Diseguaglianza-povertà. Capacità-libertà

 

A cura di Paolo Coluccia (paconet@libero.it)

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Le note che seguono provengono dalla lettura di tre libri: Christian Arn Serger/Philippe Van Parjs, Quanta diseguaglianza possiamo accettare? Etica economica e sociale, (Il Mulino, Bologna 2003), Amarthia Kumar Sen, La diseguaglianza. Un riesame critico, (Il Mulino, Bologna 1994) e Amarthia Kumar Sen, Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia (Mondadori, Milano 2000).

 

 

Un equilibrio riflessivo per un pensiero critico

“Quanta diseguaglianza possiamo accettare?”. Un titolo ambiguo, rimarcato dall’introduzione italiana di M. Ferrara, il cui “quesito risulta però già intriso di alcuni giudizi di valore” (p. VII). Van Parjis propone “un reddito di base universale e incondizionato” a tutti i cittadini senza distinzione, come perno di una società giusta. Ne è scaturito a suo tempo un grande dibattito internazionale, finalizzato a porre in essere concretamente una strategia di etica pubblica, piuttosto che scadere in un dibattito filosofico o politico di tipo teorico. Per un’etica sociale, che colmi le diseguaglianze, mediante comportamenti giusti e concreti.

Entrambi gli autori propongono una strategia precisa, che chiamano “Principi di una strategia intellettuale dell’equilibrio riflessivo”, e che si estrinseca in quattro punti:

 

1)      osservare la realtà alla luce di alcuni principi generali (ad es. la vita, la sua sacralità);

2)      applicare tali principi a situazioni ‘dilemmatiche’ concrete (ad es. aborto, eutanasia, pena di morte, salute);

3)      formulare giudizi responsabili (ben ponderati);

4)      rivedere in base a tali giudizi i principi generali.

 

“La strategia dell’equilibrio riflessivo è volta a ricercare non già fondamenti etici assoluti, ma un alto grado di coerenza nei nostri atteggiamenti valutativi” (p. XI). Riflessione e responsabilità evocano ilpensiero critico’, il cui risultato è

 

-         una mente aperta, interessata più ad apprendere;

-         una società aperta, dove sia possibile un confronto aperto di punti di vista diversi e non solo rapporti di forza e di potere.

 

L’equilibrio riflessivo ha origini socratiche.

 

Quattro gli approcci proposti:

 

1)      utilitaristico (il maggior bene per il maggior numero – Hutcheson, Bentham, Stuart Mill);

2)      libertarismo (piena proprietà di sé. Società giusta e società libera, anche se alla fine si tratta di giustizia e libertà formali. Massimizzazione della libertà individuale, lotteria naturale – von Haieck, Locke, Nozieck);

3)      Marxista (garanzia di massima uguaglianza, eliminando radicalmente lo sfruttamento umano. Eliminazione dei bisogni);

4)      Egualitarismo liberale (equa eguaglianza di opportunità – John Rawls).

 

“Il principio dell’equa eguaglianza di opportunità e, soprattutto, di differenza mira ad azzerare l’arbitrarietà eticamente inaccettabile della lotteria naturale, senza tuttavia impedire l’espressione e l’utilizzazione di quelle doti e abilità che accrescono il benessere collettivo” (p. XVI).

Infine, un passaggio obbligato delle teorie sulla giustizia sociale è quello di passare da una visione di stato nazionale ad un ambito globale (per es. nei confronti dell’immigrazione) (p. 24).

 

La diseguaglianza strutturale

Dice Amartya K. Sen: “Noi siamo profondamente diversi nelle nostre caratteristiche proprie (quali età, sesso, capacità generali, talenti particolari, predisposizione alle malattie ecc.) così come in certe circostanze esterne (quali proprietà di beni, provenienza sociale, condizioni ambientali ecc.) (p. 9). Pertanto, ragionando sulle valutazioni e sull’esigenza poste dall’uguaglianza si deve scendere a patti con una condizione sostanziale: “l’esistenza di una diffusa diversità umana” (p. 15).

“Il dato di fatto della diversità umana è strettamente collegato ai conflitti sostanziali fra le differenti basi informative su cui è possibile poggiarsi per la valutazione dell’eguaglianza, efficienza e giustizia” (p. 21). È dunque naturale e decisiva la cultura del conflitto, ovvero, il modo in cui ci si predispone a situazioni conflittuali con gli altri. Infatti, “l’importanza del conflitto risiede ancora una volta nella fondamentale di versità degli esseri umani” (p. 24).

 

Povertà, diseguaglianza, reddito, benessere

“La persistenza della povertà in paesi per il resto opulenti è un fenomeno il quale ha evidentemente un che di paradossale e sta cominciando ad attrarre seriamente attenzione nei dibattiti correnti” (p. 25).

“Le diseguaglianze in spazi diversi (come reddito, beni primari, libertà, utilità, altri risultati, altre opportunità) possono essere molto diverse fra loro in ragione di variazioni interpersonali nelle relazioni fra queste variabili, distinte ma interconnesse” (p. 48).

“A causa della fondamentale presenza della diversità umana diviene particolarmente importante accertarsi quale sia lo spazio in cui la diseguaglianza deve essere valutata” (p. 48).

Reddito, star bene e libertà sono tre elementi che non possono essere confusi. E soprattutto non sono suscettibili di misurazione prescindendo dalla libertà e dalla capacità della persona umana di ben-essere. “Questa strategia di misurazione della diseguaglianza incorpora quindi la restrittiva pratica di trattare simmetricamente il reddito di tutti, indipendentemente dalle difficoltà che alcune hanno rispetto ad altre nel convertire il reddito in termini di star bene e libertà” (pp. 50-51).

“La tendenza a ignorare le diversità interpersonali può sorgere non solo dalla tentazione pragmatica di semplificare l’analisi..., ma anche, come discusso in precedenza, dalla stessa retorica dell’eguaglianza (ad esempio, ‘tutti gli uomini vengono creati uguali’). L’abbraccio accogliente di tale retorica può spingerci a ignorare queste differenze, ‘non prendendole in considerazione’ o ‘assumendo che siano assenti’ (p. 52).

“La distinzione fra ‘reddito basso’ e ‘fallimento delle capacità’ è una distinzione che conta” (p. 163).

 

Libertà, capacità, diseguaglianza, scelta

“Quando si ha a che fare con adulti responsabili, è maggiormente appropriato concepire le esigenze dell’individuo verso la società (o le richieste di equità e giustizia) in termini di libertà di acquisire, piuttosto che di acquisizioni effettive. Se l’assetto della società è tale da consentire a ciascun adulto una libertà (in termini di confronto tra insiemi) non inferiore a quella degli altri, oppure alcuni sprecano le loro opportunità e si riducono in condizioni peggiori degli altri, allora si potrebbe senz’altro sostenere che non siamo di fronte ad una diseguaglianza ingiusta. Se accettiamo questa conclusione, allora è facile rimarcare la rilevanza immediata delle capacità (piuttosto che dei funzionamenti acquisiti)” (p. 206).

“L’insieme delle capacità può essere visto come la libertà complessiva di cui un individuo gode nel perseguimento del proprio star bene” (p. 208).

La libertà di scelta non deriva esclusivamente da una valutazione strumentale, ma “può essere concepita come elemento costitutivo della bontà della società e come degna di essere perseguita” (p. 209).

Pertanto, è auspicabile “l’eguaglianza delle libertà” di scelta, da cui far derivare, con l’utilizzo delle proprie capacità, lo star bene, in termini economici e, soprattutto, sociali. Questo non si definisce come un mero edonismo socio-economico, bensì si inquadra in una visione socioeconomica universale della persona umana che è in compagnia di tante altre sue pari, che a loro volta sono libere di scegliere dignitosamente le opportunità che loro si presentano, di saperle cogliere e di adoperarsi, tramite esse, a vivere meglio la loro condizione d’esistenza. Questa argomentazione ci offre la possibilità di trovare “indicazioni più chiare sulle priorità delle politiche anti-povertà in circostanze apparentemente improbabili (ad esempio, nelle ricche società europee e nordamericane)” (p. 210).

 

Povertà, policy, anankastica

Persistono drammatici divari tra le condizioni di vita di singole persone, gruppi ed aree geografiche, tra sud e nord del mondo. In anni recenti c’è stata una rinnovata attenzione sul problema della povertà. Programma Millennium (ONU), B.M., UNPD, società civile, ricerca. Economisti, filosofi, statistici, antropologi, sociologi e studiosi di politiche sociali animano il dibattito.

Nuovi concetti di povertà e di esclusione sociale, possibili cause, linee d’azione, politiche sociali, sviluppo locale per uscire dalle condizioni di povertà. Inaccettabilità morale delle condizioni di povertà (assoluta o relativa, oggettiva o soggettiva, quantitativa o qualitativa ecc.).

Dicotomie ricorrenti, legate a concetti ed elementi di connessione e a similitudini: diseguaglianza, vulnerabilità, marginalità, povertà, esclusione sociale, miseria. Per l’ISTAT 936 euro mensili di consumo è il limite di povertà di una famiglia italiana di due persone (scala di equivalenza per più componenti familiari): 51,1% di famiglie “sicuramente povere”, 81% di famiglie “sicuramente non povere”. Per la B. M. sono poveri i soggetti che guadagnano meno di 1 dollaro al giorno.

Necessità di estendere la misurazione della povertà diversamente dal reddito: beni patrimoniali, durevoli, nutrizione, salute, istruzione, relazioni sociali, partecipazione politica, ambiente. Descrizione e prescrizione della povertà. L’analisi deve essere principalmente politcy-oriented, strategie d’azione e d’intervento adeguate, politiche individuali e di gruppo mirate, efficaci ed efficienti, ma che non sfocino nel paternalismo.

A.K. Sen: lo schema teorico delle “capacità”. Dibattito sul capability approach, Sen e Nussbaum. Cinque livelli di discussione: 1) metaetico (è possibile un giudizio morale sulla povertà?); 2) etico (valutativo: è accettabile la povertà?; prescrittivo: è necessario intervenire per togliere la povertà?); 3) esplicativo (ricerca delle cause: perché esiste il povero?); 4) metrico (quali sono gli indicatori di povertà?); anankastico (da anánke, necessità: che cosa si può fare per risolvere la povertà sociale?).

Uno dei meriti dell’approccio delle capacità è quello di partire da robuste premesse e argomentazioni etico-filosofiche-economiche per approdare a plausibili azioni di politiche sociali. Tutti hanno il diritto di esprimere le proprie capacità di base. Responsabilità individuale e/o collettiva.

Critica al paternalismo e alla mera assistenza. La responsabilità presuppone la libertà. Dice Sen: “Se viene negata la possibilità dell’istruzione di base a un bambino, o quella di cure mediche necessarie ai malati, è la società a venir meno alle sue responsabilità; ma solo il diretto interessato può stabilire in quale esatto modo utilizzare il proprio livello d’istruzione o il proprio stato di salute” (Sviluppo e libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, Milano 1999).

Nel livello anankastico, Sen rivolge una particolare attenzione alle “implicazioni” di politica pubblica. Vi sono buone ragioni per allargare lo spazio delle opportunità reali a favore delle persone, sia sul piano dell’equità, sia sul terreno dell’efficacia. Beni pubblici: istruzione, salute, sicurezza, ambiente. Non solo sviluppo economico, ma soprattutto sviluppo umano. Supportare le capacità personali per il benessere delle persone e della società. Politiche sociali che rifuggano da asimmetrie informative e da forme di distorsione e deformazione dell’intervento e dalla nascita di nuove forme di potere e di dipendenza. Prevenire la carenza di capacità. Vedere in parallelo il passaggio dall’homo economicus all’homo habilis già auspicato molti anni prima da Ivan Illich.

 

Lo sviluppo è libertà

“Viviamo in un mondo di opulenza senza precedenti, che uno o due secoli fa sarebbe stato difficile persino immaginare”. Ma la libertà è il mezzo principale dello sviluppo, inteso come sviluppo umano e formazione di una politica di intervento pubblico. Infatti, alla base dello sviluppo stanno ragioni pratiche (valori, etica). Occorre stimolare la discussione e la riflessione su questi punti, “la discussione pubblica in quanto veicolo del cambiamento sociale e del progresso economico” (p. 7). Pertanto, “lo sviluppo può essere visto come un processo di espansione delle libertà reali godute dagli esseri umani” (p. 9).

Visioni ristrette dello sviluppo sono la crescita del PIL, l’aumento dei redditi individuali, l’industrializzazione, il progresso tecnologico, la modernizzazione della società. Tutte queste cose sono mezzi importanti per combattere le illibertà; ma la libertà “dipende da altri fattori” (p. 9).

Le principali illibertà sono: miseria, tirannia, angustie economiche, deprivazione sociale, disattenzione verso i servizi pubblici, intolleranza, autoritarismo, repressione. Mentre la povertà materiale diffusa si esprime nell’aver fame, non poter curare le malattie, nel vestire, nell’abitare, nel non avere l’acqua, nel non godere di assistenza sanitaria, nella mancanza di servizi pubblici e di interventi sociali, nella mancanza di vaccinazioni, di organizzazione scolastica, di pace e di ordine sociale, nella negazione dei diritti politici, civile e di partecipazione alla vita politica ed economica della propria comunità. Traspare chiaramente in Sen la concezione di sviluppo ‘equo’.

 

Combattere le illibertà

Per sconfiggere le illibertà è necessaria una libera azione individuale e occorre favorire “assetti istituzionali” che rendano possibili le libertà individuali medesime. Esiste, pertanto, una profonda “relazione fra libertà individuale e conquista dello sviluppo sociale” (p. 10). Non avere la libertà di partecipare al mercato del lavoro o di non mettere sul mercato i propri prodotti sono illibertà che sfociano inevitabilmente in forme di asservimento. “Essere genericamente contro i mercati sarebbe quasi altrettanto strano che essere genericamente contro le conversazioni personali (anche se alcune conversazioni sono scorrette e fonte di problemi per qualcun altro, o addirittura per coloro che vi prendono parte) [...] Naturalmente il contributo del meccanismo di mercato alla crescita economica è importante, ma sta al secondo posto; prima viene il riconoscimento del significato diretto delle libertà di scambio: di parole, merci, doni” (p. 12).

Per Sen ci sono tipi di libertà strumentali che sono: libertà politiche, infrastrutture economiche, occasioni sociali, garanzie di trasparenza, sicurezza protettiva. “Le libertà politiche (diritto di parola, libere elezioni) contribuiscono a promuovere la sicurezza economica; le occasioni sociali (sotto forma di strutture scolastiche e sanitarie) agevolano la partecipazione economica; l’infrastruttura economica (sotto forma di possibilità di avviare un’attività commerciale o produttiva) può contribuire a produrre sia prosperità personale, sia risorse pubbliche da destinare ad attività sociali. Libertà di tipo diverso possono consolidarsi reciprocamente” (pp. 16-17).

Spesso si assiste a questo parallelo:

-         governi dittatoriali dispotici si trovano di fronte a cocenti carestie;

-         mentre non è mai successo che governi democratici e liberali debbano fronteggiarne.

Pertanto, le libertà individuali e i diritti civili favoriscono lo sviluppo sociale ed economico. Inoltre, le libertà individuali (capacitazioni degli individui) sono alla base delle libertà sociali. Sen usa il costrutto persona che agisce, al posto di agente. In questo s’intravede il “ruolo attivo dell’individuo in quanto membro della società e in quanto partecipe di operazioni economiche, sociali e politiche” (25).

 

Libertà e agire politico

Non un servizio sociale di decisori politici ad una popolazione che si definisce (o si presume) inerte può essere intravisto nell’agire politico. Su qualità della vita e capacitazioni c’è un nesso con Aristotele, Nusbaum e lo stesso Smith, che riguarda l’analisi dei “beni necessari” e le “condizioni di vita”. Il reddito è un concetto importante, ma non è l’unico a cui dare importanza. “La scienza economica – osserva Sen – tende da diverso tempo a spostare il centro dell’attenzione dal valore delle libertà a quello delle utilità, dei redditi e delle ricchezze” (p. 33). In realtà, al primo posto è da ritenersi il principio di libertà, in quanto, a parità di produzione, è preferibile di gran lunga il sistema che permette la libertà individuale che decide cosa produrre e cosa e con chi scambiare.

“Nella sua quintessenza la libertà individuale è un prodotto sociale, ed esiste una relazione bidirezionale fra gli assetti sociali destinati a espandere le libertà individuali e l’uso di queste libertà non solo per migliorare la propria vita, ma anche per rendere più adeguati ed efficienti gli stessi assetti sociali” (p. 36). Sviluppo, partecipazione, scelta di conservazione o di perdita del retaggio culturale, decisione partecipata, non imposta: su questo ci sarebbe molto da discutere, perché anche una decisione unanime può produrre catastrofi, sia culturali sia materiali. Su questo Sen non tende ad accennare né tanto meno ad approfondire, soprattutto per ciò che riguarda la manipolazione informativa di chi gestisce i media.