Ivan Illich

 

La decisione personale
in un mondo dominato dalla comunicazione

 

Conferenza del 2 ottobre 2002 alla Scuola per la Pace della Provincia di Lucca

 

Trascrizione dal DVD a cura di Paolo Coluccia

http://digilander.libero.it/paolocoluccia

paconet@libero.it

 

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(Si riporta la fedele trascrizione della registrazione della conferenza che Illich tenne a Lucca alla Scuola per la Pace due mesi prima di morire. Si è preferito non apportare alcuna correzione all’esposizione illichiana, al fine di lasciare inalterata l’attendibilità e la tortuosità del suo pensiero. Naturalmente mancano le espressioni dei suoi gesti, del suo viso, del suo corpo, le inflessioni della sua voce e del suo sguardo. Ma per questo si rimanda al video, un prezioso documento, di cui  ringrazio le persone che me lo hanno messo a disposizione. NdT)

 

 

Ivan ILLICH. Scusate per questo mio comportamento (si toglie le scarpe, mentre alcuni operatori sistemano il microfono). Il microfono me lo mettono loro e se voglio passeggiare, passeggio.

Allora, la regola è che chi vuole può interrompere, in qualunque momento, la mia presentazione.

Voglio ringraziare Aldo (si rivolge all'organizzatore dell'incontro) e anzitutto don Achille Rossi, parroco di Città di Castello, che ho sempre ammirato per un giornale, l’Altrapagina, incredibilmente locale, conosciuto in Messico, in Germania che nello stesso tempo tocca sempre dal punto di vista locale i problemi, le questioni più generali possibili, e là ho incontrato Aldo, rapidamente ci siamo intesi, ci siamo dati il tu ed eccomi qui.

Ho detto ad Aldo che gli metterò a disposizione tre manoscritti. Un’introduzione mia, un articolo del professore di “amministrazione di negozi”, Sajey Samuel, quell’indio, della India, non indiano, che sta seduto lì, e della Samar (Farage). Non posso dare il manoscritto adesso per tre ragioni: quel tipo là (indica Sajay Samuel) non ha ancora terminato l’articolo che vogliamo includere sulla decisione dal punto di vista dell’amministratore; non abbiamo ancora trovato la traduttrice o il traduttore dal tedesco dell’articolo della Samar che è genetista e si occupa della decisione alla quale si forza le donne con la consultazione genetica prenatale in certi Paesi.

Credo sì, che quello che voglio discutere con voi abbia un’importanza e si può formulare in tale maniera da richiamare l’attenzione pubblica al tema che voglio presentare.

Mi sono deciso di parlare liberamente sulla base delle mie note, per rendere più facile l’interruzione loro. Ancora una cosa: se la mia voce si abbassa troppo o se la mia pronuncia è tale che sono difficile da comprendere… per favore! Fatemi un segno! C’ho questo cancro qui che rende la bocca tanto dolorosa che non posso simultaneamente pensare intelligentemente e portare nei denti… Grazie a Dio, in un certo tempo della  mia vita ho fatto dei corsi di sanscrito, mi sono sottomesso a quella prova, a quell’esercizio dei santi trent’anni fa, e così ho cominciato a formulare anche senza denti, ma per favore, protestate se non sono comprensibile!

 

La cosa che voglio sottomettere al vostro esame è la maniera nella quale la cosiddetta comunicazione rende sempre più difficile quello che per esempio Sant’Ignazio avrebbe chiamato l’elezione. Sono ammiratore, anche come storico, non solamente perché mi hanno fatto così bene, degli Esercizi di Sant’Ignazio. Gli Esercizi di Sant’Ignazio sono una straordinaria innovazione ascetico-mistica, perché ti danno un metodo per cercare la volontà di Dio che chiama, la chiamata di Dio, e per l’elezione, di quello che adesso voglio fare per obbedire a questa vocazione; per me sono anche una presentazione di quello che è scelta libera nel senso dell’elezione, cioè determinata da un telós, dal bene.

La tesi che voglio esporre è la seguente: più intensamente tutto il mio pensare, il mio sapere è il risultato di quello che oggi si chiama comunicazione, meno mi posso decidere, o meglio fare l’elezione della mia vita, in base al mio sapere, ai miei sensi, al mio senso comune, alla mia propria esperienza, alla cerchia, alla con-spirazione con gli amici, mi fanno sentire come il bene, vogliono essere parole: far pensare sul pericolo implicito, nella intensità di comunicazione, per il sapere sovrano e autonomo, sul quale si basa, si fonda la sovrana libertà, della quale, tanto nella nostra tradizione classica, come in una forma completamente nuova nella tradizione cristiana, abbiamo nell’occidente, si è formata la cultura nella quale viviamo.

Voglio procedere nella maniera seguente: voglio prima di tutto cominciare ad esporre un poco più l’idea che Aldo ha abilmente così accennato in qualche parola della sua introduzione, perché mi pare l’importanza di slegare… snodare, comunicazione e pace… come ne posso parlare qui a Lucca, come è già più difficile parlarne in California, come nella tua (si riferisce a Sajay) India… (parole incomprensibili)  nel mondo islamico non potrei parlare perché non hanno la nostra tradizione.

Voglio poi spiegare… vi faccio un piccolo tema della mia esposizione: in che senso mi permetto di parlare di questa slegatura, di questa separazione fra pace e comunicazione, far vedere perché la comunicazione, più in là di una certa intensità, diventa inumanamente – Aldo l’ha detto molto bene: de-incarnata con la sua frase – con la quale mi ha sorpreso e sono andato immediatamente ad annotarmela, (parole incomprensibili) virtuale, che poi non esiste, voglio elaborare facendo capire in che senso parlerò in una forma – non scandalizzatevi, per favore – stravagante, extravagante. Vagare è un bel concetto… nel latino medievale… un darsi al momento, oziovagare… e per quello che esistono i monasteri, la parola di sant’Agostino… Extravagare e prendersi l’ozio, di guardare quello che si vive l’oggi qui dal di fuori. Voglio parlare per questa ragione dell’extravaganza. Voglio poi far capire – terzo – perché per me la comunicazione è anzitutto un’aggressione, implica quasi sempre, un’aggressione al senso comune.

 

Il senso comune, che prima si aveva come senso, c’erano ancora … se vedete i disegni di Leonardo e le discussioni della sua fede, dell’ipofisi o se è vicino al cuore come posto dove c’abbiamo questo senso, che oggi la medicina non conosce più, l’anatomia non conosce più, che era il senso per sensibilmente giudicare quello che è buono, conveniente, naturale, in queste circostanze. Parlo come extravagante della diminuzione o della dis-parizione del senso comune in questo senso specifico.

Poi racconterò una parabola, parlerò di una frase che ho avuto sul mio scrittoio, una copia di un vecchio documento, poi l’ho prestato a qualcheduno, non me l’ha reso, e non sono ritornato negli archivi della Spagna per farmi un’altra copia, ma la so di memoria. Una frase di Filippo II, re di Spagna. Una parabola. Una parabola non è una similitudine; una parabola non è un’analogia; ma una parabola è un concetto molto… come lo sappiamo dagli studi della Santa Scrittura, è, nella maniera migliore, una barzelletta, uno scherzo, è uno scherzo giudaico, arabo. O, come quando dovevo fare le omelie, cercavo di leggere il Vangelo della domenica finché, ad un certo momento, cominciavo a ridere e allora mi dicevo: “Adesso hai capito!”.  C’è un punto centrale, nervoso.

Voglio raccontarvi questa cosa di Filippo II come una parabola, per farvi capire quello che è la sovranità. Credo che questo sia importantissimo per parlare tanto della comunicazione, come concretamente dell’attacco straordinario in questo momento da Bush contro la sovranità degli stati, ripresentando l’America come un potere guardiano del mondo. Perché possano esistere, gli stati sovrani hanno bisogno di un poliziotto, al di là dei sovrani. Devo parlare di questo perché la comunicazione, mi pare, al di là di una certa intensità, usata senza autocontrollo ascetico, (è) come un pericolo per l’io sovrano.

Il prossimo punto per questa ragione sarà una messa in questione, non mi piace la parola problematizzazione. Quand’ero bambino i problemi si vedevano solo nella matematica, quando avevo 20 anni, 25 anni ho appreso che i ragazzini poveri avevano dei problemi; oggi tutto è problematico, no? Ma la difficoltà della cosiddetta autodeterminazione, al servizio della quale sia pretende che sia continuamente la informazione o comunicazione. E termino, per finire, con una riflessione sulle parole e gli oggetti che nella nostra società moderna funzionano. La migliore maniera per far capire rapidamente dove foglio finire, magicamente, religiosamente… Io non voglio essere un uomo religioso,  sono discendente dei martiri, che son tutta gente che secondo la legge romana, che era molto solida e precisa, sono stati gettati alle bestie come veri irreligiosi, era gente che in qualche maniera capiva che Gesù ci ha liberato da quello che allora si chiamava, come oggi, religione.

 

Andiamo al primo punto, allo slegare. Mi è arrivata una domanda di dare un discorso di apertura per un nuovo centro in Giappone, comune di tutti i centri di ricerca sulla pace dell’Asia e dell’Africa. Volevano qualcuno di un’altra parte del Terzo Mondo e così hanno trovato Ivan Illich di Cuernavaca. Non sono evidentemente di là, ma mi sono messo la mia guayabera, la camicia messicana, e sono andato per parlare di legare lo sviluppo sulla conversazione della pace e ho avuto delle difficoltà particolari di spiegare che senso la pace ha oggi in occidente, in Europa, nella tradizione liturgica cristiana. La pax romana… Paffete! A loro serviva di bandiera, il peso delle armi. Arrivano i cristiani con un gesto che in Giappone è schifoso! È per questo che ho avuto delle difficoltà. Quello che in latino si chiamava l’osculum (mima con le labbra il modo di dare un bacio), bacio, o meglio, con-spirazione. La con-spiratio, una delle parti culminanti della Messa, che si chiamava anche così, che non era il bacio dell’altare e poi la trasmissione di questo bacio qui, il bacio comune faceva presente lo Spirito Santo per la partecipazione di ognuno, di rango uguale, essere re o portatore d’acqua, prima della comestio. L’idea di questa con-spiratio, come base della fondazione di una comunità liturgica e reale. Perfino ai Padri della chiesa hanno fatto delle difficoltà. C’è un bel passo di Tertulliano che dice che a queste celebrazioni non si può mandare le matrone romane, esporle a questo pericolo della con-spiratio. Molto presto si è chiamato la pax. La nostra pace. Se parlo della tradizione che credo ci è comune, ma certamente è la mia, la cospirazione dà il senso di quello che è pace non romana, non pagana, non filosoficamente concepibile: la presenza dello Spirito Santo nel cristiano, che lo comunica, che lo partecipa dentro la comunità.

 

Dunque, come primo problema: che cosa intendiamo per pace? Non commenterò più, perché su questo punto, perché mi basta farvi pensare, vi voglio far pensare sulla difficoltà che causa – l’ho detto l’altra volta – alla vita l’intensità di comunicazione dei mezzi di comunicazione, per la sovranità personale. “Ma Ivan, di che parli?”, mi si domanda. Io c’ho 77 anni. Mi ricordo nel ’62, all’Università di Chicago, quando era ancora considerato criminale di mettere in dubbio lo sviluppo, con tutto il rispetto e amore del tempo della preparazione della Progressio populorum, e un piccolo marxista, di recente nominato professore, il quale scocciato diceva: “Illich, lei non è sulla stessa onda come io, lei non pensi che ha comunicazione con me!”. Io, credevo che voleva offendermi, gli dicevo: “Ma non sono un trasmissore radio, sono Ivan che ti parla, non sono un messaggio a comunicarti, ti dico qualche cosa”. Le mie frasi, quando le dico, sono… lo so che in latino ci sono qualche volta cose sconce… sono tutte una copula, loro sanno cosa è una copula, no? In inglese posso dire immediatamente copulage, la gente immediatamente capisce, (parola incomprensibile) fra il soggetto è il predicato, la comunicazione, al posto della vitale fruttifera comunicazione mette il matematico = uguale, è uguale a. Cercavo di spiegargli che io non cercavo di comunicare con lui. Nel ’62, nonostante la mia disposizione a pubblici di vari tipi già da 15 anni, non m’era ancora arrivato che qualcheduno mi avrebbe considerato un comunicatore. Là la difficoltà, signori dell’altra stanza, per me temibile fisicamente di avere per me questa situazione schizoide, con gente che posso vedere e, se voglio, sentire (mima il modo di annusare) col mio naso, toccare… e altri che sono altrove! Non è il punto di fare delle affermazioni filosofiche: voglio legare l’idea che quello che è importante, il contenuto dell’informazione, l’accessibilità dell’informazione, la critica della ricezione dell’informazione, voglio far pensare sulla necessità dell’astensione, della volontà di rinuncia all’informazione, come una forma contemporanea di celebrare il venerdì. La carne non è male, mangiare è molto buono, e dà gusto, ma si rinuncia per ragioni ascetiche… (parole incomprensibili).

Voglio parlare dunque dello strutturale pericolo della comunicazione, per la certezza di vederti qui; è un’altra cosa parlarti qua, che parlare alla gente di là. Quando l’ho capito questo? Quando questa bambina mi dice: “Ma sai zio? Ho visto Kennedy discutere – il Presidente era già morto – con E.T.”. Non so, come si chiama, E.T. (mima la figura dell’extraterrestre del famoso film). La ragazzina non distingueva più tra quello che hai detto (si rivolge ad Aldo), che non esiste, prendo la frase perché è più forte che io non avrei osato usare. Se dunque faccio le mie decisioni in base di cose che mi sono dette, sulle quali devo essere istruito, che altra gente conosce meglio di me, e io non conosco bene, se almeno non le conosco bene come le ha capite lui, una fondamentazione di tutto l’essere epistemico… nel sentito dire, che è esattamente quello che escludiamo come testimonianza della democrazia… Ivan, dove vai?

 

Vi ho detto che vi racconterò una parabola. Guardando questa piccola nota, di un codice della metà del ‘500, che avevo sul mio scrittoio, e che poi è sparito, è stata, non rubata, ma non ritornata… Felipe II, successore di Carlo di Spagna, era un uomo pio. Si alzava alla mezzanotte, ritornava per un’ora in cappella e poi per una o due ore allo scrittoio. Un re va allo scrittoio! Era una cosa molto nuova. Tu, Sajey, me l’hai fatto capire che l’idea della burocrazia… (parole incomprensibili, ma sostanzialmente vuol dire che la burocrazia è di molto successiva all’epoca di Felipe II) è un poco pazzo. Ho guardato questo scrittoio, di fronte al quale lui stava in piedi per due ore e faceva le ultime decisioni su quello che i suoi governatori o vicerè gli domandavamo da tutte le parti del mondo. Questo fascicolo che a me interessava particolarmente veniva dal Perù. Nel Perù, come voi sapete, che tanto il cavallo, come la vacca, i bovini, l’asino sono importati, importazioni nel nuovo mondo, come i pomodori sono delle importazioni, o l’agave, sono importazioni dall’altro lato. Le presentazioni: “Gesù fra le agavi…”, per esempio, mi fanno ridere. La questione proposta lì era che venivano dalla Spagna migranti, il vicerè dava loro un terreno, che aveva discusso sull’estensione di questi pezzi di terreno che fossero giusti, e poi volevano avere degli asini o dei muli, li volevano… non devo spiegare perché si usava l’asino, benché ho visto recentemente che in una certa parte dell’Italia, che ho visitato un campo, non si poteva trovare un asino, e volevo mostrare a un tedesco, che in 25 anni non aveva mai visto un asino, che cos’era un asino e in Italia non si poteva trovare un asino, parlo di un animale pronto alla comprensione culturale, almeno. Ma in tutti i casi – mi capiscono là, parlo bene? – la questione era se si doveva, se si poteva dare il permesso fino a 4 asini o se doveva limitarsi il governatore a 2 asini per ogni famiglia stabilità nel Perù dalla Spagna. E al margine del documento, scrive Felipe II – lo dico in spagnolo: “Dos basta!”. Le ragioni erano ecologiche, essenzialmente. “Dos basta!”. Interessante. E poi, come lo fa per ogni altra decisione, in questo codice, questo fascicolo, scrive di mano sua, in una cappella: “Así vos dice, con su reale gana. Yo el re”. Va al prossimo punto, fa un’altra decisione e un’altra volta: “Así vos dice, – così vi dice – con su reale gana”. Aiutatemi qui a tradurre, perché la gana… la voglia, la voglietta, la… come si traduce… gana… l’autonomia, la volontà dice lui… è molto moderna, è una parola che ogni contadino comprenderebbe… con sua sovrana voglia… Yo el re. Vedete, vi presento questo come una parabola della sovranità che fa un’elezione: Dos basta! Come al bambino, per la televisione: due ore e basta! Una decisione qualsiasi. Yo! Il Yo. L’Io, si può dire in italiano, con la parola, - l’ho conosciuto di faccia, da vicino, questo dottore viennese, Freud – Ego, l’ego come sostanza. E adesso, con queste fantasie sul feto, una vita, sostantivo, un io sostantivo. È tipica, è una cconcezione tipica del mondo moderno. Io, la prima persona del singolare. I linguisti mi dicono che possa avere questo tipo (rivolge con il braccio largo il dito indice verso il petto): chi parla ti dice; o questo (spingendo le braccia indietro esterna il petto ed emette un suono con la voce): eh! Usano delle pagine per descriverlo, ma essenzialmente è così (dentro) o così (fuori), in diversi tipi di lingue, si riferisce a qualcosa… che non è una parola, né si può dire con un sostantivo, né si può dire con un nome.

Se dico (imita la voce di un bambino): “Il piccolo Ivan vuole”, evidentemente uso un nome, ma si sa che non sono ancora in età di avere un… di  parlare bene, forse è più facile spiegarlo come lo spiego ai miei studenti di Brema. In italiano si dice pronome, in inglese si dice pro-name, sostantivo, in tedesco si dice fur-wort; facendo un po’ di esagerazione forse posso dire: sta per una parola, non c’è parola per dire questo apofatico, indicibilmente concreto, apofatico, più in là del parlare, come i Padri greci hanno considerato Dio, nella teologia apofatica, senza parole. La creazione dell’Yo, la creazione della personalità o, peggio ancora, dell’identità. È un fenomeno del secolo vigesimo che profondamente mina la sovranità della prima persona, che c’ha… oggi si dice, “naso”, ma per due-tre millenni si diceva “il senso comune” di sapere quello che è bene, e si rimpiazza il bene con il valore. Come mai? I miei maestri e colleghi che rispetto continuano a parlare dei valori cristiani, invece di parlare della rivelazione, del dono, del bonum che ci ha aperto Gesù. Ma l’abbassano a valori che possono essere positivi o negativi, il valore può essere calcolabile: più o meno. Perché dico questo? Perché la maniera extravagante nella quale guardo la relazione fra elezione, libertà, quello che si chiamava prima decisione, e l’informazione esige che vi parli della minaccia a questa sovranità del sapere. Per me è così! Lasciami in pace! Non c’ho bisogno di fondazioni scientifiche! Che sarebbero migliori, superiori, a quello per il quale mi sono deciso.

 

Ma adesso, la difficoltà è questa. Nel libretto che voglio regalare ad Aldo, a questo libraio qua, voglio far mettere in questione quello che si chiama la consulta, credo che in italiano si parla di consulta? Consultazione? Prima dell’operazione del suo seno, del mio naso, del suo aborto, per comprare una casa, della decisione di sposarsi, dei sogni cattivi, di tutte le dimensioni. Negli ultimi dieci anni, si è moltiplicata nella società una professione che prima non esisteva. Le statistiche sono difficili da fare, perché voglio fare un’equiparazione con l’educazione, ma gli impieghi di consultori – non voglio farvi imbarazzo per nessuno perché se non dico per favore tutti quelli che in un certo momento della propria vita hanno funzionato da consultori, come si dice? da… consulenti, per favore, alzino la mano! Non lo dico! È straordinario!

Adesso, quello che voglio sottomettervi allo studio per l’interpretazione, sono due documenti, risultato della conversazione… – (guarda l’orologio) mamma mia! Sono già 32 minuti! – sono due documenti che si sono formati in una conversazione che non mi avrei mai aspettato. (Rivolgendosi ad Aldo) Tu hai detto che negli ultimi dieci anni sono sparito. Ebbene, trent’anni fa, quando mi sono deciso di non funzionare come simbolo dell’unità – ero diventato scandaloso, e quello che mi aveva fatto scandaloso, riconosciuto nel mondo intero – ho cessato di parlare in ambienti religiosi, cattolici e non, e simultaneamente non ho più fatto un’intervista in televisione, radio… niente! Ma negli ultimi dieci anni ho riservato ogni ora libera alla conversazione con una decina di genti che sono diventati amici. Questo negli ultimi anni. Uno, dal giovane indiano, che ha rinunciato alla sua cattedra per dedicarsi totalmente a questa vicenda, che sta di là (rivolgendosi a Sajay), che studia come, quali erano le mete della istituzione dell’istruzione che formano la gente che più soldi guadagna come funzionari, che sono gli amministratori di negozi, la gente che guadagna più di mezzo milione di euro all’anno – è un po’ pazzo pensare, ma è così! – il curriculum di loro è essenzialmente la formazione di decisori, decision macker, di consultador, c’è miglior parola in italiano? Decisori; e la Silja (si riferisce alla Samersky, studiosa tedesca, che ha fatto parte della cerchia illichiana), della stessa età di Sajay, non è qui oggi perché sta in Germania, che ha ascoltato, e molto precisamente annotato, quaranta interviste con donne incinte col consultore genetico in una maniera che mi fa venire i brividi. Ha mostrato come i principi applicati per la Haward Business School per formare i decisori sono usati per trasformare una donna incinta che aspetta un bambino in un decision macker, che in base ad informazioni probabili, in base a risultati di tests, ai quali possono seguire altri tests, in base alla domanda d’identificarsi con un certo punto su delle curve di probabilità, faccia della nascita una decisione, così poi che il bambino possa poi dire: “Mamma, che bene che hai deciso!” Spaventa! In base di che? In base di comunicazione, di informazione, in base di un sapere che non è qui (indica il naso), né qui (indica il cervello), seguendo Leonardo, né qui (indica il cuore), (parola incomprensibile), ma nel dipartimento tale dell’Università… (parole incomprensibili). Si dice alla donna, che questa donna moderna fa delle autodecisioni, fa la sua propria decisione e si dimentica completamente che questa donna, donna e forse anche madre, si sentivano sovrani, non nel governare il Perù, ma dirige la propria vita nella stessa maniera di Felipe II. Oggi, agiscono, sono formati per agire secondo le regole che si sono create perché utili nel mercato, nel decision macker della Business School, facendo decisioni in base a probabilità statistiche. Che orrore!

 

La statistica, nel migliore dei casi, mi dice sull’incidenza di un certo fenomeno in una popolazione prescelta, non mi dice mai niente sull’individuo; per l’individuo, di essere o meno fra quelli che saranno colpiti o non colpiti, rimane una probabilità del 50%. Come è possibile? Solamente una società che ha ammazzato il senso comune a questo può arrivare, che la donna crede che la probabilità spetti a lei di fare la decisione sotto tutela, essenzialmente perché sono autonome la nostra personalità, la nostra individualità. Ho visto che il Consiglio d’Europa ha concesso 172 milioni di euro per le ricerche genetiche perché il genoma dell’europeo deve essere protetto perché è la base della sua dignità! (si porta in segno di stupore-orrore la mano alla fronte) .

Ritorno al tema. Sotto consulenza si deve fare la decisione in base di una probabilità. Una probabilità calcolata per popolazione. E s’introduce il concetto del rischio. In base all’informazione non si crea alcun pericolo. Il pericolo è sempre esistito. Il rischio – un concetto fondamentalmente matematico e statistico – oggi aspetta non solamente le persone, il padre di famiglia che ha un’assicurazione, ma anche lo studente che va al consulente se deve prendere le matematiche o le lingue.

Ritorniamo alla questione. Ivan vuol far pensabile e criticabile con i suoi amici l’idea che il pericolo centrale da superare nell’uso delle comunicazioni, del loro contenuto, l’accesso reale a produrle, come un prodotto industriale, e accedere per usarle, o il contenuto che Ivan e i suoi amici vogliono far credibile che l’intensità alla dipendenza dalla comunicazione estingue la sovranità sulla quale è basato tanto il senso corporeo, sensuale, è basato il fiuto, criticamente verificato, per il senso comune di quello che è buono, in opposizione a quello che è di valore e distrugge per questa ragione la possibilità… le parole mi mancano… per credere che la pace oggi – per me almeno e per i miei amici – è responsabilità mia, in quanto la posso far sorgere in un gruppo con il quale m’incontro faccia a faccia, che la pace è basata sulla con-spirazione, che può trasformarsi nella legge del rito ecclesiastico in elezione per conjuratio, ma essenzialmente la con-spirazione, la creazione dell’ambiente ospitale, l’ambiente ospitale.

Che dunque, la riflessione sulla rinuncia, più avanzata possibile, all’esporsi alla comunicazione, perché ogni individuo è una delle mete più importanti da discutere in un gruppo, come questo bellissimo gruppo, che pare, per l’attività, anche principalmente per le attività di Aldo, si è formato qui a Lucca.

Grazie per la loro pazienza.

 

(Per il dibattito, Illich invita le persone che sono presenti nell’altra sala a venire in questa dove lui ha parlato, affinché, senza l’utilizzo dell’odiato microfono, possa infondersi tra lui e le persone quel clima di con-spirazione indispensabile per creare la giusta atmosfera della discussione e dell’approfondimento. Purtroppo, il dibattito che ne è seguito, non è riproducibile ed è quindi affidato alla memoria dei presenti, ai loro appunti e ai loro ricordi, che si auspica possano essere conservati o, magari, diffusi, con i mezzi e gli strumenti che avranno a disposizione. NdT)