Radio Rai 1
Trasmissione radiofonica “La notte dei misteri”
17 maggio 2002, ore 0,38
In studio:
Anna Longo
(giornalista conduttrice Radio Rai 1)
Bruno Ballardini,
prof. di tecnica della comunicazione
Paolo Coluccia,
ricercatore sociale e saggista
Tema della trasmissione[1]:
Il modello
A.L. E’ il momento di salutare i
nostri ospiti, che sono Bruno Ballardini (in studio), professore di Tecnica
della comunicazione, autore di vari saggi che riguardano tra l’altro il tema di oggi: il modello, e Paolo Coluccia (al telefono),
ricercatore sociale indipendente, autore a sua volta di vari libri, nei quali
parla di “reciprocità”, di Banche del tempo. Un saluto ad entrambi. Io direi di
partire da Bruno Ballardini, perché in questo manuale di informazione,
un libro uscito da Castelvecchi, analizza il concetto di modello con alcune
osservazioni su quello che è utile fare rispetto a questa grande presenza di
modelli nella nostra società.
B.B.
Allora, io dovrei fare una premessa brevissima su cosa sono i modelli. Devo dire
che si tratta della prima tecnologia su cui si basa l’intelletto, diciamo anche
ogni forma d’intelligenza, senza andare a scomodare Maturana e Varela, che sono dei cognitivisti di formazione biologica, che si sono
occupati di questo in modo compiuto. Noi facciamo uso di modelli in ogni
momento della giornata e della nostra vita. I modelli sono delle forme, degli
archetipi, dei modi, delle modalità, se volete
possiamo fare il paragone col computer: il modello è un software che viene
inserito nella nostra mente, che noi decidiamo di inserire, per farla
funzionare in un modo o nell’altro. Quindi produciamo cose estremamente
diverse a seconda del modello che abbiamo inserito.
A.L. Ecco, quindi qualcosa di
quasi tangibile, un concetto che ci riguarda tutti, che abbiamo sottomano in
continuazione.
B.B.
Proprio per questo sarebbe opportuno ogni tanto tornare a cercare di capire, ad
analizzare che cosa siano i modelli, per essere più coscienti. In questo modo
si può produrre in qualche modo un’ecologia della mente,
un’ecologia dell’etica, si può…
A.L. …si può ripulire la mente
dalla confusione che fa scambiare un modello per qualcosa di categorico,
perché, per esempio, modelli ce ne sono tanti, noi possiamo scegliere tra l’uno
e l’altro, perché li riconosciamo appunto come esterni
a noi, no? Forse…
B.B.
Questo potrebbe essere utile a tutti quanti, agli educatori, a chi riceve un
insegnamento, in generale essere un po’ più coscienti di questo meccanismo
potrebbe essere molto utile.
A.L. Torneremo più avanti su questo,
Bruno Ballardini, perché parleremo della pubblicità che è un veicolo importante
di modelli. Paolo Coluccia, invece, veniamo a lei. Un libro che si chiama “La
cultura della reciprocità”, che parla di scambio locale non monetario, ma che
parla anche di altre cose e propone questo concetto:
la reciprocità. Io glielo interpreto in quest’altra maniera. Volevo proporre a
Paolo Coluccia questa domanda: è possibile essere reciproci anche
nell’acquisizione e nell’offerta di modelli?
P.C. Anche io vorrei fare una
premessa, ma entro subito nel vivo della questione. Il problema di essere o meno reciproci non è qualcosa che scopriamo
oggi, come possibilità, lo ritroviamo già nel neolitico, quando abbiamo deciso
di diventare coltivatori ed allevatori, esseri socializzati, quando ci siamo a
vivere insieme. E pertanto nel corso del tempo abbiamo
creato nella nostra psiche questo modello: il modello di base dell’essere
insieme. L’evoluzione biologica da una parte e l’evoluzione sociale dall’altra hanno portato a situazioni di differenziazione. Il modello
che per esempio si è sviluppato maggiormente è il modello economico, il modello
a cui tutti fanno riferimento, almeno nella società occidentale. Ma riprendendo
le analisi molto profonde fatte sulla reciprocità, e quindi sul dono, dono
inteso come scambio sociale, da Marcel Mauss, Malinowsky ed altri, riscopriamo
che ciò che sta alla base di ogni rapporto sociale è
la reciprocità, anche nella stessa società di mercato. Senza una profonda
cultura della reciprocità non abbiamo società, né la stessa economia di
mercato. Questo, nel tempo, lo abbiamo dimenticato: bisognerebbe riscoprirlo.
Infatti, questo mio libro che uscirà in questi giorni, vuol tentare di
riscoprire la cultura della reciprocità, analizzando questo paradigma,
piuttosto affascinante, che nel mondo, in tante piccole parti del mondo, non a
livello globale, ma a livello locale, crea esperienze…
A.L. …
esperienze concrete, che dimostrano che si può scambiare non soldi, ma anche
altre cose. Ora io mi rivolgo ad entrambi, mentre va lo stacco musicale.
La domanda per voi non è soltanto come vi ponete rispetto ai modelli, buoni o
cattivi, e poi il buono e il cattivo, a loro volta, sono interpretabili
naturalmente. Ma, anche se voi vi sentite responsabili
essendo modello per qualcun altro, a cominciare da chi fa l’insegnante, per
esempio. Abbiamo in mano un libro di Serge Latouche, che si chiama “La
fine del sogno occidentale. Saggio sull’occidentalizzazione
del mondo”, pubblicato da Eleuthera. Qui si denuncia proprio questa rincorsa
all’economico, cioè al modo di vivere americano. Si
parla di universalismo universale per dire che non va
bene, che viola la democrazia delle culture, si parla di mondializzazione come
tecnologizzazione, di mercificazione totale del mondo. Ecco, abbiamo
con noi Paolo Coluccia, che con Latouche lavora e ha lavorato. Io direi,
Paolo, c’è modo di uscire da questo, lei che cosa
propone, che cosa ha fatto che non è così?
P.C. Mi fa piacere tirare in
campo, nella discussione, il pensiero di Serge Latouche, che ha fatto
l’introduzione al mio libro uscito l’anno passato…
A.L. …sulle Banche del tempo,
pubblicato da Bollati Boringhieri…
P.C. Sì, Bollati Boringhieri…
A.L. Mentre questo nuovo uscirà…
P.C. Uscirà con la casa editrice
Arianna. Latouche in quell’introduzione riporta un vecchio proverbio e dice che
quando si ha un martello in testa si vedono tutti i problemi sotto forma di
chiodi. Ebbene, secondo Latouche, ma anche secondo una coscienza che sta fuori
di noi (se si guarda correttamente la realtà come c’insegna il compianto
Varela) gli uomini moderni si sono messi un martello
economico nella testa e tutte le nostre preoccupazioni, tutte le nostre
attività, tutti i nostri avvenimenti sono visti solo ed attraverso il prisma
dell’economia. Il prisma economico è il modello dominante.
A.L. Questo è chiaro. Io le
chiedo di andare al nodo e di dirmi che cosa lei ha fatto? Cosa
sta facendo, non solo nella teoria, nei suoi studi, ma anche nella pratica?
P.C. Il libro, infatti, viene fuori da un’esperienza pratica, un’esperienza molto
avvincente, non fatta tutta da me, io sono stato un socio di questa Banca del
tempo, un sistema di scambio locale, nella quale si è fatto qualcosa di molto
semplice. Si è riunito un gruppo di persone e si è stabilto un patto: scambiamo
i nostri saperi, le nostre capacità, la ricchezza del nostro tempo senza
l’intermediazione del denaro. Con quali strumenti, con quali mezzi? Partendo da
un pezzo di carta, dato a ciascuno dei partecipanti, sul quale abbiamo scritto
cosa sapevamo fare e ciò che volevamo ricevere.
A.L. Per esempio, che tipo di attività?
P.C. Beni dismessi, come un
computer diventato obsoleto per me, ma che per uno che inizia può essere molto
importante…
A.L. Certo, certo…
P.C. Ma anche prodotti dell’orto
coltivati in surplus, bioogici (era questa in particolare la mia passione
preferita nello scambio), ma anche una lezione per l’aiuto allo studio a
qualche ragazzo che a scuola soffriva una certa metodologia didattica, un certo
modello d’insegnamento.
A.L. Anche i ragazzi avevano
qualcosa da offrire nello scambio?
P.C. Ecco. I ragazzi si cercava di coinvolgerli per far loro capire quanto fosse
importante intessere delle relazioni sociali e quindi far vedere il modello con
cui i loro genitori cercavano di realizzare delle possibilità relazionali.
Questa cosa, noi, oggi, non possiamo non tenerla in debita considerazione.
A.L. Questa esperienza
dove l’avete eseguita, dove si è svolta?
P.C. Si è svolta a Martano.
A.L. Martano, in provincia di
Lecce.
P.C. Si. Ma
moltissime altre esperienze sono state fatte sul territorio nazionale. E poi il riferimento a livello internazionale è ampio.
A.L. Dove sono nate queste
esperienze?
P.C. Il modello è stato inventato
in Canada da Michael Linton, un economista, un professore di economia,
il quale capì (questo vent’anni fa, agli inizi degli anni ’80 – il modello è
molto recente) che qualcosa non stava funzionando in ambito sociale. Bisognava
tentare…
A.L. Cioè
questo mito, appunto, del sogno occidentale come lo chiama Latouche comportava
una serie di fregature…
P.C. Una serie di problematiche.
In sostanza, noi, oggi, dopo un periodo di riconversione industriale, dopo un
periodo di razionalizzazione anche di tipo sociale,
stiamo cominciando a scoprire che l’economia di mercato tira per una parte
della società, ma una parte di questa – come dice Ulrich Bech – non ne
beneficia e sfocia nella “under class” e si distanzia dal modello dominante. Va
verso altri modelli.
A.L. Adesso le faccio un’altra
domanda per metterla in contraddizione. Insomma, in Canada abbiamo preso questo
modello. Allora, che abbiamo fatto, abbiamo copiato da un altro paese qualcosa
che succedeva altrove?
P.C. In Canada non c’è stato un
successo di questo modello, tanto che è stato esportato subito in Gran
Bretagna, dove nel periodo thacheriano con l’abbattimento dello stato sociale lo
spirito associativo del popolo anglosassone prese una
certa forza.
A.L. Quindi è stata una via
d’uscita alla crescita della miseria?
P.C. Molte persone espulse dal mercato del lavoro, per il processo di riorganizzazione industriale, ma anche per la difficoltà generata dai tagli allo stato sociale…
A.L. Bene. Allora la mia domanda
diventa: abbiamo copiato dall’Inghilterra?
P.C. Qui da noi si evolve, quando
viene in Italia non si basa sul modello inglese, ma soprattutto sul modello del
recupero del tempo, del tempo come risorsa.
A.L. E’ cambiato, allora, quando
è arrivato in Italia, lo abbiamo saputo modificare.
P.C. Il problema è questo: non ci
troviamo di fronte ad un “progetto”, ma ci troviamo di fronte ad un “sistema”.
Qual è la differenza? La differenza tra progetto e sistema è che il progetto
segue una via lineare, il sistema segue un percorso complesso, non lineare,
caotico. Quindi, da un modello scaturisce la moda, ma
se poi c’è un buon contagio, si ha l’innovazione. Se
il contagio non c’è, l’innovazione non avviene. Il sistema sostanzialmente
tende ad adattarsi.
A.L. Io vedo che il mio ospite
presente in studio, e quindi avvantaggiato, perché può dare dei segnali anche
con i gesti…
P.C. Veda, è
importante chiamare questi sodalizi “sistemi” di scambio locale e non progetti…
A.L. Ho capito, la differenza è
importantissima, però, facciamo parlare Bruno Ballardini, che forse dissente.
B.B. No.
E’ solo una cosa interlocutoria. Cioè,
si diceva prima che il tentativo era di soppiantare il sistema economico, mi
sembra che con quell’esperimento la logica dell’economia non sia stata
sostituita da qualcosa di diverso. In realtà è una forma economica anche
quella, si chiama baratto. Cioè, non è neanche
innovativa, è abbastanza antica.
A.L. Coluccia, su questo?
P.C. Su questo ho la possibilità
di dare una risposta molto adeguata. Il baratto, seguendo l’indicazione di
Polanyi, altro non è che un mercato, un’economia di
mercato rudimentale, dove due individui equivalenti si scambiano degli oggetti.
Ma si devono mettere d’accordo sul valore. Invece, nel
nostro caso, siamo nell’ambito della reciprocità e della relazione.
A.L. Quindi come una sorta di
spontaneità?
P.C. E soprattutto non si tratta
di un’alternativa all’economia di mercato, bensì di
un’innovazione, di un qualcosa di diverso. Rifkin, in una recente intervista,
ha detto: “L’economia di mercato è importante, ma non è tutto!”. Noi cominciamo
solo oggi, forse, a capire che non si può vivere di solo mercato…
A.L. …sì, sì…
P.C. …ma dobbiamo vivere anche di
relazioni. Quelle piccole cose che non riusciamo a
trovare nell’economia di mercato, per esempio farci sistemare un rubinetto che
gocciola, quei piccoli interventi che sono poco economici per la logica
dell’impresa, possiamo trovarli in questi sistemi, nei quali si realizza uno
scambio che sa di economico, ma che è soprattutto di tipo sociale, perché si
basa su un legame, ricostruisce un legame, quel legame che non c’è più, per un
inesorabile processo di individualizzazione.
A.L. Sì. Io direi, Bruno Ballardini,
qui il nodo è un altro; il nodo è la voglia di
comunità, come dice Bauman, è questo aver perso, anche per colpa del sistema in
cui viviamo, la consapevolezza del bisogno degli altri e del dovere che
portiamo verso gli altri, che dobbiamo portare agli altri.
B.B. Sì,
io sono d’accordo in parte con quello che è stato appena detto, solo in parte,
ma poi, in ogni caso, il problema a monte è di carattere macroeconomico, cioè a
livello anche geopolitico. Qui stiamo parlando di grandi sistemi che si stanno
configurando (se si parla di globalizzazione, anche se ancora non tutti sono in
grado di dire che cosa sia e dove porti il modello della globalizzazione) e nel
frattempo, comunque, ci sono forme alternative che
stanno affermandosi. Io vorrei citare sempre esempi e modelli che sono stati
collaudati senza riportare al modello di scambio economico… che è uno dei
problemi… è solo uno dei problemi. Poi ci sono i
modelli nel campo della comunicazione, ci sono studi anche su questo, molto
interessanti, a partire da, diciamo… non vogliamo parlare di McLuhan… il suo
successore, che si chiama De Kerckhove, ha tirato fuori un’intuizione
fantastica, cioè che nel prossimo ventennio, a partire
dal libro che ha pubblicato, il modello dominante sarà quello del monitor, cioè
della cornice attraverso cui noi incorniciamo la realtà. Poi ci sono modelli,
quelli percettivi, che vengono diffusi… poi ci sono
modelli di scambio, modelli di aggressione al mercato… quindi c’è una
stratificazione di modelli. Il discorso a monte
importante è di prendere coscienza di come funzionano questi modelli. Prima di
tutto. Io vorrei poi arrivare a parlare anche di marketing.
A.L. Parleremo senz’altro, fra un pochetto, lasceremo anche un po’ di spazio alla musica, per alleggerire e per lasciare a voi il tempo di ragionare e agli ascoltatori di intervenire a questa trasmissione. Io direi che, appunto, lasciamo questo tema aperto, in fondo stiamo facendo un po’ il processo al nostro sistema di vita, a questo modello di sviluppo che tante volte viene contestato. L’importante è che ci si aggiorni e che si rinnovi uno spirito critico, anche questo è un modello, lo spirito critico, la posizione critica rispetto al mondo, alla razionalità, all’illuminismo e via dicendo. Modelli di cui noi viviamo e che dentro questo sistema, articolandoli bene, muovendoci con una certa consapevolezza, dovrebbero aiutarci anche appunto a correggere e a migliorare, ad inventare, formule nuove. Allora, io ritorno a voi ascoltatori e vi chiedo: siete consapevoli dei modelli che vi circondano? Dalla televisione, dalla pubblicità, ne arrivano in quantità enorme, lo sappiamo tutti, ma ce ne sono qui, vicini, accanto a noi, il vicino di casa, che magari un po’ strambo si veste in maniera un po’ esibizionista, curiosa, non vi viene voglia di imitarlo? Ditecelo, perché no? Oppure, voi siete dei modelli quando vi caricate il sacchetto dell’immondizia, non lo lasciate sulla spiaggia, se lo fate, ditecelo? Qualcuno vi imiterà, forse. Senso di sé, perché no? Contagio di modelli, contagio di idee, questo è il tema di questa notte.
[stacco musicale]
I modelli sono tanti, ci
barcameniamo tra l’uno e l’altro ed è anche molto bella questa
epoca in cui viviamo, perché le proposte sono appunto varie e perché le
culture si sono avvicinate a noi, anche fisicamente, attraverso la presenza di
persone di altre razze, ma anche di turisti che vengono dalla Francia, dal
Canada, non pensiamo sempre soltanto nella chiave dell’immigrazione e dei
problemi che comporta. E’ un’epoca molto bella. E allora è vero che siamo
liberi di scegliere tra questi modelli, oppure è anche vero che in tutta questa
ricchezza c’è un qualcosa che obbliga, una dinamica un
po’ perversa, c’è una pubblicità che deve comunque servire un mercato
proponendo delle cose che passano a livello inconscio dentro di noi, e noi poi
dopo cambiamo, ci trasformiamo, in una direzione che non è quella congeniale
per noi. Seguite i modelli della pubblicità oppure siete anti-comformisti?
Siete consumisti? Pensate che sia giusto comunque
adagiarsi un po’ in questo clima oppure pensate ahce, al contrario, bisogna
resistere indefessamente. Oppure, semplicemente
pensate che sia anche sacrosanto comprarsi un bel vestito? Siamo liberi di
scegliere i modelli? Sentiamo Paolo Coluccia che cosa ci dice.
P.C. Siamo liberi di scegliere il
modello, ma allo stesso tempo il modello ci obbliga. La moda ci obbliga.
A.L. La moda, quello che non va
bene è la moda?
P.C. Non diciamo che non va bene,
nel senso che il modello è qualcosa che entra, d’impatto, come innovazione,
come contaminazione, come contagio. Lo si può
accogliere oppure no, non è importante questo. Nel momento in cui si accoglie e
diventa un “modello unico”, un “pensiero unico”, com’è il mercato economico
razionalizzato, o meglio nella sua estrema razionalizzazione
del processo dell’economia di mercato, allora diventa una moda. Nel momento in
cui diventa una moda, tutta una costellazione di attività
legate alla pubblicità (evidente o meno) manifesta un insieme di rinforzi,
conosciuti o sconosciuti…
A.L. Certo, certo…
P.C. …che rischiamo di non staccarci più.
A.L. Ho capito, ma noi abbiamo
una responsabilità, secondo lei, che poi ricade su di noi?
P.C. Noi abbiamo una
responsabilità individuale e collettiva allo stesso tempo. Abbiamo per esempio un
pianeta che rischia di esplodere per eccesso di produzione, ma abbiamo anche
una certa cultura. La cultura, in sostanza, che cos’è? La cultura è qualcosa
che ci viene tramandato o che noi riusciamo a
perpetuare nel tempo.
A.L. Sono punti di riferimento da
cui guardare il mondo prima di essere, per esempio, in
qualche maniera seviziati.
P.C. Certamente. La nostra
capacità culturale si evolve in maniera molto più
complessa di come si evolve la nostra realtà biologica. C’è una teoria, molto
affascinante, che si affianca a quella dei geni, ed è quella dei “memi”…
A.L. Ecco, infatti, e guarda che volevamo parlare di questo…
P.C. Cosa sono
i memi? Sono schemi cognitivi o comportamentali che possono essere trasmessi da
un individuo ad un altro per imitazione, da un cervello ad un altro. Tutta la
società dell’informazione…
A.L. …è basata su questi memi…
P.C. …si sta orientando, sembra
che si orienti su questo processo, che è d’imitazione. Quindi, innovando,
immettendo un’innovazione o riprendendo un’idea che si ritiene un modello, ma
non una moda, immettendola nella società odierna non si compie alcuna
trasgressione, né si crea un’alternativa
rivoluzionaria, perché l’innovazione non è una rivoluzione. L’innovazione è
l’innesto di una gemma su una pianta che è diventata vecchia, che bisogna
rinvigorire.
A.L. Un qualcosa di più dolce
della rivoluzione…
P.C. Quindi, innovare con l’idea
della reciprocità significa andare nella nostra più antica cultura, che in due
terzi del pianeta ancora resiste…
A.L. Ma anche la nostra, la
cultura italiana del nostro sud, lei è del sud, e certi
portati storici di memoria collettiva, di modalità…
P.C. Nel mio libro uscito l’anno
passato dico… attenzione, però, non enfatiziamo il discorso, perché non si può
tornare nei tempi passati…
A.L. No, no, certo…
P.C. Altrimenti, invece di una
Banca del tempo bisognerebbe creare una “macchina del tempo”…
A.L. Vero, è vero…
P.C. Questo, al
di là della battuta, comunque ci serve per capire che nel nostro passato
esiste la nostra cultura.
A.L. Certo.
P.C. E che il futuro altro non è
che il riflesso della nostra immagine “memetica” che abbiamo trasferito per
migliaia di anni nella costruzione del nostro possibile
futuro. Quale sarà il nostro futuro? Sarà la distruzione del nostro pianeta?
Dice Humberto Maturana: “E’ una questione di desiderio!”. Noi possiamo
scegliere di vivere in una cupola di vetro alimentata da ossigeno e fuori ci
potrebbe essere anche la morte totale…
A.L. …cioè
artificialmente…
P.C. Quello diventerebbe il
nostro… ambiente.
A.L. E… insomma?
P.C. E’ una questione di
desiderio. Se noi vogliamo ancora godere della vita
animale, della nostra vita animale, della biodiversità, dei profumi della
natura o della primavera allora dobbiamo avere un desiderio opposto.
A.L. Bene, salutiamo Paolo
Coluccia, che si è occupato di tutte queste cose, non solo nella teoria, anche
se voi sapete che i nostri ospiti a volte parlano difficile, chiaramente interloquiamo
con intellettuali. Però, Paolo Coluccia ha fatto di suo nella pratica una cosa
diversa, per quanto riguarda quel modello di scambio e di reciprocità che ci viene proposto. Io lo ringrazio e gli auguro di cuore una
buona notte.
P.C. Vi ringrazio tutti e vi
auguro un buon proseguimento della trasmissione.