Leggi economiche,
etica e paradossi
C’è via d’uscita?
di Silvano Borruso
(edizioni Lilliput-on-line: http://digilander.libero.it/paolocoluccia)
***
Sommario
Perchè
l’economia venga considerata come scienza sociale, una sua analisi deve
cominciare con la verità delle cose, per continuare con la virtù della
giustizia, e finire con mettere, ciascuno al suo posto, gli approcci a questa
scienza degli ultimi 200 anni: liberale, marxista, austriaco, ecclesiale e
georgista-geselliano.
Il
ragionamento che segue fa perno sulle questioni fondiaria e monetaria, che
l’economia moderna si ostina ad ignorare. Il disordine rampante nel quale ci si
dibatte non può che esserne l’inevitabile
conseguenza.
Lo
Stato moderno ha perduto l’indipendenza, finanziaria e politica, a vantaggio di
interessi creati che sono riusciti a tenere segrete ambedue le questioni. Le soluzioni
convenzionali dei vari problemi economici sono immancabilmente difettose per la
stessa ragione.
Due
uomini, nessuno dei quali era economista di professione, affrontarono quei
problemi e li risolsero: Henry George (1839-97) e Silvio Gesell (1862-1930). Le
loro soluzioni: Terra e Moneta Franca, capaci di metter fine alla terratenenza
e all’usura, e con esse a una oppressione multisecolare. Non vi è dubbio che
gli oppressori continueranno ad opporre resistenze ad oltranza a codeste
soluzioni.
Introduzione
Dopo il licenziamento dalla Banca Mondiale nel 1999 per
averne denunciato le politiche, Joe Stiglitz, ex economista-capo di quella
venerabile istituzione, ricevette il Premio Nobel per l’economia[1] nel 2001. La motivazione? Per aver spiegato
come funzionano i “mercati asimmetrici”, mercati cioè dove operano personaggi
che la sanno più lunga di altri. Se fosse esistito il Premio Nobel ai tempi di
Esopo, la volpe che fece parlare il corvo per rubargli il cacio che portava in
becco ne sarebbe stata un candidato di prima classe.
L’uomo e il Premio sono emblematici del disordine
economico che si spande senza sosta dai tempi di The Wealth of Nations. Gli ultimi 200 anni sono stati testimoni di
quello che potrebbe esser chiamato “paradosso Stiglitz”: da un lato cattedre di
economia, professori di ruolo, prestigiosissimi libri di testo, riviste di
grande erudizione, e migliaia di tesi di dottorato (pubblicate o no) per finire
con il Nobel (dal 1969); dall’altro, l’economia del mondo reale, sofferta in carne
viva da folle sconfinate di uomini, donne e bambini. Qui la povertà regna
accanto all’opulenza; la disoccupazione mostra la sua brutta faccia accanto al
fabbisogno di manodopera; il divario tra ricchi e poveri aumenta di giorno in
giorno; e il flagello della guerra e del terrorismo va a braccetto di una
costante diminuzione delle libertà personali ad opera di uno Stato che
indebitamente e oppressivamente si intrufola negli affari personali e
domestici.
Aggiungiamo che gli economisti che osano fare “previsioni”
si vedono smentiti senza fallo dai fatti, e che né università né dipartimenti
governativi osano licenziarli come farebbero se si trattasse, diciamo, di
ingegneri o di ragionieri. Eccovi alcuni esempi:
Appena
un anno fa, degli alti funzionari del FED (economisti per lo più) fecero
predizioni per il 1994. La crescita avrebbe dovuto essere secondo loro del 3 -
3,25%; l’inflazione, un 3%; la disoccupazione a
fine d’anno, tra il 6,5 e il 6,75%. Di fatto, l’economia crebbe del 4%;
l’inflazione fu solo del 2,75% e la disoccupazione scese fino al 5,6% [...] Gli
economisti di tutte le scuole sono riusciti ad illudere la gente esagerando il
potere delle loro idee.[2]
I
pronostici economici sono pericolosi quando vengono pubblicati e creduti – ma
ancora più pericolosi quando non vengono pubblicati ma creduti lo stesso.[3]
Il
problema vero è che l’operazione è disonesta; gli economisti non hanno gli
strumenti per predire gli effetti di una riduzione fiscale di 35 miliardi su
un’economia di sette mila miliardi.[4]
Pagina dopo pagina, i periodici economici sfoggiano formule matematiche
che portano il lettore da una congerie di presupposti più o meno plausibili a
conclusioni articolate con precisione ma del tutto irrilevanti.[5]
Nei suoi termini minimi, un ordine economico naturale
esiste dove chi lavora mangia, e chi non lavora o si arrangia per farsi portare
il cibo dalle cornacchie[6] o
fa la fame. Un ordine economico naturale fa perno sui cardini della produzione
e distribuzione di ricchezza.
Si cominci col notare che mentre le leggi di produzione di ricchezza sono
necessariamente leggi fisiche, quelle
di distribuzione sono necessariamente morali,
cioè sempre conseguenze di decisioni umane libere e responsabili (o
irresponsabili secondo i casi). L’indagine economica finisce con il verificare
dove va a finire la ricchezza prodotta. I fattori di produzione: terra e lavoro
(con o senza) capitale agiscono ora come ricettacoli di distribuzione. Ma
guarda caso a questi si aggiunge il denaro, che non era presente tra i fattori
di produzione. Come ciò avvenga verrà trattato nella sezione sulla Questione Monetaria.
Un ordine economico naturale dovrebbe quadrare con
1.
La verità
delle cose. La verità, definita come adaequatio
intellectus et rei[8]
deve essere, come in un tribunale di giustizia, totale e senza orpelli.
2.
La giustizia,
come volontà costante di dare a ciascuno
il suo”.[9] È quindi ingiusto
non solo non dare il suo a chi di dovere, ma anche il dare il non dovuto.[10]
3.
La libertà di
prendere decisioni economiche a tutti i livelli, prima di tutte la decisione se
lavorare in proprio o per conto altrui.
4.
La solidarietà.
La natura umana di “animale politico” richiede solidarietà, cioè una dipendenza volontaria che lungi dal
limitare la libertà, la migliora. Si tratta di uno dei tanti paradossi della
vita dello spirito.
5.
La
sussidiarietà, cioè il principio che trascende tanto la libertà quanto la
solidarietà, portandole a convergere.
Senza di essa, libertà e solidarietà divergono: la prima degenera in
liberalismo, la seconda in collettivismo.
Anche una rapida occhiata ai cinque punti di cui sopra mostra che oggi non
esiste “ordine” economico di cui valga la pena parlare, non diciamo poi
“naturale”. Esiste invece un disordine di proporzioni colossali, alla cui
radice sta l’abdicazione della sovranità statale: della terra, lasciata ai
terratenenti, e della moneta, lasciata all’alta
finanza.
Parecchi si illudono ancora che Banca Centrale e governo la facciano da
placidi buoi che tirano del carro dell’economia, con il popolo che fa da
cocchiere, gentilmente pungolando le due bestie perchè tirino il carro nella
direzione giusta.
In realtà è il popolo a fare la bestia da soma. La Banca Centrale è il
cocchiere e il Governo la frusta, con la quale lo Stato “governa” (se è la
parola giusta) la bestia per mezzo di politiche, specialmente fiscali, non
sempre confessabili.[11] Le banche commerciali la fanno da mosche
cavalline che pungono il bue-popolo nelle parti tenere.
Il resto del saggio verrà dedicato a provare codesta tesi.
La questione fondiaria
Diamo la parola ad Adam Smith (1723-90), padre
dell’economia moderna.
Non appena la superficie territoriale di un dato paese
diventa proprietà privata, i terratenenti, come tutti, amano mietere dove non
hanno seminato, ed esigono una rendita anche per i prodotti naturali del suolo.
Il legname delle foreste, l’erba dei prati, e tutti quei frutti della terra che
quando questa era in comune costavano al lavoratore solo la fatica di
raccoglierli, adesso hanno un prezzo. Costui deve pagare per il permesso di
raccoglierli; deve consegnare al terratenente una porzione di quello che
raccoglie o produce.[12]
Da buon pragmatista britannico, Smith si ferma alla
costatazione del fatto. Dà per scontato che “chi ama mietere dove non ha
seminato” abbia tutti i diritti a massimizzare la rendita: o abbassando i
salari dei dipendenti, o aumentando il canone degli affittuari della proprietà,
o ambedue le cose quando la proprietà è grande abbastanza da permetterlo.
Da ragazzo ebbi il privilegio (lo capii solo decenni
dopo) di conoscere Don Cola Tampuso, un attempato contadino di Grotte (AG) che
chissà come era andato a finire in quel di Cefalù (PA), dove coltivava un
piccolo podere in regime di mezzadria insieme all’anziana moglie.
Nonostante che il 50% dei frutti del suo lavoro andassero
a finire nelle tasche di uno che “amava mietere dove non aveva seminato”, Don
Cola poteva sbarcare il lunario, dato che il podere distava da Cefalù non più
di due chilometri. Ne fosse stato distante dieci o più, gli intermediari gli
avrebbero portato via quasi tutto il resto, lasciandogli solo il giusto per
sopravvivere. Il lettore avrà riconosciuto la “legge di ferro” di David Ricardo
(1772-1823).
Cerchiamo ora di capire cosa succede quando “la
superficie territoriale di un dato paese diventa proprietà privata”.
Chiunque sia in grado di recintare un pezzo di terreno e
chiamarlo suo, rivendica sovranità su di esso, ma solo se è in
grado di difenderlo con la forza.
In regime di recintazione, quindi, sorgono due sovranità: quella del governo, che
la sbandiera con vessilli, uniformi, inno nazionale, tassazione e orpelli vari,
e quella dei terratenenti, che si guardano bene dallo sbandierare alcunchè,
però la esercitano di fatto, come la esercitava il padrone del podere di Don
Cola.
Il quale, come tutti gli emarginati, faceva il
proletario, o se si vuole il nullatenente. Campava, circostanze permettendo.
Ora è chiaro che una stessa superficie terriera non può
avere due sovrani: il più forte caccerà via il più debole.
Questi i termini (fondiari; quelli monetari verranno
appresso) della Questione Sociale, della quale si può leggere in Tito Livio per
poi vederla fare da sfondo a qualsiasi
libro di storia di qualsiasi luogo e
periodo. Quanto meno l’autore ne percepisce l’importanza come causa
determinante di guerre, trattati, matrimoni dinastici, colonialismo, elezioni
papali, rivoluzioni, esecuzioni capitali e chi più ne ha più ne metta, tanto
più costui rivelerà al lettore attento, e solo
a lui, i drammi per non dire le tragedie della sperequazione fondiaria.
Quattro ne sono le conseguenze.
·
La
recintazione conduce, prima o poi, al latifondo.
Ciò si deve alla natura umana, che ha decretato la diversità individuale
insieme all’uguaglianza personale. I gestori meno abili di una proprietà non ci
metteranno molto a venderla, facendola così fondere con quella di chi ci sa
fare e che offre loro una certa somma. Questa è una ragione per cui nessuna
“riforma” agraria basata sulla recintazione abbia mai avuto successo.
·
Il latifondo deprime i salari tanto di chi vi lavora
dentro quanto fuori, dato che spinge il margine di coltivazione sempre più
lontano dai centri di consumo. Derrate pagate € 0.06/kg alla produzione si
rivendono a € 1,20/kg al mercato. Ecco una seconda ragione del fallimento delle
cosiddette “riforme” agrarie. La distanza delle proprietà “riformate” dai
centri di consumo le rendono antieconomiche.
·
Per
massimizzare la rendita, il “sovrano” latifondista deve poter contare su un pool di disoccupati, così da poter
mantenere i salari bassi, e su tariffe
doganali che lo proteggono dalla competizione, così da poter mantenere i
prezzi di vendita alti. In genere ottiene i due scopi quando o lui o i suoi
colleghi sono in grado di manipolare le politiche governative. Ecco perchè la
disoccupazione non è mai stata
eliminata.
·
Man mano che
la società si va dividendo in un gruppo poderoso (ma necessariamente piccolo)
di terratenenti e un gruppo spodestato, ma in continuo aumento, di
nullatenenti, arriva la lotta di classe, che non è affatto invenzione marxista:
basta leggere Tito Livio per chiunque la voglia capire. Lo spargimento di sangue, sia di guerra intestina sia estera provocata
da chi vuole proteggere i privilegi ingiusti a tutti i costi, è inevitabile.
Il terratenente, sovrano di fatto, esercita sovranità
sottraendo una risorsa naturale (la terra) dall’uso comune e tassando chi ne ha
bisogno per lavorare. Dato che chiunque lavora, giù fino al bancarellaio di
città, ha bisogno di un minimo di terreno sotto i piedi, costui pagherà un
canone d’affitto al proprietario del titolo di proprietà per l’uso
dell’appezzamento per quanto minimo. Può non farlo andando ad occupare terra
libera, ma la distanza dal mercato aggiungerà ai suoi costi tutto o più di quel
che risparmierebbe facendolo.
L’imposizione fiscale del terratenente, cioè l’aumento del canone degli
affittuari e la diminuzione dei salari di chi lavora per lui, gli permette di
monetizzare come rendita tutti i vantaggi del tratto sociale. Ad ogni
miglioramento di infrastrutture, di amenità pubbliche, di tecnologia, ecc. che
induca gli agricoltori a starsene a casa invece di andarsene, il terratenente o
aumenta il canone agli affittuari o deprime i salari dei suoi lavoratori, o
ambedue le cose quando la proprietà è abbastanza grande da permetterlo.
La storia della questione fondiaria è lunga. I patrizi e i plebei di Tito
Livio lottarono per secoli proprio attorno alle due grandi questioni di questo
saggio: terra e moneta. Ad ogni minaccia di rivolta plebea, i patrizi
invariabilmente se la arrangiavano per distrarne l’attenzione verso
un’invasione nemica, frequentemente provocandola.[13]
Nella storia ecclesiastica la stessa questione incombe massiccia, dalla
donazione di Pepino di Heristal (756) alla scomparsa degli Stati Pontifici
(1870).[14]
L’origine dello Stato moderno, databile con la sfortunata decisione presa
al Concilio di Costanza (1415) di dividere i Padri per nazionalità, promosse
una sovranità basata sulla terratenenza politica, ma ben presto codesta
sovranità venne usurpata da privati, a cominciare da quando Enrico VIII
d’Inghilterra commise l’imprudenza di vendere
ai nobili le proprietà ecclesiastiche confiscate nel 1541. Costoro pagarono, ma
pretesero i titoli di proprietà che tutt’ora mantengono.[15]
La questione fondiaria è alla base della tensione mai risolta tra sovrano[16],
nobiltà e plebe, nonchè di fenomeni come la “sovrapopolazione”, la criminalità
organizzata e la guerra come valvola di scarico della lotta di classe.
La cosiddetta “sovrapopolazione” è effetto diretto, a volte drammaticamente
istantaneo, dell’espulsione dei piccoli usufruttuarî terrieri a vantaggio dei
grandi terratenenti. Lo si vide con la trasformazione degli yeomen inglesi, tra il 16o e
il 19o secolo, in straccioni che si affollavano nelle città durante
la Rivoluzione industriale; con l’emigrazione degli extremeños che andavano a ripetere l’usurpazione fondiaria in
America dopo averla subita in Spagna; con quei ragazzi che Don Bosco
raccoglieva per le strade di Torino, e con la massiccia emigrazione della
popolazione duosiciliana a cavallo tra il 19o e 20o
secolo, buttati fuori dalle loro terre ancestrali dalla nuova politica
fondiaria sabauda. Già, perchè cosa fare con l’improvviso straripare di
proletari, proletarie e proletarietti di ambo i sessi?
Non c’è che l’imbarazzo della scelta: dalla scherzosa “modest proposal” di
Jonathan Swift (1667-1745) cioè servire i loro neonati come manicaretto
prelibato alle tavole dei ricchi; a quella di Malthus
(1766-1834) che ancora viene presa sul serio, di convincerli ad avere meno
figli; al Terrore, il cui vero scopo era una drastica riduzione della
popolazione francese[17];
all’emigrazione come quella irlandese, volontaria verso l’America o forzata
verso l’Australia (anche per il furto di un fazzoletto), alla coscrizione di
centinaia di migliaia di disoccupati come carne da cannone, o alla facile
incarcerazione (gli U.S.A. ne hanno 3 milioni, circa l’1% della popolazione). E
via dicendo.
Da nessuno degli argomenti anteriori segue che la proprietà fondiaria sia immorale di per sé. Terratenenti consci
della funzione sociale della loro
proprietà sono sempre esistiti, anche se non in gran numero.[18]
Però offrire l’opportunità di vivere sul lavoro altrui da un lato e dall’altro
domandare di non farne uso è chiedere un po’ troppo.
La Questione Monetaria
Dice Erodoto che fu Creso di Lidia (m. 546 a.C.) ad
inventare la moneta, imprimendo il sigillo reale su di un pezzo di metallo
prezioso (se per garantirne il peso o per arricchirsi con il signoraggio
Erodoto non lo dice).[19]
Due cose scapparono al buon Creso:
Licurgo di Sparta aveva capito che un’unità di valore che è valore al
medesimo tempo crea una contraddizione insalvabile: spendere, o risparmiare,
sono un aut aut senza mezzi termini.
A una moneta a doppio taglio così, segue inevitabile una plutocrazia che impone
un tributo a chiunque ha bisogno di mezzo di scambio, a favore di chi ha
incettato la materia prima da monetizzare. Per cui Licurgo bandí l’oro come
materiale coniabile, sostituendolo con ferro, per di più corroso
artificialmente. Così facendo si guadagnò le lodi di Pitagora e gli scherni,
quando non gli insulti, dei patiti del metallo giallo.[22]
Non mi è dato sapere se Creso avesse mai sentito parlare di Licurgo.
Sia come sia, quell’accoppiamento contraddittorio fa da causa base
dell’usura, che non è altro che il tributo
che chi usa moneta come mezzo di scambio
deve pagare a chi la usa principalmente come portavalori. L’usura non ha nulla a che vedere con le sciocchezze
appioppatele lungo i secoli, come “fecondità”, “produttività”, “utile”, “lucro
cessante”, “denaro che lavora”, “interesse eccessivo”, e “sfruttamento”.
L’usura è potere, a cui seguono
sopraffazione, crisi economiche e politiche, economia di guerra, rivoluzioni,
lotte di classe, povertà nel bel mezzo dell’abbondanza, e la Questione Sociale.
Le due grandi questioni terra-moneta sono come le due ali di un infernale
uccello di malaugurio, del quale è da sperare il decesso in questo entrante 21o
secolo.
La questione monetaria rimane irrisolta. Lungo i secoli i governi, fino a
quando il potere di batter moneta non fu usurpato loro dall’alta finanza,[23]
emettevano denaro inteso come mezzo di scambio, ma mai e poi mai sono riusciti
ad impedire a risparmiatori e usurai (che per lo scopo di questo saggio sono la
stessa cosa) di sottrarre denaro dalla circolazione per interessi privati. Per
cui la scarsezza di moneta, rampante ancora oggi, rimane causa primaria (anche
se non esclusiva) del disordine economico che affligge tante nazioni,
specialmente quelle dei paesi poveri.
La scarsezza del mezzo di scambio favorì l’istituzione del credito. Tra i primi a rendersi conto
che il credito poteva benissimo sostituire il costosissimo (e pericolosissimo)
trasferimento di contante metallico furono i Templari. Già alla loro espulsione
da Terrasanta nel 1291 costoro avevano stabilito una rete di credito con quartier
generale a Parigi. Naturalmente non confidarono a nessuno che non vi era oro
alcuno “dietro” ai loro pezzi di carta, e ciò fu la loro rovina. Filippo il
Bello, in combutta con il primo papa avignonese Clemente V, distrusse l’Ordine
e ne saccheggiò il quartier generale e le comanderie, nella vana speranza di
trovarvi un tesoro fantasma.[24]
La superstizione di Re Filippo (e di Creso) è viva e vegeta nelle menti dei
più,[25]
grazie agli interessi degli usurai, all’ignoranza (genuina?) di squadroni di
economisti, e al silenzio (complice o no, non spetta a me giudicare) delle
facoltà di istituzioni che usurpano il nome di “università”.
I più chiamano “denaro” tanto la moneta quanto il credito, confondendoli
permanentemente. È vero che a parità di condizioni si comprano le stesse cose
tanto con un biglietto da €100 ($, £, ¥ o quel che sia) quanto con un assegno dello
stesso importo. Pochi però riflettono sul fatto che l’assegno altro non è che uno
strumento di credito: non fa che trasferire informazioni da un conto
bancario ad un altro, una sola volta.
Il biglietto da €100, d’altro canto, trasferisce beni e servizi per €100 ogni volta che cambia di mano. Nel caso
ipotetico, ma non impossibile, che quel biglietto venga scambiato tre volte al
giorno per un anno, lo stesso pezzo di
carta farebbe muovere beni e servizi per più di €100000. Questo è il
significato di liquidità, posseduto
dal contante ma non dal credito.[26]
Ma ciò non è mai accaduto. Questa mancanza la si è pagata, letteralmente,
con fiumi di sangue. La situazione odierna non può che venir profilata
sommariamente.
I soliti più (le masse) continuano ad illudersi che sia lo Stato ad
emettere moneta. Per gli spiccioli ciò è vero. Su questi lo Stato incamera un
signoraggio irrisorio, per il quale non vale la pena battersi come fanno tanti
entusiasti che lo reclamano “per il popolo”. L’emissione di moneta cartacea,
invece, fu usurpata dal sistema bancario subito dopo Waterloo (1815). I
plenipotenziari pluridecorati e pluripiumati del congresso di Vienna erano
tutti rappresentanti di governi indebitati con le banche fin sopra i capelli.
Era solo questione di tempo prima che i vari Stati cedessero la sovranità
monetaria al potere finanziario.
Oggi in Europa il signoraggio sull’emissione di moneta cartacea lo incamera
la Banca Centrale Europea di Bruxelles. Ma il suo ammontare arriva a malapena
al 5% di tutta l’emissione monetaria. Neanche per questo vale la pena di
battersi molto. La vera frode è l’emissione monetaria sotto forma di credito da parte delle banche commerciali. L’inganno
non è tanto che su una scarna base di contante esse emettano credito per 10-12
volte di più (la cosiddetta riserva
frazionaria), ma che chiamino “prestito” quello che è una vera e propria emissione di denaro sotto forma di
creazione di credito (non contante). L’emittente materiale è il firmatario
dell’assegno al momento di farne passare l’informazione al conto del ricevente.
Confondendolo con un prestito, il firmatario si impegna a restituire un capitale fittizio[27] e a pagarne
l’interesse convenuto.
Una seconda frode, ancora più grossa, è il debito pubblico: la Banca Centrale crea denaro dal nulla e lo
“presta” allo Stato, pretendendo il pagamento di interesse (non di capitale,
che estinguerebbe il debito) tassando chi lavora. Che nessuno si chieda: “ma
perchè deve far ciò la Banca Centrale? Non può farlo lo Stato, con moneta
libera da debito?”[28]
si deve agli imbrogli di Adam Smith e discepoli, che sono riusciti ad offuscare
la vista di sette generazioni di imbrogliati.
Pochi sanno, e molti benpensanti si scandalizzeranno a leggere, che
l’istituzione chiamata Banca Centrale
è il punto programmatico n.5 del Manifesto Comunista del 1848. “Il capoccia
delle teste confuse”, come lo chiamava Henry George, propone, nel suo
Manifesto,
La concentrazione della ricchezza nelle mani dello Stato
per mezzo di una banca nazionale con monopolio esclusivo.
Da allora, l’istituzione si è andata spargendo per il
mondo a macchia d’olio.[29]
Le banche centrali emettono moneta secondo i dettami della Banca Mondiale. La
sua politica odierna è di permettere al cosiddetto “Gruppo dei 12” di avere una relativa abbondanza di contante, e al
resto del mondo (eccetto quei paesi che osano sfidare codeste politiche) di
arrangiarsi come può prendendo denaro “a prestito” dai mal chiamati “donatori”.
Ciò significa che le banche centrali dei paesi poveri emettono il contante
giusto per bilanciare le quantità di dollari “presi a prestito”. Il fondamento
logico di una tale politica non è mai
stato spiegato. I suoi effetti li spiega Hernando De Soto in The Mystery of Capital: il patrimonio
nelle mani dei poveri di tutto il mondo ammonta, secondo i suoi calcoli, a 9,3
mila miliardi di dollari. Ma codesto capitale è come un motore ingrippato per
mancanza di lubrificante. Questa mancanza di contante mantiene i paesi poveri
in uno stato di deflazione permanente, con tutti i problemi sociali che ne
seguono.[30]
Le banche commerciali riempiono il vuoto, ma non
emettendo contante; esse emettono credito, come già spiegato, e lo emettono
solo agli “accreditati”, cioè a pochi eletti (leggi: già ricchi). Che
naturalmente si arricchiscono ancor più, e non proprio per “interventi
governativi”.
Oltre al credito, le banche creano confusione, grazie
alla quale prosperano. È nel loro interesse rifilare due storielle con le quali
ingannano il pubblico da 400 anni:[31]
Nessuna delle due proposizioni è vera, ma ambedue sono efficacissime a far
continuare la confusione denaro = credito/moneta nelle menti dei più. La
differenza tra credito e moneta è qualitativa, non quantitativa; ma la mente
“moderna”, abituata a stimare quantità e a disprezzare qualità, trova difficile
percepirne la differenza.
Un paradosso che ne segue è che i cosiddetti “cattivi” prestiti possono
esser cattivi per le banche, ma non per l’economia, nella quale rimane il
credito emesso senza danni per nessuno; e un altro è che i furti di contante
dagli stabilimenti bancari, a mano armata o no, per quanto dannosi per chi può
rimetterci la pelle, iniettano contante nell’economia, allontanandone la
deflazione.
L’emissione di credito e la manipolazione dello stesso su grande scala
hanno creato dal nulla una bolla di sapone finanziaria di proporzioni
mostruose, che Bernard Lietaer[33]
chiama “casinò globale” e che non ha se non tenuissime relazioni con l’economia
reale di produzione e di scambio. Nel 2001 codesta bolla aveva raggiunto la
cifra di 98 mila miliardi di dollari. Tre anni dopo era salita a 140 mila
miliardi. Dato che l’economia mondiale (di produzione e scambio) ha bisogno di
non più di tre mila miliardi, non è difficile immaginare cosa succederebbe se
codesta domanda da incubo si riversasse un bel giorno sul mercato della
produzione-consumo.
I governi, com’è logico, hanno tentato di impadronirsi di parte di questo
“denaro”. Ma la loro impotenza è venuta a galla con la loro assoluta incapacità
di imporre la modestissima imposta Tobin dello 0,2 – 0,5% alle migliaia di
miliardi che passano i confini giornalmente.
La scuola economica austriaca si ostina a considerare la moneta metallica
come superiore a quella cartacea. I suoi “esperti” non sembrano capire che il
vero problema è la contraddizione mezzo di scambio/portavalori, che persiste in
ambedue i sistemi. Il fatto che “risparmiatori” e usurai ritirino il denaro dal
mercato e lo rilascino solo e quando riescono ad ottenere il tributo conosciuto
come “interesse” rende del tutto aleatoria qualunque predizione di inflazione o
deflazione. Detto altrimenti, la domanda, sostenuta da denaro, gode di un
vantaggio indebito sull’offerta, spalleggiata (se è la parola giusta) dai danni
del tempo, passaggi di moda, tarli, umidità, funghi, ratti, ladri e via
dicendo. Il che riduce la cosiddetta “legge” della domanda e dell’offerta al
rango di pia favola.
Le crisi ricorrenti hanno perduto qualcosa delle loro antiche severità dal
tempo di Bretton Woods (1944) quando Keynes (1883-1946) convinse le banche
centrali a sostituire contante “risparmiato” con nuove emissioni dello stesso.
Ne è risultata l’inaffidabilità più assoluta di qualsiasi predizione monetaria,
sintomo chiarissimo dell’impotenza dei governi per controllare il denaro
incettato. Che questo abbondi, o scarseggi, dipende da chi si decide a
rigurgitarlo, quando e perchè. Ecco perchè, come ben osserva Guido Hülsmann del
Von Mises Institute,
La maggior parte della gente, e degli economisti, non
hanno la più pallida idea.[34]
Se la moneta fosse ancora fatta di metalli preziosi, la
situazione sarebbe ancora peggiore, dato che nessun governo può fabbricare oro
o argento. C’è di più. La monetizzazione dell’argento, materia prima molto più
abbondante dell’oro, dà fastidio ai possessori di quest’ultimo, dato che è
molto più difficile controllare due metalli che uno solo. Ecco perchè costoro
forzarono la demonetizzazione dell’argento lungo il secolo 19o.
Ancora una volta, non si trattò di un intervento statale ma plutocratico.
Le questioni fondiaria e monetaria, ambedue irrisolte,
stanno alla base della lotta di classe, di guerre civili e internazionali, di
disoccupazione, assassinî politici,[35]
povertà, sottosviluppo, scarsezza di alloggi e mancanza di infrastrutture,
concentrazione di fonti di energia nelle mani di pochi, scarsezza nel bel mezzo
di prosperità e una pletora di mali che affliggono il mondo inosservati e
pertanto incontestati.[36]
Lo Stato moderno, impotente succube di Mammona
Incapace di sconfiggere sia il potere fondiario che
quello monetario, lo Stato impotente si è alleato a questi due. La fiscalità
moderna preme sempre di più. Come osserva James Robertson,
Dopo il paradiso perduto, è facile immaginare Satana in
seduta con Belzebù, Moloch, Belial e il resto del suo consiglio di ministri,
per escogitare il sistema fiscale più dannoso che l’umanità sia disposta ad
accettare. Avrebbero potuto trovarne uno peggiore di quello che abbiamo?[37]
La fiscalità moderna ha tutta l’impronta dell’ingiustizia, qualunque sia la
caratteristica che si analizzi. Come disse George Bernard Shaw (1856-1950)
Qualunque governo che prometta di derubare Pietro per
pagare Paolo avrà sempre il sostegno di Paolo.[38]
Lo Stato moderno deruba i cittadini in cinque maniere.
Dogane e dazi
sono la versione moderna del barone predone che saccheggiava i mercanti di
passaggio. I confini sono infatti il solo luogo dove lo Stato moderno esercita
sovranità, dopo aver abdicato a quella sul suolo interno a favore dei
terratenenti. L’arte di depredare il mercante di passaggio consiste nel non
toglierli tanto da invogliarlo a cambiare strada. Dogana e dazio criminalizzano
l’istinto umano di base, cioè il tratto sociale per scambio di beni e servizi.
Ed agiscono, come non potrebbe essere più chiaro, da freno potente sullo
sviluppo di una economia. Notava Henry George che le derrate passavano molte
più settimane nei depositi doganali di quante ne passassero nelle stive delle
navi che incrociavano gli oceani. L’aereo ha ridotto drammaticamente i tempi di
trasporto, ma solo per far aumentare alle derrate il numero di settimane ferme
nei depositi doganali. Per giunta, un esercito di funzionari controlla,
autorizza, rifiuta, verifica, blocca ed esercita poteri varî sugli sfortunati
che non conoscono i trucchi del mestiere. E un certo numero di doganieri, che
si rendono conto del potere discrezionale conferito loro dalla carica,
domandano la tangente, così dirottando parte dei frutti del lavoro altrui nelle
tasche proprie.
Le imposte
indirette colpiscono il consumo in tutte le sue forme. “Non olet” sembra dicesse Vespasiano
odorando le monete provenienti dall’imposta sugli orinali pubblici.[39]
La tassazione indiretta moderna data dall’Inghilterra del 17o
secolo, quando i terratenenti al potere, riluttanti a pagare imposte sui
terreni, le trasferirono dalle loro proprietà ai beni di consumo. La pratica
continua. Basta dare un’occhiata ai prezzi della benzina.
La tassa sul
reddito colpisce la produzione. La sua introduzione (1909) sta per compire
il primo secolo di esistenza. Dato che lo Stato ha il dovere di proteggere la
vita e la proprietà dei cittadini, ha il corrispondente diritto di tassare le
due cose. Si può sostenere (come chi scrive) che la tassa sul reddito è una
tassa sulla sicurezza della persona, controbilanciata quindi dai servizi di
difesa, di ordine pubblico e di giustizia. È quindi la meno ingiusta delle
imposte moderne. Sarebbe più giusta (e per giunta aumenterebbe
le entrate dello Stato) se venisse imposta a percentuale fissa invece che
progressiva.[40]
L’IVA colpisce le transazioni. Sotto tutti i
punti di vista, si tratta della più ingiusta e controproduttiva, per non dire
assurda, imposta mai escogitata. E non è neanche nuova. La Spagna aveva la sua
IVA nel 16o secolo: si chiamava alcabala.
Non durò, perchè lo Stato si accorse ben presto che il costo di riscossione
superava il gettito, e che l’economia andava in rovina. I burocrati odierni lo
sanno, ma per occultare la frode impongono i costi di riscossione a produttori
e negozianti; senza pagarli, naturalmente, ma minacciando castighi severissimi
nel caso di non ottemperanza. Costringere a lavorare senza pagare lo si è
sempre chiamato schiavitù, e che
questa tornasse lo predisse Belloc nel 1912 (The Servile State) e Hayek nel 1944 (The Road to Serfdom).
La quinta e ultima idea su come riempire le casse dello
Stato è la legalizzazione dei giochi
d’azzardo. Che questo poi causi un incremento di criminalità organizzata,
di bancarotte, divorzi e maltrattamento di minori, con un costo sociale
eccedente la riscossione, non ha molta importanza.
L’intervento statale, tanto temuto (e combattuto) dalla
Scuola economica austriaca, è quello di uno Stato impotente, costretto a girare
senza sosta nel circolo vizioso appena descritto.
L’avversione austriaca per lo statalismo venne anticipata
più di 100 anni fa dall’economista italiano Maffeo Pantaleoni (1857-1924):
I governi si sono dati al cosiddetto Socialismo e
Paternalismo di Stato, a farla da maestri sulla cittadinanza. Hanno creato
monopoli di Stato e privilegi senza fine; storpiando l’efficienza privata,
distruggendo l’industria e il commercio, criminalizzando maniere assolutamente
necessarie di fare affari... Dovunque, in maggiore o minore misura, i governi
pagano una stampa corrotta per formare l’opinione pubblica... L’opinione
pubblica dovrebbe esser messa all’erta circa il valore economico dell’onestà
governativa. I tribunali puniscono la disonestà privata. Per statisti e
istituzioni politiche purtroppo non vi sono prigioni.[41]
Effetti del disordine
Si osservi il grafico[42]
che segue:
La curva A rappresenta la crescita naturale, cioè degli esseri viventi.
Codesta crescita dipende dai grandi cicli della natura: acqua, ossigeno,
carbonio ecc. Agricoltura e industrie derivate seguono, o dovrebbero seguire, quella
curva: crescita rapida seguita da equilibrio statico.
La linea retta B rappresenta la crescita industriale.
Nella decade 1860-70 la produzione industriale superò per la prima volta quella
agricola negli Stati Uniti e nel Regno Unito, seguiti dai paesi oggi chiamati
“industrializzati”.
La curva C è quella esponenziale dell’interesse composto,
spinto inesorabilmente dall’usura, dettata dalla forma di moneta in uso da 4.000
anni, e dovuta alla confusione del mezzo di scambio col mezzo di risparmio.
Le quattro decadi 1890-1930 segnarono l’intersecarsi
dell’interesse composto con l’agricoltura. Gli effetti sono stati profondi per
non dire tragici. Segnalo:
Quando l’esponenziale C interseca la retta B, è l’economia di guerra. Si
produce per distruggere, così da mantenere l’occupazione e pagare gli
interessi. Nel 1945 Raul Follereau (1903-77)[43]
chiese a Roosevelt e a Stalin il denaro corrispondente al costo di un
bombardiere, per i suoi lebbrosi. Invano naturalmente. Non si rendeva conto che
gli interessi dei due belligeranti erano altrove. Un aereo di guerra abbattuto
o comunque precipitato rappresentava migliaia di posti di lavoro per
l’industria bellica che aveva salvato l’America
dalla Grande Depressione.
Codesta pratica è in pieno auge. L’industria di guerra produce, i mercanti
di morte vendono (ai cosiddetti “governi” dei paesi sottosviluppati), e i paesi
cosiddetti “industrializzati” risolvono, seppure
parzialmente, il problema della disoccupazione.
Poi qualcuno si accorge che dall’altra parte si fa la fame, che gli
affamati camminano centinaia di chilometri in cerca di cibo, sicurezza e
istruzione. E ci si torce le mani e si manda loro “aiuti” sotto forma di
derrate alimentari e di materiale d’urgenza. E così si risolve (sempre
parzialmente) il problema della sovraproduzione agricola nei paesi
“sviluppati”.
Tutta l’operazione viene diretta, naturalmente, da “esperti” espatriati,
che incamerano una parte non disprezzabile degli “aiuti”. È un’altra spintarella
all’occupazione, ma a quella dei paesi “sviluppati”. È evidente che la pace,
specialmente se duratura, non rappresenta una priorità per chi vive di una tale
situazione.
Il problema reale rimane l’usura. Fino a quando questa non venga affrontata
e sconfitta, non vi saranno programmi e progetti, per quanto ispirati da buona
volontà e implementati da buone persone, che possano invertire la marcia.
Tutti i paesi cosiddetti “industrializzati” o “sviluppati” hanno raggiunto
questa tappa. Che scelgano di usare il materiale bellico per conto proprio, o
per venderlo altrove, l’immoralità dell’operazione dovrebbe essere ovvia, ma
coloro che intascano i “lauti dividendi” dell’industria di guerra sono
comprensibilmente poco propensi a scrutare da vicino gli effetti dei giocattoli
di morte, specialmente se non sono maneggiati dai loro figli. Darò un solo
esempio: il soldato bambino.
Il dodicenne con il Kalashnikov a tracolla è, infatti, “la macchina bellica
più efficiente che sia mai stata escogitata”, come dichiarava un militare sudanese. Perchè?
I nodi vengono al pettine se e quando il dodicenne sopravvive, raggiunge
l’età del giudizio... e capisce. Allora ne seguono notti insonni, pianti
disperati, incubi, e talvolta anche il suicidio. In ogni caso sarà un
traumatizzato per tutta la vita, irritabile e scontroso: un soggetto
antisociale. Dovrà rimanere in esilio perpetuo: tutti a casa ne ricordano le
atrocità. Ma che glie ne importa agli usurai di tutto ciò? Grazie al bambino
soldato gli azionisti di morte avranno goduto “lauti
dividendi”.
Quali soluzioni?
L’Accademia
Si dovrebbe avere il diritto di aspettarsi, no? che le
università, le facoltà, i professori e le professoresse di ruolo, i prestigiosi
libri di testo, e le decine di migliaia di tesi di dottorato, per non parlare
della Riksbank che assegna il “Nobel” dell’economia, notassero gli impicci
appena descritti, anche con un rapido sguardo.
Ma il mondo accademico si muove su un’altra lunghezza
d’onda, sospinto da una falsa definizione dell’economia e da varie scuole in
contrasto prima con la realtà delle cose e poi l’una con l’altra.
Il termine tradizionale “economia politica”, definito come “studio di produzione e di
distribuzione di ricchezza”, è stato furtivamente sostituito con quello di
“economia” tout-court, definita come
“assegnazione di risorse scarseggianti”.
Codesta definizione apparentemente innocua nasconde non una
ma due trappole. La prima è: “In che senso una risorsa scarseggia?”. La seconda è: “A chi spetta assegnare?”.
Nessuna risorsa “scarseggia”. L’ingegno umano è sempre
riuscito a trovare, o inventare, surrogati per risorse rese artificialmente
scarse dalla cupidigia umana. Il petrolio, per esempio. Fino al 1850 il
carburante più usato per l’illuminazione domestica era l’olio di balena.
Quell’anno “scarseggiò”, non perchè non ve ne fosse, ma perchè qualcuno
credette di fare il furbo incettandone tutta la produzione e quadruplicandone
il prezzo. Al che qualcun altro notò che c’era una robaccia nera e oleosa che
si sprigionava dal suolo, e che con un certo trattamento diveniva infiammabile.
Il resto è storia, e l’olio di balena una curiosità storica. La faccenda non è
finita. La trivellazione a grande profondità, cominciata dai russi con un pozzo
di 20.000 metri nella penisola Kola negli anni 1960, ha rivelato che c’è tanto
petrolio quanto se ne vuole, sempre che si sia disposti a trivellare a quelle
profondità, cioè a costi alti. Per mezzo di codesta tecnica il Vietnam è
divenuto paese produttore di petrolio, in barba alle predizioni. Per di più,
pozzi che erano stati dichiarati “esauriti” hanno cominciato a riempirsi
spontaneamente, da sacche profonde mai sfruttate. Il tutto è sgradita notizia
per le multinazionali monopoliste, ma prima o poi, come ben dice J. K.
Galbraith, “la saggezza convenzionale viene messa in scacco dall’avanzata degli
avvenimenti”.
Il termine “assegnazione” insinua che solo gli “esperti”,
che sono “al corrente” possono “assegnare”. Il che è vero fino a quando terra e
moneta saranno quello che sono. Ma con lo svegliarsi della gente, c’è da
sperare presto, l’economia decollerà sulle due ali di Terra e Moneta libere. E
la decantata “scarsezza” andrà a finire nel bidone della spazzatura della
storia.
Il Premio Nobel lo abbiamo già visto. James B. Phelan se
la prende con il duo Banca Mondiale/Fondo Monetario Internazionale in questi
termini:
Cosa raccomanderebbe Stiglitz invece del solito menu di
BM/FMI? Ha proposto una riforma fondiaria radicale, un attacco al nucleo dei
grandi terratenenti, ai canoni usurai imposti dalle oligarchie terriere in
tutto il mondo, normalmente il 50% della produzione degli affittuari. Questo è,
purtroppo, materia molto più delicata. È più facile aver fede che una crescita
economica costante sia in grado di liberarci dalle difficili questioni della
terratenenza e dell’accesso a risorse capaci di produrre un reddito. Un tale
programma politico non appare nell’agenda di BM/FMI, dato che, come nota
Stiglitz, “sfidando il monopolio fondiario si sfida il potere delle élites”.[44]
Non tutti i premi Nobel di economia hanno la stessa
tempra di Stiglitz. Alcuni di costoro perfino credono nelle loro teorie, come
Merton e Scholes, i vincitori del 1997. E nel 1998 persero in borsa 1.250 miliardi di dollari. Non di tasca loro,
s’intende, ma quelli affidati loro da banchieri centrali di tutto il mondo
perchè applicassero le teorie che avevano fatto loro vincere il Nobel. Chi tirò
fuori i gonzi dalla melma in cui si erano cacciati furono i contribuenti USA
attraverso il FED.
Bernard Maris dell’Università di Parigi inveiva:
Da Milton Friedman (Nobel ’76, il guru dei superliberali)
a Modigliani, si tratta di “incompetenti perentori”, di ripetitori di ricette
che sanno essere sbagliate, di maggiordomi dei forti. Non osano dire che non
esiste una teoria del liberalismo, dell’efficienza, della concorrenza. Queste
parole non sono che ideologia e utopia, totalitaria come furono quelle staliniste.[45]
Per gli accademici l’usura non esiste. Quindi andiamo a vedere cosa
raccomanda:
La tribù
La terra appartiene alla comunità. La moneta non è
necessaria. In condizioni idilliache perchè primitive, o primitive perchè idilliache,
ciò e vero. Diceva il capo Seattle della tribù Suquamish:
Come si può comprare o vendere il cielo, o il tepore
della terra? Quest’idea è strana per noi. Dato che non siamo i padroni della
frescura atmosferica e dello scintillio dell’acqua, come si fa a comprarli?[46]
Quando l’idillio finisce in seguito alla crescita
demografica, la suddivisione del lavoro rende impossibile codesta visione delle
cose. La moneta diviene necessaria, e con essa non tanto il diritto quanto
l’obbligo di insediarsi da qualche parte.
Il feudalesimo
La terra appartiene alla elite, cioè la nobiltà e l’alto
clero. Costoro godevano dello ius utendi,
ma non dello ius abutendi: i nobili
si accollavano i costi di amministrazione e di difesa, e gli ecclesiastici
quelli della previdenza sociale: culto religioso, educazione, sanità,
orfanotrofi, accoglienza ecc. La rendita del suolo nudo pagava per codesti
servizi.
In Europa il sistema feudale durò per ben sette secoli.
L’inconveniente maggiore era evidentemente la servitù della gleba. Il servo, si
noti bene, mancava di libertà politica,
ma godeva di una libertà economica
invidiabile: lavorava per il signore quattro settimane all’anno, per sè e
famiglia 14 settimane, altre 10 per i lussi che si poteva permettere, e godeva
di 120 giorni di vacanze (per lo più religiose) all’anno.[47]
La politica monetaria feudale soffriva di una mancanza
cronica di contante, dato che:
La manipolazione della moneta metallica
con tecniche varie, e la scoperta di miniere d’argento qua e là,
permisero il rilancio economico, ma l’accresciuta liquidità, e con essa la
mobilità, furono la fine del sistema feudale.
Il capitalismo
Con la fine del feudalesimo, il “sacrosanto” titolo di
proprietà venne a garantire non solo il diritto di occupazione (ius utendi), ma anche quello di
sfruttamento (ius abutendi). I servi
divennero affittuari, ma la richiesta sempre crescente e incalzante di canone
finì per espellerli dagli appezzamenti che avevano lavorato per secoli.
Divennero proletari. Chi li salvò dalla morte per inanizione fu la Rivoluzione
Industriale, provvidenzialmente sorta allo stesso tempo degli sfratti massicci.[48]
Adam Smith scrisse a quel tempo il
già citato The Wealth of Nations. Non
è fuori luogo ricordare che al tempo della stesura il nostro godesse di una
lauta pensione proveniente dalla rendita del Duca di Buccleugh (Scozia).
Sarebbe stato rischioso mordere la mano del benefattore.
Gli economisti odierni della scuola liberale non ripetono
i pragmatismi di Smith. Menzionano la terra come fattore di produzione di
ricchezza al principio dei loro trattati, poi dicono (non scrivono)
“abracadabra” e la terra si trasmogrifica[49]
in capitale.
La Questione Sociale scoppiò virulenta per tutto il 19o
secolo, causando una massiccia emigrazione verso nuove terre. Britannici e
tedeschi, militarmente forti, andarono ad espropriare gli africani; gli
irlandesi e gli italiani, militarmente deboli, andarono a tentar fortuna nelle
due Americhe. E Marx poetizzava sui datori di lavoro che sfruttavano i
proletari, guardandosi però bene dal menzionare che i primi fossero solo dei
sensali tra i salari da miseria dei nullatenenti e i due poteri
terratenenza-usura. La situazione reale la descrisse Henry George nel 1887:
Vi sono... tre fattori di produzione, e sempre un quarto
e generalmente anche un quinto di distribuzione. Oltre al capitalista datore di
lavoro A, e il lavoratore assoldato B, vi sono il terratenente C, l’esattore di
imposte D e i rappresentanti di monopoli non fondiari E. Quello che A e B si
dividono tra loro non è il prodotto dei loro sforzi congiunti, ma quello che
gli lasciano C, D ed E.
Quello che George chiamava “rappresentanti di monopoli
non fondiari” è infatti il potere dell’usura, meglio identificato e descritto
da Gesell una generazione dopo. È importante notare che il capitalismo
intreccia i due monopoli fondiario e monetario più strettamente che qualsiasi
altro sistema economico. Al monopolio fondiario sono indissolubilmente legati
gli alti tassi di interesse. In regime di recintazione, la terra maldistribuita
tra i pochi possessori e i molti nullatenenti diviene il tipo di investimento
più redditizio: il rendimento ne viene garantito dalla densità di popolazione e
dalle infrastrutture che crescono attorno
alle proprietà. Questa è anche la ragione per cui l’alta finanza è nemica
dichiarata di agricoltori e di attività agricole. I monopolisti monetari vedono
codeste attività come una minaccia alla loro speculazione, e con ragione. Le
derrate alimentari sono forma di moneta.[50]
L’agricoltura di sussistenza e il baratto sono due dei tre fattori (il terzo è
la cambiale) che impediscono all’usura di aumentare le sue richieste più di
quanto non lo faccia. Per la stessa ragione la manipolazione finanziaria ha
cacciato via milioni di piccoli agricoltori dai loro appezzamenti durante tutto
il 20o secolo.[51] Il “titolo di proprietà” non è così innocuo
come appare di primo acchito. In Kenya, Africa Orientale, non vi è giorno in
cui non appaia sulla stampa un episodio di violenza dovuto ai “title deeds”[52]
con concomitante stillicidio di morti e feriti.
La dottrina sociale della Chiesa
I documenti pontifici sulla Questione Sociale non offrono
soluzioni bell’e fatte. Sono dichiarazioni di principio, da servire come punti
di riferimento per un’azione effettiva. Quando suggeriscono una soluzione,
questa sarà certamente libera da errori dottrinali e morali, ma non
necessariamente da quelli economici o politici.
La Rerum Novarum
(1891) fa il primo punto, citando S. Tommaso:
L’uomo non deve considerare i suoi possedimenti esterni
come propri, ma comuni a tutti, così da farne partecipi gli altri quando ne
hanno bisogno. Per cui l’Apostolo dice: “Comandate ai ricchi di questo mondo...
di elargire generosamente, di far partecipi gli altri”[53]
La proprietà privata, quindi, deve svolgere una funzione sociale oltre a venire
incontro alle esigenze del proprietario.
La Quadragesimo
Anno (1931) fornisce un punto ulteriore:
È una ingiustizia, un gran male e un disturbo dell’ordine
naturale, che grandi conglomerati e associazioni si arroghino funzioni che
potrebbero benissimo venir espletate da società più piccole e a livello più
basso... Chi sta al potere deve convincersi che quanto più fedelmente venga
seguito questo principio di sussidiarietà, tanto più contenta e prosperosa
diverrà la società.[54]
Però ecco che il rimedio suggerito da Leone XIII è
proprio la recintazione:
Con un salario sufficiente... il lavoratore non troverà
difficile... farsi una piccola proprietà... questa... questione non potrà esser
risolta se non con il considerare la proprietà privata sacra e inviolabile. Le
leggi, quindi, devono favorire la proprietà, e le politiche vanno dirette ad
invogliare i più a divenir proprietari.[55]
Ma i salari, insufficienti, non lo consentono. E non per
l’avidità del datore di lavoro, ma per il suo farla da sensale coatto tra i
lavoratori e i terratenenti/usurai. Per di più, anche se il lavoratore
riuscisse a fare quel che il documento pontificio suggerisce, si innescherebbe il processo che, iniziando
dalle piccole superfici, ha sempre finito, inesorabilmente, con il portare al
latifondo.
È verissimo, come afferma Papa Leone nello stesso documento,
che “il lavoro ha bisogno di capitale e il capitale di lavoro”. Ma la questione
è se questo bisogno reciproco possa, da sé, fare aumentare i salari. Ciò non è
accaduto per tutto il 20o
secolo: l’aumento di un salario di un certo sindacato o gruppo di sindacati è sempre avvenuto a spese di altri salari,
gruppi e sindacati, mai a spese di
chi lucra rendite e interessi.
La prova – paradossale – di ciò la diede Henry Ford
(1869-1947), un non-cattolico. Libero da debiti, Ford potè quintuplicare il salario
minimo dei suoi lavoratori, e aumentare le paghe fino al punto di permettere ai
suoi uomini di acquistare le auto che
producevano.
Il fallimento di ogni politica diretta a risolvere la
Questione Sociale ha aperto la strada alle corporazioni transnazionali, oggi
esercitanti uno sfacciato dominio mondiale con la loro politica di
globalizzazione.
L’unico documento pontificio moderno circa l’usura fu Vix pervenit di Benedetto XIV (1745), la
prima Enciclica in ordine assoluto e anche l’ultima a toccare l’argomento. Per
ragioni mai rese esplicite, la Vix
Pervenit non viene considerata parte del corpus di Dottrina Sociale.
L’ultima risposta in materia data dal 1985. Estelle e
Mario Carota, una coppia messicana, nel tentativo di alleviare la crisi da
debiti che affliggeva i paesi latino-americani in quel decennio, richiesero al
Vaticano una dichiarazione formale sull’usura. La risposta della Congregazione
per la Dottrina della Fede fu che la dottrina circa l’usura resta immutata.[56]
Il socialismo
Tutto il territorio nazionale è proprietà dello Stato. Ne
segue che ogni cittadino è un impiegato del medesimo. Codesta soluzione
semplicistica è dovuta al presupposto marxista che lo sfruttamento dei
lavoratori sia effetto della proprietà privata dei mezzi di produzione. I
socialisti di tutti i colori ancora ci credono, dimentichi del fallimento
clamoroso dell’esperimento sovietico durato ben 70 anni.
La nazionalizzazione del suolo:
La scuola austriaca
La scuola economica cosiddetta “austriaca” aborrisce
l’intervento statale, ma continua a sostenere a spada tratta l’equazione terra
= capitale, sotto l’incantesimo dell’abracadabra liberale.
Per quello che riguarda la questione monetaria la scuola
austriaca presume (come del resto fanno tutti) che l’emissione di moneta sia
esclusiva responsabilità, nonchè dovere, dello Stato. Jörg Guido Hülsmann, del
Von Mises Institute scrive:
La produzione monetaria dev’essere lasciata al libero
mercato. L’intervento governativo non migliora gli scambi monetari;
semplicemente arricchisce i pochi eletti a spese di chi fa uso di denaro. E dal
punto di vista estetico il disastro è naturalmente completo: invece di
maneggiare belle monete di argento o di oro, i cittadini sono costretti dalla
legge ad usare disdicevoli pezzi di carta.[57]
Sorprendentemente, perfino il The Economist se la prende con la moneta cartacea:
Dal (1971) il mondo ha fatto assegnamento su moneta
“fiat”, cosiddetta per esser creata da decreto governativo, e non sostenuta che
dalle promesse delle banche centrali di proteggere il valore della moneta. C’è
chi ha cominciato a mettere in dubbio il valore di quelle promesse.[58]
C’è anche chi non ha mai creduto nel valore di quelle
promesse, e meno ancora in quello delle “belle monete d’oro e d’argento”.
Gesell dimostrò che solo la moneta cartacea è in grado di tenere il passo ad
una economia in crescita, e che il fare assegnamento su metalli preziosi che
vanno “trovati” (gefunden, gefunden,
gefunden, ironizza il nostro) condanna l’economia a inanizione perpetua e fa di ogni repubblica una società di mendicanti. La
dimostrazione è del 1916. Che 90 anni dopo esista gente ancora irretita
dall’incantesimo di Creso è a dir poco sconcertante. E che l’argomento di
Gesell venga ancora ignorato puzza di losco lontano un miglio.
Ma non è tutto: che i signori della scuola austriaca non
si rendano conto che l’emissione di moneta è proprio controllata dal cosiddetto
“libero mercato” da 200 anni, e che i governi esercitino il signoraggio
esclusivamente sugli spiccioli di metallo, è ancora più sconcertante. Che poi
si tratti di ignoranza sic et simpliciter,
o di connivenza, non sta a me dirlo.
Comunque, c’è chi è riuscito a sgattaiolare dalla trappola
di Mammona. Andiamo a fargli visita.
L’Autonomia Monetaria con moneta convenzionale
Nel golfo di S. Malo, 49o 20’ N
2o 20’ W, sorgono dal mare le Isole Normanne: Jersey, Guernsey,
Alderney, Sark e alcuni isolotti minori per un totale di 195km2 (=
Pantelleria + Eolie, per rendere l’idea). Chiunque le visiti, anche
virtualmente in Internet, non può fare a meno di sbalordirsi con le semplici
statistiche: 150.000 e più abitanti (contro i 17.000 scarsi delle equivalenti
isole siciliane); una densità quindi attorno agli 800/km2, cioè
quattro volte quella del Regno Unito; opere pubbliche di prim’ordine, dalle
case del governo, alle strade, ai tre aeroporti di Jersey, Guernsey e Alderney,
agli impianti di desalinizzazione per l’acqua potabile. Le industrie principali
sono la finanza (che la finanza usurpi il nome di industria è osceno, ma questo
è un altro discorso), il turismo e l’agricoltura, che vanta ben due razze
bovine campioni di fama mondiale per l’alta
percentuale di grasso nel latte.
Lo sbalordimento continua con lo studiarne la storia e
l’ordinamento politico. Le isole non fanno parte né del Regno Unito né
dell’Unione Europea. Godono però di una “relazione speciale” con il primo da
900 anni: il Regno Unito bada alla loro difesa, ma il governo degli Stati (sic) delle Isole è autonomo. Le isole
dipendono direttamente dalla Corona, però non quella d’Inghilterra, si badi
bene; la Regina è “il nostro Duca (non duchessa) di Normandia” dato che gli abitanti sostengono (e non a
torto) di aver loro conquistato
l’Inghilterra con Guglielmo d’Altavilla nel 1066.
Lo sbalordimento sorpassa tutti i limiti nel considerare
che le isole non sono neanche solidarie l’una l’altra: Jersey ha un governo e
una bandiera; Guernsey ha un altro governo (e un’altra bandiera); da essa
dipendono le isole minori, ognuna con regime politico proprio. I titoli sono
ancora quelli medioevali di Conestabile, Siniscalco, ecc. Le circoscrizioni
sono le Parrocchie (civili, non ecclesiastiche), ognuna con la sua forza di
polizia. Gli abitanti si sbeffeggiano a vicenda (v. National Geographic Maggio 1971).
In circostanze “normali” una tale disunione porterebbe
alla rovina. Cosa fa funzionare le Isole?
Una sola cosa: il diritto, conquistato a dura prova dalle
banche, di batter moneta.
Nel 1815, finite le guerre napoleoniche, Guernsey era in
condizioni disastrose.
Le strade, fiumi di fango
larghe appena 3 metri; il commercio, inesistente; i poveri, dappertutto. Sul
debito pubblico di 19.137 sterline gravava un interesse annuale di 2.390.
Aumentare le tasse era fuori discussione; chiedere un
prestito alle banche sarebbe stato rovinoso. Il comitato che studiò la
questione vide il rimedio: emettere banconote di Stato (libere da debito) e
titoli, per opere pubbliche e per rilanciare l’economia.
Per dieci anni le cose andarono bene; nel 1825 le banche
contrattaccarono per sabotare l’esperimento. Prima inondarono le isole con le
loro banconote;[59]
poi ottennero dalla Corona il ritiro delle banconote degli Stati, e fecero il
bello e il cattivo tempo finanziario fino al 1914, come avviene tutt’ora
dovunque gli artigli di Mammona si conficcano nelle loro prede.
La Grande Guerra le constrinse a rilassare la presa.
Approfittando delle restrizioni imposte alle banche dagli eventi bellici, le
Isole riconquistarono il diritto di batter moneta e non lo hanno più mollato
fino ai nostri giorni.[60]
In queste località, quindi, vigono tanto l’istituto del
patteggio quanto quello di autonomia monetaria. Le tasse sono irrisorie (8% sul
reddito),[61] tanto per l’assenza di
debito pubblico quanto per il milione di turisti che annualmente visitano le
isole.
La storia è ben altra nel Regno Unito, che sta ancora
pagando gli interessi contratti per vincere la battaglia di Waterloo; il
mercato di Glasgow costò 60.000 sterline nel 1817, e si finì di pagarlo solo nel 1956, quando era già tempo di demolirlo.
Henry George e Terra Franca
Due cose dovrebbero apparir già chiare:
Il principio di sussidiarietà non è generale. È un caso particolare del più
esteso principio (cristiano) dello et-et,
che nelle questioni etiche, coinvolgenti cioè la libera volontà umana,
sostituisce l’aut-aut caratteristico
di altre scienze.
La sussidiarietà rende possibile la convergenza
di libertà e solidarietà, trascendendole entrambe. Nella questione fondiaria,
ciò che ha bisogno di convergere sono l’istituzione della proprietà privata con
la sua funzione sociale auspicata dalla Rerum
Novarum.
Ma principi trascendenti di codesto tipo non sono affatto facili da
identificare, dato che non si prestano ad essere trattati dal solo punto di
vista logico. Con la logica non si approda a nulla.
Bisogna ammettere che la mente umana, in cerca di verità attraverso una
concatenazione ordinata di pensiero, si sconcerta davanti alla prospettiva di
identificare codesti principi. E non vi è conforto nell’affermare che la logica
di un siffatto principio si staglia chiarissima una volta trovato e applicato. Ma non prima.
Ecco il perchè del cozzo, assolutamente non necessario però storicamente
accaduto, tra la dottrina della Rerum
Novarum e quella di Henry George.
Le due dottrine vennero giudicate contraddittorie,
senza però che nessuno si desse la pena di esaminare se la verità dell’una
implicasse necessariamente la falsità dell’altra. E viceversa.
George aveva proposto che il suolo nudo, escluse le strutture costruitevi
su, dovesse venir usato come imponibile fiscale. I frutti del lavoro del
terratenente sarebbero così andati a finire nelle tasche dello stesso per il
100%, mentre la rendita del suolo nudo, risultato delle attività economiche
della comunità attorno ad esso,
sarebbe ritornata alla comunità sotto forma di opere pubbliche e di
infrastrutture.[62]
Dovrebbe esser chiaro che il suggerimento georgista applica proprio il
principio della Rerum Novarum. Le due
dottrine sono quindi subcontrarie,[63]
cioè ambedue vere.
La prova pratica fu la facilità con la quale l’arcivescovo Satolli assolse
e riabilitò lo scomunicato Fr Edward McGlynn nel 1892.[64]
Satolli chiese a McGlynn di riassumere, quanto più concisamente possibile,
i principi del georgismo, per farli esaminare da un comitato di esperti dal
quale era stato scrupolosamente escluso ogni amico del sacerdote scomunicato.
Il comitato (Catholic University of America, Washington), espresse
all’unanimità l’opinione che il georgismo non contiene alcunchè contro la fede
o la morale.
In seguito, il comitato chiese a McGlynn se accettava la dottrina della Rerum Novarum. Costui lesse il documento
e ne firmò l’accettazione senza esitare. Conoscendo la sua tempra, non c’è
dubbio che avrebbe rifiutato di firmare se non fosse stato d’accordo anche solo
su un punto minore.
Il georgismo fu così ufficiosamente condannato e ufficiosamente
riabilitato.
Il che non vuol dire che la cosiddetta “imposta unica” di Henry George sia
l’unica maniera che permetta alla proprietà privata di assolvere la sua
funzione sociale. Ve ne sono altre. Quel che conta è il principio: trasferendo
l’imponibile dal valore aggiunto da
chi lavora a quello sottratto dal suolo come risorsa naturale, ogni cosa cade
al posto giusto:
Silvio Gesell e la Moneta Franca
Le scorte di denaro a cui si è accennato qua e là non
sono gruzzoli di poco conto. A parte la bolla finanziaria già descritta,
Microsoft vanta una scorta di ben 56 miliardi
di dollari in contanti, abbastanza per sopravvivere, come asseriscono loro, a
un anno di vendite-zero. Il magnate britannico Lord Weinstock (1925-2002)
Aveva un mucchio di diversi
miliardi di contante (sterline, SB) nella sua banca.[65]
Se “diversi” (several)
vuol dire ± 7, costui avrebbe potuto pagare di tasca propria il costo del
traforo sotto la Manica al preventivo originale.
Incette di contante di proporzioni come quelle descritte
sono perfettamente legali, ma immorali, come, diciamo, succhiare l’olio
lubrificante da un motore per farlo grippare.
Il genio che mise a nudo la contraddizione pratica della
forma di moneta convenzionale e ne propose il rimedio si chiamava Silvio Gesell
(1862-1930), mercante tedesco trasferitosi in Argentina negli anni 1890.
Costui propose un doppio divorzio: primo, quello della
moneta dai metalli preziosi; secondo, quello dell’unità monetaria dall’oggetto
che la rappresenta.
Il primo divorzio ha già avuto luogo, in due tappe: il 25
settembre 1931 il Premier britannico MacDonald, con le lagrime agli occhi,
annunziava che il Regno Unito avrebbe rinunciato al sistema aureo per sempre.
Era stata la Grande Guerra a forzare il passo. Tutto l’oro del mondo non
sarebbe bastato a finanziarla che per poche settimane, altro che i quattro anni
di carneficina che durò. Seguirono, uno dopo l’altro, tutti i paesi, man mano
che si accorgevano che la carta poteva benissimo svolgere la funzione di
portavalori.
Il sistema aureo cadde ovunque eccetto che negli U.S.A,
dove Creso tenne banco fino al 1971. Quell’anno De Gaulle pretese oro di Fort
Knox in cambio della montagna di pezzi da 100 dollari che gli U.S.A. avevano
rifilato alla Francia come “moneta di riserva”.[66]
Il 15 agosto 1971 il Presidente Nixon buttava la spugna.
Non c’era oro sufficiente, e il sistema aureo passò nel dimenticatoio della
storia.[67]
Gesell fu discepolo di Proudhon (1809-65), il primo ad
accorgersi che la moneta, lungi dall’aprire le porte del mercato, faceva da
“chiavistello che le sbarra”. Proudhon aveva visto il problema, sbagliandone
però la soluzione. Con domanda e offerta in perenne squilibrio, aveva proposto
di far salire l’offerta al livello della
domanda, aumentando la produzione di capitale fino a farne sparire
l’interesse. Gesell mise allo scoperto il punto debole dell’argomentazione di
Proudhon: l’offerta soffre i capricci del tempo, la moneta no. È possibile però
farglieli soffrire, facendo così scendere
la domanda a livello dell’offerta. A differenza di Tobin puntò sulle
incette piuttosto che sulle transazioni.
Come? Emettendo moneta deperibile, cioè con data di emissione e di scadenza, da mantenere
in circolazione pagando un’imposta sul valore nominale dello 0,1% per
settimana, o 5,2% annuale.[68]
La chiamò Freigeld (moneta franca)
cioè libera da usura, e pertanto da inflazione e deflazione. Diamo un’occhiata
al successo, sebbene di breve durata, della Moneta Franca.
La Prova del Fuoco
Il primo esperimento ebbe luogo a Schwanenkirchen, in Germania, nel 1930.
Herr Hebecker, padrone di una miniera di carbone, la manteneva aperta in piena
depressione economica emettendo buoni Wära
come mezzo di scambio. I suoi minatori ricevevano il 90% della paga in Wära, e chi accettava i Wära poteva convertirli in carbone. Ogni
buono Wära subiva la svalutazione geselliana
[69]
programmata per favorirne la circolazione rapida. La cosa funzionò tanto bene
da attirare l’attenzione di Mammona nelle vesti del Cancelliere Heinrich
Brüning (1885-1970). Costui non perdette tempo a cassare Schwanenkirchen e a
passare decreti-legge di emergenza, tutt’oggi in forza, contro l’emissione di
qualsiasi moneta non ufficiale.[70]
Protagonista della seconda storia è Michael Unterguggenberger (1884-1936),
borgomastro di Wörgl, cittadina nodo ferroviario del Tirolo austriaco.
Nel 1932 la moneta scarseggiava, le industrie chiudevano e infuriava la
disoccupazione. I 1.500 disoccupati di Wörgl (su 4.000 abitanti) inutilmente
accorrevano al borgomastro per aiuto.
Costui aveva letto Gesell durante la semipovertà delle crisi del 1907-08 e
1912-14, durante le quali aveva contratto la tubercolosi che lo avrebbe portato
alla tomba a 52 anni. Ma conosceva il rimedio, e si mise all’opera.
Dopo un paziente lavoro di avvicinamento e di convinzione presso i piccoli
impresari, negozianti e professionisti di Wörgl, il 5 luglio proclamava:
La causa principale del barcollo dell’economia è la bassa
velocità di circolazione della moneta. Questa progressivamente sparisce dalle
mani dei lavoratori come mezzo di scambio. Filtra invece nell’alveo dove scorre
l’interesse, finendo con l’accumularsi nelle mani di pochi, che invece di
riversarla sul mercato per acquistarvi beni e servizi, la trattengono per
specularvi su.
Il municipio emise i suoi Bestätigter
Arbeitswerte (Certificati di Lavoro) valorati alla pari con lo Schilling
ufficiale, ma ogni certificato per 1, 5 e 10 Schilling, pur mantenendo un
potere d’acquisto stabile, scadeva dopo un mese dall’emissione a meno di non
rinnovarne la validità con un francobollo del valore dell’1% sul nominale,
acquistabile in municipio. Questo, da parte sua, accettava i certificati come
pagamento di imposte.
Non vi era alcun obbligo di accettarli. Le alternative erano:
Il municipio ne fece stampare un totale di 32.000 unità, ma in pratica ne
emise meno di un quarto. La circolazione raggiunse una media di 5.300 scellini,
cioè un irrisorio due scellini o meno a persona, che però procuravano lavoro e
prosperità al circondario di Wörgl più di quanto lo avessero fatto i 150
scellini/persona della Banca Nazionale. Come aveva predetto Gesell, l’importante
era la velocità di circolazione: scambiandosi circa 500 volte in 14 mesi,
contro le 6-8 volte della moneta ufficiale, quei 5.300 scellini fecero
circolare beni e servizi per ben due milioni e mezzo nello stesso periodo. Il
municipio, con le casse continuamente riempite da un lato e svuotate
dall’altro, costruì un ponte sul fiume Inn, asfaltò quattro strade, rinnovò le
fognature e le installazioni elettriche, e costruì perfino un trampolino di
salto con sci. Per avere un’idea del potere di acquisto, lo stipendio del
borgomastro era di 1.800 scellini mensili.
Al principio alcuni ridevano, altri gridavano alla frode o sospettavano contraffazione.
Ma i prezzi non aumentavano, la prosperità cresceva e le tasse venivano pagate
puntualmente (perfino in anticipo) e immediatamente ri-investite in lavori e
servizi pubblici. I ghigni si trasformarono ben presto in espressioni di
stupore e i lazzi in voglia di imitazione. Ai primi del 1933 circa 300.000
cittadini della provincia di Kufstein erano lì lì per adottarne l’esperimento.
Frattanto Wörgl era diventata centro di pellegrinaggio di macroeconomisti
europei e americani. Tutti volevano vedere “il miracolo” della prosperità
locale che sfidava la miseria e la disoccupazione globali. Andavano per
imparare? Non si direbbe, data la spessa coltre di silenzio su Gesell nelle
facoltà di economia.
Mammona non dormiva. Unterguggenberger si era astenuto dal chiamare i
certificati “moneta” dato che a farlo sarebbe incorso nelle ire della Banca
Nazionale.
Il 19 agosto del 1932 il
Dott. Rintelen, per conto del Governo, riceveva una delegazione capitanata dal
borgomastro. Dovette ammettere che la Banca Nazionale aveva ridotto l’emissione di moneta da una
media di 1.067 milioni di scellini nel 1928 a una di 872 nel 1933. Dovette
anche ammettere che i certificati facevano senso e che non c’erano ragioni
valide per interromperne l’esperimento.
Mammona però aveva i suoi “scienziati” alla Banca Nazionale, intenti a
“provare” che l’esperimento doveva essere verboten,
proibito. Eccone le ragioni “scientifiche”:
Benché l’emissione di certificati di lavoro sembri
avallata al 100% da una quantità equivalente di moneta ufficiale austriaca, le
autorità sovrintendenti, cominciando dall’area amministrativa di Kufstein fino
all’ufficio governativo del Tirolo, non devono permettersi di sentirsi
soddisfatte. La cittadina di Wörgl ha ecceduto i suoi poteri, dato che il
diritto di batter moneta in Austria è privilegio esclusivo della Banca
Nazionale, come per art. 122 del suo statuto. Wörgl ha violato quella legge.
La proibizione entrò in forza il 15 settembre 1933. Wörgl appellò. Il caso
raggiunse la Corte Suprema, che fedele a Mammona cassò l’appello e mise fine
all’esperimento.
Tornarono la disoccupazione, la miseria e la fame. Nelle Bierhallen bavaresi cominciava a farsi
notare Adolf Hitler, oscuro immigrante austriaco. È impossibile affermare – o
negare – che il secondo conflitto mondiale sarebbe stato evitato dando retta a
Gesell. Il fatto è che furono i voti dei disoccupati a portare Hitler al
potere.
Con la Moneta Franca il divorzio tra l’unità monetaria e l’oggetto che la
rappresenta è sanzionato. La moneta diviene puro
mezzo di scambio senza funzione alcuna di portavalori. Chi vuole
risparmiare lo può fare con qualsiasi altra cosa che non sia quello che per un
motore è il lubrificante.
Una tale riforma monetaria, come quella fondiaria già trattata, corrisponde
agli stessi requisiti:
Nessun governo europeo (eccetto le Isole del Canale) è
stato mai abbastanza forte da sfidare e vincere il potere finanziario. E nessun
governo al mondo ha mai tentato di istituzionalizzare la Moneta Franca in barba
allo stesso potere. Chi potrebbe? Andiamo per ordine.
Lo status quo
Nel sistema vigente le banche commerciali emettono credito, la banca centrale
il contante e lo Stato gli spiccioli. Il credito risponde del 95% circa di
movimenti monetari di un paese; contante e spiccioli del rimanente 5%.
Abbiamo visto che quel che le banche amano chiamare
“prestiti” sono in realtà permessi per batter moneta non circolante. Quello che
poi richiedono per codesti “prestiti” è l’ammontare della somma originale più gli
interessi che, non essendo creati come è il capitale, devono necessariamente
venire dalla produzione di beni/servizi reali. Si tratta quindi di un sistema aperto, in cui il flusso di denaro dai
prestatari alle banche eccede quello contrario dalle banche ai prestatari. E
chi va in bancarotta (necessariamente come abbiamo visto) cede a queste beni
reali, prodotti da lavoro altrettanto reale. Detto altrimenti, le banche
succhiano ricchezza reale dalla società in cambio di pezzi di carta. Il flusso
rimanente va per buona parte allo Stato e per l’altra ai cittadini.
Nel caso (raro) in cui il debitore riesca a pagare il
capitale, questo viene obliterato con la stessa facilità con cui era stato
creato all’emissione. Ecco perchè le banche sono riluttanti a farsi ripagare i
cosiddetti “prestiti”. Preferiscono che si continui a pagare interesse anche
quando l’ammontare di questo eccede, e di gran lunga, la somma iniziale.
Se tutti si accorgessero dell’inganno, il sistema
crollerebbe. Ma data la scarsissima informazione in materia la gente continua
allegramente a farsi tosare tanto dal potere finanziario quanto da quello
terriero.
La moneta convenzionale statale
Il sistema in auge nelle Isole del Canale è chiuso: Lo Stato emette moneta e lo
Stato la riceve in pagamento di imposte. Ma si tratta di moneta che conserva la
contraddizione mezzo di scambio/portavalori, per cui il “risparmio” sottrae
circolante e il credito supplisce la scarsezza artificiale di contante. Il
passo è nella direzione giusta, ma la gamba è ancora a mezz’aria.
I Wära di Schwanenkirchen e i certificati di Wörgl
Oltre al successo spettacolare di quello che fu la Moneta
Franca nei due paesini germanici, si noti che:
A questo punto c’è da chiedersi: vale la pena ripetere, possibilmente
migliorandolo, l’esempio di un privato e di un municipio che tanto successo
ebbero sette decenni fa? Se sì, chi e come potrebbe attuarlo?
Una risposta è che le linee aeree seguono quell’esempio
da anni. I buoni “frequent flyer” acquistano posti sugli aerei, ma circolano
anche negli aeroporti per l’acquisto di rinfreschi, riviste, libri e
cianfrusaglie varie.
Lo stesso fanno alcuni supermercati. Offrono buoni
d’acquisto per una certa somma ivi spesa, e li redimono in mercanzie che loro
stessi vendono. Nel frattempo i buoni sono in grado di circolare tra i clienti.
In ambedue i casi si tratta di sistemi chiusi al 100%. In
ambedue i casi i buoni scadono dopo un certo tempo, quindi si è incentivati a
spenderli. L’unica osservazione è che i supermercati non producono ricchezza:
la distribuiscono. Aumentando la circolazione dei buoni aumentano le vendite.
È ora di fare il punto.
Moneta franca e democrazia
Da quanto suesposto emerge chiaro il principio: chiunque produce ricchezza è in grado di
monetizzarla. Non solo un municipio, ma anche una compagnia di trasporti
(aerea o non, come visto sopra), un cementificio, una azienda agricola, una
compagnia di elettricità, un ospedale, una catena alberghiera ecc. sono in
grado di emettere buoni acquisto denominati non in unità ufficiali ma in unità
naturali di quel che producono: il kilogrammo di granaglie, il
passeggero/chilometro o la tonnellata/chilometro, il kilowattora, il posto
letto ecc. Ma nessuna di queste unità garantisce costanza nel tempo. La scuola
invece sì. Vediamo come.
Pochi si rendono ancora conto della svolta storica che rappresentò il 1982
nel mondo delle comunicazioni e in quello delle relazioni sociali. Quell’anno
decisivo vide nascere due cose: il computer personale e la moneta comunitaria.[71]
Qui si presta attenzione solo a quest’ultima. La sua invenzione può essere
considerata tanto importante, se non di più, di quella di Gutenberg.
Capitale umano alla riscossa
In quasi tutti i paesi l’educazione è l’ambiente di
maggior tratto sociale. Spesso assorbe il grosso della spesa pubblica. Tutti ci
siamo passati, e alcuni di noi ci sono rimasti: o da maestri, o da genitori, o da
ambedue le cose.
Chi controlla questo ambiente sociale originario? La
teoria dice che devono essere i genitori, come produttori e primi educatori di
capitale umano. La pratica dice tutt’altro: chi controlla il denaro (contante +
credito) controlla anche l’educazione.
Ma le cose stanno cambiando. Le comunicazioni sempre più
rapide, sulle ali dell’invenzione del 1982, hanno già la possibilità di dare pieni poteri ai genitori per prendere in
mano l’educazione dei loro figli, così facendo a meno dell’indebita
intromissione dello Stato e di altri poteri più o meno occulti.[72]
Come? Emettendo il loro mezzo di scambio, vincolato al valore aggiunto (al
capitale umano rappresentato dai loro ragazzi) dai ragazzi stessi e dai loro insegnanti.
Dal Sistema Aureo all’ora di insegnamento
Le due sconfitte dell’usura a 40 anni l’una dall’altra
(1931 e 1971) non sono state definitive. Il problema rimane. Nonostante
l’accettazione universale di carta moneta come mezzo di pagamento, gli interessi
finanziari sono in aperto conflitto con quelli dei produttori di ricchezza
reale. L’alta finanza vuole denaro instabile
da usare come “portavalori” per le sue speculazioni; produttori e commercianti
lo vogliono stabile da usare come
mezzo di scambio per le loro previsioni. L’ultima cosa che speculatori, usurai
e compagnia desiderano, è un’unità di riferimento fissa che permetta di stabilizzare i prezzi e così fare previsioni
economiche affidabili.
Ma un’unità stabile, dopo tutto, esiste da sempre.
Dall’antico Egitto, se vogliamo, ma anche da prima. In un mondo a basso livello
di tecnologia, però, nessuno l’aveva mai notata. Con l’alta tecnologia di oggi,
e ora con Internet, è perfettamente possibile adottare l’ora di insegnamento scolastico come unità monetaria. Associazioni
di genitori possono benissimo farlo, sempre che ne siano consci.
Qualsiasi scuola, in qualsiasi parte del mondo, con 30
ore settimanali di insegnamento per 40 settimane all’anno, aggiunge valore al
capitale umano per 1.200 ore/anno per classe. Si tratta di una somma
immensa, mai monetizzata solo perché passata inosservata. Per meglio dire, la
sua monetizzazione è avvenuta a casaccio e del tutto insufficientemente, dato
che è sempre dipesa da capricci di banchieri, uomini politici, associazioni
educative e commercianti di libri di testo e di articoli di cancelleria. Ma ora
i genitori possono prendere le redini. Come, si legga sotto.
Precedenti
Senza tornare agli esperimenti di 70 anni fa, cominciamo
con il notare che già esistono, sparse in tutto il mondo, circa 30.000 comunità
che hanno fatto rivivere le economie locali, minacciate dalla cosiddetta
“economia di scala” tanto industriale quanto commerciale. Ci sono riuscite,
bene o meno bene, emettendo circolante proprio. Molte fanno uso dell’ora di
lavoro come unità di scambio, ma senza precisarne il tipo. Se tutte si
mettessero d’accordo su una stessa unità di riferimento, una tale rete di
comunità presenterebbe un fronte poderoso che potrebbe servire da base per una
economia completamente libera da usura. Il decollo di una tale economia
verrebbe impedito solo dalla scarsità di manodopera. Basandosi sull’esperienza
dei 4.000 abitanti di Wörgl, prendiamo quella cifra come massa critica. In
termini scolastici, ciò vorrebbe dire una comunità con otto scuole da 500
alunni ciascuna.
Caratteristiche generali
Il nome da dare all’unità “buono-scuola” è arbitrario
(sarebbe prudente non usare termini finanziari). Che comunità diverse diano
nomi diversi non ha importanza, sempre che il potere d’acquisto sia l’ora di
insegnamento. Tutte le monete che la adottassero diverrebbero intercambiabili.
Le caratteristiche principali sarebbero:
·
Il
buono-scuola (BS) agirebbe esclusivamente come mezzo di scambio, non come
portavalori.
·
Circolerebbe non
invece della moneta ufficiale, ma assieme ad essa, supplendone la
scarsezza e alleggerendone le funzioni. La prima verrebbe usata per acquisti
intercomunitari, il BS per acquisti intracomunitari.
·
Il BS è fatto
per circolare ±50 volte più rapido della moneta ufficiale, così facendo muovere
dalle 700 alle 1.000 volte il suo valore nominale in beni e servizi.
·
La domanda
sostenuta dal BS non godrebbe di vantaggio alcuno sull’offerta. Una quantità
modesta di BS, accoppiata ad un’alta velocità di circolazione, potrebbe
assorbire l’intera quantità di beni e servizi prodotti dentro la comunità.
Caratteristiche fisiche
Il buono, emesso in tagli da 1, 5 e 10 unità,
deve:
Caratteristiche di circolazione
Caratteristiche di stampa
Queste sarebbero da convenire secondo i bisogni della
comunità.
Caratteristiche di emissione
L’ostacolo più formidabile è senza dubbio quello
psicologico, cioè riuscire a convincere tutta una comunità, o buona parte di
essa, ad accettare BS in pagamento di beni e servizi. Quanto più piccola è una comunità, tanto più facile dovrebbe risultare il
lavoro di avvicinamento e convinzione. Ma appena il tentativo venisse coronato
da successo, come avvenne a Wörgl nel 1932, la pratica si spargerebbe a macchia
d’olio ad altre comunità.
Dato che i BS non sostituiscono la moneta ufficiale, ma
circolano assieme ad essa, quella di accettarli o no sarebbe una scelta del
tutto libera. Chi li rifiutasse guadagnerebbe tanto quanto prima. Chi li accettasse vedrebbe il suo potere d’acquisto crescere
in proporzione ai BS accettati.
In ordine di avvicinamento e preparazione, prima verrebbe
l’associazione emittente; seconda, il personale scolastico; e terza gli
operatori economici della comunità. Lo scopo del BS è di far muovere beni e
servizi circolando, cioè chiudendo
ripetutamente il circolo scuole-personale scolastico-operatori
economici-scuole.
Se un municipio, o un’alleanza di municipi, prendesse
l’iniziativa come la prese Unterguggenberger 70 anni fa, la circolazione diventerebbe
municipio-personale civico-operatori economici-municipio, il quale potrebbe
fornire la comunità di amenità e servizi pubblici di prim’ordine.
Il principio che governa il BS è semplice: chiunque lavora viene pagato subito e in
contanti. Non ci sarebbe bisogno di aspettare “la fine del mese” (o della
settimana, come in Gran Bretagna). L’ammontare della paga, dipenderebbe come
sempre dal gioco tra domanda e offerta. È improbabile che un operatore
economico richieda un prezzo eccessivo per le sue prestazioni, dato che
“risparmiare” BS vorrebbe dire incorrere in sicura perdita, come risparmiare
verdure.
I buoni BS potrebbero pagare – e perchè no? – anche due
prestazioni fino adesso imposte gratis con la violenza o con l’inganno: la maternità e i compiti di scuola. Non vi è ragione alcuna per chiedere alle madri
di espletare gratis la funzione sociale più importante e più dura che esista.
Che la scuola (o il municipio) paghino per la produzione e la prima educazione
di un capitale umano che dopo pochi anni contribuirebbe al benessere scolastico
(e sociale) ha un perfetto senso economico da qualsiasi punto di vista. Non è
questione di forzare le donne ad
avere figli e portarli su. È questione di dar loro una scelta che oggi non hanno. Non vi è neanche ragione per instillare
una mentalità da schiavi nella mente dei giovani scolari. Non suggerisco che si
paghi loro uno stipendio fisso, ma che si ricompensi il lavoro ben fatto in
proporzione a ricchezza di contenuto, presentazione, puntualità ecc. Sarei
disposto a scommettere che una tale misura migliorerebbe il livello di
educazione più di quanto non lo hanno fatto le “riforme” più o meno fraudolente
dall’Unità d’Italia a questa parte. La Repubblica Italiana potrebbe veramente
dire di essere “fondata sul lavoro” come dice la Costituzione, senza dovere
aggiungere “coatto” come dice la realtà.
Il ruolo della Chiesa
Tutto quel che si dovrebbe chiedere alla Chiesa sarebbe
di accettare BS come obolo, dentro o fuori le funzioni liturgiche, non invece di ma insieme a, denaro corrente. Qualora l’obolo
ricevuto eccedesse i suoi bisogni, la Chiesa avrebbe tutto da guadagnare
e niente da perdere. Le possibilità di assistenza sociale verrebbero limitate
solamente dalla scarsezza di personale.
Il ruolo del Governo dello Stato
Come ben disse Frédéric Bastiat (1801-1850), la sola
richiesta da fare allo Stato è quella che fece Diogene ad Alessandro: togliti
dai piedi che mi fai ombra. Lo Stato, vedendo l’economia decollare senza il suo “aiuto” e la disoccupazione sparire come
neve al sole senza impiego alcuno di denaro pubblico, farebbe benissimo a
starsene da parte, vedendo (se lo vedesse) che i BS riescono a fare in questione
di mesi quello che politicastri di tutte le persuasioni non sono riusciti a
fare in 200 anni.
Potrebbe anche aiutare, questa volta davvero, in due
maniere:
Se poi lo Stato volesse sbarazzarsi dei cosiddetti “extracomunitari” non
avrebbe che suggerire ai governi dei paesi da cui costoro provengono di
adottare l’istituto della Moneta Franca. Ritornerebbero tutti a gambe levate
(dall’entusiasmo, non dalla paura).
Lo Stato potrebbe, però, e forse lo farà, allearsi con Mammona per
distruggere l’esperimento. In questo caso ricordiamo quello che stava avvenendo
nell’area di Kufstein poco prima che Mammona cassasse gli sforzi di
Unterguggenberger: 300.000 cittadini erano lí lí per organizzarsi ad emettere
Certificati di Lavoro, ossia Moneta Franca. Mammona l’ebbe vinta per un pelo: a
ritardare di un solo mese, il governo austriaco avrebbe dovuto imprigionare
chissà quante migliaia di cittadini invece di prendersela con un uomo e i suoi
consiglieri municipali come fece a Wörgl.
La lezione è che nel momento in cui l’esperimento raggiunge una massa critica, né Mammona né i suoi
lacché potranno fare un bel niente.
Un futuro BS
La monetizzazione di capitale umano, qui proposta, va
molto al di là del mettere al volante dell’economia i creatori e gli educatori
di quel capitale. Comporta uno spostamento di paradigma di visione copernicana,
e non solo per l’educazione, ma anche per l’economia nel suo insieme.
Visualizzare lo spostamento è difficile, dato che una
economia BS renderebbe la maggior parte dei termini economici obsoleti o in
soprannumero.
Il risparmio, per esempio, sarebbe ancora possibile, ma
non sotto il proverbiale materasso o l’ugualmente proverbiale salvadanaio.
Sarebbe preferibile risparmiare in beni duraturi o beni di consumo non
deperibili, o prestando i BS a un interesse dello 0%.
Il prestito di denaro, che oggi favorisce l’usura da
parte di pochi a spese dei più, diverrebbe universale, favorendo la
solidarietà, l’amicizia e la coscienza sociale. Prestandoli, i BS mantengono il
potere d’acquisto; risparmiandoli, lo perdono. A nessuno converrebbe non restituire un prestito alla
scadenza. Per cui un’economia basata sul dare, e favorente la solidarietà,
sostituirebbe un’economia basata sul ricevere e lo sfruttare, e promovente
l’egoismo. Nel sistema oggi vigente, risparmiare nelle tasche altrui suona
orripilante; nel sistema BS diverrebbe pratica comune.
Il termine “capitale” non potrebbe più venir applicato al
denaro. Il capitale primario sarebbe quello umano, il che incoraggerebbe le
famiglie numerose e scoraggerebbe, quando non eliminerebbe, pratiche
antieconomiche come l’aborto e la contraccezione.
Il costo di qualsiasi opera, privata o pubblica, non
verrebbe più misurato in unità monetarie, ma in ore lavorative/persona. Somme
modeste, ma che circolano rapide, pagherebbero per qualsiasi opera pubblica di
qualsiasi dimensione. Sarebbe solo questione di tempo.
Dieci anni fa tutto questo era utopia pura e semplice.
Oggi tutto questo è alla portata dei produttori e degli educatori di ciò che
più conta: il capitale umano.
Silvano Borruso
31 agosto 2005
[1] Si tratta di una frode in tono minore: di Nobel
codesto premio ha solo il nome. Non viene concesso dal Comitato dell’omonima
istituzione, ma dalla Riksbank svedese. Come ciò avvenga non mi è dato saperlo.
[2] Robert J. Samuelson, Soothsayers on the Decline (declino degli indovini) Newsweek 13
febbraio 1995.
[3] A Plague of forecasters (Un’epidemia di
indovini) The
Economist 21 agosto 1976.
[4] Samuelson, art. cit. p. 44
[5] Wassily Leontief, Premio Nobel per l’economia,
citato in The Economist 17 luglio
1982.
[6] I Re, 17, 1-6. Qui per “cornacchie” si intendono
anche quelle buone persone che danno da mangiare a chi non può lavorare.
[7] Cf Money, whence it came, where it went di
J.K.Galbraith, Houghton Mifflin 1995; The
Lost Science of Money di S. Zarlenga, American Monetary Institute 2002 per
una visione convenzionale e una non convenzionale.
[8] La definizione è di Avicenna (Ibn Sina,
980-1037). S. Tommaso d’Aquino la fece sua.
[9] La definizione è di Papiniano, uno dei giuristi
del Codice giustinianeo. Fa banco da 15 secoli.
[10] Ciò è valido anche se il non dovuto viene dato
per carità o misericordia.
[11] Vale la pena ricordare una citazione di Proudhon
(1809-65) di 150 anni fa: “Essere governati vuol dire essere sorvegliati,
ispezionati, spiati, diretti, legislati, regolati, etichettati, indottrinati,
predicati, controllati, assessorati, pesati, censurati e comandati da uomini
che mancano tanto del diritto di farlo quanto di conoscenza e di virtù. Essere
governati significa, ad ogni operazione, transazione o movimento, venir notati,
registrati, controllati, tassati, stampigliati, misurati, valutati,
assessorati, brevettati, autorizzati, approvati, ammoniti, ostacolati,
arrestati. Sotto pretesto dell’interesse generale, si viene tassati,
addestrati, ricattati, sfruttati, monopolizzati, estorti, raggirati, derubati;
e alla minima resistenza, alla prima lagnanza, repressi, multati, maltrattati,
infastiditi, seguiti, tiranneggiati, bastonati, disarmati, strangolati,
imprigionati, mitragliati, giudicati, condannati, deportati, spellati, venduti,
traditi e in fine burlati, scherniti, insultati, disonorati. Ecco il governo,
la giustizia, la moralità!” C’è dell’esagerazione, ma non tanta.
[12] Adam Smith, The Wealth of
Nations, Penguin 152-53, traduzione mia.
[13] Storia di Roma da Romolo all’invasione dei Galli.
[14] Per più di 1000 anni ogni papa cingeva due
corone: quella di capo della Chiesa e quella di re degli Stati Pontifici. Gli
interessi delle due non sempre coincidevano, per dirla con moderazione. Forse
l’episodio più grottesco fu la guerra tra Sua Maestà Cristianissima Filippo II
di Spagna e Papa Paolo IV per la contea di Paliano nel 1555.
[15] Sia qual sia il governo al potere nel Regno
Unito, la camera dei Lords esiste per impedire che i Comuni prendano qualsiasi
decisione contraria ai loro interessi di terratenenti. Ben lo sa il Duca di
Westminster, che rifiuta di vendere agli americani il terreno su cui si alza
l’ambasciata USA a Londra. La rendita che ne ricava ha permesso ai suoi
antenati, e permetterà ai suoi discendenti, di vivere “raccogliendo quello che
non hanno seminato”.
[16] Questo termine vale tanto per i re e principi di
una volta quanto per presidenti , chairmen e simili titoli odierni.
[17] Lo afferma Nesta Webster (1876-1960) in World Revolution, Britons 1971.
[18] Si pensi ai Conti di Modica in Sicilia, che
crearono una prosperità diffusa che dura ancor oggi; o alla Marchesa di Barolo
(1791-1864) benefattrice di Don Bosco.
[19] Il signoraggio è la differenza tra il valore
legale della moneta e quello commerciale della materia prima di cui questa
viene fatta. E’ evidente che questo è massimo con moneta cartacea e minimo con
moneta aurea. Ma il problema è un altro, come si vedrà.
[20] Silvio Gesell sostiene che la decadenza
dell’Impero Romano fu dovuta alla superstizione che la moneta dovesse esser
fatta di metalli preziosi, le cui miniere erano già esaurite dai tempi di
Augusto. La mancanza di moneta avrebbe causato il collasso della suddivisione
di lavoro, e con essa dell’organizzazione politica. Die
Natürliche Wissenschaftsordnung Parte 3 cap. 17.
[21] O del mondo, se riesce ad imporre la sua carta
moneta come “reserve currency.” Lo fanno gli Stati Uniti dal 1944.
[22] Plinio si schierò dalla parte di Pitagora,
maledicendo il giorno in cui Roma aveva abbandonato la sua moneta iniziale
fatta di metallo vile per sostituirla con l’argento. I patiti dei metalli
preziosi, che considerano un progresso quello che in realtà fu un regresso,
continuano a non capire Plinio ancora oggi.
[23] Il principio di quella usurpazione fu la fondazione
della Banca d’Inghilterra nel 1694. Napoleone, consapevole che la rovina della
Francia fosse stato il lavoro del finanziere Necker e compagnia, voleva una
Francia libera di debito, il che spiega il suo Sistema Continentale. Tentò la
resistenza contro Mammona manu militari,
ma fallì a Waterloo (1815).
[24] L’ironia (per non dire nemesi) storica non si
fece attendere: re e papa morirono dentro l’anno (1314) in cui arse sul rogo
Jacques de Molay, ultimo Gran Maestro dei Templari.
[25] Ci si sta svegliando grazie a Internet. Chi
scrive deve alla rete qualcosa come il 90% del contenuto di questo saggio.
[26] Non intendo condannare il credito. Senza assegni
(o carte di credito) la scarsezza di contante si farebbe sentire più di quanto
si fa sentire oggi. Il credito esiste proprio per sopperire a codesta
scarsezza.
[27] Cioè che non esiste. Chi presta realmente, si
disfa temporaneamente di ciò che presta per definizione. Le banche non si
disfanno di alcunchè. Approfittano dell’ignoranza dei prestatari per rifilar
loro un permesso di emetter denaro che falsamente chiamano “prestito”.
[28] Se lo chiese Lincoln (1809-1865) che sostenne lo
sforzo bellico della Guerra di Secessione con 450 milioni di “Greenbacks” e che
non vedeva perchè dovesse ritornare al sistema aureo a conflitto finito. Se lo
chiese anche Kennedy (1917-1963), che nel giugno 1963 autorizzò il Tesoro
(Executive Order 11110) ad emettere 4 miliardi di dollari senza “prenderli in
prestito” dal FED.
[29] Pochi economisti sembrano sapere, o mostrare
preoccupazione, che proprio il decano dei rivoluzionari fosse sostenitore a
spada tratta del potere finanziario. È poi strano, per non dire di più, che la
violenza di massa che scosse praticamente tutto il secolo 19o non
toccasse mai né banche né banchieri.
[30] De Soto non la vede così. Lui pensa che questo
ingente patrimonio dovrebbe venir “legalizzato”, cioè fatto entrare nel quadro
delle leggi dello Stato. Anche se lo fosse, una tale incorporazione non
risolverebbe il problema della deflazione di una iota.
[31] I 400 anni scadranno nel 2009. Il 1609 marcò la
fondazione della Banca di Amsterdam, prima fautrice dell’inganno.
[32] In realtà non fanno altro che raccogliere
polvere.
[33] The Future of Money, Century, Londra 2001.
[34] Nicholas Oresme and the First Monetary
Treatise, Mises
Daily Article 18 maggio 2004.
[35] Ne sono buoni esempi Napoleone, Lincoln, Zar
Nicola II, Trujillo, Kennedy, Somoza e Roldós.
[36] I paesi sottosviluppati rimangono tali, tra
l’altro, perchè i loro uomini politici sfruttano la povertà come fonte di
potere. Una modesta somma di denaro elargita a un povero assicura il voto. Data
a chi gode di una certa prosperità assicura al più insulti e scherno.
[37] The
[38] Comunicazione privata, senza citazione.
[39] Che non per nulla in Italia ricevevano il nome di
“vespasiani”. Ma non se ne vedono più, chissà perchè.
[40] Lo Stato si illude che tassando il reddito
progressivamente i ricchi paghino più dei poveri. In realtà i ricchi si possono
permettere di assoldare esperti legulei che sanno come fare per nascondere i
loro redditi agli occhi scrutatori degli agenti della finanza. Tra loro si
trovano, manco a dirlo, le transnazionali.
[41] Citazione trovata in The Two Impostors di Daniele Varè. Ritradotta dall’inglese per
mancanza dell’originale.
[42] Lo si trova
in Inflation and Interest Free Money
di Margrit Kennedy, new Society Publishers p. 19. Le date sono aggiunte.
[43] Scoprì che la lebbra è curabile, a costi relativamente
bassi. Esistono diverse fondazioni portanti il suo nome, di cui una in Italia.
[44] Comunicazione
personale da Harry Pollard, Henry George School of Los Angeles, 28 novembre
2001.
[45] Maurizio Blondet, Lettera aperta ai guru dell’economia che ci prendono per imbecilli,
Avvenire 18-4-2000
[46] Circa 1854. Cortesia di Jeffrey Smith (geonomist@juno.com).
[47]
Durante le quali non se ne stava con le mani in mano: costruiva cattedrali o
adornava suppellettili di uso comune che oggi si trovano solo nei musei.
L’italiano medio odierno lavora per lo Stato per 24 settimane, per sè altre 24
(se ha famiglia ha bisogno anche dello stipendio della moglie) e può
considerarsi fortunato se gli spettano 4 settimane di vacanze per annoiarsi o a
casa o in luoghi esotici non esenti da terrorismo o da catastrofi naturali.
[48] Gli storiografi agganciati al carrozzone
terratenenza-usura fanno della Rivoluzione Industriale la “causa” della
Questione Sociale.
[49] Mi permetto di trascrivere una facezia inglese
del 17o secolo che non ha traduzione italiana. Comporta un elemento
di magia. L’idea è di Mason Gaffney e Fred Harrison, The corruption of economics, Shepheard Walwyn 1994.
[50] Specialmente le granaglie. Si ricordi che
Salvatore Giuliano (1923-1950) ebbe il primo conflitto a fuoco con le forze
dell’ordine per due sacchi di grano.
[51] La relazione tra interesse, contante, baratto,
cambiale e agricoltura di sussistenza viene pienamente spiegata ne l’Ordine Economico Naturale di Silvio
Gesell Parte 3. L’interesse non si può permettere di salire al di là del
livello al quale la gente giudica che non vale la pena pagarlo, e ritorna al
baratto-sussistenza. In una economia monetaria, la cambiale fa muovere beni e
servizi liberi da debito, ma è ingombrante e a volte inaffidabile.
[52] Titoli di proprietà assegnati dal governo.
[53] N. 24.
[54] N.
[55] Rerum Novarum N. 50.
[56] Vix Pervenit si limita a distinguere l’usura (prezzo del
denaro preso in prestito) dall’interesse (prezzo del servizio che il
prestatario deve al prestatore). La prima è condannata, la seconda no.
[57] Morality and Economic Law: Towards a
Reconciliation. Mises Daily Article 5 aprile 2004.
[58] Heading for a fall, by fiat? The Economist 28 febbraio 2004 p. 82.
[59] Era una tecnica ben conosciuta dai britannici. Il
generale Howe la aveva applicata 50 anni prima per fare fallire il Dollaro
Continentale con il quale le colonie americane avevano sostenuto il movimento
di indipendenza; e la City di Londra aveva usato la stessa tecnica per fare
fallire gli Assignats del movimento rivoluzionario francese. Naturalmente
codeste informazioni non fanno mostra di sè nei libri di storia convenzionale.
[60] Vedi Guernsey Experiment, libro ripubblicato dalla Distributist Society nel 1992.
[61] Sarebbero ancora più irrisorie se gli Stati
adottassero l’istituto di Moneta Franca.
[62] George dimenticò un particolare messo in evidenza
da Michael Flürscheim (1844-1912): tassare il suolo nudo è condizione
necessaria ma non sufficiente per risolvere la Questione Sociale. Se il gettito
erariale viene speso a favore del terratenente il problema continua irrisolto;
ma se viene speso a favore delle madri, per esempio, è la soluzione giusta.
[63] Si tratta di termine tecnico proveniente dalla logica.
[64] Dr Edward McGlynn (1837-1900) era divenuto un
sostenitore entusiasta di Henry George durante una visita di quest’ultimo in
Europa. Quando gli fu chiesto di ritirare il suo sostegno per George che si
candidava come sindaco di New York nel 1886, venne scomunicato.
[65] Necrologio su The
Economist 27 luglio 2002.
[66] 250 anni prima aveva preteso lo stesso il
Principe di Conti con John Law (1671-1729), facendone crollare la banca. Tanto
Law quanto Conti furono vittime della superstizione di Creso.
[67] Le due date dovrebbero campeggiare nei libri di
testo di economia come date di vera liberazione. Non lo fanno perchè poderosi
interessi creati continuano a estrarre oro dalle viscere della terra per
seppellirlo nei sotterranei delle banche, così continuando la superstizione di
Creso.
[68] Questo tasso non è obbligatorio. L’importante è
che non sia né tanto alto da scoraggiare l’accettazione, né tanto basso da
incoraggiare la tesaurizzazione.
[69] Si svaluta l’oggetto che rappresenta l’unità
monetaria, non il suo potere d’acquisto.
[70] In barba a questi decreti (forse però oggi
aboliti) esistono in Germania una cinquantina di comunità emettenti moneta
sociale propria con o senza caratteristiche geselliane.
[71] La prima di codeste monete vide l’emissione in
Canada. Da allora, più di 30. 000 comunità in tutto il mondo emettono la loro
moneta sociale. La più grande di esse, che arrivò a contare mezzo milione di
aderenti, salvò l’Argentina durante la crisi economica del 2001. La proposta
principale di questo saggio è di dare a tutte le monete comunitarie la stessa
unità di riferimento. Così facendo il potere del popolo verrebbe accresciuto
senza violenza alcuna, a spese di 3 000 anni di usura e senza interventi
politici di sorta. Non ci sarebbe più bisogno di “rappresentanti”.
[72] Detto altrimenti, si tratterebbe di una
democrazia non nominale, né ancor meno rappresentativa, ma diretta e reale.
[73] In Germania usano carta Tyvek 105g, resistente
allo strappo.
[74] Il numero di caselle non è obbligatorio. Ve ne
possono essere 12, una per mese, o altre combinazioni.
[75] Il Poligrafico dello Stato è autorizzato a
stampare codesti buoni, come ha stampato la moneta sociale di Aspromonte.