Progetti della persona in un mondo in mutamento

 

a cura di Paolo Coluccia

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“È importante scoprire progetti di vita personali in un mondo che è in continua trasformazione”. Questo è stato l’invito che ha rivolto alla platea Alain Touraine al Congresso Mondiale dell’AIOSP (Associazione Internazionale per l’Orientamento Scolastico e Professionale), tenuto all’UNESCO e alla Sorbona di Parigi dal 18 al 21 settembre 2001. Si riportano di seguito e si commentano le idee espresse dal sociologo francese.

La società contemporanea è sempre più caratterizzata da un’ampia de-socializzazione. Una delle cause principali è la mancanza di lavoro per una parte di adulti, ma soprattutto per molti giovani e donne, e l’obsolescenza professionale di larghe fasce di popolazione, occupate o non. Il sociologo, come ricercatore e mediatore delle differenze sociali, non può esimersi dal rilevare le discontinuità sociali e nello stesso tempo intervenire (venire tra, mediare) per dare una mano alle istituzioni e alle stesse politiche sociali, in particolare alle politiche attive del lavoro e della formazione, che devono trovare risposte e programmare soluzioni adeguate ed efficaci. Aiutare la politica, dunque, nella sua accezione più alta del termine, perché la politica sociale è la politica strictu sensu, la politica e (è) lo sviluppo sociale.

 

Naturalmente, l’intervento sociale viene a trovarsi tra una produzione (quasi incontrollata ed autoreferenziale) di norme a più livelli e i bisogni reali del cittadino. In ogni caso, un modello d’intervento, che sfoci in un percorso d’orientamento, deve basarsi su tre elementi fondamentali:

 

-       il piacere, la passione per il lavoro, la realizzazione di sé;

-       la mobilità, non solo geografica, ma anche socio-culturale;

-       i gruppi, ovvero l’identità come capacità di cogliere la propria appartenenza, soprattutto quella primaria (famiglia, compagni di gioco, classe scolastica) e anche quella secondaria legata alle professioni (aziende, organizzazione ecc.)

 

Dobbiamo interrogarci, per capire la nostra rappresentazione del  mondo, quale sia la nostra percezione del mondo e della società, dove cioè in definitiva svolgiamo o collochiamo le nostre azioni. Quando parliamo di società conservando un’immagine piramidale, ordinata, gerarchica, facciamo riferimento ad un modello di società che è ormai molto lontano dalla realtà. Occorre, pertanto, riconsiderare fino in fondo il concetto stesso di società. Forse è giunto il momento, almeno per il nostro immaginario sociale, di “abbandonare” la nostra nozione classica di società. Non è un’impressione passeggera la de-socializzazione in atto in senso verticale ed orizzontale, oppure l’impressione che non esistano norme e regole stabili e durature a cui riferirsi nell’agire sociale di tutti i giorni. Assistiamo ad uno smarrimento esistenziale enorme per la sua portata e per le sue potenziali conseguenze.

Cosa fare? È la domanda di sempre, che oggi si ripropone carica di elementi d’insicurezza e di perplessità. La nostra azione non può più organizzarsi attorno alla società e alle istituzioni, ma tra le persone, i gruppi, le minoranze e le stesse istituzioni, che vanno (quest’ultime) trasformate profondamente. Non possiamo più utilizzare parole come disciplina o maestro, insegnamento o obbligo. Di conseguenza, le motivazioni principali devono essere quelle che tendono alla realizzazione di sé, mediante la comunicazione sociale con gli altri: quindi apprendimento reciproco, scambio e relazione sociale.

Pertanto, particolare importanza rivestono questi tre argomenti sociali: giovani, violenza, frammentazione sociale. La definizione di lavoro educativo e sociale affidato ad un esercito d’insegnanti e di assistenti sociali, sostenuti persino dalle forze dell’ordine, come strumento di reinserimento sociale si è dimostrato fallimentare. Touraine riporta un esempio emblematico. Un gruppo di giovani (in situazione di disagio sociale) ha risposto alla domanda: “Quale categoria sociale odiate maggiormente?”, secondo quest’ordine di preferenza: in primo luogo la polizia; poi i lavoratori sociali; infine gli insegnanti. Grande sorpresa! Vada per la polizia, per i metodi coercitivi legati al rispetto delle norme in regime sanzionatorio e per il controllo del territorio; da capire in qualche modo per gli assistenti sociali, spesso freddi funzionari incastonati nelle istituzioni locali, piccoli despoti travestiti da esperti, anche se non si può generalizzare. Ma: “Perché gli insegnanti?”, è stato loro chiesto. Risposta: “Perché queste persone ci dicono cose false. Ci dicono che dobbiamo integrarci in una società che in realtà è disintegrata”.

 

Bisogna concentrare i nostri sforzi attorno alle capacità di ogni persona o di un gruppo, per far trovare autonomamente i mezzi più consoni per uscire fuori dal disagio sociale. Desiderare e costruire gradualmente un progetto di vita, essere aiutati a trovarlo e a sperimentarlo può essere una cosa (forse l’unica) positiva. Coinvolgersi e coinvolgere è alla base della democrazia partecipativa, spesso chiamata cittadinanza attiva. Un consiglio comunale, che si riunisce, è una forma di partecipazione democratica, che scaturisce dal voto dei cittadini (democrazia di delega). Il comune di Porto Alegre, che decide che il 5% delle tasse sarà speso in seguito alle decisioni prese dai cittadini, è partecipazione diretta alla formazione del bilancio comunale (bilancio partecipativo). Persone, gruppi e associazioni che difendono i diritti di cittadinanza, il proprio territorio, la salute non significa semplicemente superare la delega per passare alla partecipazione diretta, ma anche assumersi la responsabilità di opporsi (autonomia della base) e di evidenziare la capacità di trovare soluzioni differenti ai problemi della collettività.

C’è un pericolo in agguato: il populismo. Per rifuggire i rischi e le strumentalizzazioni dei riflussi populistici, una democrazia diventa diretta e partecipativa sia quando limita gli stessi poteri dello stato, sia quando salvaguarda le libertà fondamentali delle persone, tra le quali vi è la libertà di protesta e di rifiuto. Ci sono attualmente ampie fasce di popolazione che sono impedite dal partecipare. È di vitale importanza, poi, che lo stesso concetto di partecipazione non venga definito dall’alto, ma che emerga dalla base sociale e che vada inequivocabilmente dal basso verso l’alto. Questi termini ormai sono stati usati e abusati, sono diventati espressione di un consunto luogo comune. Ma servono a rendere l’idea di soggezione in cui si trova la gente. In verità, dov’è l’alto e il basso di una società se non nelle nostre rappresentazioni mentali fuorviate e fuorvianti. Chi ha mai “visto” in termini fisici la società, così come può vedersi una scala, un grattacielo o una montagna? La società, dicono Bergher e Luckmann, è una produzione umana, che ci appare come una realtà oggettiva, e finisce che l’uomo stesso diventa un prodotto sociale. Si pensi al doppio senso della parola “realizzazione” sociale dell’uomo: l’uomo che realizza e che si realizza. I rapporti sociali non derivano da leggi di natura; esistono perché sono un prodotto dell’attività umana. Pertanto, l’esistenza è prassi continua, attività, lavoro, produzione, società.

La democrazia partecipativa non può essere una semplice “concessione” da parte delle istituzioni. Significherebbe far rientrare dalla finestra il potere, l’autorità, mascherati di buone intenzioni. Ma, come ha osservato acutamente Patrick Viveret: “L’inferno è pavimentato di buone intenzioni!”. Alla base della partecipazione e della cittadinanza c’è l’interpretazione della realtà umana come realtà in costruzione perenne da parte degli esseri umani, tema forse abdicato dalla filosofia negli ultimi tempi, che però riveste indubbie implicazioni filosofiche e politiche, ovvero di ricerca e di azione.