economico e dai miraggi del progresso materiale, che arricchiscono mercanti di morte, individui privi di scrupoli, senza patria, senza ideali, che hanno il solo scopo d’arricchirsi e di asservirsi alla propria crudeltà. Un referendum che preannuncia un altro passo in avanti nel progetto utopico della costruzione di una società di giustizia, di speranza e di fraternità, che l’umanità persegue ininterrottamente da secoli, con l’impegno di molti, di movimenti, di moltitudini, di popolazioni. Oggi occorre vincere il referendum. I segnali sono incoraggianti: più del 70% dei brasiliani sembra essere d’accordo con la proposta di abolizione delle armi da fuoco. Anche se non bisogna cullarsi dei dati e dei sondaggi. Occorre essere presenti, assidui e impegnati. Ma ciò che conta di più è l’impegno ad innescare il meccanismo perché altri governi seguano l’esempio, soprattutto nelle nazioni europee, e negli stessi USA, dove le contraddizioni su questo tema sono sotto gli occhi di tutti, le abbiamo viste a New Orleans dopo la catastrofe prodotta dall’uragano. Ed in Italia. Non è certamente una bella cosa per un capo di stato vantarsi di aver proposto di togliere l’embargo per l’acquisto di armi alla Cina, ma al contrario sarebbe il caso di perseguire una politica di smantellamento delle fabbriche di armi, civili, militari e d’ogni genere. Anche per “uso di caccia”, che non ha più alcun senso d’esistere, risvegliando così la coscienza referendaria che gli italiani hanno perso proprio con il referendum che ne proponeva l’abolizione qualche anno fa, innescando, anno dopo anno, il pericoloso non-senso civico che si è espresso fino all’altro ieri. La violenza pone uno di fronte all’altro, genera lo scontro, ma è sempre il più debole, il più affamato, il più povero a soccombere. E le armi sono lo strumento principale della violenza. I cinesi conoscevano da secoli la polvere da sparo, ma la utilizzavano per giochi pirotecnici. Gli europei ne hanno fatto un altro uso: hanno costruito armi mostruose, che son diventate sempre più sofisticate e micidiali, che negli ultimi tempi hanno assunto anche l’appellativo di “intelligenti”. In un’epoca di scarsi ideali e di obiettivi solo economici e materiali, di speculazione e di supremazia, porre anche in linea di principio l’abolizione delle armi da fuoco e dei suoi derivati più infernali non è cosa da poco, perché bisogna crederci veramente ed impegnarsi a divulgare le atrocità e i genocidi che esse causano. La vittoria del referendum in Brasile e il suo dilagare in altri paesi genererà sicuramente una de-capitalizzazione degli interessi finanziari e della speculazione economica, si limiterà il flusso di capitali sporchi e lo stesso traffico di stupefacenti che spesso s’interseca con quello delle armi, ma soprattutto infonderà fiducia per un mondo migliore, stimolerà partecipazione e speranza per una migliore sorte dell’umanità. Ciascuno che porta con sé gli ideali di pace, giustizia e non violenza tra gli esseri umani non può non testimoniare il suo appoggio al referendum brasiliano, magari appendendo sul proprio balcone la bandiera brasiliana accanto a quella della pace, per vincere l’omertà e il silenzio sull’argomento di televisioni pubbliche e private, nonché di testate giornalistiche e d’assemblee politiche. Occorre impegnarsi inoltre a proporre qualcosa di simile, se non di più radicale, nel proprio Paese, per la propria vita e per il rispetto di quella altrui, lungo un progetto utopico costruttivo e perenne, verso una società giusta e fraterna, per la speranza.