MAMMONA DA CRESO (6O
SECOLO A.C.) A GESELL (1862-1930)
Silvano Borruso
5 maggio 2003
Auri Sacra Fames
Dice Erodoto che fu Creso (m.546 a.C.) ad inventare la
moneta imprimendo il sigillo reale su un pezzo d’oro per garantirne il peso.
Sia come fosse, dobbiamo a quella decisione apparentemente innocua, di aver
unito un certo tipo di informazione a un metallo prezioso, conseguenze
incalcolabili, che in 26 secoli di storia oscillano dal grottesco al tragico
quando non all’assurdo, come i due millenni e mezzo che ci sono voluti per accorgersene.
Gesell visse durante l’ultima transizione dal sistema
aureo a quello cartaceo. Fu lui a rintracciare il disordine che ancora ci
assilla alla decisione di Creso, mettendone a nudo la contraddizione pratica:
la doppia funzione della moneta come mezzo di scambio e portavalori nel tempo.
Spendere, o risparmiare, sono un aut aut radicale senza mezzi termini.
Come questa contraddizione pratica sia la causa base
dell’usura, e pertanto di sopraffazione, povertà, crisi economiche e politiche,
economia di guerra, rivoluzioni, lotte di classe, povertà nel mezzo
dell’abbondanza, e della questione sociale, lo spiega Gesell nelle 500 e rotte
pagine del suo magnum opus Die Natürliche Wirtschaftordnung (Ordine
Economico Naturale) del 1904 (4a ed. 1920), sconosciuto al gran
pubblico italiano.
Quell’accoppiamento antinaturale fa sí che la domanda,
spalleggiata da denaro, concede al suo possessore un vantaggio indebito
sull’offerta, spalleggiata... dai danni del tempo, passaggi di moda, tarli,
umidità, funghi, ratti, ladri e via dicendo.
Quel vantaggio si esprime come tributo che
l’offerta è costretta a pagare alla domanda. Quella o abbassa i prezzi
fino al livello imposto dalla domanda, o paga un interesse convenuto per
l’uso del denaro a prestito. L’usura, sostiene Gesell, si identifica con questo
tributo, e non con teorie di “fecondità”, “produttività”, “utile”, “lucro
cessante”, “denaro che lavora”, “interesse eccessivo” o “sfruttamento”. L’usura
è forma di potere, che da questa imposizione primaria passa a tutto ciò
che scambiano domanda e offerta, da capitale a oggetti di consumo.
Quando la domanda non è soddisfatta dall’ammontare del
tributo, come in periodi di prosperità, si ritira dal mercato, causando
ristagno nell’economia, deflazione, disoccupazione e depressione, come negli
anni 1932-39. Ecco il perchè dei cicli economici, non le macchie solari come
proponeva l’economista Prof. Jevons (1835-82) o altre cause più o meno
peregrine della sapienza convenzionale.
Alla fine della Grande Guerra Gesell predisse:
Nonostante la promessa sacra di tutti i popoli di bandire
la guerra una volta per tutte, nonostante l’urlo delle masse “Mai più guerra”,
nonostante tutte le speranze di un futuro migliore, consti quello che dico: Se
il sistema monetario attuale, basato sull’interesse composto, rimane operativo,
oso predire oggi che non passeranno 25 anni prima che scoppi un’altra guerra
ancora più terribile. Vedo venirne lo sviluppo. Il presente grado di progresso
tecnico porterà rapidamente a risultati industriali da record. Il capitale si
accumulerà rapidamente, nonostante le enormi perdite belliche, e la
sovraproduzione abbasserà il tasso di interesse. Si comincerà ad accaparrar
denaro. L’attività economica diminuirà e un numero crescente di disoccupati
vagabonderà per le strade. Come prima, si cercherà di occupare territorio e
fabbricare armi per lo scopo, giustificando l’operazione con il dover dare
lavoro ai disoccupati. Si formeranno movimenti rivoluzionari selvaggi tra le
masse malcontente, e fiorirà la pianta velenosa dell’estremo nazionalismo. I
popoli non si capiranno a vicenda, e alla fine non potrà che scoppiare un’altra
guerra.[1]
Senza commento.
Moneta Franca
Il suo rimedio radicale, ispirato a quello di Henry
George (1839-97) circa la proprietà fondiaria, consiste nel togliere alla
domanda il privilegio indebito sull’offerta. Proudhon (1809-65) aveva proposto
di far salire l’offerta al livello della domanda; Gesell propose di far scendere
la domanda al livello dell’offerta e relativo deterioro naturale.
Come? Primo, separando l’idea di moneta dal metallo
prezioso. Secondo, separando l’idea di unità monetaria dall’oggetto che la
rappresenta, per mezzo di una svalutazione programmata della banconota dello
0,1% settimanale, o 5,2% annuale.
La moneta diverrebbe così puro mezzo di scambio, senza
alcuna funzione di portavalori. La chiamò Freigeld (moneta
franca) cioè libera da usura, e pertanto da inflazione e deflazione.
Contro le due idee esistono ostacoli formidabili, ma
prima di occuparcene diamo uno sguardo al successo pratico, sebbene di poca
durata, della Freigeld.
La Prova del Fuoco
Il primo esperimento ebbe luogo a Schwanenkirchen, in
Germania, nel 1930. Herr Hebecker, padrone di una miniera di carbone, la
manteneva aperta emettendo Wära come mezzo di scambio. I suoi
lavoratori ricevevano il 90% della paga
in Wära, e chi accettava Wära poteva redimerli in carbone. Ogni
buono Wära subiva la svalutazione programmata geselliana per favorirne
la circolazione rapida. La cosa funzionó tanto bene da attrarre l’attenzione di
Mammona nelle vesti del Cancelliere Heinrich Brüning (1885-1970). Costui non
perdette tempo a cassare Schwanenberg e a passare decreti-legge di emergenza,
tutt’oggi in forza, contro l’emissione di qualsiasi moneta non ufficiale.
Protagonista della seconda storia è Michael
Unterguggenberger (1884-1936), borgomastro di Wörgl, cittadina e nodo
ferroviario nel Vorarlberg, Austria.
Nel 1932 la moneta scarseggiava, le industrie chiudevano
e infuriava la disoccupazione. I 1500 disoccupati di Wörgl (su 4000 abitanti)
inutilmente accorrevano al borgomastro per aiuto.
Costui aveva letto Gesell durante la semipovertà delle
crisi del 1907-08 e 1912-14, che gli avevano lasciato la tubercolosi che lo
avrebbe portato alla tomba a 52 anni. Ma conosceva il rimedio, e si mise
all’opera.
Dopo un paziente lavoro di avvicinamento e di convinzione
presso i piccoli impresari, negozianti e professionisti di Wörgl, il 5 luglio
proclamava:
La causa principale del barcollo dell’economia è la bassa
velocità di circolazione della moneta. Questa progressivamente sparisce dalle
mani dei lavoratori come mezzo di scambio. Filtra invece negli alvei dove
scorre l’interesse, finendo con l’accumularsi nelle mani di pochi, che invece
di riversarla sul mercato per acquistarvi beni e servizi, la trattengono per
specularvi su.
Il municipio emise i suoi Bestätigter Arbeitswerte
(Certificati di Lavoro) valorati alla pari con lo scellino ufficiale, ma ogni
certificato per 1, 5 e 10 scellini, pur mantenendo un potere d’acquisto
stabile, scadeva dopo un mese dall’emissione a meno di non rinnovarne la
validità con un francobollo del valore dell’1% sul nominale, acquistabile in
municipio.[2]
Questo, da parte sua, accettava i certificati come pagamento di imposte.
Non vi era obbligo di accettarli. Le alternative erano:
Il municipio ne fece stampare un totale di 32 000 unità,
ma in pratica ne emise meno di un quarto. La circolazione raggiunse una media
di 5 300 scellini, cioè un irrisorio due scellini o meno a persona, che però
procuravano lavoro e prosperità al circondario di Wörgl più di quanto lo
facessero i 150 scellini/persona della Banca Nazionale. Come aveva predetto
Gesell, la velocità di circolazione era l’importante: scambiandosi circa 500
volte in 14 mesi, contro le 6-8 volte della moneta ufficiale, quei 5 300
scellini mossero beni e servizi per ben due milioni e mezzo. Il municipio, con
le casse continuamente riempite da un lato e svuotate dall’altro, construì un
ponte sul fiume Inn, asfaltò quattro strade, rinnovò le fognature e le
installazioni elettriche, e costruì perfino un trampolino di salto con sci. Per
avere un’idea del potere di acquisto, lo stipendio del borgomastro era di 1 800
scellini mensili.
Al principio alcuni ridevano, altri gridavano alla frode
o sospettavano contraffazione. Ma i prezzi non aumentavano, la prosperità
cresceva e le tasse venivano pagate prontamente e immediatamente ri-investite
in lavori e servizi pubblici. I ghigni si trasformarono ben presto in
espressioni di stupore e i lazzi in voglia di imitazione. Ai primi del 1933 circa
300 000 cittadini della provincia erano lì lì per estenderne l’esperimento.
Frattanto Wörgl era diventata centro di pellegrinaggio di
macroeconomisti europei e americani. Tutti volevano vedere “il miracolo” della
prosperità locale che sfidava la miseria e la disoccupazione globali. Andavano
per imparare? Non si direbbe, dato il silenzio più completo su Gesell nelle
facoltà di economia.
Mammona non dormiva. Unterguggenberger si era astenuto
dal chiamare i certificati “moneta” dato che a farlo sarebbe incorso nelle ire
della Banca Nazionale.
Il 19 agosto del 1932 il Dott. Rintelen, per conto del
Governo, riceveva una delegazione capitanata dal borgomastro. Dovette ammettere
che la Banca Nazionale aveva ridotto l’emissione di moneta da una media
di 1 067 milioni di scellini nel 1928 a una di 872 nel 1933. Dovette anche
ammettere che i certificati facevano senso e che non c’erano ragioni valide per
interromperne l’esperimento.
Mammona però aveva i suoi “scienziati” alla Banca
Nazionale, intenti a “provare” che l’esperimento doveva essere verboten.
Eccone le ragioni “scientifiche”:
Benchè l’emissione di certificati di lavoro sembri
avallata al 100% da una quantità equivalente di moneta ufficiale austriaca, le
autorità sovrintendenti, cominciando dall’area amministrativa di Kufstein fino
all’ufficio governativo del Tirolo, non devono permettersi di sentirsi
soddisfatte. La cittadina di Wörgl ha ecceduto i suoi poteri, dato che il
diritto di batter moneta in Austria è privilegio esclusivo della Banca Nazionale,
come per art. 122 del suo statuto. Wörgl ha violato quella legge.
La proibizione entrò in forza il 15 settembre 1933, ma
Wörgl appellò. Il caso raggiunse la Corte Suprema, che fedele a Mammona cassò
l’appello e mise fine all’esperimento.
Tornarono la disoccupazione, la miseria e la fame. Nelle Bierhallen
bavaresi cominciava a farsi notare Adolf Hitler, oscuro immigrante austriaco.
E’ impossibile affermare -o negare- che il secondo conflitto mondiale sarebbe
stato evitato dando retta a Gesell. Il fatto è che furono i voti dei
disoccupati a portare Hitler al potere.
Mammona vigilava altrove. Il 24 maggio del 1933
Unterguggenberger aveva tenuto una conferenza davanti a 1000 persone a
Winterthur, nella democraticissima Svizzera. Per il 3 settembre era stato
invitato a ripeterla, però Mammona, in veste del Procuratore di Stato, gli negò
il visto di entrata. Democratica libertà di espressione!
Note storiche
La caduta di Napoleone aveva segnalato la vittoria di
Mammona sul potere tradizionale, nullificando, tra l’altro, la lotta
plurisecolare della Chiesa contro l’usura.[3]
La Vix Pervenit di Benedetto XIV (1745) era stata
la prima, e ultima, enciclica a ribadirne la proibizione e a distinguere tra
interesse (onorario di servizio) e usura (prezzo del denaro prestato). 70 anni
dopo, i plenipotenziari pluridecorati e pluripiumati al Congresso di Vienna,
erano tutti senza eccezione rappresentanti di un esercito disfatto dal debito e
legati al carro trionfale di Mammona.
Mammona avrebbe finanziato guerre, rivoluzioni, assassinî
politici e povertà crescente. Lincoln pagò con la vita l’aver osato rifiutare
un prestito usuraio quando i 450 milioni di dollari emessi durante la Guerra di
Secessione avevano eloquentemente provato che lo Stato era in grado di emettere
moneta propria senza indebitarsi. Bismarck se la cavò con la Kulturkampf.
Era la libbra di carne pretesa da Mammona per avergli finanziato Sedan.
La superstizione di Creso avviluppava talmente
l’intelletto di politici, economisti, ecclesiastici, militari, borghesi e
ragazze, che il bottino di guerra di Sedan, in lingotti d’oro stimati a 5
miliardi di marchi, veniva rinchiuso nel castello di Spandau, sotto picchetto
armato, per più di 40 anni. Eredità dei tempi in cui un re, quando ne
sconfiggeva un altro, correva diritto al tesoro dello sconfitto per
impadronirsi di carrettate di monete d’oro che, come fa notare Gesell, non
facevano altro che ridurne il regno a una società di mendicanti.
La prima batosta a Mammona la sferrò la Grande Guerra.
Tutto l’oro del mondo non avrebbe potuto finanziarne che alcune settimane,
altro che i quattro anni di macello e distruzione.
Uno dopo l’altro, i belligeranti abbandonavano l’oro in
barba a Mammona, che ci aveva messo 14 anni a ri-imporlo agli Stati Uniti dopo
la morte di Lincoln. Finita la guerra, Mammona ne pretese il ritorno. Nel 1925
il Regno Unito obbedì, con i soliti risultati: disoccupazione, ribasso dei
salari, fame. La risposta fu il Grande Sciopero del 1926. Con il governo che
non sapeva che pesci pigliare, Re Giorgio V convinse il Primo Ministro McDonald
a lasciare il sistema aureo una volta per tutte.
Lungi dal darsi per vinto, Mammona scatenò una seconda
guerra prima finanziando e poi provocando Hitler subito dopo Versailles (1919).[4]
Nel 1944 c’era a Bretton Woods John Maynard Keynes
(1883-1946), il quale conosceva bene Gesell:
Nell’immediato dopoguerra i suoi devoti mi bombardavano
di copie del suo lavoro... Come altri economisti accademici, al principio
trattai i suoi sforzi, profondamente originali, come quelli di una testa
balzana... Lo scopo del libro può esser descritto come l’istituzione di un
socialismo anti-marxista, che reagisce contro il laissez-faire costruendo su
fondamenta assolutamente diverse da quelle di Marx. Gesell ripudia l’ipotesi
classica invece di accettarla, proponendo di scatenare competizione invece di
frenarla. Sono dell’opinione che il futuro apprenderà più dallo spirito di
Gesell che da quello di Marx.[5]
I rappresentanti
di Mammona a Bretton Woods impedirono a Keynes di esporre, o di far accettare,
la radicalità geselliana. Keynes ripiegò sull’unico rimedio che la evitava,
dato che accettarla avrebbe significato il crollo dell’usura. Il ‘rimedio’ fu
il deficit di Stato, con il quale il denaro accaparrato da usurai e speculatori
si sostituiva con liquidità creata dallo Stato per mantenere un certo grado di
occupazione e così evitare disordini sociali sfocianti nella solita guerra.
Vi è certamente riuscito. Per 60 anni. Poi i nodi hanno
cominciato a venire al pettine: svalutazione, ‘stagflation’ e poi
l’esportazione sistematica della produzione industriale a paesi dal ‘lavoro a
buon mercato’, che occulta un abbassamento generale di salari, depressione,
disoccupazione, i senza tetto, e la guerra per salvare ‘l’economia’: ogni Tomahawk
che dava nel segno (a volte) a Baghdad significava occupazione per migliaia di
americani invece di far stringere loro la cintura.
E l’oro? Con abile gioco di prestidigitazione, Mammona
riuscí a mantenerne il sistema. Nel 1944 obbligò gli Stati Uniti a trasferire
oro su presentazione di Eurodollari, moneta randagia imposta come ‘riserva’ al
resto del mondo. Allo stesso tempo riusciva a mantenere alto il prezzo dell’oro
accaparrandolo in montagne di lingotti e creandone scarsezza artificiale.
Separare la moneta dall’oro era stato tentato da secoli,
a cominciare dai Mongoli (13o secolo). Agli inizi della minoranza di
Luigi XV l’aveva tentata con successo a Parigi lo scozzese John Law, però senza
completarne la separazione. La mente dei contemporanei, in balìa della
superstizione di Creso, fece sí che il principe di Conti pretendesse di
ritirare i suoi depositi in monete d’oro. Non ce ne erano abbastanza e il
sistema crollò.
Nel 20o secolo il ruolo di principe di Conti
lo avrebbe giocato De Gaulle, costringendo il presidente Nixon a presiedere al
crollo di Bretton Woods nel 1971. A Fort Knox mancava l’oro per ‘redimere’ gli
Eurodollari francesi.
Monete sociali
Fino a quando il lavoro di Gesell rimaneva sepolto in
oscure pubblicazioni, Mammona poteva dormire tranquillo (coscienza
permettendo). Ma l’esplosione informatica degli ultimi 20 anni gli sta
procurando malesseri se non proprio ulcere. Cosa sta succedendo?
Il computer personale, così come Internet, hanno fatto
venir su come funghi, a partire dal 1982, comunità che si sono liberate da due
delle antiche superstizioni di Creso: la prima, che l’emissione di moneta debba
essere monopolio statale; la seconda, che il denaro debba ‘esistere’ prima
di spenderlo.
E così circa 20 000 comunità, in tutto il mondo, hanno
cominciato a fare, e con successo, quello che Herr Hebecker fece a
Schwanenkirchen 70 anni fa. Con una varietà di metodi, e di nomi per le loro
unità,[6]
queste comunità sono oggi in grado di nullificare qualsiasi tentativo di
politica deflazionaria.
Mammona sta tentando la carta di far confrontare il
dollaro (in relazione inversa con l’oro) con l’Euro (in relazione diretta), per
rovinare ambedue e offrire, di nuovo, oro, facendolo uscire dai sotterranei
delle banche all’annunzio: “Ve lo avevamo detto! La moneta senza oro non vale
nulla! Ci volevano 90 anni per convincervi”!
Il mercato
cosiddetto ‘libero’ dell’oro è in realtà truccato: Se fosse libero, l’oro non
‘varrebbe’ 330 dollari l’onza, ma così poco che gioiellieri, dentisti e
fabbricanti di ‘chips’ sarebbero costretti a stracciare i prezzi.
Chi vivrà, vedrà. Ma chi vivrà avendo visto anche con un
occhio solo vivrà meglio di chi non ha visto affatto.
NOTE
[1] Lettera a Zeitung am Mittag,
Berlino 1918
2 Si trattava quindi del 12% annuale, più del doppio di quanto aveva
raccomandato Gesell.
3 Lo Stato aveva gettato la spugna con Enrico VIII d’Inghilterra, non
sapendo costui che il suo successore Carlo I avrebbe pagato di persona con la
testa.
4 Consultare www.apfn.org/apfn/reserve
per una informazione completa.
5 General Theory Libro VI Capitolo 23
6 Si consulti www.ccdev.lets.net
per informazioni più particolareggiate.
Silvano Borruso
5 maggio 2003
[1] Lettera a Zeitung am Mittag, Berlino 1918
[2] Si trattava quindi del 12% annuale, più del
doppio di quanto aveva raccomandato Gesell.
[3] Lo Stato aveva gettato la spugna con Enrico VIII
d’Inghilterra, non sapendo costui che il suo successore Carlo I avrebbe pagato
di persona con la testa.
[4] Consultare www.apfn.org/apfn/reserve per una informazione completa.
[5] General Theory Libro VI
Capitolo 23
[6] Si consulti www.ccdev.lets.net
per informazioni più particolareggiate.