BANDO DI CONCORSO PER L'ASSEGANZIONE DI BORSE DI STUDIO
PER GLI STUDENTI DELLE SCUOLE PUBBLICHE
DEL DISTRETTO SCOLASTICO DI MARTANO
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del Ministero delle Politiche Agricole e del Provveditore agli Studi di Lecce.
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ECONOMIA AGRICOLTURA OLIVICOLTURA:
RUOLO DELLA COOPERAZIONE PER LO SVILUPPO DEL TERRITORIO.
Borsa di studio bandita da
Coop. Agr. "NUOVA GENERAZIONE"
Via provinciale Martano-Borgagne Km 1
73025 Martano (LE)
Lilliput Edizioni
1999
I edizione Martano (LE), 2° trimestre 1999Fascicolo autoriprodotto da
Edizioni LILLIPUT
C/o Paolo Coluccia, via Castrignano 51
73025 MARTANO (LE)
Tel. 0368 419399
Riproduzione libera.
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Indice
APPENDICE 3APPENDICE 1
Il consumo dellolio di oliva nel Regno UnitoAPPENDICE 2
Le esportazioni di olio doliva verso il Giappone
APPENDICE 4
SITUAZIONE MACROECONOMICA ITALIANA
Bibliografia essenzialeAPPENDICE 5
DOCUMENTO CONCLUSIVO VI CONFERENZA EUROPEA SULLECONOMIA SOCIALE
*****
L'orientamento costituzionale riconosce con l'articolo 45 la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. In attuazione al dettato costituzionale, sono state emanate numerose leggi statali e regionali per il sostegno e la promozione della cooperazione. Gli interventi legislativi, infatti, hanno mirato sempre a promuovere e a favorire l'incremento della cooperazione, i suoi caratteri e le finalità, tuttavia con gli opportuni controlli.
In verità quasi tutte le norme prevedono agevolazioni tributarie e benefici di natura economica e finanziaria.
Si considerano cooperative le società costituite per gestire un'impresa con scopo mutualistico. La società cooperativa, quindi, deve esercitare professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni o servizi (art. 2511 c.c.).
Lo scopo prevalentemente mutualistico delle cooperative consiste nel fornire beni o servizi od occasioni di lavoro direttamente ai membri dell'organizzazione a condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbero dal mercato.
Corre l'obbligo alle cooperative legalmente costituite e qualunque sia il loro oggetto, di essere iscritte nel registro prefettizio delle cooperative.
Il registro è tenuto distintamente per sezioni a seconda della diversa natura ed attività:
- Sezione cooperazione di consumo;
- Sezione cooperazione di produzione e lavoro;
- Sezione cooperazione agricola;
- Sezione cooperazione edilizia;
- Sezione cooperazione di trasporto;
- Sezione cooperazione della pesca;
- Sezione cooperazione sociale;
- Sezione cooperazione società di mutuo soccorso ed enti mutualistici di cui all'art. 2512 del c.c.
Risulta evidente che la totalità dei settori produttivi può essere interessata dalla
cooperazione.
In relazione alla responsabilità patrimoniale che si assumono personalmente i soci con l'Atto Costitutivo, le cooperative si distinguono in:
- Società cooperative a responsabilità limitata: la società risponde verso i creditori sociali soltanto nei limiti del capitale sottoscritto (art. 2514 c.c. comma 1°).
- Società cooperative a responsabilità illimitata: la società risponde con il suo
patrimonio e, in caso di liquidazione coatta o di fallimento, rispondono in via sussidiaria i soci solidamente e illimitatamente (art. 2513 c.c.)
- Società cooperative a responsabilità sussidiaria: la società risponde con il suo
patrimonio e, in caso di liquidazione coatta o di fallimento, ciascun socio risponde verso i creditori sociali non solo nei limiti del capitale sociale sottoscritto, ma anche sussidiariamente e solidamente per una somma multipla della propria quota a norma dell'art. 2541 c.c. (art. 2514 c.c.).
Una particolare tipologia di cooperativa di recente introduzione è quella prevista dalla legge 381/91 riguardante le cooperative sociali. Le cooperative sociali hanno lo scopo di perseguire l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini attraverso la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi, lo svolgimento di attività varie (agricole, industriali, commerciali o di servizi) finalizzate all'inserimento di persone svantaggiate.
Può essere socio ogni persona fisica in possesso dei requisiti necessari per il
conseguimento dello scopo sociale. I soci di cooperative di lavoro devono essere
lavoratori ed esercitare l'arte o il mestiere corrispondente o affine alla specialità della
cooperativa. Possono essere soci anche le persone giuridiche.
Il numero minimo dei soci è 9.
Il socio ha una serie di diritti e di doveri disciplinati dalle norme di legge e dal
contratto sociale. Il principale diritto è la partecipazione ai benefici sociali, ad utilizzare i servizi e a conseguire le forniture costituenti lo scopo della società.
L'obbligo essenziale è l'acquisto della partecipazione alla società. La somma
complessiva dei valori che tutti i soci apportano alla cooperativa, costituisce il capitale sociale. Il capitale sociale, nell'impresa cooperativa, ha una funzione strumentale e non è un investimento patrimoniale fine a se stesso (art.2520 c.c.). Gli organi sociali obbligatori sono i seguenti: l'Assemblea, il Consiglio di Amministrazione, il Collegio sindacale. L'Atto Costitutivo e una serie di articoli del c.c. regolano compiti e attività degli organi sociali. La società è rappresentata di norma dal Presidente del Consiglio di Amministrazione. La società cooperativa deve costituirsi con atto pubblico. L'art. 2518 c.c. indica ciò che l'Atto Costitutivo deve obbligatoriamente contenere. Lo Statuto fissa le norme relative al funzionamento delle società, si considera parte integrante dell'Atto Costitutivo, al quale deve essere collegato art. 2518 c.c.). L'Atto Costitutivo e lo Statuto possono essere modificati dall'Assemblea dei soci. Le deliberazioni devono essere depositate e iscritte nel registro delle imprese con la medesima procedura prevista all'atto della costituzione.
Le società cooperative devono tenere i libri sociali e contabili previsti dal codice civile, dalle leggi tributarie e da altre leggi, nonché le scritture contabili richieste dalla natura e dimensioni dell'impresa (art.2214 c.c.).
Gli amministratori della cooperativa devono redigere il bilancio di esercizio. Questo deve essere comunicato dagli amministratori al collegio sindacale almeno 30 giorni prima di quello fissato per la discussione in Assemblea. Il Collegio sindacale riferisce all'Assemblea sull'esercizio sociale e sulla contabilità, fa osservazioni e proposte anche in ordine alla sua approvazione. Il bilancio è approvato dall'Assemblea generale dei soci. (art. 2423 c.c.).
La società cooperativa si scioglie per il decorso del termine, per il conseguimento dell'oggetto sociale o per impossibilità di conseguirlo, per impossibilità di funzionamento o per la continuata inattività dell'Assemblea, per decisione dell'Assemblea o per cause previste dallo Statuto, nonché per la perdita del capitale sociale (art. 2539 c.c.).
In caso di irregolarità o di eccessivo ritardo nello svolgimento della liquidazione ordinaria di una società cooperativa, il Ministero del Lavoro e Previdenza sociale, quale autorità governativa, può sostituire i liquidatori o chiederne la sostituzione al Tribunale se questi sono stati nominati dall'autorità giudiziaria. (art. 2545 c.c.). Il patrimonio residuo delle cooperative in liquidazione, dedotti il capitale versato e rivalutato e i dividendi eventualmente maturati, deve essere devoluto ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione.
Le cooperative possono essere sciolte dall'autorità governativa mediante decreto del Ministero del Lavoro come pure può essere disposta sempre dalla medesima autorità governativa la liquidazione coatta (art. 2544 c.c. e art. 2540 c.c.).
Il dettato costituzionale si estende pertanto con una configurazione legislativa
sull'impresa cooperativa in maniera molto ampia ma nello stesso tempo in maniera molto generale. L'auspicio di una chiarezza legislativa si realizza (o comincia a realizzarsi) negli anni 90 (legge 381/91 sulle cooperative sociali e la legge 59/92 di cui accenneremo in seguito).
Il ritardo di una legge-quadro chiara e una disattenzione strategica di economia
politica nel dopoguerra hanno prodotto sul territorio nazionale un risultato controverso e contrastante nel quadro empirico ed economico della cooperazione.
Un gruppo di regioni del Centro-Nord, in particolare la regione Emilia-Romagna, possedevano già prima del varo della Costituzione italiana un tessuto produttivo affidato ad organizzazioni cooperative. In particolare la cooperazione italiana si differenziava da quella straniera perché tra i soci notevole era il numero di contadini e di semplici operai. Secondo la tesi riportata da Robert Putnam, politologo statunitense di spessore internazionale, nella ricerca La tradizione civica nelle regioni italiane, tra il Nord e il Sud del Paese c'è sempre stata una grande differenza dello spirito cooperativistico, volto a risolvere i grossi problemi della collettività. Secondo Putnam la differenziazione risale alla differente influenza politica registratasi nell'epoca medioevale. La costituzione del capitale sociale che sta alla base della cooperazione e/o del suo successo si costituisce nella società in un arco temporale molto ampio. Secondo questo studioso, l'impero normanno (autocratico, accentratore, centralizzato) e il repubblicanesimo (i Comuni e la collaborazione orizzontale) hanno fatto la differenza nel corso dei secoli. "Con la morte di Federico II e il conseguente declino dell'autorità del sovrano aumentano il potere e l'autonomia dei baroni (...). Nei secoli successivi l'aristocrazia terriera feudale divenne sempre più potente mentre le masse di contadini lottavano miseramente ai limiti della sopravvivenza fisica (...). Anche se nei sette secoli che seguirono l'Italia meridionale fu oggetto di contesa da parte di diverse potenze straniere (specialmente la Spagna e la Francia), questa struttura gerarchica avrebbe resistito sostanzialmente inalterata. Il regime rimase una monarchia feudale".
Ben diversamente andarono le cose nelle regioni del Centro-Nord. "Come il regime autocratico di Federico II, anche il nuovo sistema repubblicano nacque in risposta alle violenze e all'anarchia (...). La soluzione che emerse al Nord fu diversa in quanto si reggeva meno sulla gerarchia verticale e più su una forma di collaborazione orizzontale. I Comuni nacquero, all'inizio, come Associazioni volontarie, formatesi quando gruppi di vicini giurarono di assistersi reciprocamente, di difendersi a vicenda e di cooperare dal punto di vista economico".
Dunque, due società differenti e due stili di vita opposti.
Verso la fine del secolo scorso le differenze di impegno civico, di eguaglianza
politica, di solidarietà, fiducia e tolleranza, che in ambito economico fondano la base della cooperazione, divennero ancora più marcate.
Nel Centro-Nord "vi erano le cooperative del latte, quelle del vino, le Casse rurali e le cooperative che organizzavano delle vendite collettive per i prodotti ortofrutticoli deperibili. Esperti di agricoltura venivano spesso assunti da una cooperativa e mandati a fare delle dimostrazioni, nei vari giorni di mercato, per insegnare, ad esempio, l'arte della potatura e della produzione del vino e l'utilizzazione di alcuni ortaggi nella rotazione delle colture". Al contrario, "i contadini meridionali erano in costante concorrenza tra di loro nel tentativo di strapparsi le migliori strisce di terra sul latifondo e le magre risorse che offriva. Le relazioni verticali tra padrone e cliente e l'ossequio al padrone erano più importanti della solidarietà sociale orizzontale. Questo intreccio di povertà e sfiducia verso il prossimo impedì lo sviluppo della solidarietà orizzontale in qualunque forma e favorì ciò che Banfield ha chiamato il "familismo amorale". In una economia latifondista sovrappopolata - ricorda Sidney Tarrow - la piazza del villaggio era un ufficio di collocamento dove i pochi fortunati trovavano una giornata di lavoro, mentre i loro compaesani stavano a guardare con amarezza. E' lampante il contrasto con quei braccianti dell'Emilia Romagna che, davanti a un simile dilemma, formavano cooperative volontarie per cercare un lavoro insieme".
Si può o no essere d'accordo con le tesi del Putnam. E' certo, però, che le grandi differenze tutt'oggi esistenti nel contesto economico cooperativo del Sud e del Centro-Nord sono una realtà evidente.
Nel dopoguerra la legislazione e i governi, al di là del dettato costituzionale, non hanno effettivamente inserito nella legislazione degli interventi specifici orientati a favorire la nascita dello spirito cooperativistico nelle regioni del Sud. Anche il sindacato non concepì un orientamento all'auto organizzazione, bensì all'assistenza e alla dipendenza: "La CGIL concentrò la sua attenzione, per quanto riguardava le campagne meridionali, sulla condizione dei braccianti, cercando di imporre due politiche tra loro strettamente legate: l'imponibile di manodopera e il sistema di collocamento. L'imponibile era un contratto che obbligava il proprietario terriero ad assumere un certo numero di braccianti in modo rigidamente proporzionale all'estensione della sua proprietà. Il sistema del collocamento cercava invece di regolare il modo in cui venivano reclutati i braccianti. Il venerando rituale con cui i caporali dei proprietari sceglievano ogni mattina sulla piazza i lavoratori da assumere veniva così proibito. Al suo posto il sindacato voleva che venissero compilate delle liste ufficiali di disoccupati e che le assegnazioni venissero decise secondo un sistema di priorità basato sul bisogno e sull'anzianità di lavoro che doveva essere elaborato e controllato dal sindacato stesso. Così, mentre l'imponibile aveva lo scopo di controllare il numero dei braccianti che poteva ottenere lavoro, il collocamento cerca di stabilire quali dovessero essere e con che criterio dovesse essere distribuito loro il lavoro". Nella sostanza i rapporti verticali di dipendenza non venivano sostanzialmente variati ma resi solo più socialmente giusti.
Se si guarda con una certa obiettività ancora oggi il quadro empirico concernente la struttura economica dell'economia e linfluenza del movimento cooperativo nel mezzogiorno è palesemente differente rispetto ad alcune regioni del Centro-Nord. Ciò non è edificante, ma è comunque un punto di partenza per affrontare serenamente la situazione economica e sociale per il prossimo millennio.
Il dilemma dell'azione collettiva nel Sud non è mai stato affrontato e pienamente avviato a soluzione. I dilemmi dell'azione collettiva irrisolti purtroppo ostacolano sia la politica che l'economia della cooperazione per il raggiungimento di un prezioso vantaggio della comunità.
3. La cooperazione tra futuro, mercato e tutela.
Nel dibattito sulla riforma del welfare state si è più volte sottolineata la centralità della forma cooperativa, segnalando come questa può rappresentare un luogo economico ottimale per la realizzazione di una proficua sintesi degli interessi dei produttori e dei consumatori di beni e servizi sociali. Queste caratteristiche necessitano di adeguate costruzioni legislative per potersi pienamente realizzare. Come capita spesso, è proprio in questa fase che si sciolgono gli accordi unanimi della teoria e la discussione rischia di degenerare in sterile polemica.
La visione astratta di co-imprenditore del socio di cooperativa è sostanzialmente condivisa sia all'interno del movimento cooperativo sia all'interno del mondo sindacale. Ciò che è difficile è la traduzione normativa di questo concetto. Molti hanno ampiamente sottolineato l'estrema eterogeneità delle realtà afferenti all'economia cooperativa. Diversità sostanziali emergono tra le imprese operanti in settori diversi: basti pensare agli obiettivi e alle forme organizzative che distinguono le cooperative che operano in ambiti differenti. Differenze ancora più rilevanti derivano dalla variabilità che assume la dimensione aziendale nelle imprese mutualistiche. Rivestire il ruolo di imprenditore di se stesso in un piccolo gruppo è naturalmente cosa ben diversa che farlo in un'impresa con migliaia di soci-lavoratori. Ne deriva che la normativa destinata a regolare la figura del socio lavoratore, pur originando da un principio unitario, dovrà tenere conto dei diversi contesti di applicazione e assumere, di conseguenza, un'articolazione adeguata a contenere la variabilità del fenomeno.
La variabilità di remunerazione rappresenta il rischio d'impresa. Questo rischio non sempre è un pericolo per il socio ma, al contrario, può diventare una risorsa fondamentale. Senza accettare lo stimolo verso l'efficienza, l'efficacia e l'innovazione rappresentato dal rischio, la cooperazione non potrebbe proporsi come soggetto economicamente credibile. Questo non vuol dire, allo stesso tempo, che non vi siano esigenze di tutela delle condizioni retributive dei soci lavoratori, in altre parole, non sono accettabili condizioni di trattamento inique per chi svolge la propria attività lavorativa all'interno delle cooperative.
La teoria economica ha sottolineato che per ottenere un'organizzazione efficiente a livello di rischio tutti i partecipanti all'impresa devono essere commisurati alla loro vera capacità di controllo della gestione. Una delle caratteristiche peculiari della forma cooperativa è proprio l'esistenza di un diritto al controllo da parte del socio lavoratore. L'effettività di questo diritto, tuttavia, varia notevolmente a seconda delle tipologie di impresa: in una piccola cooperativa, formata prevalentemente da operatori specializzati, si può avere un pieno controllo delle informazioni aziendali; in una grande cooperativa, per esempio di edilizia, il socio manovale edile ha una capacità di controllo (e quindi di rischio) sicuramente non compatibile a quella del socio manager o tecnico.
Di fronte a questi squilibri è opportuno porre di fronte al legislatore diverse soluzioni, riferite sia alle professionalità più elevate e ai livelli retributivi, al fine di garantire un'autentica realizzazione del principio della democrazia economica.
Due le esigenze fondamentali: scongiurare il rischio da una parte che sotto le spoglie dell'imprenditorialità democratica e solidale si celino tentativi di sfruttamento dei lavoratori, dall'altra ampliare gli strumenti conoscitivi di controllo che garantiscano opportunità di coinvolgimento reale dei soci nella gestione dell'azienda cooperativa.
E' evidente che ogni uso strumentale della formula cooperativa non potrà che danneggiare gravemente quella credibilità che l'agire mutualistico si è guadagnato nel tempo. Non porre un'attenzione particolare all'identità cooperativa potrebbe danneggiare gravemente questa forma particolare d'impresa e la sua ragion d'essere nei futuri sistemi di welfare. Il controllo deve estendersi all'interno e all'esterno e occorre favorire la stesura di una legge quadro quanto più illuminata e trasparente possibile.
Allo stesso tempo, la formula cooperativa deve continuare ad attrezzarsi per stare sul mercato in maniera competitiva, valorizzando le proprie peculiarità gestionali ed organizzative, quali valori aggiunti da immettere sul mercato, per raggiungere una maggiore efficienza economica ed efficacia sociale, nel pieno rispetto delle regole. L'idea cooperativa può continuare ad affermarsi se è in grado di valorizzare i principi della democrazia economica, senza piegarli agli opportunismi del momento, e quando accetta di misurarsi con gli altri soggetti imprenditoriali, senza alcun tentativo di scavalcare le regole della libera concorrenza.
La cooperativa di produzione e lavoro rappresenta una delle numerose tipologie che interessano le società cooperative in genere.
Affinché una cooperativa possa considerarsi di produzione e lavoro è necessario che la stessa, oltre a produrre beni e servizi, organizzi tecnicamente e disciplinarmente il lavoro dei propri soci.
Tale organizzazione presuppone la disponibilità dei mezzi di produzione dei beni o dei servizi, la gestione della struttura aziendale, la subordinazione dei soci lavoratori alla gerarchia aziendale, l'obbligo dei medesimi di rispettare l'orario di lavoro, di giustificare le assenze dal servizio, il diritto ad una retribuzione (mensile, settimanale ecc.), alle ferie, al riposo infrasettimanale, alle assicurazioni obbligatorie, alle coperture previdenziali.
L'elenco sopra accennato, peraltro non esaustivo, caratterizza in modo particolare la cooperativa di produzione e lavoro. Al di fuori di questa organizzazione della struttura non può esservi cooperativa di produzione e lavoro ma semmai cooperativa di servizio, che è cosa ben diversa, in quanto esaurisce il proprio scopo mutualistico nel fornire ai propri soci una serie più o meno vasta di servizi strumentali.
Tuttavia, la presenza pur rilevantissima di elementi caratterizzanti il rapporto di lavoro tipico subordinato, occorre riconoscere che in questa tipologia cooperativa prevalente è il rapporto sociale, che si evidenzia nel complesso rapporto giuridico cooperativa-socio-lavoratore. Interessante a proposito la sentenza della Corte di Cassazione del 30 agosto 1991, n. 9238, che si distingue per sinteticità e chiarezza quando nella sua parte dispositiva recita testualmente: " E' esclusa la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato in quanto la prestazione lavorativa del socio è attratta dal rapporto societario anziché da quello di lavoro".
Il socio-lavoratore, in buona sostanza, viene considerato un socio co-imprenditore che assume, insieme agli altri soci, il rischio di impresa e non piuttosto come semplice lavoratore subordinato.
In alcuni paesi, e soprattutto nel nostro, la cooperazione di produzione e lavoro ha antiche radici e un forte insediamento, almeno in alcune regioni del Centro-Nord, offrendo un contributo originale all'occupazione.
Questa tipologia di cooperativa, pur con tutte le problematiche presenti in materia di tutela, diritti sindacali, regolazione di conflitti e tutto ciò che ancora è in fase di discussione, rappresenta una nuova e importante opportunità di lavoro in aree di mercato e territoriali deboli, dove il rispetto dei diritti minimi ma certi potrebbe essere un buon punto di partenza per lo sviluppo economico e la crescita sociale. Conviene provare e sperimentare sempre nuove iniziative. Occorre però impegnarsi insieme, Governo, Sindacati e Cooperative già radicate e funzionanti, nel principio della sussidiarietà e non della dipendenza verticale fine a se stessa, in uno sforzo comune per creare nuove imprese cooperative, più che per ampliare i propri scopi statutari, e per dare nuove possibilità di lavoro a gruppi di giovani e di disoccupati.
La legislazione svolge un ruolo cruciale nella problematica dello sviluppo cooperativo e dello sviluppo economico in generale.
E' con la Legge 31 gennaio 1992 n. 59, frutto di un profondo dibattito, che la società cooperativa viene dotata, almeno sulla carta, di uno strumento per la raccolta di capitali di "mercato", e non solo presso i soci che partecipano all'attività mutualistica. Purtroppo, le difficoltà di attuazione di questa norma hanno portato, tutto sommato, ad un modesto beneficio nella struttura economica cooperativa nel suo complesso. La riforma della legge spinge ad una riflessione: viene portato alle sue estreme conseguenze il presupposto, definito con chiarezza dal dettato Costituzionale, dal Codice civile e dalla legislazione speciale secondo cui la cooperativa rappresenta una forma di impresa in ogni caso connotata dallo scopo mutualistico; ma viene anche riconosciuto per la cooperativa la regola secondo cui tutte le imprese devono essere messe in condizione di svilupparsi cogliendo tutte le opportunità che si presentano nel mercato e viene riconosciuto altresì anche all'impresa cooperativa la necessità di consentire che il suo sviluppo si realizzi attraverso adeguate forme di capitalizzazione, che in precedenza erano negate o comunque ampiamente compresse.
Occorre dire che l'applicazione del nuovo istituto normativo non è dei più facili: numerose acrobazie vengono lamentate dagli operatori direttamente interessati, specialmente per rendere i provvedimenti attuativi coerenti con il resto della disciplina cooperativa (che è del tutto eterogenea). Allo stato dei fatti non si può ancora dire che alla Legge 59/92 si sia voluto riconoscere ancora pienamente la strumentazione necessaria per garantirne il buon funzionamento e questo limite risalta in chiaro fin dalla sua approvazione.
L'art. 45 della Costituzione contempla la promozione cooperativa come parametro di indirizzo del legislatore. E il legislatore non può non essere attento alla società in continuo mutamento, in particolare modo allevoluzione dell'economia di mercato. Non si può dimenticare che sta cambiando la struttura dei mercati di riferimento, che costituiscono altrettanti bacini per lo sviluppo delle imprese. Si stanno affacciando nel sistema finanziario nuovi intermediari istituzionali (ad es. i fondi pensione) e si va delineando una nuova disciplina dei mercati finanziari. Queste novità stanno prendendo, anche se ancora molto lentamente, il posto dei titoli di Stato ed individuano in concreto nuovi spazi per convogliare il risparmio privato verso la capitalizzazione delle imprese. L'impresa cooperativa, segmento intermedio tra l'economia di mercato e la mutualità solidale della persona non può essere penalizzata dal mutamento finanziario in atto e in un contesto globale di economia liberale.
E' importante a proposito non perdere di vista l'enorme importanza che la differenziazione delle imprese cooperative, volente o nolente, rivestono nel patrimonio economico e produttivo. Oggi più che mai, proprio per far fronte a problematiche finanziarie e di economia diretta, si rappresenta la necessità di superare l'attuale situazione normativa nella quale tutte le cooperative sono trattate sostanzialmente allo stesso modo, mentre sono diversi i modi con cui i diversi tipi di impresa mutualistica esprimono le loro caratteristiche: il modo di intendere e perseguire lo scopo mutualistico, le forme di funzionamento organizzativo ecc.
Si consideri, per fare soltanto un esempio, a come si può individuare lo scopo mutualistico di una cooperativa di lavoro e di una cooperativa di trasformazione di prodotti agricoli. E, ancora, a come si può identificare la democrazia societaria di una cooperativa di servizi tra imprenditori ed in una cooperativa di consumo. Questa esigenza di introdurre nella legislazione elementi di differenziazione per i diversi tipi di cooperative non può fondarsi soltanto sul regime patrimoniale e fiscale. Non si può risolvere peraltro in modo artificioso e sbrigativo il problema della capitalizzazione dell'impresa cooperativa, che è problema di tutte le cooperative, creando divaricazioni o semplicemente due modelli. Si potrebbe dire, con una battuta, che più che due modelli ci sono tanti modi per esprimere la realtà mutualistica, che ha caratteri organizzativi, esigenze economiche, bisogni e opportunità per stare sul mercato e di finanziarsi estremamente diversificati.
Inoltre il doppio modello individuato sulla base del finanziamento rischia di diventare estremamente pericoloso sul piano della legittimazione sociale delle cooperative se si considera la vicinanza del movimento cooperativo e il nuovo aggregato delle imprese non-profit, le organizzazione non lucrative di utilità sociale. Non si può trascurare il significato che la nuova disciplina (D.L.vo 4 dicembre 1997 n. 460) sugli organismi non-profit è destinata ad assumere per il movimento cooperativo, rispetto alla valutazione dei criteri di utilità sociale e di legittimazione sociale, così come anche rispetto alle modalità agevolative, da parte dello Stato, delle strutture ritenute meritevoli.
Pertanto, una revisione della disciplina cooperativa deve soddisfare da un lato le esigenze di sviluppo imprenditoriale e dall'altro non può trascurare la compatibilità derivante dalla specifica funzione sociale dell'impresa mutualistica.
Entrambe le esigenze costituiscono elementi identificativi socio-economici dell'esperienza cooperativa italiana: si tratta di renderli compatibili, senza che una renda debole l'altra, anzi facendo in modo che l'una rinforzi l'altra. Cercare in termini concreti di individuare un modello legislativo articolato e flessibile, in cui ogni cooperativa sia tenuta al rispetto di determinati obblighi, ma abbia la possibilità di scegliere il mix di costi e di opportunità più adeguato alle sue condizioni economiche: questa è una proposta di politica economica per il futuro della cooperazione.
A proposito soccorre il consolidamento della legislazione in atto della Società cooperativa europea in cui è previsto espressamente che le cooperative possano finanziarsi sul mercato dei capitali. Il principio di mutualità interna, che si persegue attraverso la gestione di servizio ai soci, e il principio di mutualità esterna, centrato sulla crescita del patrimonio, ed infine gli scopi di tipo lucrativo riconosciuti dalla Legge 59/92 possono precorrere una massimizzazione dell'efficienza della cooperativa.
Le azioni di partecipazione cooperativa istituite parallelamente al socio sovventore dalla Legge 59/92 sono un istituto nuovo, che possono essere utili per immettere nuovi capitali e logiche rinnovate nella dinamica dell'impresa. Occorre però valutarne bene caratteristiche, potenzialità e limiti, senza perdere di vista il fine generale dell'azione collettiva e mutualistica.
Un ruolo determinante deve comunque essere sempre riconosciuto al diritto dell'informazione rispetto al socio cooperatore. Questo è un diritto incontrovertibile. Se nei fatti può accadere, per effetto del gigantismo di alcune strutture cooperative, che l'informazione non circoli adeguatamente tra i soci della cooperativa, ciò non vuol dire che in questi casi specifici la cooperativa sia in fase di distacco rispetto agli intenti dei soci e corra il rischio di andare incontro a processi degenerativi. Al di fuori di siffatte ipotesi il diritto di informazione del socio cooperatore non è e non vuole essere uno strumento di limitazione dei poteri degli organi gestionali: nelle vere cooperative, grazie anche ad espedienti escogitati dai legislatori, il diritto di informazione costituisce infatti il mezzo per una efficiente partecipazione del socio alla gestione dell'impresa comune con gli altri soci.
Nel variegato panorama socio-economico del movimento cooperativo non possiamo non accennare ad uno strumento importante previsto ancora lacunosamente dalla legislazione che è la società consortile. Interessante per il potenziamento delle capacità operative dell'impresa, tradizionalmente oggetto di un largo e frequente impegno nel mondo cooperativo, il consorzio presenta peculiarità giuridiche e funzionali complesse ma efficaci.
6. Cooperazione ed economia sociale.
Una profonda elaborazione legislativa di economia sociale è in corso in molti paesi dell'Unione Europea, tra cui l'Italia. Essa punta a dare più peso alla soggettività del lavoratore e del cittadino e insieme a introdurre una maggiore responsabilità di ciascuno che con il suo impegno locale può portare un grande vantaggio all'efficienza e allo sviluppo sociale ed economico anche a livello globale.
Le caratteristiche dell'economia sociale, per la forma di partecipazione nell'adozione delle decisioni e per il modo di considerare i fattori produttivi, non sono un ostacolo ai processi di consolidamento di attività imprenditoriali trans-nazionali. La forma cooperativa d'impresa, con la sue forti componenti di auto-occupazione, di democrazia nella gestione e di sviluppo di capitale sociale oltre a stimolare possibilità reali di sviluppo motiva giovani o gruppi con difficoltà di integrazione all'azione e alla soluzione delle proprie difficoltà. In tal modo è possibile intravedere che un'alternativa per il loro inserimento o una non emarginazione nel mercato del lavoro e del benessere sociale è rappresentata dall'impresa cooperativa.
In questa direzione vanno alcune considerazioni del Libro Bianco di J. Delors su "Sviluppo, competizione e occupazione", che riguardano i rapporti con i cambiamenti in atto e le sfide che devono affrontare attualmente le imprese di economia sociale.
In una società che procede sviluppandosi economicamente e con livelli maggiori di formazione professionale, il fatto che ci sia un atteggiamento più imprenditoriale da parte dei suoi cittadini, con l'adozione di atteggiamenti attivi e di partecipazione di fronte alla realizzazione di un'attività economica, rappresenta senza dubbio un buon indice di progresso e di dinamismo sociale.
Da circa un ventennio, anche se ancora molto timidamente, questo si riscontra anche nelle regioni del Sud. Dai liberi professionisti ai giovani imprenditori parte ormai uno stimolo a porsi sul mercato in gruppo e non isolatamente. Molto ancora deve essere fatto, ma questa sembra ormai l'unica chance per il futuro: vincere la sfiducia che le generazioni passate hanno subìto e poggiarsi principalmente sulle proprie possibilità e capacità per fronteggiare i problemi economici e strutturali della propria condizione. Non si può che puntare sulla capacità dei cittadini di influire e di intervenire nel disegno del modello di società che, in tutte le sue manifestazioni, si costruirà in Europa nei prossimi anni.
Occorre puntualizzare che non si tratta solamente di una discussione su temi economici, ma che comprende ogni altro aspetto che riguarda la società in generale: previdenza sociale, assistenza alla terza età, turismo socio-culturale, tempo libero, ambiente, cultura ecc.
Da non trascurare, comunque, le difficoltà che incontrano le Cooperative, le Mutue, le Associazioni e le Fondazioni, soprattutto quelle di dimensioni ridotte, per competere alle stesse condizioni e beneficiare delle opportunità derivanti dalla creazione del Mercato Unico. A riguardo occorre sempre tenere in debita considerazione tutte le risorse provenienti dalle azioni comunitarie in favore delle Piccole e medie imprese sociali o quelle derivanti dai Fondi Strutturali. A volte la soluzione di problemi congiunturali locali o di impresa non si trovano nel proprio bacino territoriale ma molto più lontano. Ecco dunque l'importanza che chi pone se stesso in un gruppo per agire economicamente e socialmente non può mai trascurare il fatto che la sua azione economica è locale ma il suo pensiero non può non essere sempre rivolto globalmente a cogliere ogni possibilità. A proposito, il supporto delle TIC (Tecnologie della Informazione e della Comunicazione) sono indispensabili per una efficace azione rivolta al successo sociale ed economico.
Le cooperative dei diversi tipi e settori e gli altri soggetti dell'economia sociale sono destinati a svolgere funzioni crescenti per estensione ed importanza. Il radicamento territoriale e la capacità di esprimere esigenze e risorse altrimenti destinate alla marginalità sono tra i segreti di questo ruolo sempre più incisivo in un'economia in rapida evoluzione e in una società sempre più complessa.
7. Cooperazione e società civile.
Oggi le imprese e le organizzazioni dell'economia sociale sono sempre più interpellate sulla loro capacità di creare occupazione o ancora di più attività economiche. Una serie di indicatori economici permettono di individuare nell'Unione Europea il peso delle cooperative e delle altre organizzazioni sociali in termini di impiego, di fatturato, di settori di mercato coperti. Su questa scia occorre perciò sempre più fondare "un atteggiamento generalizzato in base al quale di fronte all'insorgere di un problema la prima risposta è 'associarsi', cioè mettersi insieme ad altre persone per tentare di risolverlo"e non rivolgersi, in un ambito di dipendenza verticale, sempre all'ente locale o all'istituzione di turno e "bussare a denari", per ricevere un semplice sostegno economico o un'indennità assistenziale, che in uno stato di grazia apparente può anche essere concesso, così come lo è stato per il passato, anche se in futuro lo sarà in maniera sempre più risicata e minimizzata. "La società giusta - afferma Stefano Zamagni - non è quella che distribuisce a tutti uguali quantità di beni o servizi, ma quella che pone tutti i cittadini nelle condizioni di realizzare le loro capacità e di esercitare la libertà di scelta".
E' dunque fondamentale che l'Unione europea riconosca la specificità e la particolarità delle diverse forme di economia sociale. Tale riconoscimento renderebbe palese che le intenzioni comunitarie in generale e degli stati membri in particolare non subordinano interamente lo sviluppo delle società umane alla sola logica dell'economia di mercato ma anche e soprattutto legano i destini della coesione sociale e della crescita economica europea alle imprese dell'economia sociale nelle loro innumerevoli manifestazioni.
Le strategie di sviluppo locale, portate avanti anche da operatori economici privati, orientate alla cooperazione sul modello dei "distretti industriali" (fiore all'occhiello di alcune zone del centro-nord e portate d'esempio nel contesto economico europeo) esprimono la volontà di soggetti privati e pubblici di "mobilitarsi", di cooperare, per agire e sfruttare meglio le risorse fisiche e umane locali, per creare più coerenza in un progetto comune di sviluppo globale e per riconquistare nuovi margini di autonomia e di azione rispetto alla concorrenza internazionale o nazionale. "Fra le caratteristiche che contraddistinguono queste zone industriali, de-centralizzate ma integrate, vi è una combinazione apparentemente contraddittoria di concorrenza e di cooperazione. Si tratta di aziende in forte concorrenza fra loro per quanto riguarda l'innovazione nel design e nella gestione, che però cooperano per quanto riguarda i servizi amministrativi, l'acquisto delle materie prime, la finanza e la ricerca".
Inoltre, "Queste reti di piccole imprese sono caratterizzate da un'integrazione verticale minima e da una profonda integrazione orizzontale, mediante il sistema molto diffuso del sub appalto e del passare lavoro eccedente a concorrenti temporaneamente senza sufficiente lavoro. Efficienti associazioni industriali offrono servizi amministrativi e anche finanziari, mentre l'amministrazione locale svolge un ruolo attivo nel fornire le necessarie infrastrutture sociali e i relativi servizi ... informazioni sul mercato delle esportazioni, sulle tendenze del mondo della moda ecc. (...) Il risultato è una struttura economica tecnologicamente avanzata e altamente flessibile, che si è rivelata la giusta ricetta per battere la concorrenza in un'economia mondiale in rapida evoluzione" tipica dell'ultimo trentennio.
Ci si interroga attualmente sul perché questa forma cooperativa di imprese denominata "distretti industriali" non riesca ad essere replicata nelle regioni del mezzogiorno. La risposta del politologo è forse triste ed esagerata, ma una sostanziale verità non può essere sottaciuta. Dice Putnam: "Le regioni caratterizzate da impegno civico nell'ultima parte del ventesimo secolo sono quasi esattamente le stesse regioni dove le associazioni culturali, le cooperative e le società di mutuo soccorso erano più numerose nell'Ottocento".
Qual è il contributo specifico dell'economia sociale alle strategie e alle politiche di sviluppo sociale? Sono le cooperative che danno le risposte più significative alle esigenze di sviluppo locale. In generale tutti i tipi di cooperativa. In particolare pensiamo di sprecare qualche parola in più sul ruolo delle cooperative di agricoltori nelle zone rurali. Qui le cooperative rappresentano un ruolo chiave. In effetti, in queste zone e più particolarmente in quelle minacciate dalla desertificazione (nelle zone di montagna per esempio) o più in generale nelle zone con esigenze di riconversione o di ristrutturazione, le cooperative di agricoltori (di approvvigionamento, di trasformazione, di stoccaggio e di commercializzazione dei prodotti agricoli, di utilizzo comune di materiale agricolo, di credito ecc.) rivestono un ruolo determinante nella conservazione delle aziende agricole, nella loro modernizzazione, nell'inserimento dei giovani agricoltori, nello sviluppo rurale, nella conservazione del patrimonio boschivo e arboreo produttivo, nella salvaguardia delle specificità produttive agricole ecc. Il loro ruolo spesso è unito a quello delle politiche regionali di sviluppo rurale, di orientamento alla produzione, agli standard di qualità. Inoltre le cooperative agricole sono gli operatori fondamentali delle stesse politiche comunitarie.
Le cooperative di agricoltori rafforzano le capacità di organizzazione, di accesso al mercato, di innovazione delle aziende agricole a conduzione familiare e permettono di rompere con la tendenza e la logica dominante di assistenzialismo che ha prevalso, da tempo, celata sotto la politica di garanzia. In parole povere, le cooperative sono o possono ancor più essere fattori di attuazione del principio di sussidiarietà, "un metodo di coordinazione tra i vari livelli delle comunità (dall'individuo allo Stato). (...) Non si tratta di un principio gerarchico, né di delega o di sostituzione. Il principio di sussidiarietà responsabilizza le istituzioni sociali, ma attribuisce compiti insostituibili allo Stato".
Il ruolo delle cooperative degli agricoltori, nell'ambito della gestione regionale e dello sviluppo locale, non è incompatibile con le strategie di internazionalizzazione e di esportazione, anzi è vero sicuramente il contrario. Esistono strategie differenti in questo campo tra le cooperative dei vari paesi europei. E' opportuno che regolamenti e istituti normativi permettano in un mercato unico a tutte le cooperative agricole di conservare la prerogativa allo sviluppo delle numerose attività agricole delle aziende ad esse legate. Senza la cooperazione di agricoltori interi anelli della produzione agroalimentare scomparirebbero, coinvolgendo centinaia di aziende a conduzione familiare, nonché desertificando una gran quantità dell'area rurale produttiva. Il ruolo economico ricoperto da queste imprese cooperative è molto importante in una dinamica di sviluppo locale il cui impulso può provenire da operatori privati, da operatori pubblici o da entrambi.
Questo ruolo economico si esprime non solo attraverso le occupazioni salariali, direttamente create dalle cooperative, ma soprattutto attraverso le attività economiche che le singole imprese cooperative permettono di sviluppare. Ma il ruolo delle cooperative, in materia di sviluppo locale, non si ferma qui, poiché dietro le attività economiche dei loro soci ci sono dei modi di vita, delle combinazioni di logiche economiche e sociali, ci sono delle culture locali, in breve c'è la vita stessa dei vari territori dei paesi dell'Unione europea. Se la vita della maggior parte di questi territori dipende o non dipende, né esclusivamente né principalmente, dal sistema cooperativo, ciò non esclude che le cooperative siano degli operatori non influenzabili da qualsiasi politica di sviluppo locale.
"Non si può fare a meno di riconoscere lestrema rilevanza che i fattori relazionali rivestono su quelli economici e politici. Gli interventi economici pubblici mirati nel Mezzogiorno hanno prodotto nel tempo guasti sulle effettive capacità di autosviluppo tra gli attori economici meridionali; la mediazione politica centro periferia ha prodotto, tra i vantaggi, grosse dipendenze nei confronti dei dispensatori di risorse. Queste azioni hanno avuto certamente come effetti perversi quello di distruggere le risorse relazionali proprie dei meridionali. Malgrado ciò, non si può disconoscere che è proprio da queste relazioni che molti oggi trovano le risorse per intraprendere nuove e più proficue azioni economiche. ( ) Sono quelle risorse interne, locali, proprie degli attori sociali e delle loro comunità di appartenenza che debbono essere individuate e valorizzate".
A riguardo le imprese cooperative costituiscono fattori di stabilità sociale e sono portatrici di interesse generale. Infatti lo sviluppo locale è per definizione un bene collettivo la cui risultante è, non solo una produzione di attività nuove ed una creazione di impiego, ma ancora una produzione di effetti positivi quali la creazione o l'attivazione di reti di operatori, la mutualizzazione degli investimenti immateriali quali la formazione degli operatori, lo sviluppo dell'immagine del territorio, la fiducia sociale. "Non possiamo ripensare la società come una società di individui astratti e neppure come una società di strutture, - osserva Pier Paolo Donati - ma come società di soggetti in relazione". E alla base dell'idea cooperativa c'è la relazione sociale di soggetti. Su questi principi il Sud è in grave ritardo. Nel mezzogiorno osservò Pasquale Villari si sente troppo "Io" e troppo poco "Noi". Ma c'è da dire anche (per ragioni sottili di giustizia individuale) che nel Sud, a parte qualche rara e meritoria eccezione, "L'incapacità di cooperare con reciproco vantaggio non indica necessariamente ignoranza o incapacità". Purtroppo i dilemmi dell'azione collettiva non è facile superarli in poco tempo. In questo caso non bastano neanche i decenni. Oggi dobbiamo osservare che l'unico rimedio per risolvere grossi problemi dell'economia e di vari settori produttivi è legato alla cooperazione volontaria. Ma bisogna essere anche convinti che "La cooperazione volontaria è più facile all'interno di una comunità che ha ereditato una provvista di "capitale sociale" in forma di norme di reciprocità e di impegno civico".
Il vertice di Copenaghen per lo sviluppo sociale (1995) ha richiamato le coscienze universali a ridurre le disuguaglianze sociali e a lottare contro la povertà e l'emarginazione. Occorre far presto. Le realtà già pienamente attivate ed efficienti operanti nella cooperazione possono svolgere un ruolo importante anche in questo campo, incentivando la nascita di cooperative e sostenendo con il principio di sussidiarietà imprese cooperative in potenza o in difficoltà. Questo vale anche e soprattutto per le realtà cooperative delle regioni del Sud.
Un importante esempio, a livello macro, di questo impegno ci viene dall'ACI (Alleanza Cooperativa Internazionale). Le sue funzioni centrali sono:
1) promuovere e difendere i valori e i principi della cooperazione;
2) stimolare l'interscambio di idee, di informazioni e la collaborazione tra organizzazioni associate;
3) diffondere informazioni sulle cooperative e fra le cooperative;
4) agire da catalizzatore per lo sviluppo cooperativo;
5) essere un portavoce per il movimento cooperativo.
Ritornando alla cooperazione di agricoltori risulta chiaro che scindere o isolare oggi i settori produttivi nella classica forma (primario, secondario, terziario e terziario avanzato) può arrecare un grave errore per l'operatività e per la prospettiva. In una società complessa come la nostra produzioni settoriali, trasformazioni di prodotti, commercializzazione dei trasformati e richiesta di servizi si intrecciano incessantemente. I settori tradizionali si intersecano in una osmosi socio-geografica ed economica non priva di difficoltà e di conflitti.
Questo risulta molto evidente nel settore delle cooperative agroalimentari. Nel settore agroalimentare si esercita, tradizionalmente, e soprattutto in Italia, una delle principali funzioni della formula cooperativa. Ciò consente al piccolo e medio produttore di operare al meglio in un mercato caratterizzato da una crescente ampiezza e competitività, anche internazionale. La capacità di adeguare le tecniche produttive, organizzative e commerciali alle esigenze del mercato e della base sociale, rappresenta un elemento chiave per il successo economico e per la sopravvivenza delle cooperative e degli operatori del settore agroalimentare.
8. Agricoltura ed ecologia.
Un nesso da non sottovalutare nel settore della cooperazione agricola e agroalimentare è quello dell'ecologia e del prodotto biologico. Oggi questo è considerato un legame, mentre invece spesso in passato ha rappresentato un scontro. La qualità richiesta dal consumatore passa oggi anche per il rispetto dell'ecologia e dell'ambiente, nonché per la salubrità nutrizionale del prodotto stesso. La cooperazione può e deve giocare un ruolo determinante in questo campo, soprattutto nel rispetto della natura, nell'educazione a ridurre l'uso di inquinanti durante le tecniche di coltivazione, in un corretto uso degli antiparassitari, nella eliminazione dei residui tossici ecc. Il profitto fine a se stesso è in contrasto con il movimento della cooperazione. Non si può pensare a sottomettere la natura e considerarla un'inesauribile fonte di accaparramento e di ricchezze. L'agricoltura biologica non è fine a se stessa ma esempio di una crescita sobria e di un consumo moderato, ma anche di qualità e di genuinità del prodotto, mediante la quale si riesce ad evitare lo sfruttamento incontrollato e selvaggio delle risorse della natura che possono (e a volte lo fanno irrimediabilmente) ritorcersi contro l'uomo stesso. L'esempio nefasto della "mucca pazza" è davanti agli occhi di tutti. "Un'agricoltura che non intervenga in qualche modo sulla natura e non produca qualche danno ambientale ed emissioni che influenzano il clima è difficilmente immaginabile. Anche da superfici coltivate biologicamente percolano nitrati nelle acque sotterranee; ogni mucca emette metano, che sia in una stalla convenzionale oppure biologica. Tuttavia i danni ambientali possono venire drasticamente ridotti da una coltivazione e da un allevamento ecologici. Inoltre un'agricoltura biologica e una selvicoltura naturale integrano le differenti esigenze sociali. Oltre che un approvvigionamento sufficiente di materie prime e di alimenti sani esse permettono la protezione della natura, del paesaggio e della diversità biologica".
Un'educazione all'ambiente permeato dall'azione cooperativa permetterà una più facile simbiosi tra città e zone rurali. Queste ultime vanno ampiamente salvaguardate in quanto non possono considerarsi inesauribili scorte di prodotti alimentari e di aria pulita per trascorrere i fine settimana. Questo ambiente soffre terribilmente nelle società industriali e occidentali. Ma anche nei paesi in via di sviluppo il problema comincia a farsi avanti in maniera imperiosa. La desertificazione continua è un grosso problema che non bisogna sottovalutare. Il movimento cooperativo non può non essere attento a simili allarmi: dipende la sua stessa sopravvivenza. "La fotosintesi è un altro esempio evidente delle dipendenze reciproche, anche di quelle degli esseri umani, all'interno degli ecosistemi. Con l'aiuto della luce solare le piante formano biomassa dall'anidride carbonica atmosferica (il gas che è il principale responsabile dell'effetto serra) ed emettono ossigeno. Questo ossigeno serve agli animali e alle piante per respirare, emettendo ancora anidride carbonica, che le piante a loro volta riutilizzeranno. La produzione di piante nell'agricoltura e nella selvicoltura è quasi l'unica possibilità di convertire l'energia solare, l'anidride carbonica e altre sostanze inquinanti e nutrienti in sostanza organica ed energia, in alimenti e materie prime utilizzabili. Tutti gli altri settori produttivi, anche l'allevamento e anche la vita umana, invece consumano energia e dipendono in ultima analisi dalla fotosintesi. La capacità di assorbimento e di rigenerazione dell'agricoltura e della selvicoltura, cioè la loro capacità di mantenere o di rinnovare le basi materiali della vita (terreno, acqua e aria), acquista quindi un'importanza crescente. Avere sempre presente questo processo fondamentale potrebbe portare allo sviluppo di un nuovo equilibrio fra città e campagna e alla trasformazione del loro rapporto da parassitario a simbiotico".
9. L'olivicoltura: un esempio di sviluppo agricolo sostenibile.
Nell'ultimo ventennio si è verificato un cospicuo intervento agricolo rivolto all'impianto di nuovi oliveti e al rinnovamento e alla integrazione delle superfici occupate da vecchie piante, molte delle quale improduttive. Gli investimenti sono stati molteplici, sia provenienti da fonte pubblica sia da fonte privata. La regione Puglia ha previsto nel piano olivicolo generale un forte impegno di spesa. Le iniziative quasi tutte ormai giunte alla realizzazione, e per alcuni versi abbondantemente superate, hanno interessato:
a) investimenti nelle aziende agricole con obiettivo il miglioramento dell'efficienza delle strutture primarie:
- estirpazione di oliveti improduttivi o scarsamente produttivi, sistemazione e preparazione del terreno e re-impianto dell'oliveto in aree rinnovate con sesti di impianto, forme di allevamento e strutture di supporto adeguate alla moderna olivicoltura, aventi l'obiettivo primario di abbattere i costi e di rendere remunerativa la coltivazione mediante il miglioramento della produttività del lavoro e la redditività dei capitali investiti. Una quota di re-impianti e dei nuovi impianti dovevano essere destinati alla produzione di olive da mensa,
- infittimento, ove tecnicamente possibile, ed eventuali potature di riforma e sovrainnesti sugli oliveti esistenti, per la regolarizzazione dei sesti di impianto e per la loro predisposizione alla raccolta meccanica,
- introduzione di un parco macchine per ottenere un effettivo abbattimento dei costi di produzione, soprattutto per le operazioni di raccolta delle olive, ma anche per quelle di potatura, trincia-frasche e di lotta antiparassitaria. E' stato dimostrato che queste macchine hanno una funzione economica nel loro impiego se operano a servizio di superfici intorno ai 60-70 ettari, in rapporto ai periodi di raccolta delle olive, il quale è a sua volta strettamente collegato al ciclo produttivo della pianta e al ciclo lavorativo degli impianti di trasformazione. Per questo motivo si è operata la scelta di individuare nelle Associazioni e Cooperative di produttori agricoli i reali destinatari di tali interventi finanziari,
- attrezzamento irriguo delle superfici olivetate con metodologie moderne (impianti a goccia),
- corsi di formazione e di aggiornamento degli agricoltori e organizzazione di incontri e conferenze nelle aree interessate agli investimenti.
b) investimenti per il miglioramento delle condizioni dei prodotti e di valorizzazione commerciale del trasformato;
c) investimenti per la realizzazione del paesaggio olivetato e della funzione idrogeologica, attraverso forme di sostegno agli operatori agricoli delle zone collinari e montane.
Riguardo a quanto detto non occorre ripetere quanto e come l'idea cooperativa può determinare un circuito virtuoso tra agricoltore-produttore, ricerca, aggiornamento tecnologico e istituzioni politiche e finanziarie.
Se in un passato recente l'olivicoltura è stata vista in funzione di un consumo locale, con la conseguente disattenzione nelle procedure di coltivazione, da qualche decennio in Italia, e in modo particolare anche nella Puglia, si sta operando un serio rilancio di questa coltura. E' degli ultimi anni la crescente richiesta sui mercati nazionali ed esteri del prodotto finale di questa attività agricola, risultato anche di numerose campagne pubblicitarie e della riscoperta della dieta mediterranea.
E' recente l'adesione di molti comuni di terra d'Otranto ad una Associazione di rilancio d'immagine di questo prezioso prodotto agroalimentare registrato con un marchio DOP.
10. Lirrigazione a goccia: un'innovazione per l'olivicoltura.
Una delle innovazioni più importanti in olivicoltura è certamente la razionalizzazione dei procedimenti di irrigazione mediante gli impianti a goccia. L'irrigazione riveste un ruolo importantissimo nell'olivicoltura moderna, poiché influenza pesantemente numerosi aspetti della vita della pianta. Per capire quanto l'irrigazione sia importante basta fare un elenco degli effetti della sua corretta applicazione alla pianta dell'ulivo:
1) aumento dello sviluppo vegetativo;
2) antesi (fioritura) anticipata;
3) maggior sviluppo delle mignole (infiorescenze);
4) diminuzione dell'aborto dell'ovario (perdita del frutto);
5) maggiore allegagione (legatura del frutto);
6) maggiori dimensioni delle drupe (frutti);
7) aumento della produzione delle olive dal 20 al 100%;
8) aumento dell'olio del 15% nonostante l'aumento del contenuto acquoso.
Tra i molti sistemi di irrigazione esistenti l'irrigazione a goccia è quello universalmente applicabile con il minor dispendio di energie e costi, con il maggior rendimento irriguo e con il miglior rapporto costi/benefici.
Il concetto alla base di questo sistema è quello di far assorbire e diffondere per capillarità, nel suolo, piccolissime e costanti quantità d'acqua in tempi molto lunghi. L'obiettivo è quello di raggiungere un equilibrio tra la quantità erogata e la quantità evaporata e traspirata dalla pianta: più precisamente si tratta di mantenere nel terreno, intorno alle radici della pianta, un'umidità costante. La tensione dell'acqua deve aggirarsi intorno alle 0,3-0,5 atmosfere.
Il grande vantaggio di questa forma di irrigazione è che le radici delle piante vengono a trovarsi in presenza di una disponibilità idrica ottimale continua senza subire nessun tipo di stress da variazione della disponibilità stessa, cosa che caratterizza invece l'irrigazione di turnazione.
Per arrivare a determinare questa condizione ottimale occorre irrigare ad intervalli relativamente corti: da una volta al giorno a due la settimana, a seconda della composizione dei terreni e dell'andamento climatico. Indispensabile negli impianti più moderni e sofisticati l'impiego di timer che regolano in automatico i periodi di flusso irriguo. Inoltre si calcola che sia necessario restituire alla pianta circa il 75/80% del totale dell'acqua evaporata e traspirata. Il metodo di calcolo della quantità di acqua da fornire è basato sul principio che non esiste, in questa tecnica di irrigazione, l'evaporazione da superficie: infatti tutta o quasi tutta la superficie bagnata dagli erogatori è ombreggiata dalle piante e solo una piccola parte della superficie totale viene irrigata. Ne deriva che il calcolo della quantità di acqua da fornire si basa solo sul bilancio traspiratorio della pianta stessa. In sostanza il fabbisogno idrico dell'albero può essere stimato in circa 1 litro per metro quadro di foglia o 1,4 litri per metro quadro di superficie esterna della chioma nel periodo di punta. Ovviamente per le necessità degli altri periodi colturali si tratta di modificare il parametro in proporzione.
Un impianto di irrigazione a goccia, in generale, è composto dai seguenti elementi:
1. La fonte di acqua;
2. Una condotta principale per l'adduzione dell'acqua alla fonte dell'impianto, più una serie di condotte secondarie per portare l'acqua alle vari zone da irrigare;
3. Condotte finali che portano l'acqua dalle condotte secondarie ai gocciolatoi per la distribuzione dell'acqua al terreno;
4. Organi di regolazione del flusso dell'acqua.
A questi componenti sempre presenti, in relazione alle differenti situazioni aziendali, possono aggiungersene altri per adattare l'impianto alla situazione locale.
Il processo di definizione di un impianto di irrigazione a goccia segue generalmente queste fasi:
1. Analisi e valutazione delle risorse idriche aziendali in termini di quantità e di qualità;
2. calcolo delle esigenze idriche dell'oliveto;
3. Definizione dei settori irrigui;
4. Scelta della pompa e della stazione di filtraggio;
5. scelta e dimensionamento delle tubazioni;
6. scelta e dimensionamento degli erogatori.
Per quanto riguarda la qualità dell'acqua gli aspetti tecnici coinvolti nel problema sono due: l'inquinamento e la piccolezza dei fori degli erogatori. Per gestire questi problemi, quando è economicamente fattibile, è opportuno:
1. Installare una stazione di filtraggio composta da filtro a quarzite e filtro a rete o a dischi.
2. Utilizzare erogatori con sezione di efflusso ampia e con flusso turbolento dell'acqua.
3. Fare periodicamente lavaggi acidi all'impianto.
Per quanto riguarda i costi essi variano molto da situazione a situazione ma, per fornire comunque una grandezza di riferimento, un impianto di irrigazione a goccia con due gocciolatoi auto compensanti a pianta e comandato manualmente ha un costo per ettaro di circa due milioni di lire, esclusa la stazione di sollevamento e filtraggio.
11. Il prodotto finale: l'olio e la sua commercializzazione globale.
Esiste una prospettiva demografica e un nuovo mercato dell'olio extravergine di oliva. L'evoluzione della popolazione, italiana ed europea, genera nuove categorie di consumatori in due modi:
a) per mezzo di cambiamenti nella composizione della popolazione;
b) per mezzo di diffuse modifiche nei valori, atteggiamenti e comportamenti dei consumatori.
I cambiamenti nella composizione della popolazione, in altre parole i cambiamenti strutturali, che più hanno creato nuovi segmenti di consumatori modificando profondamente i consumi di olio extravergine di oliva sono l'aumento della percentuale di popolazione anziana, la diminuzione della composizione familiare. Infatti, i più importanti segmenti di nuovi consumatori che emergono in questo quadro demografico della società occidentale sono gli anziani e i bambini.
Le principali conseguenze di questi mutamenti sul consumo di olio extravergine di oliva sono stati i seguenti:
- Aumento delle motivazioni di consumo dietetico/salutistico: la popolazione anziana è tipicamente una popolazione attenta alla cura della persona e all'alimentazione. Ciò ha probabilmente contribuito alla crescita del consumo di olio extravergine di oliva.
- Aumento della domanda di olio dal gusto delicato e neutro: questo si riferisce alle fasce della popolazione anziana ma anche infantile e in età evolutiva.
Ciò che caratterizza i nuovi comportamenti di consumo è il quadro delle motivazioni di acquisto e di consumo sviluppatesi negli anni '90 che possono riassumersi in quattro aggettivi: sano, fresco, magro e di elevato contenuto. Può essere spiegato così il fenomeno della contemporanea crescita del prodotto del maggior costo (l'olio extravergine di oliva) e il calo dei consumi complessivi di altri oli "di oliva" o di altra derivazione animale e vegetale.
Pertanto i cambiamenti nella composizione, nelle esigenze e negli atteggiamenti della popolazione suggeriscono di puntare, per lo sviluppo del consumo di olio extravergine di oliva, sulla promozione degli aspetti salutistici, con l'utilizzo di varietà e metodi di lavorazione da cui derivino oli non amari e più affini alle esigenze dei nuovi consumatori.
Per l'olio di oliva, pertanto, l'espansione della componente anziana della società può rappresentare potenzialmente un'interessante opportunità (sia nel nostro che negli altri paesi), rafforzata dal fatto di essere, per sua natura, un prodotto tradizionale prevalentemente utilizzato come ingrediente per la preparazione di pasti tradizionali e quindi ben piazzato nel target dei consumatori.
La capacità delle piccole imprese di soddisfare questi segmenti di consumatori che si indirizzano verso prodotti di tipo salutistico e dietetico è influenzata da grosse problematiche: la difficoltà di commercializzazione, l'inserimento in circuiti ed aree di "prodotto sano e genuino", la competizione tra marche leader. Il piccolo produttore per piazzare il proprio prodotto presso il consumatore finale dovrà pertanto individuare un canale distributivo, realizzare un prodotto di qualità elevata, individuare tecniche di marketing e di comunicazione che gli permettano di attrarre nuovi acquirenti a costi affrontabili. Ovviamente il produttore isolato non potrà mai affrontare e risolvere questi problemi. Le cooperative e più ancora i consorzi di cooperative e produttori possono attuare iniziative ed azioni con ottime possibilità di successo, perché possono fungere da cerniera tra la produzione di qualità, lo stoccaggio e la commercializzazione. Un ulteriore elemento di novità per posizionare il prodotto potrebbe essere svolto dalle cooperative e i loro consorzi sul versante di una politica dell'innovazione, basata sulle differenziazioni, fondate sulla denominazione di origine (DOP), sui metodi di lavorazione, sulla esplicitazione della nazione e delle zone di provenienza delle olive, così come proposto dalla nuova normativa italiana sull'etichettatura dell'olio extravergine di oliva.
Molte comunque sono al momento le difficoltà di una forte espansione delle quote di mercato delle DOP. L'incontro tra un consumatore salutista e un piccolo produttore d'olio è fattibile ed interessante a patto che venga affrontato con una logica di marketing molto moderna.
12. Qualità e gusto dell'olio extravergine di oliva.
In generale la qualità di un prodotto si determina eliminando i fattori di rischio connessi a residui di fitofarmaci e alle muffe. Questo inconveniente rientra senza dubbio nella responsabilità e nella informazione del produttore. Ma non sono da sottovalutare altri pericoli di contaminazione legati alla fase di trasformazione del prodotto olivicolo, e quindi all'interno della struttura cooperativa che funge quasi sempre da collettore della produzione e da cerniera con la commercializzazione.
Un grosso pericolo, non molto evidenziato perché ritenuto marginale, per la qualità del prodotto finale è rappresentato dalla presenza di tracce di metalli.
A seguito delle fasi di trasformazione delle olive, nell'olio possono rinvenirsi tracce di rame, cromo e ferro, come conseguenza di contaminazione da parte dei macchinari impiegati nel processo di estrazione, ovvero dei recipienti di conservazione. La presenza di tracce di metalli nell'olio accelera i fenomeni di autossidazione inducendo l'aumento di un rapido peggioramento qualitativo ed igienico del prodotto. Le attrezzature, le macchine e i contenitori destinati a venire a contatto con le olive, la pasta di olive, il mosto oleoso e l'olio devono rispondere a determinate caratteristiche espressamente previste dalla legge emanate dal Ministero della sanità.
Delicata e carica di responsabilità appare dunque in questo contesto l'azione cautelativa della Cooperativa agricola di trasformazione e in particolare risalta a chiare lettere la responsabilità e la cura che il responsabile della struttura recepisce in questa delicatissima fase legata alla produzione di olio extravergine di oliva.
Un'altra esigenza posta questa volta direttamente dal consumatore è legata al gusto del prodotto finale. Un problema che si evidenzia in particolare è quello legato alle componenti amare dell'olio extravergine di oliva. Anche questo inconveniente può e deve essere affrontato in un contesto cooperativo, poiché il piccolo produttore deve essere saggiamente formato e guidato per non incorrere in eccessive presenze di note amaro-piccanti del prodotto extravergine di oliva, imputabili quasi sempre a sostanze fenoliche contenute nelle olive acerbe. Anche se tali sostanze sono poco solubili nell'olio e vengono in gran parte eliminate attraverso le acque di vegetazione, una piccola frazione viene trattenuta dall'olio, conferendo la tipica nota amaro-piccante che, oltre certi limiti, non risulta essere particolarmente gradita dai consumatori.
Nel corso di alcuni studi è infatti stato rilevato che un olio "accettabile" da parte del consumatore dovrebbe avere un contenuto in sostanze fenoliche complesse non superiore a 500 mg/Kg di olio. Valori superiori sono associati ad un prodotto "troppo" amaro.
Nella fase produttiva dell'olio extravergine di oliva, l'obiettivo deve essere il raggiungimento di un opportuno compromesso tra sapore amaro-piccante e conservazione del prodotto, in funzione delle caratteristiche organolettiche richieste dal mercato, del posizionamento del prodotto e delle strategie di distribuzione.
In sostanza, quindi, l'obiettivo della cooperativa di produttori olivicoli è legato all'armonizzazione di tutte le fasi della produzione, al raggiungimento di una adeguata formazione ed informazione dei propri soci, all'aggiornamento delle tecniche colturali, al rispetto dell'ambiente e della natura, alla salvaguardia e al rinnovo del patrimonio arboreo, all'attenzione e all'innovazione tecnologica di trasformazione, alla considerazione del trend del consumo, alla qualità, alla pianificazione economico-finanziaria, allosservanza delle normative e regolamenti nazionali ed europei e soprattutto allo stimolo culturale delle nuove generazioni a mettersi insieme per risolvere molti dei problemi congiunturali che attanagliano la nostra società col fine di invertire una tendenza storica che limita i nostri territori nella crescita economica e culturale.
APPENDICE 1
Il consumo dell'olio d'oliva nel Regno Unito
Nell'ambito del programma FLAIR dell'Unione Europea è stata condotta un'indagine nel Regno Unito, con l'obiettivo di individuare gli atteggiamenti dei consumatori verso l'uso dell'olio d'oliva e misurare il grado di accettabilità del prodotto.
L'indagine si è sviluppata in due parti: la prima, realizzata attraverso un "focus group", volta ad analizzare i comportamenti d'acquisto e di analizzare un profilo del consumatore di olio d'oliva; la seconda, realizzata attraverso un campione di 93 consumatori abituali di olio, tesa a valutare il grado di preferenza verso 8 tipi di olio d'oliva di diversi paesi (Italia, Grecia, Spagna).
Si riportano di seguito i principali risultati dell'indagine, utili per comprendere gli elementi chiave che consentono (potenzialmente) di penetrare con successo il mercato britannico.
APPENDICE 2
Le esportazioni di olio d'oliva verso il Giappone
Il consumo giapponese di olio d'oliva ammonta a circa 7.000 tonnellate all'anno. Di esse il 50% circa è destinato al consumo alimentare mentre il restante è impiegato come materia prima per la produzione di acido oleico e saponi.
Il consumo di olio d'oliva in Giappone è cresciuto, dal 1998 al 1994, di oltre il 100% in quantità. Le ragioni di questa ottima performance vanno ricercate nel diffondersi nel paese di una più capillare conoscenza, e di un'ottima immagine, della dieta mediterranea e del made in Italy in generale.
Nonostante queste ottime performance la quota del consumo dell'olio d'oliva sul totale degli oli alimentari è ancora trascurabile: inferiore allo 0,5%. Se da un lato una percentuale così bassa indica che esistono ancora significativi spazi di crescita del consumo, dall'altro evidenzia le difficoltà che si frappongono a tale espansione. In particolare la scarsa familiarità del consumatore con il prodotto evidenzia la necessità di attivare un processo di incremento della conoscenza del consumatore stesso, in particolare sugli impieghi dell'olio d'oliva in casa e sui pregi rispetto agli altri oli.
La distribuzione sul territorio giapponese del consumo di olio d'oliva è diseguale: il prodotto è presente soprattutto nelle grandi metropoli mentre non è ancora diffusamente crescente nelle città di provincia. Il grado di notorietà del prodotto è però elevato: quasi la totalità dei consumatori afferma di sapere di cosa si tratta, il numero di consumatori che affermano di utilizzarlo episodicamente si aggira sul 50% nelle regioni di Tokio ed Osaka. Ovviamente le quantità acquistate dagli abituali frequentatori dei ristoranti di cucina italiana sono superiori.
All'interno del consumo globale di olio d'oliva la quota di mercato dell'olio extravergine è assai bassa anche se in crescita: attualmente il prodotto più richiesto è l'olio d'oliva o un prodotto cosiddetto tipo Riviera costituito da una miscela di olio di oliva e di olio vergine di oliva.
L'olio d'oliva viene acquistato generalmente in confezioni di ridotte dimensioni: circa la metà dei consumatori dichiara di consumare il prodotto in confezioni da 150-250 grammi, mentre l'altro 50% dichiara di preferire confezioni da 225-300 grammi. Sono quasi sparite le bottigliette da 100 grammi che fino agli inizi degli anni 90 costituivano la confezione più frequente. E' interessante rilevare che il limite attuale dello sviluppo del consumo di olio di oliva in Giappone è la difficoltà che incontra la diffusione del suo consumo per piatti diversi dalla pasta, quali l'insalata o la cucina. Ad oggi, infatti, l'unico impiego di olio d'oliva praticato dai consumatori giapponesi in cucina è il condimento della pasta.
Non esiste una produzione nazionale di olio d'oliva in Giappone: tutto il consumo è basato sulle importazioni. La quota di mercato del prodotto italiano sul totale delle importazioni è di circa il 50% ma sia le quantità importate che la quota del nostro paese sul totale dell'import sono soggette a forti variazioni dovute agli andamenti congiunturali dell'economia giapponese, del prezzo sul mercato mondiale dell'olio d'oliva di diversa provenienza e dei cambi delle principali monete. Gli ultimi dati disponibili di fonte ICE evidenziano una crescita della quota di mercato del prodotto greco e statunitense.
Importazioni di olio d'oliva in Giappone (tonnellate)
1988 2903
1989 2938
1990 3816
1991 4038
1992 4860
1993 5114
1994 6648
Fonte: Ministero giapponese dell'agricoltura
L'importazione è effettuata da due tipi di imprese: trading companies internazionali o importatori locali specializzati; a loro volta i soggetti importatori commercializzano il prodotto sul mercato interno verso un primo livello di distribuzione effettuata da grossisti nazionali. Segue un secondo livello di grossisti che rivendono l'olio all'industria o alla distribuzione alimentare. Nel mercato di consumo domestico il canale dei supermercati è largamente prevalente in tutto il paese.
Le normative giapponesi per l'importazione non sono complesse e non costituiscono una barriera significativa. La definizione del prodotto che dà la legge locale si basa su una serie di caratteristiche facilmente rispettabili. Esistono ovviamente specifiche norme da rispettare per l'etichettatura, come per tutti gli altri prodotti alimentari.
Per ulteriori informazioni su tali norme ci si può rivolgere all'Istituto per il Commercio Estero (Tel. 06-54220110) oppure al Centro Estero delle Camere di Commercio lombarde (Tel. 02-7956678).
APPENDICE 3
A.C.I.
(Alleanza Cooperativa Internazionale)
Dichiarazione dell'identità cooperativa.
Definizione.
Una cooperativa è un'associazione autonoma di individui che si uniscono volontariamente per soddisfare i propri bisogni economici, sociali e culturali e le proprie aspirazioni attraverso la creazione di una società di proprietà comune e democraticamente controllata.
Le cooperative sono basate sui valori dell'auto-sufficienza, dell'auto-responsabilità, della democrazia, dell'uguaglianza, dell'equità e della solidarietà. Secondo le tradizioni dei propri padri fondatori, i soci delle cooperative credono nei valori etici dell'onestà, della trasparenza, della responsabilità sociale e dell'attenzione verso gli altri.
I principi cooperativi sono linee guida con cui le cooperative mettono in pratica i propri valori.
APPENDICE 4
SITUAZIONE MACROECONOMICA ITALIANA
Ai primi di marzo del 1999 sono stati indicati i nuovi dati riguardanti il PIL relativo all'anno 1998. In tale periodo, il Prodotto interno lordo si è ancorato all'1,4% con un calo del 0,1% rispetto al dato del 1997 (1,5%). Tali informazioni hanno destato timori anche per il futuro del Paese, ove si consideri che secondo le stime degli esperti l'Italia viene classificata agli ultimi posti nella produzione industriale in Europa. In definitiva, anche se la lotta dei conti pubblici è ormai superata, quel che preoccupa gli economisti sono le cifre relative alla crescita. Infatti, anche se le condizioni di oggi sono migliorate rispetto ad alcuni anni fa, è da tener presente che per il 1999 era prevista una crescita del 2,5%. Un traguardo non facilmente raggiungibile. Sempre ai primi di marzo del 1999, la moneta europea ha segnato un minimo storico per l'effetto tassi rispetto al forte dollaro, calando al di sotto della quota dell'1,08. Anche se il Presidente della Banca Centrale Europea ha segnalato un rallentamento della crescita del PIL europeo (- 0,4%) nel corso del IV trimestre del 1998 rispetto ai tre mesi precedenti sorgono dubbi rispetto alla meta prevista di un presunto aumento dello stesso intorno al 2,5%. Si ha motivo di ritenere che, comunque, la crescita ci sarà, anche se dovranno essere riviste le previsioni stimate in precedenza. L'importante è che l'Euro non deluda le aspettative del Paese.
L'Italia appare "ingessata" dalla pressione fiscale che ha contribuito, come sostengono gli industriali e i sindacati, a determinare una flessione della crescita industriale. Esaminando i dati dell'intero anno, si rileva che il 1998 ha moderato la dinamica della produzione industriale abbassandola all'indice dell'1,7%. Gli economisti ritengono che continuando di tal passo l'Italia avrà ancora una fase di stasi che, con ogni probabilità, andrà avanti anche nel corso del 1999. L'indice de-stagionalizzato del dicembre 1998 ha segnato un rallentamento non facilmente superabile dell'attività industriale, considerato che le prospettive di mercato sono in frenata sia nei Paesi europei sia in quelli orientali. Tuttavia, nonostante la perdita sofferta in tale mese, alcuni settori industriali hanno conseguito risultati favorevoli. Tra questi il legno (+ 5,2%), energia elettrica, gas e acqua (+ 4,4%), le industrie petrolifere (+ 4,1%), meccanica (+2,9%), i metalli (+2,6%) e le industrie alimentari (+2,6%). Sono, invece, in calo le attività dell'industria conciaria e delle calzature (- 4,8%) e delle macchine e apparecchiature elettriche e ottiche (- 4,3%). Nel complesso, sempre nel 1998, i beni intermedi hanno segnato un aumento del 2,6%, i beni di consumo una crescita dello 0,5% e i beni di investimento un aumento dello 0,1%. In sostanza, la produzione industriale del 1998 mostra un recupero tendenziale poco brillante rispetto al 1997.
Secondo l'Istat, il 1998 ha chiuso con un lieve rallentamento della bilancia commerciale, avendo ridimensionato l'attivo con un surplus delle esportazioni pari a 46.649 miliardi, con un calo dell'11,5% rispetto al1997. Tali dati derivano dal ribasso delle esportazioni (+ 2,9%) e da un lieve aumento delle importazioni (+ 5,9%), con particolare incidenza nella seconda metà dell'anno. Nel complesso, l'entità delle esportazioni è stata pari a 418.190 miliardi, mentre le importazioni hanno registrato un importo globale di 371.541 miliardi. Ponendo a confronto i dati degli altri Paesi, l'Italia è al quarto posto, cioè dopo il Giappone, la Germania e la Francia. Nel dicembre del 1998, secondo l'Istat, la bilancia commerciale ha chiuso con un attivo di 2.777 miliardi, rispetto ai 2.822 di dicembre del 1997. Tale lieve diminuzione è dovuta alla frenata delle importazioni (29.137 miliardi) e delle esportazioni (31.914 miliardi). A gennaio del 1999 gli scambi con i Paesi extra-Ue risultano in ribasso. Infatti, tale caduta è dovuta al deficit di 274 miliardi verificatosi per effetto del calo delle esportazioni (10.535 miliardi) e delle importazioni (10.809 miliardi).
APPENDICE 5
DOCUMENTO CONCLUSIVO
DELLA VI CONFERENZA EUROPEA DELL'ECONOMIA SOCIALE
Sfide che l'economia sociale ha di fronte a sé.
Bibliografia essenziale
***
Pier Paolo DONATI, Introduzione. Perché un rapporto sulla società civile.
Pier Paolo DONATI, Alla ricerca di una società civile. Che cosa dobbiamo fare per aumentare le capacità di civilizzazione del Paese?.
Angelo PANEBIANCO, Società civile e sistema politico.
Sergio BELARDINELLI, La cultura della società civile.
Ivo COLOZZI, Società civile e Terzo settore.
Stefano ZAMAGNI, Economia civile come forza di civilizzazione per la società italiana.
Gianfranco BETTETINI, Società civile e società dellinformazione.
Gianfranco GARANCINI, Le istituzioni giuridiche della società civile.
Andrea MACCARINI, Breve guida bibliografica.
Lilliput Edizioni
2° trimestre 1999