Invito ad una celebrazione

di Ivan Illich

 

 

Questo invito ad una celebrazione è uscito nel 1967 come un proclama elaborato da un gruppo di amici, tra i quali Robert Fox e Robert Theobald e di questi amici rifletteva il pensiero ed i sentimenti. Fu scritto al tempo della marcia sul pentagono. Esso è un invito pressante a guardare in faccia la realtà invece di star dietro alle illusioni, a vivere un reale cambiamento, piuttosto che affidarsi alle soluzioni tecniche, ma è anche un tentativo di introdurre nuovamente il termine celebrazione nel linguaggio di tutti i giorni.

 

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Io mi rivolgo a voi, come molti altri, che io conosco e che io non conosco, si rivolgono a voi per invitarvi

 

-    a celebrare il potere che, uniti tutti insieme, abbiamo di assicurare a tutti gli esseri umani il cibo, il vestito, la casa di cui essi hanno bisogno per sentire la gioia di vivere,

-    a scoprire insieme a noi cosa dobbiamo fare per usare tutto il potere dell’uomo nel grande disegno di costruire umanità, la dignità, la gioia, di ciascuno di noi,

-    ad essere consapevoli e responsabili della vostra inalienabile capacità di esprimere i sentimenti più autentici e ad unirvi a noi per manifestarli insieme.

 

Noi dobbiamo viverli questi cambiamenti; non possiamo soltanto pensare al cammino da fare verso una nuova umanità. Ciascuno di noi e ciascun gruppo col quale viviamo e lavoriamo deve diventare il modello della nuova età che vogliamo creare. Tutti questi modelli che verranno sviluppando potranno fornire a ciascuno di noi la condizione reale in cui è possibile celebrare ogni nostra potenzialità e scoprire il cammino verso un mondo più umano.

Una sfida viene oggi lanciata verso di noi: spezzare i sistemi sociali ed economici che dividono il mondo in superprivilegiati e diseredati. Tutti siamo responsabili e colpevoli insieme, leaders politici o contestatori del sistema, uomini d’affari o lavoratori, professori o studenti. Abbiamo fallito nel compito di scoprire come possono effettuarsi i necessari cambiamenti sia delle nostre idee che delle nostre strutture sociali. Per questo ciascuno di noi, per la sua incapacità o per la mancanza di una coscienza responsabile, è causa delle sofferenze di tutto il mondo.

Siamo tutti malati e deformi, alcuni nel fisico, altri nella mente, altri ancora nei sentimenti. È solo collaborando tutti insieme, quindi, che possiamo e dobbiamo creare un mondo nuovo. Non è più il tempo di distruggere, di odiare, di andare in collera; ora dobbiamo costruire nella speranza, nella gioia, nella celebrazione; dobbiamo andare incontro alla nuova era di abbondanza, ciascuno con il lavoro che si è liberamente scelto e con la libertà di seguire il ritmo del proprio cuore; dobbiamo riconoscere che lo sforzo teso alla realizzazione di sé, alla poesia, al gioco, è parte essenziale dell’uomo una volta che il suo bisogno di cibo, di vestiario, di abitazione è stato soddisfatto, e che potremo scegliere, allora, quei settori di attività che meglio contribuiscano allo sviluppo di ciascuno di noi e siano, al tempo stesso, costruttivi per la società nel suo complesso.

Ma dobbiamo anche riconoscere che il nostro impegno verso questa auto-realizzazione dell’uomo è profondamente ostacolato dalle anacronistiche strutture dell’era industriale. Attualmente siamo forzati e guidati in una certa direzione dal nostro impatto con una realtà che vuole manifestare il sempre crescente potere dell’uomo. I nostri attuali sistemi ci obbligano a sviluppare e ad accettare qualsiasi strumento di guerra che la tecnologia renda oggi possibile, qualsiasi tipo di macchina, di attrezzatura, di materiale e di fornitura che aumenti la produzione e diminuisca i costi, qualsiasi seduzione della pubblicità e del consumismo.

Per convincere il cittadino del fatto che egli controlla il suo destino, che le decisioni prese si fondano su un certo codice morale e che la tecnologia è una forza che serve e non dirige l’uomo, è oggi necessario deformare l’informazione. L’ideale di informare il pubblico scompare quando lo scopo è quello di convincerlo a ritenere che le azioni che è obbligato a compiere altro non sono che l’attuale realizzazione dei suoi desideri.

La crescente sfiducia nei confronti di quanti sono responsabili di decisioni pubbliche o private si può spiegare come effetto di errori di calcolo che si verificano in questa razionalizzazione, sempre più complessa, e con lo scandalo che ne consegue. Si allora tentati di attaccare quelli che ricoprono ruoli tipici del sistema: leaders politici, amministratori locali, dirigenti, capi sindacali, professori, studenti, genitori. Ma simili attacchi contro gli individui spesso confondono la vera natura della crisi che ci sta di fronte: la caratteristica demoniaca dei sistemi in cui viviamo che costringono l’uomo ad acconsentire alla sua progressiva autodistruzione.

Ora io dico che noi possiamo sfuggire alla logica di questi sistemi che distruggono la persona umana. La via per andare avanti sarà trovata da quanti  non accettano l’apparente totale determinismo delle forze e delle strutture dell’epoca industriale. La nostra libertà ed il nostro potere di agire dipendono dalla volontà di assumerci la responsabilità del futuro.

Certo, il futuro ha già invaso il presente. Ciascuno di noi vive in tempi diversi: il presente di uno è il passato di un altro ed il futuro di un altro ancora. Siamo chiamati a vivere con la consapevolezza e la volontà di mostrare che il futuro esiste e che ciascuno di noi, se vuole, può farlo sorgere per riparare alle ingiustizie del passato.

È in questo futuro che possiamo e dobbiamo smettere l’uso coercitivo del potere e dell’autorità: la capacità di esigere un certo comportamento sulla base della posizione gerarchica di ciascuno. Se c’è una formula che possa riunire in sé la natura della nuova epoca, questa è: la fine del privilegio e dell’arbitrio.

Dobbiamo desistere dallo sforzo di risolvere i nostri problemi con lo spostamento degli equilibri di potere o con la creazione di apparati burocratici più efficienti.

Noi vi invitiamo ad unirvi a questa corsa dell’uomo verso la sua maturità, a lavorare con noi all’invenzione del futuro. Noi crediamo che oggi sia cominciata un’avventura umana: il genere umano è stato a lungo costretto ed impedito nello sviluppo del suo potere innovatore e creatore, perché sfinito dalla stanchezza. Ora siamo liberi di essere umani quanto volgiamo.

La celebrazione di questa umanità dell’uomo mediante l’unione di tutti, mediante la guarigione delle ferite esistenti nelle relazioni reciproche, dove ciascuno accetta sempre più la natura dell’altro e sopperisce alle sue necessità, creerà indubbiamente nuove occasioni di confronto per mettere in discussione i valori ed i sistemi esistenti. Una più ampia dignità di ogni uomo e delle sue relazioni con gli altri uomini, non può che essere una sfida per il sistema esistente.

Questo è un appello a vivere il futuro. Uniamoci tutti insieme nella gioia per celebrare la nostra consapevolezza di questo grande fatto: noi oggi possiamo costruire la nostra vita sull’immagine di quella di domani.

 

 

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Articolo tratto dal primo libro di Ivan Illich, Celebration of awarenes. A call for institutional revolution (Celebrazione della consapevolezza. Un appello per una rivoluzione istituzionale), New York, 1970. Il libro, che all’inizio porta un’appassionata presentazione di Eric Fromm, è stato tradotto in italiano da Attilio Monasta per la casa editrice Armando Armando editore (Roma, 1973), anche se porta un titolo decisamente fuorviante: Rovesciare le istituzioni. Un ‘messaggio’ o una ‘sfida’. Più appropriato mi sembra il titolo dato dell’edizione francese: Libérer l’avenir. Appel à une révolution des institutions (prima nelle Éditions du Seuil, Paris 1971 e di recente nel primo volume delle Oeuvres complètes, Fayard, Paris 2004, a cura di J. Robert e Valentine Borremans).