RINASCITA DELL’UOMO EPIMETEICO
(Tratto da Descolarizzare la società, di Ivan Illich)
La
nostra società assomiglia a quella macchina insuperabile che ho visto una volta
a New York in un negozio di giocattoli. Era uno scrigno metallico, che,
premendo un pulsante, si apriva per mostrare una mano meccanica le cui dita
cromate si protendevano verso il coperchio, lo abbassavano e lo chiudevano a
chiave dall'interno. Trattandosi di una scatola, ti saresti aspettato che si
potesse estrarne qualcosa, e invece conteneva soltanto un meccanismo per
chiudere il coperchio. Questo bizzarro congegno è il contrario esatto della
“scatola” di Pandora.
La
Pandora originaria, “Colei che tutto dona” era, una dea della terra nella
Grecia matriarcale della preistoria. Essa fece scappare tutti i mali dal suo
vaso (pythos), ma chiuse il coperchio
prima che potesse fuggirne anche la speranza. La storia dell'uomo moderno
comincia con la degradazione del mito di Pandora e termina con lo scrigno che
si chiude da solo. È la storia dello sforzo prometeico per creare istituzioni
che blocchino l'azione dei mali scatenati. È la storia dell'affievolirsi della
speranza e del sorgere delle aspettative.
Per
capire ciò che questo vuol dire dobbiamo riscoprire la differenza tra speranza
e aspettativa. Speranza, nell'accezione più pregnante, indica una fede
ottimistica nella bontà della natura, mentre aspettativa, nel senso in cui
utilizzerò questo termine, è contare su risultati programmati e controllati
dall'uomo. La speranza concentra il desiderio su una persona dalla quale
attendiamo un dono. L'aspettativa attende soddisfazione da un processo
prevedibile, il quale produrrà ciò che è nostro diritto pretendere. Oggi l'ethos prometeico ha messo in ombra la
speranza. La sopravvivenza della specie umana dipende dalla sua riscoperta come
forza sociale.
La
Pandora originaria venne mandata sulla terra con un vaso che conteneva tutti i
mali, e in più, come unico bene, la speranza. Era in questo mondo di speranza
che viveva l'uomo primitivo. Egli confidava, per sopravvivere, nella
munificenza della natura, nelle elargizioni degli dèi e negli istinti della sua
tribù. I greci dell'epoca classica cominciarono a sostituire alla speranza le
aspettative. Nella loro versione del mito, Pandora liberava sia i mali che i
beni; ma essi la ricordavano soprattutto perché aveva sguinzagliato i mali nel
mondo. E, cosa particolarmente significativa, dimenticavano che “Colei che
tutto dona” era anche la guardiana della speranza.
I
greci raccontavano anche la storia di due fratelli, Prometeo e Epimeteo. Il
primo consigliò all'altro di star lontano da Pandora; ma l'altro non gli diede
retta e la sposò. Nella Grecia classica il nome “Epimeteo”, che significa
“colui che capisce a posteriori”, era considerato un sinonimo di “sciocco” o di
“ottuso”. All'epoca in cui Esiodo rinarrò questa storia nella sua forma
classica, i greci erano divenuti dei patriarchi moralisti e misogini,
terrorizzati al solo pensiero della prima donna. Essi costruirono una società
razionale e autoritaria. Escogitarono istituzioni con le quali contavano di
tener testa ai mali scatenati. Scoprirono il loro potere di plasmare il mondo e
di fargli produrre servizi che impararono anche ad aspettarsi. Vollero che le
proprie necessità e le future esigenze dei loro figli fossero conformate alle
loro opere. Divennero legislatori, architetti e scrittori, crearono
costituzioni, città e opere d'arte perché servissero da modelli alla loro
progenie. Mentre l'uomo primitivo aveva adoperato una partecipazione mitica ai
sacri riti per iniziare gli individui alle tradizioni della società, i greci
dell'età classica riconoscevano come veri uomini solo quei cittadini che si
lasciavano adattare dalla paideia (educazione)
alle istituzioni create dai loro avi. L’evoluzione del mito rispecchia il
passaggio da un mondo in cui si interpretavano
i sogni a un mondo in cui si facevano
oracoli. Da tempo immemorabile la dea Terra veniva adorata sulle pendici
del monte Parnaso, che era il centro e l'ombelico del mondo. Là, a Delfi (da delphys, utero), Gaia, sorella di Caos e
di Eros, dormiva in una grotta. Suo figlio, il drago Pitone, ne sorvegliava i
sogni bagnati dalla rugiada e dal chiaro pi luna, finche non arrivò
dall'oriente Apollo, il dio del Sole e l'archi tetto di Troia, che trucidò il drago
e s'impadronì della grotta. I suoi sacerdoti si presero il tempio. Assunta una
vergine del luogo, la mettevano a sedere su un tripode sopra il fumante
ombelico della Terra e la intontivano con i fumi, quindi trascrivevano le sue
frasi estatiche negli esametri di profezie formulate in modo da avverarsi in
qualunque caso. Gli uomini di tutto il Peloponneso portavano al santuario di
Apollo i loro problemi. Ne consultavano l'oracolo anche per le scelte sociali,
come i provvedimenti da prendere per fermare una pestilenza o una carestia, per
dare a Sparta la costituzione migliore o per stabilire i luoghi più adatti a
costruire città che si sarebbero poi chiamate Bisanzio e Calcedonia. La freccia
infallibile divenne il simbolo di Apollo e tutto ciò che aveva a che fare con
lui diventò utile e importante.
Già
Platone, quando descrisse nella RepubblIca
lo stato ideale escludeva la musica popolare. Nelle città sarebbero state
permesse soltanto la cetra e la lira di Apollo perché soltanto la loro armonia
crea “il canto della necessità e quello della libertà, il canto dello
sventurato e quello del fortunato, il canto del coraggio e quello della
temperanza, che s'addicono ai cittadini”. I quali cittadini erano invece presi
da timor panico davanti al flauto di Pan e al suo potere di destare gli
istinti: soltanto “i pastori possono suonare le canne [di Pan] e solo nelle
campagne”..
L’uomo
si assunse la responsabilità delle leggi sotto cui voleva vivere e quella di
modellare l'ambiente a propria immagine. L’iniziazione primitiva alla vita
mitica attraverso la Madre Terra si trasformò nell'educazione (paideia) del cittadino capace di
sentirsi a proprio agio nel foro.
Per
il primitivo il mondo era governato dal fato, dai fatti e dalla necessità.
Sottraendo il fuoco agli dèi, Prometeo tramutò i fatti in problemi, revocò in
dubbio la necessità e sfidò il fato. L’uomo classico formò un contesto
civilizzato per una prospettiva umana. Era conscio di potere, sì, sfidare il
fato, la natura e l'ambiente, ma solo a proprio rischio. L’uomo contemporaneo
va oltre: tenta di creare il mondo a propria immagine, di costruire un ambiente
prodotto totalmente dall'uomo, e poi s'accorge che può farlo solo a patto di
rifare continuamente se stesso per adattarsi ad esso. Dobbiamo ora guardare in
faccia la realtà: è l'uomo stesso che è in gioco.
Vivere
oggi a New York significa avere una particolarissima visione di ciò che è e di
ciò che può essere, senza la quale vivere a New York sarebbe impossibile. Nelle
sue strade un bambino non tocca mai niente che non sia stato scientificamente
elaborato, fabbricato, pianificato e venduto a qualcuno. Persino gli alberi
sono lì perché la Ripartizione giardini ha deciso di metterceli. Le barzellette
che egli ascolta alla televisione sono state programmate a caro prezzo. I
rifiuti con i quali gioca nelle vie di Harlem sono resti di confezioni
concepite per altre persone. Persino i desideri e le paure sono plasmati dalle
istituzioni. Il potere e la violenza hanno una precisa articolazione e
gestione: da una parte le bande, dall'altra la polizia. La stessa istruzione
consiste nel consumare materie, che sono il risultato di programmi studiati,
pianificati e imposti sul mercato. Tutto ciò che c'è di buono è il prodotto di
qualche istituzione specializzata. Sarebbe assurdo chiedere qualcosa che
nessuna istituzione può produrre. Il ragazzo nuovaiorchese non può aspettarsi
niente che sia al di fuori dei possibili sviluppi del processo istituzionale.
Persino la sua fantasia è stimolata a produrre fantascienza. La sorpresa poetica
del non programmato gli si presenta solo quando incontra lo “sporco”, lo
sbaglio clamoroso, il guasto: la buccia d'arancia nella cunetta, la pozzanghera
per la strada, lo sconvolgimento dell'ordine o di un programma, l'avaria di una
macchina sono gli unici spunti che possono dare il via alla fantasia creativa.
“Bigiare” diventa la sola esperienza poetica a portata di mano. poiché non c'è
nulla di desiderabile che non sia stato programmato, il ragazzo di città ne
arguisce che sapremo sempre inventare un'istituzione per ogni nostro bisogno.
Riconosce al processo, come un dato di fatto incontestabile, il potere di
creare valore. Che si tratti d'incontrare un compagno, d'integrare un quartiere
o d'imparare a leggere, l'obiettivo verrà sempre definito in modo tale che la
sua realizzazione sia organizzabile tecnicamente. L’uomo il quale sa che tutto
quanto è richiesto viene prodotto, ben presto finisce per aspettarsi che niente
di ciò che viene prodotto possa non essere richiesto. Se si può progettare un veicolo
lunare, altrettanto è concepibile la richiesta di andare sulla luna. Non andare
dove si può andare sarebbe sovversivo. Smaschererebbe la follia del principio
che ogni richiesta soddisfatta comporti la scoperta di una richiesta ancor
maggiore che chiede di essere soddisfatta a sua volta. Una rivelazione del
genere arresterebbe il progresso. Non produrre ciò che è possibile metterebbe
in luce che la legge delle “aspettative crescenti” è un eufemismo per indicare
un abisso di frustrazione sempre più profondo, che è il vero motore di una
società fondata sulla coproduzione di servizi e di accresciuta domanda.
Lo
stato d'animo dell'abitante della città moderna figura nella tradizione mitica
solo nelle immagini dell'inferno. Sisifo, che per qualche tempo era riuscito a
mettete in catene Thanatos (la morte), deve far rotolare un pesante masso su
per una collina sino in cima all'Ade, e ogni volta che sta per arrivare alla
meta il masso gli sfugge di mano. Tantalo che, invitato a pranzo dagli dèi,
rubò loro in quella occasione la ricetta segreta dell'ambrosia che guariva ogni
male e conferiva l'immortalità, soffre in eterno la fame e la sete, immerso in
un fiume le cui acque si ritraggono dalle sue labbra e sotto i rami di un
albero i cui frutti gli sfuggono. Un mondo di richieste sempre crescenti non è
semplicemente un male, lo si può soltanto definire un inferno.
L’uomo
ha conquistato il potere frustrante di chiedere qualunque cosa perché non
riesce a immaginare niente che non possa essergli fornito da un'istituzione.
Circondato da strumenti onnipotenti, è ridotto a essere uno strumento dei
propri strumenti. Ogni istituzione nata per esorcizzare uno dei mali primitivi
è diventata per lui uno scrigno a perfetta tenuta e a chiusura automatica.
L’uomo è intrappolato nelle scatole da lui costruite per racchiudervi i mali
che Pandora si lasciò scappare.
L’offuscamento
della realtà ad opera dello smog prodotto dai nostri strumenti ci ha
avviluppati tutti. Ci troviamo all'improvviso nel buio di una trappola
fabbricata da noi stessi.
Anche
la realtà è arrivata a dipendere dalle decisioni umane. Lo stesso presidente
che ordinò l'inefficace invasione della Cambogia avrebbe potuto benissimo
ordinare l'impiego efficacissimo dell'atomo. Il “pulsante di Hiroshima” può
oggi tagliare l'ombelico della Terra. L'uomo ha il potere di far sì che Caos
travolga sia Eros sia Gaia. Questo suo nuovo potere ci ricorda costantemente
che le nostre istituzioni non soltanto si creano i propri fini, ma possono
anche porre fine a se stesse e a noi.
La
loro assurdità è evidente se si prende ad esempio l'istituzione militare: le
armi moderne sono in grado di. difendere la libertà, la civiltà e la vita
solamente annientandole; la sicurezza, nel linguaggIo dei militari, è la
capacità di toglier di mezzo la Terra.
Non
meno palese è l'assurdità di fondo delle istituzioni non militari. Non hanno
pulsanti che possano scatenare la loro potenza distruttiva, ma non ne hanno
neanche bisogno. Tengono già ben saldo nelle loro mani il coperchio del mondo.
Creano bisogni più rapidamente che soddisfazioni e nel tentativo di appagare i
bisogni che esse stesse suscitano, consumano la Terra. Questo vale per
l'agricoltura e per l'industria, ma anche per la medicina e l'istruzione.
L’agricoltura moderna avvelena ed esaurisce il suolo. La “rivoluzione verde” è
in grado, con le nuove sementi, di triplicare la produzione per ettaro, ma solo
aumentando, in misura proporzionalmente ancor maggiore, l’impiego di
fertilizzanti, insetticidi, acqua e energia. La fabbricazione di questi
prodotti, come di tutti gli altri, inquina gli oceani e l'atmosfera e degrada
risorse insostituibili. Se la combustione continuasse ad aumentare con
l'attuale ritmo, finiremmo presto per consumare l'ossigeno dell'atmosfera con
una rapidità superiore a quella della sua rigenerazione. E non abbiamo motivo
di credere che la fissione o la fusione possano sostituire la combustione senza
rischi eguali o maggiori. Gli stregoni rimpiazzano le levatrici e promettono di
trasformare l'uomo in qualche altra cosa: programmato geneticamente, purificato
farmacologicamente e capace di restar malato più a lungo. L’ideale
contemporaneo è un mondo totalmente asettico, dove ogni contatto tra gli
uomini, o tra gli uomini e il loro ambiente, sia frutto di previsioni e
manipolazioni. La scuola è diventata il processo programmato che attrezza
l'uomo per un mondo programmato, il principale strumento per chiudere l'uomo
nella sua stessa trappola; il suo fine dichiarato è di portare ognuno a un
livello adeguato per poter svolgere una parte in questo gioco mondiale.
Inesorabilmente, coltiviamo, curiamo, produciamo e scolarizziamo il mondo per
farlo morire.
L’assurdità
dell'istituzione militare è evidente. È più difficile rendersi conto di quella
delle istituzioni non militari, che è ancora più spaventosa proprio perché
inesorabile è il suo operare. Noi sappiamo quale pulsante non bisogna premere
per evitare un olocausto atomico: non esiste invece pulsante che impedisca
un'Armageddon ecologica.
Nell'antichità
classica l'uomo aveva scoperto che il mondo poteva essere foggiato secondo i
suoi piani, e partendo da questa intuizione aveva capito che esso era
intrinsecamente precario, tragico e comico. Sviluppandosi le istituzioni
democratiche si affermò il principio che nel quadro di esse ci si poteva fidare
dell’uomo. Le aspettative riposte nel debito processo e la fiducia nella natura
umana si equilibravano reciprocamente. Sorsero le professioni tradizionali e
con esse le istituzioni necessarie al loro esercizio.
L’affidamento al processo istituzionale ha però finito
furtivamente per sostituire la fiducia nella buona volontà dell'individuo. Il
mondo ha perduto, la sua dimensione umana per ritrovare l’inesorabilità
dei fatti e la fatalità che caratterizzavano
le epoche primitive. Ma mentre il caos dei barbari trovava costantemente un suo
ordine nel nome di dèi misteriosi e antropomorfici, oggi solo la pianificazione
umana può fornire una ragione del fatto che il mondo è quello che è. L'uomo è
diventato il trastullo di scienziati, ingegneri e pianificatori. Vediamo in
funzione questa logica in noi e negli altri. Conosco un villaggio messicano
dove passano ogni giorno non più d'una dozzina di automobili. Qui un messicano
stava giocando a domino sulla nuova strada lastricata davanti a casa sua, dove
probabilmente soleva giocare e sedersi fin da bambino. Passò velocissima
un'auto e lo uccise. Il turista che mi raccontò l'episodio era profondamente
turbato, e tuttavia disse: “Se l'è tirato addosso”.
A prima vista la sua osservazione non è molto diversa
da quella di un primitivo quando racconta la morte di un tizio che ha violato
un tabù e di conseguenza è morto. Ma le due osservazioni hanno un significato
opposto. Il primitivo può incolpare qualche forza trascendente, ottusa e
implacabile, mentre il turista è dominato dalla logica inesorabile della
macchina. Il primitivo ignora la responsabilità, il turista la conosce ma la
nega. Nell'uno e nell'altro sono assenti il tono classico del dramma,
l'atmosfera della tragedia, la logica dello sforzo e della ribellione
personale. Il primitivo non ne ha preso coscienza e il turista l'ha persa. Il
mito del boscimano e quello dell'americano sono fatti di forze inerti, inumane.
Non comportano, ne l'uno ne l'altro, la ribellione tragica. Per il boscimano
l'evento procede dalle leggi della magia, per l'americano da quelle della
scienza. L’evento lo pone sotto l'influsso delle leggi della meccanica, che
secondo lui governano gli accadimenti fisici, sociali e psicologici.
Lo stato d'animo dei giorni in cui viviamo è
propizio a una svolta fondamentale nella ricerca di un futuro che sia aperto
alla speranza. Gli obiettivi delle istituzioni contraddicono infatti
continuamente i loro prodotti. Il piano contro la povertà fa aumentare il
numero dei poveri, la guerra in Asia quello dei Vietcong, l'assistenza tecnica
il sottosviluppo. Gli ambulatori per il controllo delle nascite elevano i tassi
di sopravvivenza ed espandono la popolazione; le scuole producono un maggior
numero di evasori; e mettere un freno a un tipo d'inquinamento significa di
solito accentuarne un altro.
La massa dei consumatori comincia ad accorgersi
che quanto più può comprare, tante più delusioni le tocca ingoiare. Sino a non
molto tempo fa sembrava logico dare la colpa di questa epidemia di disfunzioni
al ritardo della scoperta scientifica rispetto alle richieste della tecnologia,
oppure alla malvagità dei nemici etnici, ideologici o di classe. Ora Je
aspettative di un nuovo millennio scientifico come quelle di una guerra che
ponesse fine a tutte le guerre sono tramontate.
Il consumatore esperto non ha modo di ritornare
a una ingenua fiducia nelle tecnologie magiche. Troppe persone hanno avuto
brutte esperienze con computer nevrotici, infezioni prese in ospedale e
ingorghi ovunque ci sia traffico, per le strade, sulle rotte aeree o nei
telefoni. Ancora dieci anni fa la saggezza convenzionale preannunciava un mondo
migliore basato sul progresso della ricerca scientifica; adesso gli scienziati
spaventano i bambini. I lanci sulla luna costituiscono un'affascinante
dimostrazione che si possono eliminare quasi completamente gli errori umani nel
funzionamento dei sistemi complessi, e tuttavia ciò non placa la nostra paura
che l'impossibilità umana di consumare secondo le istruzioni possa sfuggire a
ogni controllo.
Neanche
il riformatore sociale può tornare agli assunti degli anni quaranta. È svanita
la speranza di superare il problema della giusta distribuzione dei beni creando
un'abbondanza dei beni stessi. Il costo minimo dei prodotti che possono
soddisfare i gusti moderni è salito alle stelle, e ciò che rende moderno un
gusto è il fatto di passar di moda prima ancora di essere soddisfatto.
I
limiti delle risorse del pianeta sono divenuti evidenti. Nessun balzo in avanti
della scienza o della tecnologia potrebbe procurare a ogni abitante del mondo i
beni e i servizi oggi a disposizione dei poveri dei paesi ricchi. Per
raggiungere questa meta, anche con la più “leggera” delle tecnologie
alternative, occorrerebbe infatti, per esempio, estrarre ferro, stagno, rame e
piombo, in quantità cento volte superiore all'attuale.
Infine,
insegnanti, medici e assistenti sociali s'accorgono che le loro prestazioni
professionali, pur così diverse, hanno almeno un aspetto in comune: creano cioè
ulteriori richieste degli interventi istituzionali da loro forniti, prevenendo
e superando le loro possibilità di fornire servizi istituzionalizzati.
Non
semplicemente qualche parte, ma la logica stessa della saggezza convenzionale
comincia a essere revocata in dubbio. Persino le leggi dell'economia non
sembrano più tanto convincenti, fuori degli stretti parametri che si
riferiscono all'area sociale e geografica dove è concentrata la massima parte
del denaro. Il quale denaro è effettivamente il mezzo di scambio più a buon
mercato, ma solo in un'economia strettamente legata a un'efficienza che si
misuri in termini monetari. Sia i paesi capitalisti sia quelli comunisti, nelle
loro forme diverse, misurano l'efficienza secondo i rapporti tra costi e
profitti espressi in dollari. Il capitalismo, per asserire la propria
superiorità, ostenta un tenore di vita più alto. Il comunismo vanta invece un
più elevato tasso di sviluppo come indice del suo futuro trionfo. Ma sotto
entrambe le ideologie il costo totale dell'aumento dell'efficienza cresce in progressione
geometrica. Le maggiori istituzioni si battono accanitamente per impadronirsi
di risorse che non sono elencate in nessun inventario: l'aria, l'oceano, il
silenzio, il sole, la salute. E attirano l'attenzione del pubblico sulla
scarsità di queste risorse solo quando sono ormai quasi irrimediabilmente
degradate. La natura diventa ovunque venefica, la società disumana, mentre si
viola la vita interiore e si soffocano le vocazioni personali.
Una
società che istituzionalizza i valori identifica la produzione di beni e
servizi con la richiesta dei medesimi. Nel prezzo del prodotto è compreso il
condizionamento che ti porta ad aver bisogno di quel prodotto. La scuola è
l'agenzia pubblicitaria che ti fa credere di aver bisogno della società così
com'è. In una società del genere il valore marginale è diventato qualcosa che
si autotrascende incessantemente. Esso costringe i pochi grandi consumatori a
contendersi il potere di esaurire le risorse della terra, di riempirsi le pance
già gonfie, di disciplinare i piccoli consumatori e di impedire le attività di
coloro che ancora trovano soddisfazione nell’ arrangiarsi con ciò che hanno. L'ethòs dell'insaziabilità è dunque alla
radice della devastazione fisica, della polarizzazione sociale e della
passività psicologica.
Una
volta che i valori sono stati istituzionalizzati in processi programmati e
meccanizzati, i membri della società moderna credono che il vivere bene
consista nell'avere istituzioni che definiscano i valori di cui essi e la loro
società ritengono d'aver bisogno. Il valore istituzionale può essere definito
come il livello di produzione di una istituzione. Il valore corrispondente di
un uomo si misura secondo la sua capacità di consumare e degradare questi
prodotti istituzionali, e di creare in tal modo una nuova - e anche maggiore -
richiesta. Il valore dell'uomo istituzionalizzato dipende dalle sue capacità di
inceneritore. Per usare un'immagine: egli è diventato l’idolo delle sue opere.
L’uomo definisce ormai sè stesso come la fornace che brucia i valori prodotti
dai suoi stessi utensili. E questa sua capacità non ha limiti. Il suo è l'atto
di Prometeo portato all'estremo.
L'esaurimento
e l’inquinamento delle risorse della terra sono, soprattutto, l'effetto di una
corruzione dell'immagine che l'uomo si fa di se stesso, di una regressione
della sua coscienza. Qualcuno preferirebbe parlare di una mutazione della
coscienza collettiva, che porta a vedere nell'uomo un organismo dipendente non
dalla natura o da altri individui, ma dalle istituzioni. Questa istituzionalizzazione
dei valori essenziali, questa fede che un processo di trattamento programmato
finisca col dare i risultati desiderati da chi lo subisce, questo ethos consumistico sono al centro
dell'illusione prometeica.
Gli
sforzi per arrivare a un nuovo equilibrio nell'ambiente globale dipendono dalla
disistituzionalizzazione dei valori.
Il
dubbio che nel concetto di homo faber vi
sia qualcosa di strutturalmente sbagliato si va sempre più diffondendo in una
minoranza sparsa in tutti i paesi, comunisti, capitalisti e “sottosviluppati”.
Questo dubbio è la caratteristica comune di una nuova elite. Appartengono a
essa individui di ogni classe, reddito, fede e civiltà. Essi sono giunti a
diffidare dei miti della maggioranza: delle utopie scientifiche, del diabolismo
ideologico e dell'aspettativa del giorno in cui beni e servizi saranno
distribuiti con una certa eguaglianza. Hanno in comune con la maggioranza la
sensazione d'essere in trappola e, ancora, la consapevolezza che quasi tutte le
nuove scelte politiche adottate con vasto consenso approdano regolarmente a
risultati che sono clamorosamente opposti ai loro fini dichiarati. Ma mentre la
maggioranza prometeica degli aspiranti esploratori spaziali continua a non
affrontare il problema strutturale, la minoranza emergente critica il deus ex machina scientifico, la panacea
ideologica e la caccia ai diavoli e alle streghe, e comincia a dar forma al
proprio sospetto che le nostre continue illusioni ci leghino alle istituzioni
contemporanee come le catene legavano Prometeo alla roccia. Una fiducia piena
di speranza e l’ironia classica (eironeia)
devono allearsi per denunciare l'inganno prometeico.
Si
ritiene di solito che Prometeo significhi “il preveggente” o anche “colui che
fa avanzare la stella polare”. Egli sottrasse abilmente agli dèi il monopolio
del fuoco, insegnò agli uomini a servirsene per forgiare il ferro, divenne il
dio dei tecnologi e finì legato a ferree catene.
La
Pizia di Delfi è stata ora sostituita da un computer che troneggia sui pannelli
e perfora schede. Gli esametri dell'oracolo hanno lasciato il posto a
istruzioni in codici di sedici bit. L’uomo
timoniere ha ceduto la barra alla macchina cibernetica. Sta per comparire la
macchina definitiva che guiderà i nostri destini. I bambini fantasticano di
volare con le loro astronavi lontano da una terra al crepuscolo.
Dalla
prospettiva dell’uomo giunto sulla luna, Prometeo potrebbe riconoscere
nell'azzurra e splendente
Gaia
il pianeta della speranza e l'arca dell'umanità. Una nuova consapevolezza dei
limiti della Terra e una nuova nostalgia possono oggi aprire gli occhi agli
uomini e portarli a condividere la scelta di Epimeteo che sposando Pandora
sposò la Terra.
A
questo punto il mito greco diventa una profezia carica di speranze, perché ci
dice che il figlio di Prometeo era Deucalione, il timoniere dell'arca che, come
Noè, resistette al diluvio e diventò padre di una nuova umanità, che egli fece
con la terra unitamente a Pirra, figlia di Epimeteo e di Pandora. Incominciamo
così a capire che in realtà il pythos che
Pandora ricevette dagli dèi è il contrario di una scatola: è il nostro
vascello, la nostra arca.
Abbiamo
ora bisogno di un nome per chi crede più nella speranza che nelle aspettative.
Abbiamo bisogno di un nome per chi ama più la gente dei prodotti, per chi crede
che
Non ci sono uomini poco interessanti.
Sono i loro destini storie di pianeti.
Tutto, nel singolo destino, è singolare,
e non c'è un altro pianeta che gli
somigli.
Abbiamo
bisogno di un nome per chi ama la terra sulla quale tutti possono incontrarsi.
Ma se qualcuno è vissuto inosservato
-
e di questo s'è fatto un amico -
tra gli uomini è stato interessante
anche col suo passare inosservato.
Abbiamo
bisogno di un nome anche per chi collabora con il proprio fratello prometeico
ad accendere il fuoco e a foggiare il ferro, ma lo fa per accrescere la propria
capacità di assistere, curare e aiutare gli altri, sapendo che
Ognuno
ha un mondo misterioso
tutto
suo
e in esso c' è l’attimo più bello
e l'ora più angosciosa,
solo che noi non ne sappiamo niente.[1]
Propongo
che questi fratelli e sorelle pieni di speranza vengano chiamati uomini
epimeteici.
[1] Le tre citazioni sono tratte dalla poesia “Uomini” di Evgenij Evtusenko (In Non sono nato tardi, traduzione di Ignazio Ambrogio, Editori Riuniti, Roma 1962).