Meno male! Il commercio delle armi... è salvo!
di Paolo Coluccia
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‘Meno male! Ce la siamo vista proprio brutta!’. Un sospiro di sollievo, questo, per i produttori e per i mercanti d’armi da fuoco e di munizioni l’altra notte. ‘Per fortuna hanno vinto i nostri sostenitori, quelli del ‘no’ al referendum brasiliano del 23 ottobre 2005’. Che disgrazia sarebbe stata per il PIL delle nostre nazioni materialmente ‘sviluppate’. Che disgrazia per le casse dell’erario, per la produzione delle fabbriche, per il reddito di tanti lavoratori se le armi da fuoco fossero state messe al bando in Brasile. Se avessero vinto i ‘sì’, chissà quante altre nazioni avrebbero seguito l’esempio, come un effetto domino, forse dominate da emozioni ed ideali, da utopiche visioni pacifiste, incuranti dei propri interessi economici, anche se sporchi e macchiati di sangue di gente innocente.
Questo avranno pensato i produttori e i mercanti di armi da fuoco e di munizioni nella notte del 24 ottobre appena trascorso, subito dopo la chiusura delle urne del referendum per l’abolizione delle armi da fuoco indetto dal Governo Lula in Brasile, all’arrivo dei primi risultati. Finalmente un sospiro di sollievo, per loro: l’incubo era finito! ‘Ce l’abbiamo fatta – avranno esclamato in tutto il mondo – ce l’hanno fatta i nostri bravi sostenitori brasiliani, quelli che contano, quelli che sanno pensare ed agire, ce l’hanno fatta a respingere l’ennesima velleità pacifista della non violenza, dell’utopica visione di giustizia, di pace e di fratellanza’. A che ci serve la pace e la non violenza se poi non si riesce a vendere i prodotti delle nostre fabbriche di morte! Questo avranno pensato, tra un brivido e l’altro, i produttori e i mercanti di morte.
E nel mondo qualche giornale, qualche timido telegiornale e qualche brav’uomo politico alle prime ore del mattino si è apprestato ad annunciare la ‘buona’ novella, lo scampato pericolo: il ‘dolce’ commercio può continuare, deve continuare! Il ‘no’ ha vinto in Brasile. E per noi in Europa questo ‘no’ vale ‘doppio’, considerato che ormai da qualche tempo non perdiamo l’occasione per perorare la causa di togliere l’embargo di armi a nazioni e governi che reputavamo pericolosi. Come per la Cina (cfr. Ilsole24ore del 7-12-2004, n. 337, pag. 5, titolo di testa: “Armi a Pechino, via l’embargo” – “L’Italia è favorevole all’abolizione dell’embargo sulle esportazioni di armi verso la Cina” – Salvo poi a sentire durante il 60° anniversario della fondazione della FAO che “una società che spende centinaia di miliardi in armamenti e consente che ogni anno muoiano di fame 5 milioni di bambini è una società malata di egoismo e di indifferenza” (www.metamorfosi.info, 17-10-2005). Non faccio i nomi di chi ha dichiarato questo per delicatezza e per rispetto istituzionale. Sono i concetti espressi quelli che contano, non le persone che li esprimono.
Continua il nostro quotidiano economico nazionale: “Anche la Francia insiste” – “Ieri la Francia, insieme a Italia e Germania, ha insistito sulla necessità di abolire l’embargo” – “Ma Bruxelles frena” (l’embargo era stato imposto dall’UE dopo la violenta repressione della protesta di piazza Tienammen) – “Pechino da tempo chiede che il provvedimento sia tolto”). Grande mercato quello cinese: loro ci esportano i manufatti, noi le armi e le munizioni! Quasi non ne avessero già di troppe! Tanto, prima o poi, cominceranno anche loro come in Brasile a fare ‘a tiro a segno’ con i bambini di strada. E avranno bisogno di armi, visto che sono già un miliardo e 300 milioni!
Che affari, signori, se non ci fosse la pianificazione delle nascite in quel paese! Come si possono pensare certe cattiverie, anche se poi accadono veramente in Brasile, in America latina, in Africa e in Asia. E poi, non dimentichiamoci che c’è anche l’India, e poi l’Africa, il continente dei signori della guerra, sempre più affamati di armi e munizioni a buon mercato: tutti buoni acquirenti, tutti buoni clienti. E questo scriteriato e idealista governo brasiliano, tra tutti i problemi che ha, t’indice proprio un referendum per abolire in uno dei più bei paesi del mondo le armi da fuoco e le munizioni!
“Sconfitta per Lula nel referendum” ha gridato con un rantolo di bieca soddisfazione, dopo un lungo e angosciante silenzio, il nostro più importante ‘quotidiano economico’ nazionale! “Il no infatti ha stravinto, con il 63, 94 % dei voti, contro il 36,06 favorevole alla proibizione” (Il sole24ore, 25-10-2005).
Caspita, però, hanno votato oltre 120 milioni di persone, l’87% degli aventi diritto al voto! Che lezione di democrazia per la nostra piccola Italia, dove negli ultimi anni tutti fanno campagna elettorale per non partecipare alle votazioni referendarie. E la gente ci casca, e non ci va davvero a votare! E Governo, Chiesa e Forze sociali... ‘gongolano’, direbbero a Striscia. “La popolazione brasiliana ha quindi scelto in larga maggioranza di continuare a comprare liberamente armi da fuoco per uso personale”, continua entusiasta il nostro bravo ‘quotidiano economico’ nazionale, liberamente, dice, quasi si comprassero vestiti, prosciutto, pomodori, automobili, ciclomotori... Già, dimenticavo, da ingenuo imperterrito, che nell’economia di mercato, negli affari il colore dei soldi è sempre lo stesso. E le merci... merci sono, sia che servano per la vita, sia che servano per la morte.
Come ho fatto a dimenticarmi della dottrina economica più classica dei nostri padri economisti più classici e neoclassici, i cui seguaci ormai avviluppano ogni genere di istituzione pubblica e privata? La nostra piccola Italia ne è l’esempio emblematico e incontrastato. Il mercato è la vera e unica panacea di ogni male, l’unico strumento che può sollevare le sorti di ogni nazione, sviluppata o non. Il PIL è la vera ricchezza di ogni nazione: e allora, perché non commerciare più armi? Perché minare un settore produttivo così florido nel mondo occidentale? Ed io, povero me, che ho tradotto e pubblicato in Italia il Rapporto al Ministro per l’economia solidale francese scritto da Patrick Viveret nel 2001 dal titolo “Ripensare la ricchezza. Dalla tirannia del PIL alle nuove forme di economia sociale” (TerrediMezzo, Milano 2005)... che ingenuo sono stato! O forse no? O forse ancora trovo dentro di me (insieme con tanti altri milioni di persone) la speranza che si possa pensare diversamente sui grandi problemi del mondo e dell’umanità, come la non violenza, la giustizia, il rispetto, la solidarietà?
Quali enormi contraddizioni imperversano nella nostra povera esistenza! Eppure non ci costerebbe nulla porre dei distinguo, per capire che le armi non sono merci alla pari del pane, che le munizioni non sono merci come i pomodori, che la produzione ed il commercio di armi non generano fabbriche e posti di lavoro come l’edilizia e la metalmeccanica, come il tessile e l’agricoltura. Con un nodo in gola chiudo quest’articolo con una frase di Cornelius Castoriadis: “Dovremmo volere una società in cui i valori economici non siano più centrali (o unici), dove l’economia sia rimessa al suo posto come semplice mezzo della vita umana e non come fine ultimo, una società in cui si rinunci dunque a questa corsa folle verso un consumo sempre crescente. Tutto ciò è necessario non soltanto per evitare la definitiva distruzione dell’ambiente terrestre, ma anche e soprattutto per liberarci della miseria psichica e morale propria degli uomini contemporanei”. Vorrei che a questa sconfitta di una nobile causa come il referendum brasiliano, seguisse una nuova presa di coscienza sui grandi temi dell’umanità, per avviarsi verso una nuova “coscientizzazione” (per riportare l’espressione dei Paulo Freire ne La pedagogia degli oppressi) dei problemi che affliggono la parte più debole dell’umanità, quella parte migliore di umanità che subisce torti e calamità naturali e non, quella parte di umanità che comunque avanza, tra mille difficoltà e contraddizioni, lungo il progetto utopico di una società di giustizia, fondata sui principi della pace, della non violenza, della fraternità, dei diritti e del rispetto, che da sempre sorregge e guida i popoli e le nazioni.