Piattaforma per un mondo responsabile, plurale e solidale

Programma PSES (1993)

(Polo di Socio-Economia Solidale, www.alliance21.org)

Traduzione italiana di Paolo Coluccia

 

           

Premessa

            Se le nostre società continueranno ancora per lungo tempo a vivere e a svilupparsi nel modo in cui lo fanno, l’umanità si autodistruggerà: noi rifuggiamo questa prospettiva.

            Per evitarlo dobbiamo trasformare profondamente il nostro modo di pensare e di vivere. Questa trasformazione interessa ciascuno di noi. Ma ciascuno è impotente se la sua azione e le sue intenzioni non convergono con quelle di milioni, di miliardi di altre persone.

            Perché una tale convergenza avvenga, occorre che ci si metta d’accordo sull’essenziale: una diagnosi, dei valori e dei principi per agire, delle priorità e una strategia. E’ ciò che noi chiamiamo la piattaforma per un mondo responsabile, plurale e solidale.

Vogliamo poggiarci su di essa per costruire insieme il futuro.

Il mondo è di per sé unico ed infinitamente diverso. La strategia da inventare per assicurare la nostra sopravvivenza e la nostra felicità deve a sua volta rispettare questa unicità che ci lega e questa diversità che ci arricchisce.

La piattaforma esprime questo doppio movimento.

Le priorità variano da un paese all’altro, da un continente all’altro. Queste variazioni non impediscono un accordo sulle cose essenziali.

 

1.      Elementi di diagnosi

Nel nostro mondo coesistono da un lato due bisogni fondamentali non soddisfatti, risorse sprecate e distrutte e, dall’altro, capacità di lavoro e di creatività non impiegate. Questo non è accettabile. Soffriamo tre squilibri molto grandi:

·        tra il Nord ed il Sud del pianeta;

·        tra i ricchi e i poveri all’interno di ogni società;

·        tra gli uomini e la natura.

Questi tre squilibri riflettono una triplice crisi delle relazioni e dello scambio:

·        tra le società;

·        tra gli esseri umani;

·        tra gli uomini e il loro modo di vivere.

Queste crisi sono inseparabili. Il non rispetto del modo di vivere, per esempio, accompagna spesso il non rispetto verso le donne e gli altri uomini.

            Le tre crisi non possono essere superate separatamente. Non sapremo costruire ad alcun livello l’armonia delle relazioni tra gli esseri umani e i suoi scopi se non si costruisce contemporaneamente l’armonia delle relazioni tra essi e tra le stesse società.

            Queste crisi hanno cause comuni. Il mondo si è evoluto molto velocemente nel corso degli ultimi due secoli. La modernità inventata in occidente si è diffusa nel mondo intero. La maggior parte dei paesi attraversano una crisi spirituale e morale. Non abbiamo saputo canalizzare a vantaggio di tutti gli esseri umani le nostre formidabili capacità di comprendere, di intraprendere e di creare. E’ difficile non vedere, al cuore delle tre crisi, gli effetti delle attuali forme dello sviluppo scientifico e tecnologico, dell’accentuazione della divisione del lavoro, del gonfiamento della sfera del mercato e della circolazione infinita e molteplice di merci e di denaro: in breve, fattori costituiti dalla modernizzazione occidentale o, come dicono alcuni, dalla Modernità.

            Nello spirito dei suoi fondatori, questi fattori della modernità dovevano essere i mezzi del progresso dell’umanità e dovevano assicurare a tutti gli esseri umani prosperità, pace, sicurezza, felicità, libertà. Se per una parte dell’umanità, in un certo modo, ci sono riusciti, allo stesso hanno generato miseria, guerre, insicurezza, sparizioni, oppressione e, alla fine, la triplice crisi più sopra richiamata.

            La modernizzazione occidentale si è in questo secolo imposta all’insieme dei paesi del mondo, con un miscuglio di costrizione e di fascino. La colonizzazione, e poi la decolonizzazione, hanno contribuito a diffondere dappertutto il modello di sviluppo e di società dell’Occidente.

            Per il fascino che esercita e per l’efficacia che apporta, la modernità è diventata, sotto abiti politici diversi, il riferimento principale delle élites di tutti i continenti. Rapporti di forza e giochi di mercato hanno contribuito di pari passo a dissolvere i valori e i rapporti di scambio differenti da quelli mercantili e, così facendo, a distruggere le società tradizionali.

            I due pilastri della modernità – la libertà degli scambi e la scienza – dovevano essere messi al servizio del progresso degli uomini. Oggi sono troppo spesso considerati come fini in sé. Così, secondo il mito economico di moda, la liberalizzazione di tutti gli scambi, sia delle merci sia del denaro, è destinato ad assicurare, nel futuro, un equilibrio automatico ed ottimale degli scambi tra gli uomini. Allo stesso tempo, secondo il mito scientista, al di là dei problemi e dei danni, l’alleanza della scienza, della tecnica e dell’industria finirà sempre per portare le soluzioni e far progredire l’umanità. Non rimarrà altro da fare che affidarsi al mercato e alla scienza.

            Certo, la scienza è una fonte di conoscenza, di capacità d’agire e di creatività eccezionale; ma se può essere mobilitata per il miglioramento, può anche esserlo per il peggioramento. Allo stesso modo, il mercato è uno strumento impareggiabile per mettere in relazione agilmente una moltitudine di agenti, che hanno singolarmente dei bisogni, dei desideri e delle capacità da offrire in cambio; ma le popolazioni indifese, i bisogni fondamentali non risolvibili, i rischi ecologici, gli interessi delle generazioni future sono, se si può dire, fuori dalla sua competenza. Scienza e mercato non valgono in definitiva che in rapporto alle scelte e alle finalità delle società nelle quali si sono sviluppate. Devono ritrovare il loro giusto posto d’utilità; strumenti essenziali certamente, ma strumenti messi al servizio di altre finalità oltre che di se stessi.

Ora, la diffusione della scienza e del mercato si è accompagnata ad una grave crisi dei valori. Inoltre ha largamente contribuito a questa crisi. La scienza e la tecnologia, mettendo l’accento sul dominio e sulla manipolazione degli esseri umani e delle cose, hanno incoraggiato attitudini predatrici, riducendo la natura, il mondo vivente e gli esseri umani allo stato di strumenti, abbandonando le politiche globali, più modeste e più rispettose, che esigerebbero un’armonia e una solidarietà tra gli uomini e i loro mezzi. L’esaltazione della potenza distrugge la ricerca della saggezza. Per sua parte, il mercato tende a ridurre il valore degli esseri umani e delle cose al loro valore monetario, inculca l’idea che l’arricchimento è la misura ultima dei risultati degli uomini come pure delle società, impone una dominazione del materiale sullo spirituale, ha bisogno per funzionare di far nascere senza tregua nuovi bisogni solvibili, svia le energie e le intelligenze dai bisogni più fondamentali, conduce a privilegiare il breve termine rispetto al lungo termine. Di questo vediamo i frutti: la caduta morale di molte società, la generalizzazione della corruzione, il rifugio nella droga, l’indifferenza verso gli altri e verso i loro mezzi, lo smarrimento della gioventù.

Se la sottomissione crescente delle nostre società alla scienza e al mercato è al cuore della triplice crisi del mondo attuale, questo è sicuramente a causa dei loro limiti, ma è anche perché ci sono dei mezzi temibilmente efficaci al servizio di società profondamente ineguali, avide, miopi. Infine, è perché il mondo è cambiato così velocemente, l’impatto degli uomini sui loro mezzi si è accresciuto a tale velocità, gli scambi internazionali hanno raggiunto un’estensione così improvvisa che l’umanità è stata superata dal suo stesso movimento evolutivo. Le vecchie forme di regolazione delle attività umane, costruite con il passare dei millenni, si sono trovate superate senza che nuove abbiano avuto il tempo di nascere. In numerose sfere le sfide diventano planetarie e sfuggono alle istituzioni politiche tradizionali, al controllo democratico. Devono essere assunte delle responsabilità e devono essere effettuate delle scelte su scala planetaria, ma non esistono luoghi né istituzioni per farlo. L’umanità si trova in una posizione tale da doversi prendere in carico il percorso del suo destino, ma non sa come pervenirci.

Il nostro mondo è preso in un’accelerazione senza precedenti: generalizzazione del regno del mercato, crescita delle produzioni, delle popolazioni e dei bisogni, circolazione delle informazioni, dei prodotti, degli uomini e dei capitali, messa in opera di sistemi tecnici sempre più potenti, aumento del prelievo delle risorse, dei rifiuti e degli scarti. Le ineguaglianze tra gli esseri umani e le società si accrescono. Gli equilibri fondamentali del pianeta e del vivente sono minacciati, come lo sono anche gli interessi delle popolazioni future.

Ora, nello stesso tempo, ogni società ripiega sulle proprie esigenze e sui propri obbiettivi. Le società più ricche cercano di salvaguardare o di migliorare il loro benessere combattendo disoccupazione e povertà cercando di creare ancora più mercato; altre società perseguono il mercato forzato dell’industrializzazione e della modernizzazione al prezzo di gravi attentati ai luoghi e agli esseri umani, con la prospettiva di un miglioramento dei più ricchi; altri hanno sdradicato gran parte della popolazione; altri, infine, cercano di sopravvivere, semplicemente sopravvivere, spesso con lacerazioni ed abusi. Queste ricerche, parallele piuttosto che convergenti, non possono che condurre allo sviluppo di nuove ineguaglianze, mettendo in campo, in seno alle società e tra le società, nuove forme d’apartheid, tra ricchi e poveri, e profondi squilibri ecologici locali, regionali e mondiali che rappresentano una priorità allarmante.

L’insieme degli studi convergono su questo punto. Decisioni che saranno o meno prese negli anni seguenti, inflessioni che saranno o meno ottenute in qualche ambito superiore, dipenderanno principalmente dalla profondità, dalla gravità, dal degrado, dall’irreversibilità degli squilibri con i quali l’umanità si dovrà confrontare nella prima metà del prossimo secolo. Noi crediamo che l’umanità dovrà intraprendere negli anni futuri una rivoluzione morale, spirituale, intellettuale ed istituzionale di grande respiro. Non potrà farlo che andando a cercare nel meglio delle sue tradizioni e delle sue civiltà e nei più generosi slanci, uniche guide per la sua azione.

 

2. Principi comuni per un mondo responsabile, plurale e solidale

Affermiamo che non c’è fatalità, che la gravità o la complessità delle sfide devono far nascere la determinazione e non la rinuncia. Capaci di pensare il loro futuro, gli esseri umani, le società umane, sono ricchi di principi suscettibili di guidare le loro scelte e le loro decisioni.

Formulate sotto forme diverse nelle differenze delle culture e delle società, alcuni principi sembrano dei punti d’appoggio essenziali nell’era attuale.

a)      Principio di salvaguardia: la terra che ci hanno donato i nostri antenati non è soltanto nostra; dobbiamo darla alle generazioni future. Il posto eminente che occupiamo, non altro che per le nostre capacità tecniche, non ci dà il diritto di prelevare né di distruggere senza freno. L’espansione della scienza e della tecnica ci ha dato una nuova libertà. Questa libertà deve essere completata da un sentimento di riverenza allo sguardo della natura, di cui dobbiamo rispettare i limiti e i ritmi, di cui dobbiamo salvaguardare i beni essenziali, come l’acqua, l’aria, i suoli, gli oceani, il vivente e i grandi equilibri necessari alla vita. Per questo le società umane devono tendere verso modi di produzione e di vita senza prelevamenti, rifiuti e scarti suscettibili di poter attentare agli equilibri essenziali dei luoghi a livello locale e dell’intero pianeta.

b)      Principio d’umanità: la possibilità per ogni essere umano di disporre dell’essenziale e di avere una vita dignitosa, il rispetto, l’equità e la solidarietà tra gli uomini e tra le società, il rispetto della natura e del vivente sono le vere misure dell’umanità.

c)      Principio di responsabilità: gli individui, le imprese, gli stati, gli organismi internazionali devono assumersi le loro responsabilità nella costruzione di un’armonia delle società e degli esseri umani, tra loro e con i loro luoghi: devono farlo in misura della loro ricchezza e del loro potere. I popoli sono corresponsabili del destino dell’umanità.

d)      Principio di moderazione: dobbiamo imparare a frenare la nostra cupidigia. I più ricchi, quelli che sono presi dal turbinio dello sperpero, devono riformare il loro modo di vivere, moderare i loro consumi, apprendere la frugalità.

e)      Principio di prudenza: le società umane non devono mettere in opera nuovi prodotti o nuove tecniche una volta acquisita la capacità di individuare i rischi presenti e futuri.

f)        Principio di diversità: la diversità delle culture, come quelle degli esseri viventi, è un bene comune che è dovere di tutti gli uomini di preservare. La diversità delle civiltà è la migliore garanzia della capacità dell’umanità di inventare risposte adattabili all’infinita diversità delle situazioni, delle sfide e dei luoghi. Le risorse genetiche del pianeta devono essere protette, nel rispetto delle comunità che le hanno fino ad oggi salvaguardate e valorizzate.

g)      Principio di cittadinanza: dobbiamo apprendere a considerarci e a considerare tutti gli esseri umani come i membri che fanno parte interamente dell’immensa comunità umana.

Di fronte a coloro che vorrebbero ridurre il mondo al solo gioco degli interessi particolari, dei poteri e dei mercati, alcuni di questi principi meritano di essere riaffermati con forza e devono servire da guida nell’annuncio delle priorità e nella determinazione delle strategie di azione.

 

3.      Bozza di una strategia d’azione

a)      La necessità di una strategia d’insieme

Di fronte alle tre crisi con cui si confronta l’umanità, oggi sono in atto numerose reazioni positive: l’azione esemplare e puntuale, nei villaggi e nelle città, dopo le recenti convenzioni internazionali; le carte e le contabilità ambientali di alcune imprese nelle politiche energetiche di alcuni paesi; la presa di coscienza dei consumatori verso l’emergere dell’agricoltura biologica.

Ma questi avanzamenti sembrano ancora molto limitati e dispersi in rapporto alle dinamiche più ampie che interessano il nostro mondo. Ciò che predomina attualmente è un profondo sentimento d’impotenza. Ogni società, presa isolatamente, sembra paralizzata davanti all’ampiezza delle trasformazioni da intraprendere. Ciascuno (individuo, impresa, stato) sa che bisogna agire, ma si rassegna a non fare niente, aspettando che gli altri comincino o che vengano prese decisioni. Scienza, tecnica, mercato diventano i nuovi nomi del destino. Evolvendosi molto lentamente, le ideologie e le istituzioni sono spesso mal adattate alle urgenze e alle sfide dei tempi.

Non dobbiamo essere timidi. Dobbiamo essere audaci. Dobbiamo, rispetto ai differenti futuri possibili, tracciare, sulla base dei nostri valori comuni, la bozza di un futuro sostenibile; poi dobbiamo concepire un insieme coerente di azioni che rispondano alle urgenze contemporanee e siano d’aiuto per le sfide di domani. Le tre crisi sono inseparabili e le risposte da dare lo sono altrettanto.

Non crediamo alla possibilità di pervenire ad uno sviluppo sostenibile che sarebbe rispettoso dei grandi equilibri ecologici ma al prezzo dell’esclusione di gran parte dell’umanità. Ci sfidiamo con  tentativi di risolvere i problemi per una fuga in avanti tecnologica o per imposizioni fatte da parte dei più potenti e subite dalla massa di tutti gli altri. Siamo convinti che le azioni da intraprendere devono mirare soprattutto a costruire relazioni equilibrate tra gli uomini e i loro luoghi, in tutta la loro complessità e la loro diversità, e a costruire relazioni equilibrate tra gli uomini e le società. Non si tratta di stabilire una gerarchia delle gravità tra le tre crisi, ma di trovare forme d’azione che contribuiscano simultaneamente alla loro soluzione. Questa convergenza deve essere, con la messa in atto dei sette principi sopra enunciati, la principale guida per stabilire una strategia d’azione. E’ un mondo responsabile, plurale e solidale quello che vogliamo costruire.

Per questo non sfuggiremo ad una mobilitazione eccezionale di mezzi e di volontà. E’ possibile. Il mondo occidentale è uscito dalla grande crisi del 1930 con una mobilitazione di mezzi, ma ha finito per preparare la conduzione della seconda guerra mondiale. Proponiamo di mobilitare oggi mezzi equilibrati per lottare contro tutte le forme di povertà e di esclusione e per mettere in atto tecnologie e forme di produzione rispettose dei nostri luoghi di vita.

Il 20% degli uomini dispongono oggi di più dell’80% delle ricchezze. Alcune famiglie ricevono in redditi monetari l’equivalente di migliaia, forse milioni, di famiglie povere. Persone e paesi detentori di grandi ricchezze avranno dunque da sopportare in gran parte lo sforzo.

Apertamente accettato, questo sforzo di solidarietà costituirà la condizione politica che permetterà l’adozione, per tutti i paesi, di obbiettivi comuni e di una strategia coerente. Sarà l’espressione concreta del riconoscimento dell’unità della comunità umana. Può inoltre costituire una tappa qualificata della messa in campo di nuovi meccanismi di solidarietà e di redistribuzione, come quelli che le società umane hanno saputo inventare nel passato e che rende sempre più necessario a livello mondiale la moltiplicazione dei legami tra le società e gli uomini del mondo intero.

La strategia d’azione, infine, per essere all’altezza delle due ambizioni, deve essere anche coerente, oltre che concreta, rispetto al modello attuale di sviluppo: essa necessiterà delle organizzazioni, dei dirigenti, dei modi di regolazione, delle tecnologie adatte per le finalità da perseguire; essa si costruirà nella durata e al prezzo di una determinazione priva di incrinature.

b) L’unità e la diversità delle priorità

Le tre crisi sono mondiali e provocano su scala mondiale priorità d’azione comuni: la riabilitazione e la diffusione di valori comuni, la riduzione delle ineguaglianze tra le persone e tra le società, la salvaguardia e la restaurazione delle risorse essenziali per la vita, la costruzione di nuove realizzazioni tra gli esseri umani e i loro ecosistemi, il freno allo sperpero energetico ed alimentare. Ma le priorità comuni si tradurranno in misure non uniformi, fissate a livello mondiale, con iniziative coordinate, adattate all’infinita diversità dei contesti.

Di conseguenza, si evidenzieranno particolari priorità in ogni regione del mondo. I paesi più ricchi sono principalmente di fronte alle nuove forme di esclusione e alla necessità di rivedere in profondità il proprio modo di vivere; i paesi del vecchio insieme sovietico hanno da affrontare una disoccupazione di grande ampiezza, la conversione di un sistema di produzione inefficace, la minaccia delle installazioni nucleari militari e civili e il depauperamento del loro ambiente; i nuovi paesi industrializzati si segnalano spesso per uno sfruttamento forsennato degli uomini e dei luoghi; i paesi più poveri hanno difficoltà a controllare la crescita della popolazione, a fronteggiare l’estrema povertà, a salvaguardare le acque e i suoli, a sviluppare mezzi scientifici e tecnologici realmente compatibili con la loro cultura e adatti alle loro situazioni; per l’insieme dei paesi aridi, l’acqua e la preservazione delle distese vegetali e dei suoli diventano urgenze vitali ecc.

Alcune priorità si possono individuare a livello planetario (salvaguardia degli oceani, prevenzione della fascia dell’ozono, limitazione delle emissioni di gas per l’effetto serra… ) non possono essere concepite né adattate allo stesso modo secondo le situazioni, soprattutto se sembrano imposte ai più deboli da parte dei più potenti.

Il bisogno di tradurre localmente le priorità comuni e la presa in carico delle priorità particolari obbligano a riconoscere permanentemente l’unità e la diversità del mondo. Impediscono dal concepire strategie monolitiche, imposte dall’alto. Abbiamo bisogni di concepire una strategia plurale, che organizzi le convergenze.

c) L’articolazione dei livelli d’azione

Di fronte alle sfide maggiori di questa epoca è a tutti i livelli che deve essere portata l’azione. A livello di individui, di cittadini e di consumatori, l’educazione, l’informazione, la presa di coscienza, l’affermazione della dimensione etica devono contribuire a far evolvere i sistemi di valore e i comportamenti con effetti anche ben oltre il piano locale, ovvero sul piano regionale e mondiale.

A livello delle imprese, delle municipalità, delle collettività territoriali, il gioco è determinante. Ciò coinvolge da un lato i loro dirigenti, i quadri e i salariati, ma anche i loro clienti (per i primi) e i loro amministrati (per i secondi), così come le norme, i regolamenti e le leggi, nel quadro dei quali essi operano. Le piccole comunità umane, i villaggi, i territori, le pianure, le città, le unità geologiche, climatiche, idriche e storiche che hanno giocato un così grande ruolo nella storia passata sono chiamati a rivedere questo ruolo in modo completamente rinnovato. E’ in effetti a questa scala che la diversità delle situazioni e dei contesti sociali, culturali ed ecologici può essere presa in considerazione. A questa scala devono anche essere democraticamente concepiti, dibattuti e messi in atto  approcci integrati che riconcilino gli uomini con i loro ecosistemi.

Gli stati-nazione sono stati nei secoli passati il livello principale in cui si sono inventati i regolamenti, si sono messe in atto le solidarietà. In un’epoca in cui gli scambi sociali ed economici si organizzavano essenzialmente all’interno del loro quadro e dove i danni causati ai luoghi naturali erano circoscritti all’interno delle proprie frontiere, è sulla scala degli stati-nazione che si sono concepiti gli equilibri sociali ed ecologici, i modelli di sviluppo adattati al genio di ogni popolo, le modalità di controllo democratico, i sistemi di normalizzazione, di legislazione e di controllo. Questo ruolo preponderante degli stati è largamente rimesso in discussione: dall’alto a causa della globalizzazione degli scambi, delle informazioni, degli squilibri ecologici; dal basso per l’aumento delle aspirazioni verso una maggiore autonomia. L’idea di piena sovranità, come quella della conservazione delle frontiere, è diventata un’illusione. Questo doppio movimento di smantellamento degli stati è diventato irreversibile. Pertanto, ogni stato-nazione resisterà per lungo tempo ad un’istanza decisiva per un dibattito politico, per l’elaborazione delle grandi decisioni, per la messa in atto delle solidarietà, per la legislazione, la tassazione e il controllo. Semplicemente, deve accettare di non essere altro che un livello, sicuramente importante ma relazionato agli altri, della gestione di un mondo responsabile, plurale e solidale; e le sue strategie dovranno accettare di partecipare a dinamiche più vaste.

E’ questo un livello che dovrà giocare un ruolo crescente nel prossimo secolo: il livello relazionale. Gli stati-nazione sono troppo numerosi, disparati, diversi per poter dialogare efficacemente sia sul piano dell’eguaglianza a livello mondiale sia per elaborare insieme le strategie ambiziose che le sfide rilevate richiamano. Sono state prese molteplici iniziative di organizzazione regionale e ben si vede abbozzarsi la possibilità di un’organizzazione del mondo probabilmente a geometria variabile, secondo le sfere, attraverso le quali emergono da otto a dieci grandi regioni. Queste regioni potranno ben giocare nel XXI secolo un ruolo nell’organizzazione dei loro mercati interni e nelle loro aperture ai mercati esterni, analoghi a quelli che ha giocato lo stato-nazione nei cinque secoli passati. Più ampiamente esse sembrerebbero dover costituire un livello particolarmente adatto per la regolazione delle relazioni tanto tra gli esseri umani e la natura, quanto negli uomini tra loro. Nella prospettiva di una gestione del pianeta, che non sia né dominata dal/i paese/i più potente/i, né consegnata ad una gestione di esperti, ad un collegio di rappresentanti, le grandi regioni del mondo dovranno essere chiamate a giocare un ruolo crescente. Una delle condizioni della riduzione degli armamenti è di assicurare la sicurezza delle nazioni e dei popoli. Negli accordi tra gli stati e l’intervento di un’istanza mondiale, istanze e procedure regionali dovranno ancora giocare un ruolo essenziale.

Il livello mondiale, infine, diventerà necessariamente decisivo nei prossimi decenni, sia che si tratti di norme di diritto e di regolamentazione, sia che si tratti di tasse, di controllo, di lancio di grandi iniziative e di coordinamento di grandi azioni plurinazionali. Per arrivarci occorrerà, pertanto, che un’autorità mondiale riesca ad acquisire la legittimità necessaria, mostri la sua volontà di imporre regole comuni anche agli attori economici e politici più potenti. Bisognerà anche che possa essere messo in atto un dispositivo istituzionale che assicuri l’indispensabile separazione dei poteri, in particolare tra ciò che configurerà l’ufficio legislativo, quello esecutivo e quello giudiziario. Occorrerà, in seguito, uscire dalle divisioni delle negoziazioni, legare, per esempio, quelle sul commercio ad un accordo sulla protezione dell’ambiente. Bisognerà, infine, che la comunità internazionale sostenga l’emergenza di reti mondiali capaci di attuare strumenti di contro-potere, mezzi di vigilanza e di forze di proposta che si mobilitino per una strategia d’insieme.

Dall’individuo al mondo, non sfuggiamo, lo si vede, dall’articolazione delle responsabilità e delle competenze su differenti livelli. Bisognerà innovare profondamente per evitare l’intasamento burocratico e l’aggrovigliamento delle competenze, così propizi a generare l’irresponsabilità generalizzata. Deve essere chiaramente data priorità all’iniziativa locale, alla gestione locale, il solo livello capace di rivitalizzare i legami tra le società e i loro luoghi di vita. E’ il principio della sussidiarietà. Ma questa sussidiarietà non significa che ogni collettività è libera di fare ciò che vuole sul suo territorio. Non ne è proprietaria, ma amministrante. E’ tenuta a metterci in atto i principi di salvaguardia, di responsabilità, di prudenza, di moderazione. Appartiene ad essa la libera scelta dei suoi mezzi, ma all’interno di finalità e di coerenze discusse ed enunciate ad un altro livello. E’ per rimarcare questo dovere d’articolazione che preferiamo parlare di sussidiarietà attiva. Questo principio si applica man mano, dal mondo intero alla comunità di base. Dagli individui al pianeta, le comunità umane sono legate tra loro con contratti dove si equilibrano i loro diritti e i loro doveri, tanto nei confronti dei loro amministrati quanto nei confronti del pianeta e delle generazioni future.

d) Gli elementi del processo

Contribuire a che l’umanità contemporanea prenda la misura della sua responsabilità e l’assuma; che l’umanità, attraverso i suoi popoli, nazioni, culture, attraverso le sue élites e i suoi dirigenti, le sue istituzioni e i suoi molteplici attori, prenda coscienza delle sue nuove responsabilità, verso se stessa, verso i più esclusi e i più deboli, verso la terra e il vivente, verso le generazioni future e che si impegni ad assumerle: questa è la sfida.

Ma le nostre società, prese dal turbinio delle urgenze e ampiamente demotivate dai fallimenti dei grandi messianismi del XIX secolo, sembrano  rinunciare a proiettarsi nel futuro. In modo sempre più complesso, esse hanno dovuto mal concepire la condotta del loro cambiamento. In sostanza, esse sono poco propense a prendersi in carico il futuro del mondo. E’ dunque essenziale rendere visibile un processo coerente di cambiamento. Attualmente è più importante dire come mettersi in marcia, ancor più che dire dove andare.

Questo processo deve dispiegarsi in modo pluridimensionale, a partire dal cambiamento di comportamento dei cittadini e dei consumatori e dalle azioni collettive locali fino alle decisioni prese su scala planetaria.

Questo processo di cambiamento collettivo potrà comportare i seguenti elementi:

-          il cambiamento progressivo delle rappresentazioni: per gran parte, il mondo cambia nelle nostre teste prima di cambiare nel concreto. L’educazione è uno stimolo d’azione essenziale e le trasformazioni da operare in essa sono tantissime. E’ un nuovo umanesimo che bisogna aiutare a nascere, con una componente etica essenziale e con un ampio posto dedicato alla conoscenza e al rispetto delle culture e dei valori spirituali delle diverse civiltà, contrapposti al tecnicismo e all’economicismo della modernità occidentale. Gli insegnamenti scolastici, da parte loro, devono far posto ad una riflessione sui valori e nell’incaricarsi di azioni devono far posto ad un approccio critico della scienza e delle tecniche, all’apprendimento di procedimenti sistemici piuttosto che analitici, cooperativi piuttosto che competitivi. Non si tratta di aggiungere uno o due moduli a programmi già intrapresi, ancor meno di concepire un’iniziazione all’ecologia, uniforme da un paese all’altro, ma di riorganizzare dappertutto gli insegnamenti intorno ad una visione d’insieme dei rapporti e degli scambi degli uomini tra loro e con la natura, insistendo sulla diversità della coppia uomini-luoghi. Nel momento in cui si metteranno in campo dei sistemi d’insegnamento, questa formazione dovrà essere offerta ai cittadini che la sosterranno e in particolare agli stessi insegnanti, formatori, giornalisti, tecnici, ingegneri, decisori.

-          La costruzione di un immaginario collettivo: solo una visione comune dell’avvenire, con tappe, è suscettibile di calamitare le energie, di riunire gli sforzi, di far entrare il concetto di lungo termine nelle decisioni del presente. Solo un immaginario collettivo costruito in comune sarà capace di creare le sinergie che permettono di estirpare la pressione dei contrasti, di superare gli interessi immediati, di oltrepassare gli ostacoli, di utilizzare ogni sfida come opportunità di rinnovamento e capacità di riprovare.

-          La gestione frontale delle innovazioni: un’innovazione non va mai da sola; essa impegna molto tanto a valle quanto a monte. Un’innovazione limitata al domani è votata allo scacco. E’ in un processo collegato che si dispiegano le innovazioni tecniche, quelle sociali, i cambiamenti delle mentalità, dei comportamenti e delle istituzioni. E’ dunque un’andatura coordinata di innovazioni tecniche e sociali che dovremo stimolare, nel corso dei prossimi decenni, presso gli stati, le imprese, le organizzazioni cittadine, i sindacati, i movimenti dei consumatori.

-          Lo sviluppo e la federazione di reti di scambio d’esperienze: le innovazioni socio-tecnologiche nascono sempre localmente: in un’impresa, in una città, in un villaggio, in un territorio o in qualche comunità. Sono sempre radicate, legate, ad un contesto particolare. Ma occorre anche che esse si diffondano, che siano assimilate e trasformate con altre. Per questo sono necessarie le reti. Ora, la maggior parte delle reti attuali sono localizzate o specialistiche, mentre è vero che molte sfide attuali sono planetarie. Bisogna dunque sviluppare le reti esistenti, stimolare la nascita di nuove, aiutarle a collegarsi in modo agile, a federarsi. Così si potranno guadagnare preziosi anni, forse decenni, nella diffusione di innovazioni che possono contribuire a rispondere a questo o quello aspetto delle tre crisi con cui ci confrontiamo.

            Coerenza della strategia e dei suoi strumenti di messa in atto, legame tra le soluzioni da apportare alle tre crisi, necessità di conciliare le priorità locali delle comunità con quelle planetarie e la considerazione delle priorità di ogni regione del mondo, articolazione di differenti livelli d’azione e dei differenti ingredienti di messa in movimento: vediamo progressivamente delinearsi le caratteristiche della strategia da inventare collettivamente. Evidentemente questa strategia è multi settoriale, implica cambiamenti coordinati delle mentalità, dell’educazione, delle istituzioni, delle tecnologie, delle norme, del diritto, della fiscalità, delle relazioni internazionali…

 

            4. Programmi di mobilitazione

            L’umanità si confronta con sfide concrete, urgenti, planetarie. Rilevarle dovrà permettere di mobilitare energie per alcuni grandi programmi. Questi programmi non basteranno, purtroppo, ad organizzare la grande mutazione delle società necessaria nel XXI secolo, ma saranno il segnale tangibile di una reale partenza, che mostrerà che è possibile attaccare simultaneamente le tre crisi, suscitando occasioni di lavoro, materializzando con un’opera comune la coscienza di appartenere tutti alla stessa comunità umana, migliorando le condizioni di vita delle popolazioni più indifese, restaurando un miglior equilibrio tra gli uomini e i loro luoghi.

            Cinque programmi di mobilitazione ci sembrano ben rispondere a questa definizione. Concernono l’acqua, l’energia, i suoli, la riabilitazione delle regioni profondamente degradate, la conversione delle industrie di armi.

-          L’acqua: una persona su tre nel mondo oggi soffre della mancanza di acqua. Negli ultimi venti anni si assiste a come nel continente africano la penuria di acqua sia drammatica. L’80% delle malattie principali del terzo mondo esiste per la cattiva qualità dell’acqua. I conflitti tra paesi per il controllo di questa rara risorsa diventano sempre più frequenti e gravi, perché i grandi bacini che scorrono ignorano le frontiere. Se la gestione dell’acqua è spesso sorgente di conflitti, allo stesso tempo è il cemento di comunità. Interessando la città e la campagna, la sanità, l’agricoltura, l’energia, l’alimentazione, necessitando di approcci integrali su diversi piani, dal più piccolo al più grande, un programma che mobiliti azioni in favore dell’acqua è suscettibile dell’utilizzo di un’ampia gamma di tecniche e può creare numerosi posti di lavoro; implica l’utilizzo della sussidiarietà attiva, privilegiando le iniziative locali e situandole in una visione d’insieme; concorre a sua volta ad un miglioramento della vita, allo sviluppo dell’attività e alla ricerca di migliori equilibri tra gli uomini e i loro luoghi.

-          L’energia: il programma deve comportare due indirizzi: le economie energetiche e gli investimenti in energie rinnovabili. Tutti i paesi, compresi i più poveri, nascondono importanti riserve energetiche. Valorizzare queste riserve, sviluppare tecnologie economiche per l’energia, sopprimere progressivamente le molteplici forme di sovvenzionamento mascherate dall’uso di energie fossili; tutto ciò concorrerà a rendere vitale l’investimento in energie rinnovabili dappertutto e sotto tutte le forme in siano disponibili. Applicato su vasta scala, il programma permetterà di migliorare l’efficacia delle tecnologie di produzione di energie rinnovabili. Come quella dell’acqua, la gestione decentralizzata dell’energia porta ad utilizzare la sussidiarietà attiva. Il programma è simultaneamente benefico sul piano locale e su quello globale: permette inoltre di ridurre l’inquinamento locale, le emissioni di gas che causano l’effetto serra e la crescita dei rischi e dei rifiuti legati al nucleare.

-          I suoli: il programma consisterà nel promuovere su tre ampi livelli la messa in atto di forme di sfruttamento dei suoli che non creino, o lo facciano il meno possibile, il degrado delle loro funzioni biologiche, alimentari, regolatrici delle funzioni idrogeologiche. Questo degrado massiccio è oggi causa di un grave abbassamento della fertilità dei luoghi, dunque della desertificazione. Il programma punta decisamente a una triplice ripartizione del risultato: obbligare ad una revisione profonda dei sistemi di produzione agricola; mobilitare molta manodopera e ridurre l’insicurezza alimentare nei paesi più poveri; obbligare a ricercare una gestione diversificata degli ecosistemi e di combinare i programmi su ampia scala e in micro-iniziative.

-          La rivitalizzazione di regioni profondamente degradate: questo programma può interessare anche molti paesi di vecchia industrializzazione, i paesi che hanno subito (in Europa centrale, nella vecchia URSS o altrove) gli eccessi devastanti della modernizzazione e dell’industrializzazione a marce forzate. Esso ha un immenso valore simbolico in un mondo dove gli uomini non hanno avuto principalmente la tendenza di andare altrove quando il loro luogo era stato rovinato dai loro bisogni e dalle loro imprevidenze. Su un pianeta limitato nei suoi confini, sempre più sovraccarico di uomini, le strategie di riabilitazione devono orientarsi risolutamente sul sogni di conquistare nuovi ed improbabili spazi. La riabilitazione dei luoghi è la nuova frontiera dell’umanità.

-          La conversione delle industrie di armi: dopo la seconda guerra mondiale, pezzi interi di economie, in numerosi paesi, si sono costituiti intorno alla produzione di armi. La fine della guerra fredda permette in teoria di liberare molte competenze e di eliminare molti mezzi bellici. La loro conversione dalla guerra alla pace è pertanto una grande sfida. Essa suppone a sua volta una volontà politica, l’apertura di nuovi sbocchi e più ancora nuove prospettive entusiasmanti per le competenze e per il talenti liberati. Proponiamo un programma mondiale, concertato, di conversione delle imprese di armi verso lo sviluppo di tecnologie non aggressive per l’ambiente. Ciò sarà un investimento a perdere in partenza, ma redditizio alla fine. Questo sarà anche il simbolo del passaggio da un periodo di conquista e di scontri ad un periodo di solidarietà e di alleanza, tanto tra le società, quanto tra queste e la natura. Inoltre, occorrerà che siano assicurate sotto garanzia le istanze internazionali – di preferenza regionali –, le condizioni di sicurezza, tanto per i paesi, quanto per le minoranze all’interno delle nazioni.

            L’idea di un programma mobilitatore non è nuova. Lo scacco che abbiamo conosciuto nel passato di simili programmi suscita a buon diritto lo scetticismo. Ma si possono anche liberare questi scacchi con la messa in opera di alcune regole perché i programmi cementino la chance di rivincita:

-          necessità di un adeguamento dei fini tra il programma e i bisogni delle regioni in cui è attuato (come avvenne per la ricostruzione dell’Europa con il Piano Marshall);

-          fissazione dell’insieme della durata (15-20 anni), eventualmente associando al programma una generazione di uomini;

-          immissione progressiva di procedure e di finanziamenti;

-          messa in campo di capacità istituzionali e tecniche decentralizzate, radicate nelle popolazioni e da loro accolte, in particolare con protocolli d’intesa approntati con i rappresentanti delle popolazioni;

-          sulla base delle scelte delle soluzioni tecniche più adatte, attualizzazione progressiva dei lavori, con regolare valutazione del loro impatto, sempre in stretto collegamento con le popolazioni;

            I Paesi ricchi dovranno apportare un contributo maggiore, Circa le forme di prelievo di questi contributi, possono essere previste delle tasse progressive (ma che tengano conto delle condizioni climatiche) basate sul consumo di energia (o delle emissioni di CO2) e tasse mondiali sulle spese d’armamento per abitante e sui guadagni di borsa.

 

            5. Le speranze

            Si possono disegnare tre orizzonti:

-          l’orizzonte 2000: grazie ad una presa di coscienza e con la convergente mobilitazione di molteplici energie – gli stati generali del pianeta – le decisioni maggiori sono state prese e grandi programmi sono stati iniziati nei principali ambiti. Si abbozzano delle linee decisive. (Qualche iniziativa del genere, per fortuna, è stata presa. NdT);

-          l’orizzonte 2030-2050: questo orizzonte marca una biforcazione decisiva, perché fonda il proseguimento della tendenza attuale e potrà condurre in queste date a dei degradi profondi e a degli squilibri difficilmente reversibili. Nella maggior parte delle sfere (demografia, coesione sociale, solidarietà, acqua, energia) si dovrà già aver trovato da qui ad allora vie sostenibili e durevoli;

-          l’orizzonte 2080-2100: è in questo orizzonte che si può sperare di trovare un nuovo equilibrio tra gli uomini e il pianeta, con modi di vita e di produzione che limitino i prelievi e i rifiuti per quanto sia sopportabile dal pianeta.

 

            6. Gruppi Geoculturali


            La via geoculturale riflette la diversità dei luoghi e delle culture, mirando a riunire una comunità, una regione, un paese, un continente, a partire dalle realtà locali e dalle sfide delle loro società:

 

 

·         Europa

Gli Europei partecipano all’Alleanza dopo le riunioni che hanno portato alla Piattaforma per un mondo responsabile, plurale e solidale. Oggi l’Alleanza è presente in molti paesi dell’Europa occidentale e del Sud. Nel 2001 la riflessione si è concentrata su quattro temi principali, attraverso un forum elettronico e un’assemblea continentale.

·         Americhe

In America Latina numerosi gruppi partecipano alla dinamica dell’Alleanza. Impegnati nelle risposte alle sfide che attraversano la regione, questi gruppi lavorano sull’educazione, sull’economia solidale, sulla comunicazione, sull’agricoltura contadina, sull’ambiente, sull’arte, sulle relazioni uomini-donne.

·         Africa

L’Alleanza in Africa si propone di confrontare le sfide che il continente affronta. Per quanto riguarda queste sfide, la pace è un elemento essenziale. Le ultime iniziative sul continente sono la Carovana Africana per la Pace e la Solidarietà e il Congresso della Rifondazione Africana.

·         Asia

Gli alleati asiatici interpretano le sfide della costruzione di un Mondo responsabile, plurale e solidale a partire dalle proprie culture. Nel corso di molti incontri, hanno affermato l’importanza della spiritualità e l’affermazione di specifici valori in questa costruzione.

·         Mondo arabo

Dopo il 1998 molti incontri hanno consolidato la partecipazione di intellettuali e di militanti politici arabi all’Alleanza per un mondo responsabile, plurale e solidale. Questa partecipazione ha il fine di promuovere uno sviluppo democratico della regione e la costruzione di una rete che tratti con convinzione un’interconnessione tra le sfide del Medio Oriente e il resto del mondo.