RENÉ BARBIER

Verso un’istruzione trasversale

(Tr. it. di Paolo Coluccia – http://digilander.libero.it/paolocoluccia)

 

Il testo originale in francese è sul sito: http://nicol.club.fr/ciret/bulletin/b18/b18c3.htm

 

Esiste un’istruzione che non esita a rispondere alle domande sul senso della vita che pongono i bambini e gli adolescenti di oggi? Tale istruzione trasversale può accettare di non rispondere più con un atteggiamento dogmatico di verità, ma con un nuovo interrogativo tipicamente socratica? Esprimersi, parlare non implica, anche, leggere, scrivere e meditare? È l’oggetto della saggezza trasversale contemporanea.

L’istruzione trasversale è un approccio della complessità in relazione ai saperi, ai “know-how” ed al saper-essere, che non escluderebbe più le dimensioni spirituali, meditative dell’essere umano, pur accettando lo sguardo sia delle discipline scientifiche sia delle riflessioni filosofiche ed artistiche. Essa costituisce il versante educativo dell’approccio trasversale come ascolto sensibile nelle scienze umane (Barbier)1. Si apre su un’interrogativo realmente contemporaneo al di là del disincantamento del mondo annunciato da Max Weber e della fine del religioso pensata da Marcel Gauchet2. Forse occorreva una disoccultazione radicale del religioso per iniziare a vivere, autenticamente, sul piano di una spiritualità laica, una saggezza moderna del mondo. Lungi dall’essere una conseguenza di una democrazia disincantata e sequenziale d’individui senza appartenenza, che apre alla pazzia, come pensa Danny-Robert Dufour3, l’epoca contemporanea inaugurerebbe, in questo caso, una possibilità inaudita per il futuro dell’umanità. Vedremmo svilupparsi un’istruzione transpersonale non dogmatica ed arricchita di tutte le saggezze del mondo.

Per saggezza del mondo intendo tutte le forme d’intelligibilità e di sensibilità che gli esseri umani, nell’ambito delle varie culture, antiche e moderne, hanno inventato per simbolizzare ed esprimere, spesso in modo mitico e poetico, i loro rapporti con la conoscenza dell’essere-al-mondo ed al suo mistero di esistere4.

La qualificazione di transpersonale rinvia ad un approccio psicologico sempre più vivo in quest’inizio del XXI secolo. La psicologia transpersonale è un orientamento della psicologia ed un percorso di conoscenza dell’essere umano che integra allo stesso tempo le dimensioni spirituali, emozionali, corporali, cognitive e creatrici. Tiene conto delle grandi correnti di pensiero della psicologia contemporanea come la psicanalisi, la bioenergia e l’approccio cognitivo-comportamentale. Accetta anche molte pratiche spirituali quali la meditazione e la preghiera come pure  altrettanti percorsi che permettono all’essere umano di oltrepassare i suoi limiti.

La psicologia transpersonale propone di applicare le ultime scoperte della fisica quantistica allo sviluppo di una spiegazione scientifica dei vari stati di coscienza. Così, tenta di comprendere ciò che è l’essere umano in relazione con se stesso e con l’universo che lo circonda.

La psicologia transpersonale è un approccio integrativo ed inclusivo che presenta un’apertura sufficiente per considerare tutte le vie utili alla crescita dell’uomo.

La mia concezione del transpersonale come fenomeno trasversale rifiuta di fissarsi nell’orbita della pura tradizione come pure in un post-modernismo psichedelico di tipo New-Age. È vicina alla transdisciplinarietà di Basarab Nicolescu5 o al senso della complessità di Edgar Morin ed ansiosa di realismo. Nel mio approccio trasversale, rivendico il diritto all’emozione ed all’affettività, molto più dal lato delle emozioni-sentimenti che delle emozioni-schocs come propone oggi il filosofo Michel Lacroix nel suo libro Sulla cultura dell’emozione6.

Significa che il senso deve essere costruito rispetto ad un terzo incluso che supera ogni singolarità personale, che la integra completamente. Il transpersonale non si riduce ad alcun dogma, a nessuna religione, a nessun rituale, ma li considera tutti con attenzione benevola e vigilanza attiva. Sa che qualsiasi simbolo, qualsiasi mito, porta i germi di un’altruità (Krishnamurti)7, di uno sguardo, allo stesso tempo ancorato e sciolto, sul mondo, inesprimibile in ultima istanza. Il transpersonale ci conduce molto naturalmente verso una poesia verticale di cui parla Robert Juarroz8, o verso gli aforismi di Antonio Porchia9, nel migliore dei casi. Ma ugualmente il transpersonale conosce la forza dell’illusione possibile radicata nella credenza. Sa individuare il falso misticismo, l’ideologo di tutti i registri, che segue la conoscenza critica per garantire impunemente la sua autorità illegittima. I ricercatori di Dio. Liberateci dagli dei viventi, dai padri del popolo e dal bisogno di credere proclamava, più di vent’anni fa, il poeta Claude Roy10. La sua preghiera ci sarà di salubre avvertimento in tutti i settori della vita umana.

Ma questa presa di posizione non ci farà cadere, peraltro, nelle nuove forme dell’Inquisizione cosiddetta repubblicana che, nei discorsi e nelle commissioni parlamentari, stigmatizzano ogni orientamento spirituale non conformista. Si può, infatti, arrivare a pensare che le scuole di Steiner, apprezzate per la loro qualità pedagogica da lustri, o ancora la terapia etnopsichiatrica di Tobie Nathan, riflettano tendenze settarie, come proclama una relazione parlamentare sulle sette sotto l’egida di Alain Vivine. La pedagogia steineriana è stata attaccata fin dal 1999 dai parlamentari dogmatici11. Per avere qualificato come setta, su France 2, il movimento antroposofico, il presidente della commissione d’inchiesta parlamentare sulle sette, Jacques Guyard, è stato condannato, martedì 21 marzo 2001, a 20.000 franchi d’ammenda e 90.000 franchi di danni-morali. Il tribunale di Parigi ha ritenuto che il sig. Guyard non fosse in grado di giustificare un’indagine seria a sostegno delle sue accuse. Il deputato Jacques Guyard è stato tuttavia assolto dalla Corte d’appello con giudizio del 6 settembre 200112.

Il transpersonale ci obbliga a lavorare su ciò che si chiama la fede. Esso riconosce che la fede non può essere approcciata soltanto dal punto di vista dell’ideologia, come fanno le scienze dell’uomo e della società, dalla sociologia alla psicanalisi. Certamente, c’è nella fede una parte di condizionamenti sociali, psicologici, culturali, che la scienza può tentare di comprendere. Ma esiste anche una parte sconosciuta, irriducibile a qualsiasi conoscenza, che anima completamente il suo slancio e che è vissuta in modo assolutamente singolare. Il punto di vista di Sirius, proprio delle scienze sociali, non può dire niente di pertinente. Solo l’approccio fenomenologico può avere possibilità di chiarezza. L’arte e la poesia sanno a volte fornire una traccia luminosa del suo apporto. Questa parte sconosciuta anima ciò che Raimon Panikkar chiama lo spirito del monaco nel suo libro sull’Elogio del semplice13 e che i fenomenologi delle religioni qualificano come sanctum. Mircea Eliade parla di sacro per definire ciò che fa parte della struttura della coscienza e non, semplicemente, un elemento congiunturale e storico dell’evoluzione della coscienza stessa.

La difficoltà con questa parte sconosciuta – questo Caos, Abisso, Senza-Fondo – alla radice della filosofia di Cornelius Castoriadis14, è che è di solito ripresa in modo usuale dalle grandi religioni. Queste la iscrivono in dogmi intangibili, in rituali inevitabili. La fissano in una struttura immobile, ma rassicurante.

Ci si può liberare dei rituali? Si può vivere il sacro senza avere bisogno di grandi sacerdoti, di guru dagli sguardi che splendono, di iniziazioni interminabili, d’estasi straordinarie? È la sfida della spiritualità laica e libertaria del nostro tempo. Andiamo allora verso un’etica della perdizione a cui c’introduce Edgar Morin nella Terra-patria 15, un’etica personale che supera ogni morale sociale per raffinarla e renderla più efficace. Questo percorso non è senza tragico: una morale del disperazione e della beatitudine alla maniera di André Comte-Sponville16 che riflette sulla saggezza non dualista di Swami Prajnanpad. In questo processo d’approfondimento interiore, di presa di coscienza dell’avvenimento del fenomeno vita, la filosofia diventa veramente un’arte di vivere come annuncia Pierre Hadot, con i filosofi dell’antichità greca.

Ho molto rispetto per gli sciamani Kogis, quest’indiani della Serra Nevada, del nord della Colombia. Tentano di salvaguardare una cultura di alta spiritualità ecologica antecedente l’era pre-colombiana. C’interrogano sui fori che facciamo nella terra (i tunnel) per andare sempre più rapidamente. Ma perché volete andare più rapidamente e per andare dove, ci dicono? Pertanto occorre, come nella loro iniziazione tradizionale, dover passare diciotto anni nell’oscurità più totale per conoscere la realtà intrinseca del nostro mondo interiore? Quale prezzo occorre pagare simbolicamente per accedere alla saggezza transpersonale che ci conduca alla piena coscienza dell’unità del vivente, di tutto il vivente! Eric Julien, che riferisce la sua esperienza sconvolgente con gli indiani Kogis nel Cammino dei nove mondi17, ha intrapreso la sola opera che possiamo compiere per queste culture altre che hanno qualcosa d’essenziale da dirci: riacquistare le terre ancestrali che sono state spogliate e ridarle alla comunità indiana perché essa possa compiere il suo destino.

I sapienti di tutti i paesi, incessantemente, hanno posto la questione del senso. Da questo lato, Michel Lacroix s’inganna pensando che c’è un paradosso nel voler aumentare incessantemente da un lato il culto dell’io e del successo sociale e dell’altro la separazione e l’abolizione dell’ego. In verità, i ricercatori di verità autentiche non cessano di approfondire le illusioni dell’io sociale a vantaggio del risveglio dell’intelligenza, cioè la piena realizzazione del loro essere-al-mondo attraverso la via negativa. La loro finalità è precisa e la loro attenzione totale. Non sono in nessun modo in un paradosso. È per questo che non si può mettere Krishnamurti nello stesso sacco di tutti i seguaci incostanti del New-Age, come fa Michel Lacroix e altri sociologi delle religioni. Per quanto ne so, Krishnamurti non ha mai conosciuto l’angoscia paradossale descritta da Michel Lacroix. Questa è riservata a quelli che non hanno saputo fare una scelta di vita. Essi vogliono il burro ed il denaro del burro, il potere sociale ed il non attaccamento a qualsiasi potere che deriva dalla conoscenza intima della realtà ultima.

Se è vero, come pensano Gilles Deleuze e Félix Guattari, che i filosofi hanno interinato la morte del saggio18 dopo i pre-socratici, non hanno perso il perno dell’interrogativo ontologico nella loro ricerca permanente della saggezza. Al di là ai grandi sistemi filosofici, sempre più incerti oggi, l’uomo cerca un uomo, come Diogene nella città. Sembra incontrarlo in spazi sociali insoliti e non accademici, nell’ambito di quelle associazioni umanitarie che aumentano di giorno in giorno e nelle esperienze d’attività benevola. Su questo punto, un filosofo come Luc Ferry, che parla dell’uomo-dio e del senso della vita19, o un sociologo come l’americano Jeremy Rifkin che analizza la fine del lavoro20, sembrano tenersi su una posizione analoga.

Abbiamo a nostra disposizione una ricchezza incommensurabile per riflettere e meditare silenziosamente: i testi venuti dal fondo delle età scritte o pronunciate da persone che hanno oltrepassato il regno dell’ego. Contrariamente ad altre epoche, troviamo nelle librerie, in libri tascabili, la quintessenza della saggezza dell’umanità. Paradossalmente, sembra che questa ricchezza non passi nei nostri collegi, nei nostri licei e nelle nostre università. La subcultura adolescente cerca valori e trova le serate rave dove la musica techno serve ripetitivamente da rituale di trance. Se la parola diventa inesistente, il corpo balla freneticamente, nel cuore di una solitudine gigantesca e collettiva. I giovani vi trovano la loro dimensione e pretendono di comparare le loro riunioni estatiche con i rituali africani. Dimenticano semplicemente che nei paesi di tradizione i rituali in questione sono portati da una mitologia ancestrale che salda la comunità da generazioni. I Padroni-matti africani di Jean Rouch21, nel loro amalgama difensivo della tradizione e del colonialismo moderno, inventano rituali che includono ancora la storia del loro popolo. I nostri ragazzi, loro, sono sempre più senza storia, senza parola e senza speranza. Resta loro soltanto la violenza o l’apatia.

Potremo trovare il senso della parola e trasmetterla ai nostri ragazzi in questa tragica post-modernità culturale? Sapremo andare ad attingere in questo fondo comune mondiale della saggezza umana, religiosa o laica, per trovare il filo del senso?

La sua prima prospettiva è di gettare le basi di un’ibridazione assiologica universale a partire dalla storia umana del pensiero e della meditazione, indipendentemente dalle culture.

 

La vita interiore

Oggi i valori sono in questione ma la questione del valore esce forse rinforzata. L’istruzione si nutre di valori. Sono l’opposto dell’indifferenza come ha scritto il filosofo Reboul22. Costituiscono l’essenziale di ciò che fa senso per un essere umano. È il motivo per cui il senso non può ridursi all’analisi abituale in termini semantici, sintattici o pragmatici. Il senso, tessuto di valori, supera tutte le categorie delle scienze del linguaggio ed anche delle scienze dell’uomo. È portato da un’esperienza singolare radicata in un tremito dell’essere che, spesso, sfugge all’interpretazione di un altro.

Insegno da oltre trent’anni nell’insegnamento superiore. Sono stato spesso interpellato, durante la mia esistenza universitaria, con la domanda, da studenti giovani e meno giovani, concernente le dimensioni multiple di questa vita interiore. Ho provato a rispondervi, alla meno peggio, nell’ambito degli insegnamenti che ho riproposto, in particolare con un approccio sperimentale della filosofia di Krishnamurti da una quindicina di anni (23). Poco a poco ho sviluppato un approccio specifico nelle scienze umane, unendo tanto le discipline più disparate quanto lo sguardo filosofico, la sensibilità estetica e poetica o l’interrogativo ontologico derivato dalle culture del mondo. Ho chiamato questa prospettiva critica e comprensiva l’approccio trasversale. Le varie domande degli studenti ed i risultati delle mie ricerche espletate sul campo, mi hanno condotto a parlare d’ascolto sensibile nelle scienze dell’uomo e della società.

È con questo tipo d’approccio che voglio comprendere oggi le relazioni tra la vita interiore e l’istruzione.

La vita interiore pone la domanda permanente: chi sono? Un approfondimento di quest’interrogativo sfocia in una conversione totale dello sguardo su sé e sul mondo. I terapeuti, come i saggi orientali, lo sanno bene. Si tratta di una questione esplosiva quando è condotta al suo termine. Io è un altro risponde Rimbaud, prima di lasciare la poesia per diventare trafficante di armi.

Per i buddisti, come per i lacaniani, l’io è un’illusione, un’illusione ottica, che la meditazione o l’analisi scioglieranno. Gli strutturalisti ed i sostenitori della morte dell’uomo s’interessano all’argomento soltanto per mettere meglio in luce la sua sovrapposizione e la sua consistenza transitoria nel gioco strutturato delle relazioni sociali. Gli esistenzialisti, i personalisti, i fenomenologi, i freudiani nord-americani, gli interazionisti, gli etnometodologi non vogliono abbandonare l’importanza del me nell’interpretazione del mondo e nell’azione su quest’ultimo. In questa lotta per la spiegazione del essere-al-mondo, il soggetto, dopo un periodo di declino, ritorna di moda nelle scienze umane, non senza un’interrogativo permanente. Si parla del ritorno del soggetto (Alain Touraine) (24) contemporaneamente a ritorno del religioso, della totalità dell’universo (David Bohm) (25) o del reincantamento del mondo con una nuova alleanza ed una metamorfosi della scienza (Ilya Prigogine ed Isabelle Stengers) (26).

La battaglia infuria tra le varie correnti che vogliono appropriarsi della presenza o dell’assenza del soggetto. L’uomo, in tutto ciò, l’uomo della strada, non vi trova le sue piccole convinzioni ed osserva, confuso, i troppi concetti e le esclusioni teoriche.

Nessuno ne esce più felice e più cosciente da questa messa in scena della vita intellettuale. Le questioni determinanti rimangono invariate: cosa ne è della nascita, dello sviluppo umano, del lavoro degno di questo nome, della sofferenza, della paura, della libertà, dell’amore, della vecchiaia, della morte?

Perché siamo su questa terra, con quale intento, con quale finalità? Perché c’è qualcosa piuttosto che il nulla?

Cosa si chiama coscienza? È la coscienza di qualcosa o l’essere-coscienza che supera la singolarità biologica e mentale per diventare transpersonale?

Che cos’è l’impegno, la responsabilità, l’etica, in quest’epoca della barbarie estrema che ha inventato il genocidio a ripetizione, la Shoah e la pulizia etnica?

Cosa possiamo fare, individualmente e collettivamente, per costruire insieme un’altra civiltà degna dell’essere umano?

Siamo condannati a subire la geopolitica del caos (Ignacio Ramonet) (27), il laminatoio della globalizzazione comunicante con il suo corteo di esclusioni e di inquinamenti? I cittadini possono essere diversi da piccoli robot che votano succubi delle grandi macchinazioni dei produttori di miraggi?

La vita interiore è un’esistere faticoso, come dice Max Page (28). Articola paradossalmente un senso segreto della totalità ed un’eliminazione immediata della frammentazione. Il sentimento della totalità la dirige verso le vie dell’autocoscienza e del mondo noumenico. Il timore della frammentazione la costringe a vivere nel miraggio delle conoscenze, di cui alcuni lampi folgoranti sollevano tuttavia zone d’ombra imprevedibili.

L’istruzione è all’incrocio, all’interfaccia delle conoscenze in atto e della conoscenza intima. L’istruzione è il processo che esprime la dinamica della vita interiore in contatto con il mondo esterno. Non può essere definita da discipline scientifiche o categorie di pensiero istituite. È dell’ordine del divenire improbabile per ogni persona. Non esiste a priori, ma si fonde nel suo movimento stesso. Non ha scopi, né progetti, se non nel momento della riflessione. In essa l’esistenza non precede l’essenza e l’essenza, l’esistenza. Essere, è istruirsi, sempre con l’altro, e, con ciò anche fondare ciò che siamo nel corso di ciò che si verifica. Essenza ed esistenza coincidono nell’istruzione. La vita interiore mette in atto l’istruzione individuale. Avanza e chiarisce il mondo delle forme mentali, culturali, sociali, materiali, (la esistenzialità di ogni essere, come di ogni gruppo), alla fine, per fare vivere intuitivamente questo, da cui questo mondo delle forme è completamente collegato nell’ambito di una unipluralità indefinibile. La reliance (Marcel Bolle di Bal) (29) così vissuta è chiamata amore o compassione, secondo le culture.

Un insegnante è sempre un essere collegato. Per lo meno cerca di esserlo. Ma paradossalmente una ricerca della reliance è un vicolo cieco. La reliance è un dato immediato della coscienza senza oggetto.

Questa reliance conduce il ricercatore di senso in istruzione verso una transdisciplinarità necessaria. Basarab Nicolescu definisce la transdisciplinarità come un nuovo approccio scientifico, culturale, spirituale e sociale, che riguarda ciò che è allo stesso tempo tra le discipline, attraverso le discipline ed al di là qualsiasi disciplina. Da parte mia, concepisco questa transdisciplinarità come propriamente rivoluzionaria sul piano epistemologico, in particolare con l’interferenza dialogica tra i settori delle conoscenze plurali sull’uomo ed il mondo, e della conoscenza esperienziale di sé aperta al Senza-fondo dell’essere-al-mondo che Cornelius Castoriadis chiamava anche l’abisso, il caos. Questo vero approccio trasversale mette in sinergia la scienza, l’arte e la poesia, la filosofia e la spiritualità di tutti i tempi e di tutte le culture. Costituisce un nuovo umanesimo universale al di là di ogni pensiero riduzionistico e nazionalistico.

 

 

Il pensiero nell’istruzione

 

Si può bene scrivere soltanto andando verso lo sconosciuto - e non per conoscerlo, ma per amarlo, scrive Christian Bobin (Elogio del nulla) (30). Cosa si chiede agli studenti nei nostri corsi e seminari? Quale è il nostro grado d’esigenza riguardo alla conoscenza? Come si concilia il sapere (in collegamento con la eteroformazione) e la conoscenza (in collegamento con l’autoformazione)? Da parte mia, gli studenti lo sanno: chiedo l’impossibile… Ho sempre pensato, con Nietzsche, che l’uomo sia un essere fatto per essere superato… e, con San Francesco d’Assisi, che sia meglio comprendere che essere compreso; amare che essere amato. Mettere la sbarra più sopra  possibile, una tacca sopra ciò che tutti attendono. Rispettare lo studente nel lavoro realizzato. Far conseguire una laurea secondo un rituale che corrisponda a quel rispetto del lavoro reso, a maggior ragione una DEA o un dottorato. Riconsiderare la funzione simbolica dei riti di passaggio laicizzati, alla luce delle saggezze di altre civiltà. Ma, allo stesso tempo, valutare il lavoro in modo individuale. Il superamento di cui ho parlato deve essere sempre personalizzato. Ogni studente è preso nel suo contesto, nella sua storia sociale, nella sua psicologia, nel suo sforzo particolare per andare al di là di sé. Dunque rifiutare ogni confronto. Lo spirito di confronto è la mummia dell’istruzione e la votazione, il suo sarcofago incolore. I tradizionalisti (D. Hameline) dell’istituzione educativa ci hanno obbligati a ristabilire la votazione a Parigi 8, inquadrati dagli studenti nel loro abitudini scolastico. Proviamo, tutto sommato, a far vedere agli studenti, ciò che significa, per noi, fare scrivere, leggere e riflettere.

 

René Barbier

Occorre riposizionare la discussione in un modello d’interpretazione.

 

Il reale

Tutto è da situare nel reale. Ma, a questo livello, più che mai, siamo in una rappresentazione molto personale e necessariamente filosofica. Nessuno può dire realmente ciò che è il reale. Semplicemente, è là. Lo si sa perché ci si sbatte sopra, perché scoppia ovunque. Da parte mia, il reale è energia-materia fondamentale. È sempre esistito. È senza inizio né fine. È la trama di tutto ciò che esiste sul piano fenomenico. Sostenere che è, o no, coscienza spirituale dotata di una capacità d’amore infinito è forza della vita interiore e dell’esperienza intima di ciascuno. Su quest’ultimo punto, è meglio sapere tacere e rifiutare di fare uscire la propria artiglieria d’ideologo benpensante. Si esprime con un processo, un processo di strutturazione, destrutturazione, ristrutturazione incessanti, di forme, figure, immagini… Siamo, ovviamente, la trama stessa anche di questo processo, fino alle nostre cellule più intime del nostro sangue, i nostri pensieri più segreti. Prenderne coscienza, è diventare saggi, almeno nello spirito di una filosofia non dualista (Krishnamurti). Questa concezione del mondo non è senza analogia con il pensiero cinese tradizionale (31). Qualsiasi teoria in scienze umane è animata da una rappresentazione filosofica del mondo. Ancora occorre saperlo enunciare. Determina la struttura stessa della teoria. Così la mia teorizzazione in psicosociologia clinica dell’istruzione è influenzata da questa concezione filosofica (32).

1- Scrivere, leggere e parlare. Scrivere

Scrivere, leggere e parlare fanno parte di uno stesso insieme indissociabile. Senza di esso, la comunicazione diventa quasi impossibile. Una parte importante dell’opera dell’insegnante-psicologo Michel Lobrot (33) è dedicata a questa dimensione dell’esistenza umana. Le recenti ricerche, venute dall’Australia, sulla comunicazione facilitata (C.F.) con gli autistici, ci rivelano l’attività indispensabile della scrittura, qui mediante computer, per accedere al loro mondo di una chiarezza straordinaria e tragica lucidità metaforica (34). La lettura della lingua dei segni, reinventata e riappropriata in uno stato di fiducia, apre anche questo mondo di sofferenza degli autistici verso una comunicazione possibile (35). Voglio fare capire agli studenti che scrivere è il collegamento tra sé e gli altri, sé e l’universo, e, con ciò anche, tra sé e la parte di sé più segreta, più collegata all’ordine sottile del mondo. Siamo umani. Abbiamo la possibilità estrema di potere scrivere. Come non approfittarne? Scrivere, è trattare la lingua. Allacciarsi con la lingua, in un’amicizia conflittuale di cui ci parla così bene il filosofo Kostas Axelos. Scrivere, è diventare stilista - disegnare un abito per i nostri sentimenti, architetto e muratore - costruire la casa dei nostri sogni. La scrittura è l’arte di giocare con la morte. Come lo scrittore Christian Bobin, la scrittura è la caduta del fulmine nell’inchiostro (36). Scrivere non consiste dunque nel rifriggere, risputare il corso dell’insegnante o i libri scolastici. Ho orrore dei vomiti colti. L’atto di scrivere suppone una distanza con l’eteroformazione per entrare in una vera autoformazione. Chiedo agli studenti di diventare autori. Di trovare il loro stile di scrittura. Di stare in guardia dagli accademismi. Di entrare in ciò che Isabelle Stengers chiama la qualità del soggetto recalcitrante, necessaria, in scienze umane, per fare una ricerca autentica (37). Jacques Ardoino parlerebbe di négatricité. Non cerco il pecorame  universitario. Solo il cavallo selvaggio m’interessa, anche e soprattutto quand’egli galoppa con gli altri. La scrittura in scienze umane deve diventare plurale, meticcia. La lingua erudita si vuole inodore e senza sapore. Imparziale e neutrale, presumibilmente. Senza l’ambiguità inferiore. La struttura della lingua erudita si distinguerebbe così da quella della lingua poetica secondo i linguisti (38). Reclamo, al contrario, una lingua immaginifica, senza escludere il prosaico, una lingua sensibile, senza trascurare la logica. Una carica di toro ed un volo di rondine.

Una cattedrale di luce ed un casale cinto di vite americana. Ogni atto di scrittura consiste nel tirare un fuoco d’artificio simbolico nell’universo del senso. Non amo le linee diritte. Ciò che è troppo sistemato mi dispera. Ciò che non trema, non è umano. Apprezzo Feyerabend e la sua teoria anarchica della conoscenza. Conoscete l’americano Richard Brown (39)? Leggere.

Non si sa scrivere se non si vuole leggere nulla. I poeti troppo giovani sono spesso incolti in poesia. Conoscono soltanto i poeti di Lagarde e Michard. Più tardi imparano a confrontarsi con i creatori. Ad uscire dall’imitazione. Leggono Plume, ne fanno buon uso nel loro testo. Diventano veramente poeti. Che qualsiasi lettura si trasformi in letturizzazione attiva (40)! Ma senza dimenticare ciò che Patrick Berthier chiama il secondo apprendimento della lettura, criticando Foucambert, cioè una lettura d’approfondimento, di comprensione al di fuori d’ogni modo, una lettura non superficiale o puramente informativa (41). Occorrerebbe fare la stessa cosa in scienze dell’istruzione. Leggere e leggere ancora per non rifare Bourdieu o Piaget. Impregnarsi, in modo critico, di una miriade di teorie e di sguardi sul mondo. Discendere nelle pratiche enunciate. Fare il proprio mercato della conoscenza nelle biblioteche universitarie, certamente, ma anche presso i venditori di libri usati sulle rive della Senna. Partire all’avventura dell’istruzione, dove non si attendono soprattutto ricercatori in pedagogia. Esplorare tutte le regioni della conoscenza, senza limitarsi a ciò che occorre apprendere per essere un buono quadro, efficace per la globalizzazione finanziaria. Andare verso il sapere, come si va verso il mare. Contemplare il deserto nella pioggia. Aprire il mondo come un mango. Saper dire il proprio sogno.

Parlare

Scrivo e leggo per potere parlare - parlarti - a te lettore. La scrittura è come il gatto di Schrödinger. È allo stesso tempo morta e viva. Solo il lettore gli dà un’esistenza, con il suo sguardo interpretativo, in una sorta di collasso dello psico-lettore. Ma non dimentichiamo che il primo lettore è sempre l’autore. La scrittura gli rivela i continenti dell’invisibile di cui è il principe di un momento. A volte la parola emerge, isola vulcanica della pagina bianca. Altrove la frase diventa oleosa e l’immagine, un gabbiano smorto. Ogni scrittura è una parola silenziosa che implica un ascoltatore  che può rispondere. Amo che i miei dottorandi possano esporre la sintesi dei loro lavori a metà strada, in occasione delle giornate di studio aperto a tutti. Ricordo loro l’importanza della disputatio nella tradizione occidentale o orientale (Buddismo tibetano). Il Giurì universitario degno di questo nome non cerca mai di distruggere, ma interrogare ciò che resiste a qualsiasi logica e che il richiedente non ha osato nominare.

Parlare, è uscire dalla conoscenza bancaria. Comunicare ciò che si è potuto spigolare per scambiarlo. A volte con un sorriso. Spesso con una nuova domanda. In istruzione, chi dubita, cena. Conservare la propria conoscenza, è fare con i libri, come si fa nell’allevamento industriale con il pollame. I polli agli ormoni mi danno foruncoli. Li lascio alla cultura di Mac Donald, di Coca-Cola e di Disney Land! Dire il proprio sapere, senza farne una legion d’onore: tutta qui, la questione!

Gli studenti hanno bisogno d’aria. Soffocarli sotto le citazioni di autori sconosciuti è il più grande rischio degli universitari. Ma mascherare la pripria conoscenza, per un intellettuale, è una frode. Far condividere e creare insieme… una scommessa?

L’umore è certamente un rimedio. L’amore-amicizia, Philia, una necessità.

Dopo la vigilanza etica del rigore, guardarsi dall’ipocrisia dei censori e dal politicamente corretto. Negli Stati Uniti, dietro ogni insegnante, dietro ogni medico, si nasconde un avvocato.

Non dimenticare mai che in un libro, come in un essere vivente, c’è sempre un difetto eccelso, attraverso cui il senso si perde nell’infinito.

Parlare per farmi comprendere.

Farmi comprendere per suscitare la discussione.

Suscitare l’interrogazione per diventare umano.

Diventare umano per trovare il senso della vita.

Trovare il senso della vita per poterla dare.

Altrimenti, a che pro le scienze dell’uomo e della società?

 

2 - Riflettere, agire e meditare.

Riflettere

 Riflettere deriva dall’insieme dinamico ed interattivo: scrivere, leggere, parlare. Ogni riflessione è dell’ordine dell’unidualità. Allo stesso tempo, Una e completamente personale, ma allo stesso tempo collegata necessariamente ad un’altra che implica la società intera. È la madre (prima del padre) che inizia a fare riflettere il suo piccolo bambino poiché, con essa, l’universo dei significati immaginari sociali - la società - entra necessariamente e dischiude la monade psichica dell’infante, come pensa Cornelius Castoriadis. Chiedo agli studenti, così, di comprendere a quale punto sono soli ed a qual punto sono interdipendenti nella riflessione. Tento di creare dispositivi con i quali possano fare l’esperienza collettiva di questo processo.

Agire

La vita è attività. Nulla è immobile, nemmeno la morte. In un cadavere, quante turbolenze!

Agire corrisponde all’inserimento della persona umana nell’ordine dell’universo. Agisce con un’intenzionalità. Ma, senza meditazione, l’intenzionalità diventa rapidamente strumentale, il progetto si fa programma.

Tutta la questione consiste nel passare dall’intenzione all’attenzione e reciprocamente, come in una spirale. Il saggio orientale agisce spontaneamente senza avere l’intenzione di agire, cosa che è incomprensibile per il filosofo occidentale.

L’etica è alla base dell’agire. È etico tutto ciò che va nel senso della vita, preso nella sua accezione della Terra-Patria (E. Morin). Cosa che esclude tutti gli integralismi, i dogmatismi, gli scientismi. Tra Hiroshima ed i massacri di uomini, di vecchi, di donne e di bambini in Algeria, c’è sempre la stessa logica del peggio e dell’anti-vita.

Meditare

Riflettere da risalto, in ultima istanza, al pensiero del fondo (Heidegger). Le conoscenze hanno senso soltanto se aprono all’autocoscienza nell’ambito del mondo.

È in questo momento che l’etica scaturisce nel cuore della riflessione. Pensare non significa soltanto ragionare, sviluppare una logica aristotelica o dialettica.

Pensare vuole dire entrare nell’intelligenza del reale. Aumentare il suo livello d’autorizzazione noetica, cioè il suo meglio essere come persona umana (Joelle Macrez) (42).

Scoprire che nella meditazione, il pensiero del non pensiero (hishiryo, come dicono i monaci giapponesi), il pensiero del fondo è presente come un blu di lavanda diffuso nell’acqua del cielo.

Pensare impone di comprendere come le altre civiltà hanno dato e danno ancora senso,  chiarezza e sensibilità, al mondo incontrato. Pensare ricorda dunque di rimettere in questione l’Occidentalizazione del mondo che impone l’era della tecnologia planetaria di cui parla Kostas Axelos approfonditamente (43).

Il pensatore è una persona a pieno titolo. Io definisco la persona come l’essere umano integrato nel corso del reale e presso il quale non c’è più nessuno da nominare.

È il cittadino del mondo per eccellenza. L’opposto del fanatico nazionalista, dell’intellettuale imbevuto della sua autorità. L’essere della Terra-Patria presa nel flusso universale.

Pensare è conoscere, sempre in modo relativo, e tentare di portare questa conoscenza nell’ordine del sapere. Pensare è sapersi lucidamente incompiuto. La lucidità è la ferita più vicina al sole (René Char). Non dimentichiamo mai che l’incompiutezza è ciò che si contempla all’orizzonte: una luce blu di lavande. Meditare, in senso laico, è un’attività dello spirito che fa parte del reale. Meditare non vuole dire riflettere, pensare, immaginare. Meditare non implica alcuna posizione particolare, né seduta, né in piedi. Zen o Yoga, preghiera cristiana, indù o musulmana, non sono necessari (ma, a volte, questi comportamenti religiose hanno alcune conseguenze nella meditazione).

Non esiste alcun trucco per meditare. Nessun dio ha bisogno di essere invocato o revocato.

La meditazione è il biancore nevoso dello spirito. La cima del silenzio prima di tutte le valanghe emozionali del quotidiano. Lo stato di vacuità, di ricettività totale a ciò che è. Una costante ed sensibile attenzione, senza sforzo. Un’osservazione permanente all’imprevisto che, incessantemente, emerge dal reale.

Meditare è la non intenzionalità in atto. Il fatto di vivere, di essere, il processo nella sua semplicità più radicale. Un poeta messicano, attratto dall’oriente, Octavio Paz, aveva ben visto che la poesia diventava la vera e sola religione possibile del nostro tempo. Una religione senza dio, senza garanti metasociali, attraverso la quale si esprime l’uomo incerto ed incompiuto (44).

A volte, in questa via brusca, succede che si comprenda qualcosa di non definibile… È ciò che chiamo il flash esistenziale.

Istruire consiste in una mediazione/sfida tra i saperi eteronomi e la conoscenza sempre autonoma. Istruire è in uno spazio intermedio. Un collegamento interattivo che, allo stesso tempo, dice uno e due, il latente ed il manifesto, la creazione e la finitezza.

 

René BARBIER

Università Parigi 8, Parigi, Francia.

 

Riferimenti bibliografici


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Bulletin Interactif du Centre International de Recherches et Études Transdisciplinaires n° 18 - Mars 2005

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