DOVE C’È FUMO, LÀ TROVERETE ME - DISSE
COMPARE FUOCO[1]
di Silvano Borruso
Edizioni Lilliput-on-line
http://digilander.libero.it/paolocoluccia
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Mi trovavo in Italia
quando entrava in forza la legge contro il fumo nei locali pubblici. Mi è sembrato
ci fosse un Nerone redivivo che suonava il violino mentre Roma stava bruciando.
Perchè la baracca della salute è in fiamme. Da più di
un secolo vi divampa un incendio di ben altro tenore che quello delle punte incandescenti
delle sigarette.
Nota:
[1] Lo disse ai suoi amici Acqua e Onore. Ho preso la frase da una favola di La
Fontaine (1621-95).
Malnutrizione
Ad appiccare il fuoco fu Herr Justus von
Liebig (1803-73) circa un secolo e mezzo fa. Il buon
barone scoprì che le piante non si nutrivano di humus, come si credeva fino ad
allora, ma di sali minerali. Il che è vero, ma da ciò non segue che l’humus non
abbia alcun ruolo da svolgere nella nutrizione delle radici.
Le conseguenze di quella
svista furono esiziali. Liebig non si accorse che il
cosiddetto “humus” non è “materia morta insolubile in acqua” come i suoi
esperimenti sembravano rivelare, ma un substrato vivo: la microflora del
suolo. Se ne avesse misurato la quantità, si sarebbe accorto che un ettaro di
terra possiede ben 100 tonnellate di humus, con miriadi di microorganismi
la cui analisi è lungi dall’esser completa. Questi, con diverse capacità
selettive, estraggono i minerali dal suolo e li convogliano alle
radici nei tempi e modi dettati dalla natura. Il sistema radicale si
beneficia quindi per primo, divenendo profondo, robusto e immune da attacchi
della maggior parte dei parassiti. Dopo ciò la pianta germoglia rigogliosa,
avendo avuto tempo e modo di sintetizzare tutto un assortimento di nutrienti
perfettamente adatti a sostenere la salute di esseri umani e di animali.
Gli agricoltori pertanto
sapevano, anche se non glie l’aveva insegnato nessuno, che l’unica pratica
sensata era quella di nutrire quella microflora con stallatico mescolato
a residui vegetali e fatto fermentare in apposite gabbie. Era un lavoro lungo e
duro, ma che sapori! Le pere erano tenere e dolcissime. Le albicocche facevano
venire l’acquolina in bocca solo a sentirne il profumo. Ogni verdura aveva il
suo sapore. I polli sapevano di pollo, ed erano una leccornia da tavola del re.
E mangiando bene, si stava bene. Chi stava male lo doveva più ai vizi e alle
cattive abitudini che al cibo in sé, il quale conteneva tutto il
necessario per mantenere la salute.
Justus
von Liebig si accorse del
suo errore e rettificò, ma troppo tardi. I fertilizzanti inorganici cominciavano
a far strage della microflora del suolo.
Poco dopo la morte di Liebig un ingegnere ungherese, certo Hoffenberger,
inventava e commercializzava il mulino a dischi piani. Questo non solo separava
amido, crusca e germe, ma anche consentiva la produzione di quantità enormi di
macinato, così bolscevizzando l’industria dalle mani di molti mugnai piccoli e
“inefficienti” a pochi grandi ed “efficienti”. Ora, vendendo i tre componenti
separatamente si ottenevano proventi straordinari e inattesi, ma chi mangiava
il pane così prodotto si accorgeva di non estrarne più la resistenza di prima.
Il carcere duro a pane e acqua, adesso, avrebbe fatto morire un detenuto di
inanizione. Neanche gli insetti si avvicinavano più a una farina di amido puro.
Per cui bisognava “migliorare” il gusto del pane con ingredienti completamente
estranei al chicco di frumento. I quali lo fanno, ma senza migliorarne la
qualità.
La Grande Guerra segnò la
fine dell’uso del nitrato del Cile. Con la liquefazione e distillazione
dell’azoto atmosferico si fabbricarono i primi potenti esplosivi che seminarono
morte e distruzione durante i quattro anni di carneficina. E che fare di tali
esplosivi a guerra finita? Fertilizzanti, naturalmente. Così l’industria poteva
continuare a distribuire “lauti dividendi” ai suoi azionisti. Che la gente
stesse sempre peggio, azionisti inclusi, non importava.
L’allarme avrebbe dovuto
darlo la fredda cifra statistica, del 1942, che i riformati alla leva militare
americana superavano quelli della Grande Guerra del 14%. Contemporaneamente, le
piccole (allora) case farmaceutiche si accorgevano che le vendite aumentavano,
e con esse i profitti, e con essi i dividendi degli azionisti. Già negli anni
1950 queste distribuivano campioni gratuiti ai medici, accompagnati da opuscoli
rassicuranti e lodanti i “prodotti” di quella che sarebbe presto divenuta
un’industria con giri di miliardi. Ma cos’erano codesti “prodotti”? Nient’altro
che sostanze chimiche controbilancianti l’effetto deleterio della
sottonutrizione permanente, sopprimendone i sintomi.
Però un sintomo soppresso oggi
riappare, apparentemente diverso, domani, e ci vuole un altro “prodotto” per
farlo scomparire (e farne apparire un terzo) e così via. Non ci vuol molto per
vedere che pacchia tutto ciò rappresenti per le grandi case farmaceutiche, i cui
giri di miliardi si basano su siffatti tentativi di raggirare Madre Natura. Ma
questa è avvezza a non perdonare: gli effetti collaterali di sostanze
sintetiche il più delle volte non colpiscono solo il portafoglio del ‘paziente’ (conobbi una signora che prendeva ben 12 pillole
diverse al giorno) ma a volte si ritorcono contro quello dei loro fabbricanti
quando questi prendono granchi, dalla talidomide
degli anni 1950 (le cui vittime si aggirano oggi attorno ai 50 anni) al Vioxx dei nostri giorni, che ha mietuto vittime in quantità
tale da farlo ritirare dalla circolazione.
L’uso di fertilizzanti
chimici, imposto massicciamente agli agricoltori americani dalla politica dei Rockefeller a partire dagli anni 1950, ha spezzato il ciclo
dello zolfo, così eliminando, specialmente dai latticini, ingredienti
essenziali per la salute. La sola Finlandia ha riconosciuto il pericolo,
proibendo l’uso di codesti concimi artificiali.
Molti agricoltori
farebbero volentieri uso del letame, ma la direzione intrapresa dall’industria
zootecnica lo rende spesso introvabile. Non è che un suggerimento, ma la
produzione di concime organico naturale potrebbe benissimo essere servizio
pubblico municipale, offerto a prezzo di costo.
Medice, cura teipsum
Come la professione medica tiri avanti con un
carrozzone di codesta portata è storia lunga, che però vale la pena raccontare,
anche se stringatamente.
Alla base stanno due
granchi filosofici, che continuano a passare inosservati data non solo
l’ignoranza diffusa in tale materia, ma anche e soprattutto dato il corrente minimizzo,
per non dire disprezzo, della realtà dei fatti.
Il primo granchio lo prese
Descartes. Il buon René (1594-1650)
decretò che il corpo di un vivente non è che una macchina. Ne segue che i corpi
degli individui di una stessa specie sono gli stessi, e che un certo guasto va
curato nella stessa maniera dovunque esso appare. La malattia acquista così
posizione di essere. Le facoltà di medicina sfoggiano cattedre di
‘patologia’ con elenchi interminabili di ‘malattie’, e gli scopritori di una ‘malattia’
non esitano a decorarla con il loro nome (Alzheimer, Crohn, ecc.), come se fosse un trofeo.
Che esista una facoltà di
medicina dove si insegna a definire la salute e a percepirne i sintomi, non mi
è dato saperlo. Ogni medico da me interpellato non se ne era mai posto il
problema.
Ma la natura non la si
prende in giro. Essa ha decretato che l’essere umano è composto di materia e di
spirito, e che la salute altro non è che ordine: dei due e tra
i due. Quando codesto ordine per qualunque ragione si incrina o va perduto, uno
o più sintomi di salute spariscono. E’ l’ora di prendere rimedi, omettendo i
quali arriva inesorabile la malattia. Non per nulla si continua a chiamare le
malattie ‘disordini’ nonostante Descartes.
E non è affatto detto, dalla natura, che un dato sintomo debba essere di
un dato disordine: data l’immensa complessità dell’essere umano, a una
stessa causa possono corrispondere sintomi diversi in individui diversi, così
come a diverse cause può seguire uno stesso sintomo in individui diversi. Ecco perchè molte volte i medici non ci azzeccano, nonostante
tutta la buona volontà.
Chi l’aveva azzeccata, in
principio e metodo, era stato Ippocrate (c. 460-377
a.C.): “la malattia è il risultato di un alterato metabolismo, i cui prodotti
tossici vengono trattenuti, anzichè espulsi come
dovrebbero, dal corpo. Basta quindi stimolare i grandi emuntori: intestino,
reni, polmoni e pelle, perchè la vis curativa del
corpo risponda espellendo le tossine”. E si ha la cura, aveva detto.
La ‘modernità’
abbandonò Ippocrate per seguire Teofrasto
Bombasto (Paracelso,
1493-1541), che fu il primo a sviare l’attenzione della scienza medica dalle
cause ai sintomi, e anche il primo a proporre sostanze inorganiche come ‘rimedi’ delle malattie. Si può dire che l’industria
farmaceutica moderna sia fondata sulle asserzioni di un medicastro che morì a
49 anni ucciso da un intruglio che credeva essere “infallibile rimedio”.
A riprendere il metodo e il
principio ippocratici in Italia fu Carlo Arnaldi (1860-1924) nella sua “Colonia della Salute” del
1906. Ma nel 1906 si mangiava ancora bene, per cui Ippocrate
teneva ancora banco. Oggi, perchè principio e metodo
funzionino, c’è prima bisogno di restituire al cibo i principî nutritivi che
un’agricoltura di rapina sospinta dall’usura gli ha tolto.
Se la medicina moderna non
vuol saperne di Ippocrate (‘giuramento’
a parte), si deve a un secondo granchio, questa volta preso nientemeno che da Pasteur (1822-95), persona ineccepibile sotto tutti i punti
di vista eccetto quello filosofico, che glie lo impedisce. Avendo notato che a
una determinata ‘malattia’ (del suo tempo) si
associava un determinato micro-organismo, Pasteur presunse che questi ultimi fossero la ‘causa’ della prima. Una conoscenza superficiale (ma
tomista) dell’essere permette di vedere che un essere organico
come un micro-organismo di qualsiasi tipo, non può causare
un male, un disordine, che alla fin fine è un non-essere. Ma non si
curano le malattie ‘infettive’ facendo piazza pulita
dei ‘parassiti’? A volte sì, a volte no. Quando ciò accade, non si è eliminata la ‘causa’ della malattia. Si è eliminato il suo effetto più
eclatante, cioè l’apparire di certi microorganismi che
prosperano in un ambiente menomato dal disordine. L’organismo, con un nemico in
meno con cui contendere, ha una possibilità in più per recuperare. Quando ciò
per una ragione o per un’altra non accade, è la fine.
Un’ulteriore ragione per
cui la modernità schiva Ippocrate è che il suo metodo
clinico richiede lunghe sedute accanto al paziente, polso tra le dita, a
seguirne le funzioni vitali per ore, giorni, settimane. I proventi sono
evidentemente modesti. Con giudiziose (e veloci) analisi di laboratorio, e
prescrizioni adatte ai sintomi, molti pazienti si liberano dei sintomi, e
in fretta. Costoro tirano avanti fino a un nuovo sintomo, che apparirà altrove,
e con l’aumentare dei pazienti e dei sintomi aumentano anche i proventi dei
dottori, e soprattutto dei produttori di farmaci.
Non si può negare il
successo, anche se sui generis, della medicina moderna. La gente vive
più a lungo (la signora sopracitata visse 92 anni). Ma
il successo più notevole è quello della grande industria farmaceutica. Che di
più desiderabile di una popolazione coatta e longeva dove quasi tutti stanno
male?
Però vi sono sempre i
guastafeste, in questo caso coloro che non si contentano di tirare avanti, ma
vogliono stare bene. E da tempo si accorgono, costoro, che certi
supplementi vitaminici e salmastri ottengono proprio la salute, che non
è ‘assenza di malattia’ come malamente la si
definisce (quando ancora lo si fa), ma l’ordine di tutte le funzioni del
corpo, meglio se insieme a una salute spirituale di cui non è il caso di occuparci
qui.
E così è venuta su l’industria
dei supplementi alimentari, in auge durante l’ultimo trentennio del secolo
scorso. Questa fornisce ai clienti quello che il suolo depresso da pratiche antinaturali
non fornisce più.
Inutile dire che le due
industrie si guardano in cagnesco. Per cui la prima ha fatto di tutto per
indebolire, diffamare, sviare, tergiversare, controllare ecc., la seconda.
L’ultimo atto di codesta guerra senza esclusione di colpi (incluso un silenzio
stampa degno di miglior causa) ha avuto luogo in Lussemburgo il 25 gennaio
2005: un avvocato ha perorato la causa, per una succosa parcella di 250 000
sterline, dell’Alliance for
Natural Health. Alla
perorazione davanti alla Corte Europea di Giustizia erano presenti dei
rappresentanti di Advocates for
Health Freedom, cioè coloro
che vogliono rimaner liberi di comprare vitamine, sali minerali ecc. nelle
quantità che desiderano. La bête noire di costoro è il progettato Codex
Alimentarius dell’UE, che pretende che questi generi
alimentari vengano equiparati a ‘farmaci’ e pertanto
sottoposti ai regolamenti burocratici draconiani di una pletora di funzionari anonimi
e irresponsabili ai due lati dell’Atlantico. I sostenitori del Codex si difendono asserendo che il Codex
non obbliga alcun governo. Il che è vero, ma non è il punto. Il punto è che se
un governo decide di adottarlo (se liberamente, se sobornato
da interessi farmaceutici o se costretto dalla WTO), i suoi cittadini verranno costretti
ad acquistare supplementi alimentari contenenti le quantità decise dal Codex, semplicemente insufficienti a mantenere la salute. La causa è sub iudice
al momento della stesura di questo scritto.
Il Bandolo della Matassa
Tutte queste informazioni
giacevano negli anfratti della mia memoria, quando la frase di un amico, a
proposito di tutt’altro discorso, mi colpì. Disse che
faceva il commercialista per conto di una società agricola specializzata nella sterilizzazione
del suolo. Solo la cintura di sicurezza mi impedì di balzare sul sedile
dell’auto.
Sterilizzare il suolo!
L’enormità della frase chiudeva il circolo pernicioso che da von Liebig passava per
l’indebolimento dei raccolti, la loro mancanza di resistenza davanti a
parassiti più o meno letali, alla manifattura di pesticidi potenti e
velenosissimi, al loro lisciviamento nel suolo
ulteriormente avvelenandolo, all’ulteriore indebolimento dei raccolti, così attaccati
da parassiti sempre più resistenti, e alla eliminazione di questi ultimi con la
sterilizzazione del suolo. Questo, ridotto a substrato puramente minerale, non
alberga più i parassiti, è vero, però, come le colture idroponiche, produce raccolti che sono apparenze senza
sostanza. Quella società specializzata andò a sterilizzare il suolo con il
bromuro di metile, fino a quando qualcuno scoprì che codesto composto organico era
velenoso (sfido io, capace com’è di far fuori 100 tonnellate di microorganismi per ettaro) così che ora stavano provando
un’altra sostanza chimica il cui nome l’amico non ricordava (e va a sapere se
non era altrettanto velenosa). Quando accennai allo stallatico e al trattamento
organico del suolo, mi rispose che ormai quello non lo si faceva più, dato che
era più facile (evidentemente) comprare il sacco di concime chimico dal
distributore.
Di colpo tutto diveniva
chiaro. Il bandolo della matassa mi permetteva di allineare tutta una serie di
osservazioni che fino allora mi erano sembrate indipendenti. Le elenco qua
sotto a cominciare dalle macroeconomiche.
A queste osservazioni si
aggiungevano ricordi dell’infanzia come il cerotto sulle ferite e il supposto
cianuro nei semi di albicocca.
Uno di questi ricordi di
molti decenni fa affiorò alla memoria: quel grosso maiale di razza Large Black con la groppa scalfita da canne maldestramente
portate a spalla da una ragazza, che mia madre volle ‘disinfettare’
con alcol etilico. La bestia, trasformata instantaneamente
da mansueto porcello in un quasi cinghiale, si mise a caricare tutti i presenti
tra i grugniti più inferociti e le urla di chi ne veniva travolto.
Fu la vita a insegnarmi
che una ferita pulita ed esposta all’ossigeno atmosferico ne fa ristagnare il
sangue instantaneamente (se un po’ profonda la si fa
chiudere in cinque minuti congiungendone le labbra con le dita) mentre il
cerotto ne allunga la guarigione; e fu Internet a farmi sapere che il cianuro
nei semi di albicocca è una balla messa in giro per impedire che si sappia che,
come per tutte le Rosacee, codesti semi contengono potenti sostanze anticancro,
così come le contengono i semi di lino e la manioca).
Perchè
continuare? Esiste una via di uscita da tale labirinto?
Agibilia et Agenda
Esistendo un indissolubile
legame naturale tra agricoltura e sanità, sarebbe desiderabile che lo stesso
legame esistesse a tutti i livelli, compreso quello politico. Idealmente, i due
ministeri omonimi dovrebbero amalgamarsi. Meno idealmente, un esperto di
agricoltura potrebbe far da sottosegretario al ministro della Sanità, e un
medico esperimentato a quello dell’Agricoltura. Ma ciò non è che utopia. Burocrazia
a parte, cosa può fare la gente ordinaria?
E’ arrivata l’ora, forse,
di smentire Mencken una volta per tutte.
Silvano Borruso
5 Febbraio 2005