Fondamenti teorici della visione
Post-Razionalista
di Alfredo Ruiz
Direttore dell’Istituto di Terapia Cognitiva di Santiago del Cile
(Documento originale tratto dal sito Internet www.inteco.cl)
Traduzione italiana dalla lingua spagnola di Paolo Coluccia
http://digilander.libero.it/paolocoluccia
Che significa post-razionalista?
La parola post-razionalista, secondo Guidano, fa riferimento al fatto che nella nostra cultura occidentale stiamo vivendo un’epoca di cambiamento epistemologico. L’epistemologia empirista, che si è identificata con il concetto stesso di scienza, è cambiata profondamente nel corso di questo secolo. L’aspetto basilare dell’epistemologia empirista è che viviamo in una realtà oggettiva, che già contiene in se stessa il significato di tutte le cose e che questa realtà esiste indipendentemente dal nostro modo di percepirla. Questa realtà è, inoltre, unica ed è per tutti uguale. La conoscenza è soltanto una rappresentazione di questa realtà, e l’unica maniera di vedere se questa conoscenza è veritiera avviene solo mediante la corrispondenza dell’ordine esterno con questa conoscenza, vista come una rappresentazione di quest’ordine.
Secondo Guidano, il problema più importante che si è presentato a questa visione epistemologica si pone nel cambiamento radicale che ha avuto luogo nella concezione della relazione tra osservatore ed osservato. Nella posizione empirista, l’osservatore si trova di fronte a una realtà oggettiva in se stessa, che esiste indipendentemente dall’osservatore. L’osservatore, in questo caso, è considerato imparziale e obbiettivo. L’osservazione dell’osservatore corrisponde alla realtà. Pertanto, con il cambiamento che si produce nella nozione della relazione tra l’osservatore e l’osservato, l’osservatore non appare più come una persona neutra.
Al contrario, l’osservatore con la sua osservazione introduce un ordine in ciò che osserva e quello che osserva è molto più dipendente dal suo apparato percettivo che dalla struttura stessa di qualche altro obbiettivo esterno ad esso. Ciò che sta accadendo, allora, è che cominciamo ad avere maggiore coscienza che la realtà nella quale noi stessi viviamo è co-dipendente dal nostro modo di ordinare e che va insieme con la nostra percezione. Il mondo di regolarità che viviamo è un mondo che è co-costruito dall’osservatore.
Questo cambiamento ha posto in primo piano la figura dell’osservatore. Se l’osservatore non è più una persona neutrale, visto che è egli stesso che ordina ciò che percepisce, dunque il problema che sorge è spiegare qual’è la natura dell’osservatore. In una visione post-razionalista, d’accordo con Guidano, questo problema deve essere posto come l’esplicazione di:
- Chi è l’osservatore?
- Come ordina la sua esperienza?
- Come conosce?
- Cosa è la conoscenza?
In poche parole: - Che cosa è l’esperienza umana?
Verso una visione
post-razionalista dell’esperienza umana
L’aspetto teorico – seguendo Guidano – è il seguente: quali sono le caratteristiche dell’esperienza umana? Come avviene l’esperienza umana? A che livello avviene? A che livello prende forma? Guidano ritiene che per poter rispondere a queste domande tendiamo ad assumere un punto di vista ontologico. Questo significa tentare di comprendere l’esperienza umana ponendoci dal punto di vista dell’individuo che sta sperimentando questa esperienza umana.
Ontologico significa, in accordo con Humberto Maturana, vedere l’esperienza umana affine alle esperienze coerenti dell’osservatore. In questo significato, seguendo Maturana, alle condizioni esperenziali costituive dell’osservatore, tutta l’investigazione razionalista ha finito sempre per considerare l’individuo da un punto di vista fuori da egli stesso, come se fosse fuori in un punto di vista imparziale.
Dobbiamo, per l’appunto, se chiediamo d’intendere l’esperienza, assumere questo punto di vista ontologico. Però, si richiede anche un altro presupposto, anche dal punto di vista ontologico, ed è che noi poggiamo su un fondamento di epistemologia evolutiva.
Epistemologia evolutiva
A questo punto è necessario segnalare che l’apporto degli etologi e degli studiosi del neo-darwinismo da una parte e la teoria biologica della conoscenza di Humberto Maturana dall’altra sono stati molto importanti, giacché per la prima volta sono arrivati a definire la conoscenza come qualche cosa di biologico e non come qualche cosa di filosofico o metafisico o come un dono, che non si sa da dove provenga. Pertanto questo non sarà riservato solo all’uomo, ma anche a qualsiasi organismo, persino unicellulare.
L’Epistemologia Evolutiva nasce dopo la seconda guerra mondiale; questa disciplina si definisce come “lo studio dei processi che definisce che tipo di relazione esiste tra la conoscenza e il medium esterno, la realtà esterna nella quale l’organismo vive”. In questo modo, se la conoscenza è qualcosa di biologico, si trova nell’ambito di studio delle scienze naturali.
Secondo Guidano, se la conoscenza partecipa a qualche forma di vita, non proviene da fuori, ed è il modo in cui l’organismo organizza le sue relazioni con l’esterno. Questo è fondamentale. Questo cambia tutto. Quello che appare in questa linea d’intendimento dell’epistemologia evolutiva è che la conoscenza è qualcosa che serve all’organismo per adattarsi, per sopravvivere. Nessun organismo, intanto, sarà interessato nel sapere se la sua conoscenza corrisponde alla verità o no. Insomma, non è qualcosa d’importante per la sua sopravvivenza.
Autorganizzazione
In questo modo sorge un’altra concettualizzazione: la conoscenza è vista come un processo di autorganizzazione dell’organismo, che tiene in conto l’ambiente esterno nel quale si sviluppa, ma in ultima istanza la conoscenza si organizza in funzione delle esigenze dell’organismo e non per le esigenze dell’ordine esterno.
Guidano vede in questo processo qualcosa che egli chiama il Paradigma dell’Autorganizzazione. Da questo punto di vista l’autorganizzazione non è qualcosa che è pertinente agli organismi umani soltanto – che sono sistemi complessi – ma è qualcosa che appartiene alla vita, al fenomeno della vita in se stesso.
Se questi aspetti li mettiamo in parallelo con il movimento empirista appare evidente che nella logica dell’autorganizzazione l’organismo appare molto più attivo di fronte all’ambiente esterno, al contrario di un organismo che risponde soltanto come quello dell’ottica empirista. Così, si vede che in questa situazione di fronte agli stimoli, l’organismo non sta solamente rispondendo ma li sta trasformando secondo le proprie esigenze. Pertanto, si vede che la conoscenza comincia ad essere concettualizzata in maniera molto differente. Ora, se ci poniamo nell’ottica dell’organismo come attivo, nel quale la conoscenza è vista come una forma di autorganizzazione, la conoscenza assume quest’altra caratteristica: non è qualcosa che viene da fuori, se non che è qualcosa che si genera all’interno e va a creare l’esterno, trasformandolo, e, soprattutto, la conoscenza non è di natura sensoriale.
Guidano ci mostra che la conoscenza comincia dall’interno, crea l’esterno, partecipa allora, in prima istanza, all’organismo ed emerge dalle esigenze proprie di questo, molte delle quali determinate geneticamente. Dalle esigenze di qualunque organismo, passiamo a vedere ora che succede con l’uomo.
Nozione di realtà
Così secondo Guidano la conoscenza è la forma con cui l’organismo trasforma e modifica l’ambiente per incontrare il suo adattamento. Adattarsi, dunque, significa trasformare l’ambiente in se stesso. Trasformare l’ambiente sarebbe una delle esigenze dell’organismo. Questa visione cambia la nozione di realtà, in quanto se l’organismo sta sempre organizzandosi, la sua conoscenza è la maniera in cui sta trasformando l’ambiente esterno, di modo che si evolve similmente a se stesso. Se accettiamo che la conoscenza di ogni organismo è autoregolarizzata, si nega, pertanto, che esista una realtà esterna a noi, uguale per tutti.
Secondo Guidano, quello che si crede attualmente è che la realtà esterna è una rete di processi, che avvengono simultaneamente e che sono distribuiti su molti livelli di articolazione ed interazione. La realtà di cui stiamo parlando ora è un fluire, un continuo andare e venire, un continuo evolversi di tutte le cose. Questo è qualcosa che avviene simultaneamente in molte direzioni e su livelli differenti di articolazione, con la caratteristica che nessun livello può essere ridotto ad un altro.
Tutti i livelli di osservazione di questo processo multiplo sono autonomi: dico in un’altra maniera, in questa realtà multiprocessuale non è possibile mai avere nella vita una visione di se stessi che sia esaustiva; ogni visione è sempre da un solo punto di vista e non può essere ridotta ad un altro. La realtà è un Multiverso, come dice Maturana.
Cambiamento nella relazione
osservatore-osservato
Come dicevamo, Guidano propone di esaminare la relazione tra l’organismo e la realtà, ovvero la relazione tra l’osservatore e l’osservato. Nella posizione empirista, o razionalista, la relazione tra l’osservatore e l’osservato non è mai stata posta come un problema, poiché si considerava la realtà come un’entità in se stessa, organizzata in se stessa, e l’osservatore doveva solamente guardarla senza pregiudizi né distorsioni per vederla tale e quale così com’è.
L’osservatore, pertanto, non ha nessuna importanza. È come se sia un testimone privilegiato, che vede le cose in se stesse. La mia osservazione è neutrale. Mentre, se stiamo di fronte ad una realtà che è multiprocessuale, che è una rete di processi e che è multidirezionale, l’osservazione del soggetto non è neutrale. In questa rete di processi, la sua osservazione corrisponde ad un ordine che egli introduce per riconoscere somiglianze, regolarità, che non sono riconosciute in funzione del suo apparato percettivo, che gli fa vedere una cosa più consistente di un’altra e un’altra meno importante, meno regolare, meno somigliante o similare.
Tutto questo porta a dire che l’osservazione dell’osservatore è parte integrante dell’osservato. L’osservazione dell’osservatore entra a far parte costituente di quello che osserva. Questo significa che è impossibile percepire il mondo al di fuori della nostra percezione: la nostra percezione accompagna ogni conoscenza, ogni osservazione. È impossibile incontrare un punto di vista che stia fuori dalla nostra percezione e ogni qual volta che percepiamo qualcosa, percepiamo che siamo noi che lo percepiamo. Pertanto, nella nostra relazione con noi stessi esiste la logica della relazione osservatore/osservato. Quando stiamo nella posizione di osservatori di noi stessi, determiniamo l’osservato, quello che cerchiamo di osservare. Come osserva Umberto Maturana: “Ogni detto è detto per un osservatore a un altro osservatore, che può essere egli stesso e l’osservatore è un essere umano”. Questa è la visione post-razionalista.
L’esperienza umana
Le revisioni epistemologiche hanno condotto a una concezione dell’organismo come autorganizzazione e da questa prospettiva l’adattamento è inteso come un processo, nel quale l’organismo trasforma le pressioni ambientali esterne in un ordine interno. A sua volta, il concetto stesso di esperienza significa che quello che sarebbero pressioni ambientali, o perturbazioni ambientali casuali, possono arrivare ad essere significative per l’organismo, giacché entrano a formare parte del suo mondo di significati, del suo mondo che non esisteva prima e che, soprattutto, non esiste indipendentemente dall’organismo.
Come osservavamo prima, che non è possibile prendere l’esperienza umana come qualcosa già fatta una volta per tutte - perché, come si è detto, non è possibile conoscere la realtà in se stessa, in quanto ogni organismo, includendoci gli umani, può percepire, configurare una realtà solo dentro la propria esperienza e non al di fuori di essa - è necessario stabilire prima di tutto in cosa consiste l’esperienza umana.
La realtà intersoggettiva
Guidano sostiene che con i primati si comincia a generare un mondo nuovo, che non si osserva negli altri animali. È il mondo nel quale si riconosce una realtà intersoggettiva. In esso la realtà fisica è sostituita con una realtà interpersonale. Dal punto di vista dell’epistemologia evolutiva si definisce come una condizione nella quale uno può conoscersi solamente in relazione con gli altri, nella quale non soltanto sono presenti gli aspetti di prestazione affettiva reciproca, tanto che è allo stesso tempo una questione d’individualizzazione.
Ogni membro del gruppo può conoscersi e si conosce in se stesso in relazione alla realtà intorno a sé, in relazione con gli altri, vivendo con gli altri. La realtà intersoggettiva è una realtà di affetto e di riconoscenza. Nei primati, dunque, vediamo che la conoscenza è sempre interattiva, interazionale con gli altri. Questo è il primo aspetto che Guidano distingue nei primati. Così si comincia a vedere con sufficiente chiarezza la configurazione di un principio di identità.
Il vincolo
L’altro aspetto che Guidano distingue è il vincolo, che è intimamente relazionato con l’esperienza intersoggettiva. Sostiene che con i primati comincia a configurarsi una complessità abbastanza somigliante a quella che incontriamo negli umani. In essi si osserva una maturità molto più prolungata di quella di altri mammiferi e che la formazione di vincoli affettivi non è qualcosa che è al servizio della protezione fisica, ma che è funzionale all’organizzazione dello stesso essere, della stessa vita, in poche parole della sua identità. L’organizzazione dell’organismo è qualcosa di strutturale al suo sviluppo. Dunque è importante segnalare che non solo è significativo il vincolo affettivo parentale, ma anche il vincolo affettivo tra pari. Con questo, si cerca di dimostrare che ogni conoscenza è intersoggettiva e che qualunque primate comincia a raggiungere un sentimento di se stesso in relazione alla percezione che ha degli altri.
In questo modo comincia a delinearsi molto bene l’affettività come parte strutturale del funzionamento di un primate. Quello che è importante per la sopravvivenza di un giovane primate è incontrare un vincolo affettivo con la madre; se non lo trova è emarginato, non può ottenere un rango sociale. Nei primati si comincia a vedere un principio di autorganizzazione che vive in una realtà intersoggettiva, allo stesso modo dei primati umani, caratterizzato perché tutto lo spazio si mostra percepibile e valutabile in termini di avvicinamento o di allontanamento del vincolo affettivo. I processi del vincolo, dunque, non possono che essere visti più semplicemente come un mezzo per mantenere nello sviluppo la prossimità e il contatto con una figura di riferimento affettiva, tanto che arriva ad essere il sistema autoreferenziale per eccellenza per lo sviluppo della identità personale.
L’esperienza immediata e la
spiegazione
Avendo sviluppato brevemente questi aspetti fondamentali in relazione con i primati, siamo in condizione ora di differenziare e di delineare le caratteristiche essenziali dell’esperienza umana. La prima differenza fondamentale è l’emergere del linguaggio nella specie umana. Però non come lo vedono le esperienze razionaliste, come trasmissione di informazione - Chomsky, tra l’altro - ma come la più importante conseguenza che il linguaggio rappresenta nella esperienza della vita. Cioè, all’apparire del linguaggio, sembra possibile che si possa instaurare simultaneamente una dimensione di realtà differenti, da quella che gli altri animali vivono quotidianamente, che Maturana chiama l’esperienza o la prassi del vivere e che Guidano chiama l’esperienza immediata.
Nel primate umano sorge, dunque, con il linguaggio, un’altra dimensione della realtà molto più astratta, nella quale c’è una spiegazione. Cioè, uno costruisce in termini di proposizioni verbali una spiegazione dell’esperienza immediata che ha percepito. Con l’apparire del linguaggio l’essere umano è il primo animale che ha questa peculiarità, questa caratteristica di vivere, in un fluire costante e ininterrotto, una doppia dimensione simultanea di esperienza.
La prima dimensione è l’esperienza immediata. Come quella che capita agli altri animali, è l’esperienza dell’esistenza, è sentirci vivere, è qualcosa che semplicemente ci capita, qualcosa che non possiamo decidere. L’altra dimensione è la spiegazione. Ogni essere umano ha la possibilità di spiegarsi, di riferirsi a se stesso: la sua esperienza di vita, la sua esperienza immediata attraverso il linguaggio. Solo il linguaggio permette l’esistenza di categorie come vero o falso, giusto o ingiusto, bene o male, bello o brutto. Come osserva Maturana, al livello dell’esperienza immediata non si può differenziare quello che è un’illusione di una percezione. Lo otteniamo soltanto nel linguaggio. Inoltre ci permette di fare distinzioni rispetto al contenuto informativo dell’esperienza immediata o delle tonalità emotive. Il linguaggio permette di elaborare proposizioni astratte e così l’esperienza immediata è riordinata e spiegata in un concetto che ha senso in se stesso. Ora, questa proposizione può essere considerata valida, pur non avendo più la tonalità emotiva che la specificava. In tal modo può essere impiegata per fare predizioni in situazioni simili che si devono affrontare.
Quello che Guidano intende per esperienza immediata è una continua modulazione di tonalità emotive, che sono quelle che in forma immediata danno ad ognuno di noi l’informazione diretta, tacita, senza necessità di interpretarla in se stessa, di com’è uno e di come si sente di fronte alla realtà esterna. Poi c’è la conoscenza più cognitiva, la conoscenza come processo di pensiero, di proposizioni logiche, di ragionamento analitico. Attualmente gli psicologi parlano di conoscenza tacita e di conoscenza esplicita.
La conoscenza tacita è la conoscenza che non richiede parole, che non richiede linguaggio, che non richiede pensiero. La conoscenza che uno ha immediatamente quando sente qualcosa, la conoscenza che forniscono le emozioni, le sensazioni, le disposizioni della materia. È ciò che possiamo chiamare l’esperienza esistenziale (vivencia). L’esperienza della vita che accade senza che l’individuo la decida. L’individuo s’incontra con quella in ogni momento della sua esistenza. Poi viene la conoscenza esplicita, sempre riferita a quella tacita, nel modo che qualsiasi spiegazione, qualsiasi teoria, qualsiasi credenza è sempre una spiegazione dell’esperienza immediata che l’individuo prova.
Non esiste, pertanto, alcuna possibilità di verificare o di confermare una credenza o una teoria con aspetti esterni per vedere se è adeguata o no. L’unica maniera di verifica e di conferma è riferita al tipo di esperienza immediata che questa teoria cerca di spiegare e non a qualcosa di esterno. Per questo possiamo arrivare a una conclusione molto importante ed è che tutte le teorie sviluppate per il singolo individuo, soprattutto le teorie scientifiche e filosofiche, hanno il loro fondamento nell’emozionalità e non nella razionalità. A sua volta, senza emozionalità non può esserci razionalità.
Il sistema logico concettuale (conoscenza esplicita), mentre da una parte è la forma più specializzata per definire, concettualizzare ecc., dall’altra è inevitabilmente parziale, necessita di un costante appoggio fornito da una conoscenza più globale o immediata, come è quella della conoscenza tacita.
Il vincolo umano e la costruzione
dell’identità personale
La costruzione di un sentimento di identità e di univocità personale è la caratteristica distintiva del modo in cui un sistema individuale costruisce il suo ordine autoreferenziale, tanto che la differenza progressiva e graduale del sentimento di se stesso appare fin dall’inizio interconnessa con lo sviluppo cognitivo ed emotivo. Pertanto, i meccanismi che sostengono l’identità personale sono strettamente connessi con quelli che sostengono la conoscenza. Possiamo dire, perciò, che durante il ciclo della vita individuale umana cominciano a sorgere livelli più integrati di identità e di conoscenza di se stessi.
Esaminiamo come avviene questo.
Abbiamo osservato che i primati vivono una realtà intersoggettiva e che la sopravvivenza del giovane primate e dell’adulto va a dipendere dalla qualità del vincolo con la madre e non solo da una relazione di prossimità fisica di cura e di protezione. Se ci spostiamo dai primati agli umani, andiamo a riscontrare che il sistema vincolistico si fa estremamente complesso. Infatti, il sistema del vincolo umano è il mezzo per eccellenza mediante il quale ogni umano comincia a costruire un sentimento di se stesso, specifico ed unico, per mezzo del quale si riconosce, cioè vincolarsi a qualcuno significa riconoscersi e avere un sentimento specifico di se stesso.
Un aspetto del vincolo nel bambino è una contraddizione di sensazioni, di azioni, di percezioni che danno un sentimento di se stesso. Questo tema del vincolo e dell’identità è il tema di base di tutto lo sviluppo emozionale da 0 a 18/20 anni. Possiamo dire molto brevemente e incisivamente che la qualità del vincolo è la maniera di dividere e di ordinare lo spazio con certe tonalità emotive, nella stessa maniera di come le vediamo nei primati. Si comincia a vedere, pertanto, che nel bambino, dal momento stesso della nascita e d’accordo con le modulazioni emotive che accompagnano le sue esperienze di attività relazionale, con l’allontanamento della figura referenziale (che può essere la madre o un’altra persona) o delle tonalità emotive che sono associate alla disattivazione per l’avvicinamento alla figura vincolante, alcune tonalità emotive cominciano a delinearsi più di altre.
Quello che oggi sappiamo rispetto allo sviluppo emozionale è che gli umani nascono con un repertorio di emozioni. Possiamo dire che un bambino, al momento della nascita, ha un repertorio di emozioni di base potenzialmente presenti, complete. Ora, queste emozioni vanno a prendere forma attraverso l’esperienza immediata, vanno ad avere ciò che si vede con i processi di vincolo con le figure di referenza. In base alle caratteristiche emotive della persona che pratica il vincolo, certe tonalità emotive saranno più selezionate di altre. Per esempio, una madre molto preoccupata e paurosa con il suo bambino: in questo caso la tonalità timore sarà molto più sviluppata e viva delle altre. Un’altra madre che non è tanto presente o che non accudisce con attenzione il suo bambino, le tonalità emotive di perdita, abbandono e disinteresse saranno da lui selezionate. Però, queste emozioni si andranno a sviluppare in modo differente dai pensieri, la cui forma è sequenziale e lineare. Lo sviluppo delle emozioni è per somiglianza analogica.
Per Guidano la migliore metafora, per spiegare come questo avviene, è la metafora musicale. Se si ha presente come si costruisce una sinfonia, notiamo che in essa si ha una tonalità musicale di base e che questa è la chiave ordinatrice di tutte le altre tonalità musicali.
Osserviamo, dunque, questo bambino, che il suo particolare vincolo familiare gli ha selezionato e amplificato una tonalità emotiva. Tutto il suo sviluppo emotivo avverrà in questa linea, cioè, il bambino differenzierà le altre tonalità emotive confrontandole con la perdita. Così la tonalità emotiva dell’allegria è l’assenza della perdita. Il timore, l’anticipazione della perdita. La tristezza, l’esperienza esistenziale della perdita, ecc. Tutte le emozioni sono differenziate da questa tonalità di base. La qualità emotiva del vincolo si riflette in un’unità organizzativa del dominio, che è il processo. È unitario perché c’è una tonalità emotiva di fondo, che va fornendo al bambino un sentimento specifico di se stesso, di identità, di unicità in differenti situazioni, e con questa modalità il bambino differenzia tutte le emozioni. È unitaria perché tutte le emozioni sono contemplate sempre come derivanti da una sola. Questa unità dà un sentimento specifico di se stesso, come un modo preciso di sentirsi nel mondo.
La durata completa di questo processo si prolunga fin dopo l’adolescenza. Il vincolo si va evolvendo in modo più complesso lungo lo sviluppo per favorire l’instaurazione di processi autoreferenziali più strutturali, come l’identificazione e l’imitazione di modelli.
L’identità e il ciclo di vita
adulta
Nella prospettiva razionalista non si ammette l’esistenza di un accrescimento nel periodo di maturità. La vita adulta è considerata un termine dello sviluppo al culmine della gioventù (18-20 anni). Si raggiunge un equilibrio che deve essere mantenuto durante tutta la vita. Tutta la psicopatologia sorge quando si perde questo equilibrio e il miglioramento è il recupero di esso.
Nella prospettiva post-razionalista la vita adulta è vista in un modo completamente differente. Si pensa che in questa tappa continui lo sviluppo, per cui si osservano periodi critici che seguono ad altri di stabilità. Gli adulti hanno fasi critiche nelle quali ci sono cambiamenti radicali nel sentimento di se stessi, però questi non sono determinanti biologicamente come nel giovane, in quanto sono dati dalle esperienze di vita e dalla capacità del soggetto - potremmo dire - di avere coscienza di se stesso e di riordinare le sue esperienze emotive.
In termini molto generali, possiamo affermare che la dinamica dei sistemi complessi, come gli umani, obbedisce a ciò che Prigogine chiama “Progressione Ontogenetica”. Questo vuol dire che è un sistema che costantemente aumenta la quantità e la qualità dell’informazione critica interna; si evolve verso una maggiore complessità man mano che le esperienze di vita aumentano. Per questo ci sono momenti nella vita di qualche adulto nel quale l’aumento di esperienze si evolve criticamente.
Da questo punto di vista, le confusioni emotive che accompagnano le crisi non sono viste come sintomi di una “infermità psichica”, ma come pressioni del sistema che spingono ad un’integrazione di queste emozioni e pertanto ad una riorganizzazione del sentimento di se stesso.
Questo argomento cambia totalmente la maniera di vedere e di fare la psicoterapia.