TEMPO E RECIPROCITA’  NEI SISTEMI DI SCAMBIO LOCALE  E NELLE BANCHE DEL TEMPO:
ALLA RICERCA DI NUOVI FATTORI DI RICCHEZZA

di Paolo Coluccia

paconet@libero.it
http://digilander.libero.it/paolocoluccia

 

Testo di base per la relazione al corso

 “Economia sobria e solidale come economia equa e sostenibile”

realizzato dal Centro Nuovo Modello di Sviluppo
Vecchiano (PI), 27-31 agosto 2003

 

***

 

Le società hanno progredito nella misura
in cui esse stesse, i loro sottogruppi e, infine,
i loro individui, hanno saputo rendere
stabili i loro rapporti, donare,
ricevere e, infine, ricambiare!
(Marcel Mauss)

Preambolo

“Attenti a quei due!”, consigliava il titolo di un film di qualche anno fa. Ma oggi dovremmo dire: “Attenti a quei quattro, a quei quaranta, a quei quattrocento, a quei quattromila… e così via!” riferendoci ovviamente a quello stuolo infinito di economisti, chief economist, consulenti e consiglieri economici, a tutti quei venditori di fumo, paranoici suggeritori di politiche economiche ad incauti governi e a governanti corrotti, di “destra” e di “sinistra”, di paesi sviluppati, sottosviluppati o in transizione, spesso fiduciari di istituzioni pubbliche internazionali o di gruppi d’interesse transnazionali, che dall’alto della loro influenza ordinano con impudenza che l’unica ricetta per guarire i mali e le sofferenze dell’umanità e delle società è soltanto la crescita. A parte qualche caso isolato su posizioni più critiche (cfr Stiglitz e Sen, ma soprattutto Rifkin, Latouche e Caillé), spesso però si tratta di pentiti dell’ultima ora, la massa di sacerdoti e stregoni del pensiero unico dell’economia di mercato e della speculazione neoliberista legata alla liberalizzazione dei capitali (eufemisticamente il tutto viene chiamato globalizzazione), dettano legge. Basta aprire un semplice quotidiano e nelle pagine economiche ci appaiono inesorabilmente le foto ingessate di questi personaggi cupi e tristi (chissà perché sono fatti così gli economisti? Avete notato la tristezza incartapecorita di Greenspan, presidente della FED?) che non perdono tempo od occasione per imporre il loro inesorabile verdetto per la salvezza comune: “Maggiore crescita e aumento della produttività del paese” (vedi, uno tra i tanti, Ilsole24ore del 19/06/2003). E la loro forza di persuasione è grande. Chi non è con loro è contro la felicità della gente, del loro benessere, della “vita buona”, come si dice ultimamente, nel sottile tentativo di una conciliazione dell’etica e dell’economia.

Come possiamo metterci contro l’evidenza dei loro complicatissimi calcoli scientifici e matematici? Tanto scientifici e tanto esatti (almeno sulla carta) che puntualmente si autosmentiscono e mettono nei guai  diverse nazioni del pianeta e riducono in povertà intere fasce di popolazione. Ma anche di fronte all’evidenza dei madornali disastri socioeconomici ed ambientali di interi paesi (e negli ultimi 10-15 anni gli esempi sono stati tanti, tra questi la Russia e l’Argentina) si ha la sfacciata arroganza di argomentare che la validità della teoria economica non si discute! Le “leggi” economiche neoliberiste che impongono l’economia di mercato sono “sacre ed inviolabili”.

E’ il fondamentalismo dell’ortodossia più selvaggia che sia mai apparso nel pensiero moderno e contemporaneo.

E, purtroppo, gente “impreparata” come noi, che non si è dedicata a studiare a fondo l’economia, che non ce l’ha fatta a stare dietro a formule astruse che “provano” la validità delle teorie economiche e della loro infinita bontà, come può fare a contrapporre teorie alternative al pensiero unico imperante, al fondamentalismo oligarchico dell’economia di mercato? Possiamo solo evidenziare alcuni risultati evidenti: la crescita della povertà a livello mondiale e l’arricchimento spropositato di un gruppo ristretto di persone sul pianeta soprattutto negli ultimi 30 anni.  

“Le 225 più grandi fortune del mondo rappresentano un totale di più di mille miliardi di dollari, ossia l’equivalente del guadagno annuale del 47% degli individui più poveri della popolazione mondiale.

Le tre persone più ricche del mondo hanno una fortuna superiore al PIL totale dei 48 paesi più poveri in via di sviluppo.

L’accesso ai servizi sociali di base; il costo della realizzazione e del mantenimento di un accesso universale all’educazione di base, alle cure sanitarie di base, ad un nutrimento adeguato, all’acqua potabile e alle infrastrutture sanitarie è stimato in 40 miliardi di dollari l’anno. Le spese di pubblicità sono dieci volte superiori: 400 miliardi di dollari l’anno!

La comparazione di ciò che rappresenta il sovraccosto annuale, al fine di permettere l’accesso universale ai servizi sociali e per i consumi vitali di ogni essere umano, permette di constatare che ci sono abbondanti risorse suscettibili di essere liberate in favore dello sviluppo umano.

Le comparazioni non hanno che un valore d’esempio, ma non ci illustrano il modo in cui colpisce l’utilizzazione che viene fatta delle risorse del pianeta (vedi Appendice III)” - (Fonte: Rapporto del PNUS 1998).

Ma questo è un discorso più complesso, non pretendiamo di fare i moralisti in questa sede, né di farci avviluppare dal “ressentiment” di nietzscheana memoria, vogliamo soltanto tentare di trovare il modo di difenderci, di arginare le perdite e di preservarci dall’esplosione epidemica che si annuncia in sordina nel sistema economico occidentale, soprattutto americano, che trascinerà nel suo vortice soprattutto i paesi più esposti e più deboli. Ma non vogliamo nemmeno fare i futuristi devastatori di speranze o le cassandre di turno: vogliamo solo tentare di trovare l’antidoto che ci permetta di sopravvivere ai guasti globalizzanti della corsa sfrenata verso la crescita infinita. Non abbiamo, purtroppo, i mezzi per una contrapposizione netta, ma possiamo solo tentare la via del buon senso e della persuasione, della ragionevolezza (phrónesis), giorno dopo giorno, persona dopo persona. Chi gestisce i capitali della globalizzazione finanziaria ed economica ha mezzi e strumenti di influenza strategica e coercitiva esorbitanti. Il rapporto è quello di Davide e Golia, ma sappiamo alla fine come è andata a finire quella storia… Il veleno di una vipera non si combatte con il veleno di un altro serpente altrettanto velenoso, ma con il suo stesso veleno trasformato in siero antivipera, con un’azione prudente, con una profilassi epidemiologica e biosistemica, evitando di farci morsicare ed iniettare il veleno, ma se succede (come sembra che sia ormai successo a centinaia di milioni di persone in tutto il pianeta, abbagliate dal consumo sfrenato e dall’inutile opulenza) occorre avere di scorta l’antidoto, per non crepare… al momento opportuno! Opportuno non certo per noi, ma per chi ci guarda con ostilità e con paternalistico disprezzo.

Ma quando parliamo di crescita, a che cosa facciamo esattamente riferimento? Sgombriamo il campo da ogni equivoco: per “crescita” intendiamo quel processo infinito innescato da politiche e pratiche “sviluppistiche” e “competitive”, finalizzate al consumo e alla creazione artificiale di bisogni infiniti, che per essere soddisfatti portano all’acquisto infinito di oggetti e di beni inutili. Non fanno parte del mio vocabolario e del mio pensiero parole come contrasto, rivoluzione, alternativa. Fatta una rivoluzione o trovata un’alternativa, si comincia a pensare ad un’altra ancora che ne rovesci la prima e così di seguito. Il “mestiere” del rivoluzionario penso che sia ormai ampiamente superato. Prediligo termini come mediazione, innovazione, profilassi, pattern, questo ultimo nel senso di essere esempio/modello da mostrare e far imitare. La “crescita”, osserva Viveret, è la componente perversa del PIL (Prodotto Interno Lordo) che permette da qualche decennio di misurare la potenza economica di un paese, “questa cifra magica la cui progressione si esprime con una parola che da sola riassume la grande ambizione delle nostre società materialmente sviluppate ed eticamente sotto-sviluppate”. Parliamo della “produttività”, un termometro con cui si misura, con noncuranza ecologica, etica, politica ed antropologica, il benessere materiale di una società. Siamo di fronte a situazioni patologiche di non poca importanza, che hanno ormai attanagliato le più svariate istituzioni economiche nazionali ed internazionali. “E’ tempo di cambiare termometro!”, ammonisce Viveret, occorre trovare una cura, un antidoto per riportare ad uno stato di salute l’umanità e la società. Occorre rendere più sobrio ed umano un modello di sviluppo che sembra impazzito, privo di ogni regola e che rasenta per molti aspetti situazioni o probabilità apocalittiche. L’aggettivo “sostenibile” accoppiato di recente al termine sviluppo rappresenta una sottile forma di cattiva coscienza: “La sostenibilità dei sistemi economici è una premessa per la pace, ma non può crearsi su un sistema sbilanciato, che sta a galla solo perché gli altri affondano. Questa sostenibilità, lo ‘sviluppo sostenibile’, è una grande ipocrisia” (B. Amoroso, 2001).

Non mancano i profeti indiscussi e indiscutibili della crescita infinita: uno tra i tanti Lester Turrow, che nel suo libro La costruzione della ricchezza osserva: “Soltanto una torta economica che cresce velocemente può creare le società ricche in cui ciascuno può partecipare alla creazione della ricchezza” (2000, Edizioni Ilsole24ore). Purtroppo non è facile credere a questa partecipazione, visti i dati del sopra riportato Rapporto del PNUS 1998! E’ vero invece il contrario: ne viene fuori una piramide, la “Piramide della ricchezza”, che compare, guarda caso, proprio a ridosso del Prologo del suo stesso libro (lapsus onirico?). E questo ce lo conferma con lucida analisi il recente libro-denuncia di Joseph E. Stiglitz La globalizzazione e i suoi oppositori (2003, Einaudi). Una lotta impari, comunque, tra chi, incurante della miseria di oltre 3 miliardi di persone, vuole avere sempre di più, assoggettando la natura e il vivente, le idee e la politica e chi invece tenta un recupero della socialità e della vivibilità, della sobrietà dei consumi e degli stili di vita virtuosi, perseguendo la giustizia, l’equità e l’armonia. Si tratta di gruppi emergenti, nuovi movimenti, conosciuti o meno conosciuti, che mettono in pratica giornalmente idee e principi orientati ad un equilibrio interno ed esterno. Spesso non hanno rilevanza esterna, pubblica: i mezzi di informazione non sono corretti nei loro confronti, perché non perdono l’occasione di riprendere gesti e situazioni non generalizzabili. Si tende a costruire artificialmente lo scontro tra questi nuovi “soggetti sociali” (come ama definirli Alain Touraine) e i potenti del mondo. Certo, i contrasti e le distanze tra la gente di Davos e la gente di Porto Alegre, di Seattle e del WTO, dei Girotondi e delle Politiche neoliberiste del Welfare sono immensi. Non ci sono grandi mediazioni, sia sulla base delle premesse sia sui programmi. Difficile una conciliazione, una mediazione, un compromesso. Ma ciò non ci vieta di tentare un approfondimento o di convalidare o meno alcune nostre posizioni.

E’ dunque importante dibattere e mostrare i limiti della crescita materiale delle nostre società. D’altronde è sotto gli occhi di tutti il danno provocato da un eccesso di grassi e di proteine, di colesterolo, di guasti irreparabili all’ambiente, con inquinamenti di ogni tipo, con città asfissiate da fumi, gas, rumori, con malattie da nevrosi e da stress che determinano l’uso indiscriminato di prozac. Questo solo per fare alcuni esempi. Non possiamo distoglierci dal capezzale di questo modello di sviluppo. Ecco perché è importante denunciare con una pubblica discussione gli squilibri, gli abusi, le vittime dello sviluppo, come si è fatto al Colloque International sur l’Aprés-DeveloppementDefaire le développement, refaire le monde” ai primi di marzo 2002 a Parigi nel Palazzo dell’UNESCO. “Disfare lo sviluppo, rifare il mondo”: un programma ambizioso, sul quale però si sono misurate le intelligenze di un migliaio di persone venute da tutto il mondo, impegnate ad introdurre nel dibattito sociale e culturale, oltre che politico, la filosofia di atteggiamenti umani innovativi, i nuovi stili di vita, un altro modo di consumare, il senso della misura, la sobrietà esistenziale, il benessere psico-fisico, il rispetto dell’altro, la cura, l’armonia con il mondo e con gli esseri viventi e la salvaguardia delle biodiversità.

Sulla scorta delle ricerche effettuate dal Wuppertal Insitut animato da Wolfang Sachs, possiamo affermare che in alcune parti del mondo si è cominciato a ragionare seriamente e concretamente sull’opera di ri-conversione socioeconomica e ambientale. Purtroppo, in generale, si dicono solo belle parole o si fa semplicemente retorica di basso livello. Un esempio tra tutti: Joannesburg 2002. Qualcuno ha detto che è mancato “l’uomo”. Ma sembra che per “ostriche e champagne” non si sia badato a spese. La critica antiutilitaristica è cosciente della necessità di cambiare rotta alla società, per arginare le varie forme di esclusione e di povertà, che la corsa alla produttività e alla competitività generano in modo poco scrupoloso. Forti critiche sono state rivolte alle istituzioni economiche, come l’FMI e la BM, per le ingenti somme e risorse bruciate in fantasiosi programmi di sviluppo, che si sarebbero potute gestire e destinare meglio, mentre quasi interamente sono andate ad ingrossare i conti dei grossi speculatori ospiti dei paradisi fiscali (Stiglitz, 2003).

Su questi punti, i movimenti, che spesso per scelta rimangono allo stato nascente, ma che a volte si organizzano in gruppi ed associazioni, supportati e collegati da tecnologie di comunicazione elettronica ed informatica, hanno svolto un’azione continua di denuncia, nel tentativo di poter cominciare quel processo di de-costruzione del nostro immaginario cristiano-illuministico-occidentale-borghese, che ha generato nel corso dei secoli la presunzione e l’arbitrio di poter asservire la realtà e la sua rappresentazione sociale. Un atteggiamento che ci proviene da un grossolano errore di interpretazione del famoso detto di Protagora (volgarmente tramandato in “l’uomo è misura di tutte le cose ecc.), che Heidegger, in un affascinante saggio degli Holzwege (Sentieri interrotti), riesce a spiegare e a correggerne l’interpretazione. All’errore sulla misura si è aggiunta anche la “mania” del possesso e del potere, che ha determinato una società duale discriminante, chi ha e chi non ha, chi è incluso e chi è escluso, chi sfrutta e chi è sfruttato, chi governa e chi è governato, chi è tiranno e chi è suddito. Il problema dell’immediato futuro sta proprio nell’esclusione e nella non partecipazione al dibattito sociale. Governance e democrazia partecipativa non possono essere intese come concessioni che benevolmente vengono emanate anche da forme libertarie di governo. Sono un diritto ed una responsabilità del singolo e delle collettività.

Emerge chiaramente l’esigenza di un progetto politico individuale, locale, sociale. Le politiche per lo sviluppo e per la crescita non offrono che a parole la piena occupazione. Spesso è il contrario. I processi di razionalizzazione economica di un’impresa preannunciano sempre una serie inquietante di licenziamenti. Si sta cercando di aggirare il fenomeno della sparizione dei posti di lavoro con la creazione dell’istituto della precarietà. Si è inventato un eufemismo: l’occupabilità. Non si capisce bene cosa voglia dire né da quale processo mentale sia scaturito questo termine. Sicuramente è un’altra parola ingannevole, perché qualcuno potrà dire di essere disoccupato, ma che allo stesso tempo è occupabile.  E’ in atto una profonda trasformazione del concetto di lavoro, questo è innegabile, ma il PIL si continua a misurare ancora oggi con la produzione materiale della ricchezza. Sono stati coniati dal linguaggio sociologico ed economico termini come “capitale sociale” o “capitale umano”. Ma non abbiamo gli strumenti per quanti-quali-ficare la ricchezza completa di un paese. Una ciminiera inquinante ha un “valore” certo, un fiume o un’intera vallata in balia ad attentati inquinanti ne sono totalmente privi. E’ in corso comunque un serio dibattito, animato dal rapporto di Patrick Viveret Riconsiderare la ricchezza, che ho tradotto in italiano di recente. Ed in questo rapporto, tra l’altro, si presta una considerevole attenzione alla novità dei sistemi di scambio locale non monetari e delle Banche del tempo.

I sistemi di scambio locale non monetari e le Banche del tempo sono dei laboratori che recuperano i concetti di reciprocità e tempo. Essi si prefiggono il compito di riannodare i legami sociali di una comunità e di una società fortemente individualizzata, con un’azione semplice e complessa allo stesso tempo, che ho avuto modo di chiamare in un mio libro “un’azione di reciprocità e di solidarietà” (2001). Possono essere la piattaforma, la base di partenza per un progetto interistituzionale di società, fondato sul “patto” e non sul “contratto”. “I SEL, i LETS, i TR le BdT sono sistemi che permettono di vedere la nostra esistenza differentemente, perché non ci si pone l’obiettivo di massimizzare il profitto, ma di creare un mutuo aiuto, una solidarietà tra noi e nella nostra comunità” (F. Terris, Atti del Colloquio di Martano). Certo, ogni forma di scambio, soprattutto quello non monetario, paragonabile al dono descritto da M. Mauss nel famoso Saggio sul dono, evidenziato dal triplice comportamento del dare-ricevere-ricambiare, presuppone l’indissociabilità delle relazioni umane: “Occorre che si realizzi una fusione tra i membri, un clima di fiducia reciproca, di disponibilità verso l’altro, una valorizzazione di sé, una partecipazione cosciente o incosciente ad un progetto di società” (E. Bucalo, 2003). Ma rappresentano anche uno stimolo, un rinforzo, una rottura di schemi e di abitudini: “Tutti i sistemi di scambio locale non monetario partecipano a questa rottura dell’organizzazione della società. A partire dal loro carattere estremamente prezioso, sono delle utopie realizzate che ci mostrano un’idea del futuro ancora in gestazione. Ci obbligano a pensare, a creare il nostro modo di immaginare, di farci un’idea di società, non solo per i piccoli obiettivi della società (cioè del vivere insieme, dello scambio locale nella diversità) ma di tutta la società” (J.M. Servet, in Atti del Colloquio di Martano).

 

Tempo e reciprocità

            Vi ringrazio per avermi dato l’occasione di discutere e di approfondire qui a Vecchiano nel Centro Nuovo Modello di Sviluppo le potenzialità dei concetti di tempo e di reciprocità. Vi voglio parlare di come impiegare meglio il proprio tempo, nel modo più antico, ma valido anche per oggi, supportati dal principio di reciprocità, giovani ed adulti, donne ed uomini, fanciulli e anziani.

            La reciprocità è un comportamento antichissimo, forse primordiale, neolitico, risalente alla prima grande rivoluzione sociale, ma è nella sostanza una dimensione umana molto particolare, costruita sulla solidarietà e sulla necessità di relazione sociale. Per millenni la forza della reciprocità è stato fondamentale per i rapporti interumani. Essa si è esternata con il dono multilaterale, indiretto e diretto. Ha scritto Federica Cordano che “Tucidide sembra ancora più interessato agli usi particolari di popolazioni a lui contemporanee. Per esempio gli Odrisi… avevano, a suo parere, la dinastia più potente e ricca d’Europa perché utilizzavano la legge del dono, ché presso di loro ‘non era possibile fare alcuna cosa senza offrire doni’. E Tucidide li mette per questo in opposizione con i Traci e con i Persiani, che usavano ‘la legge del prendere invece che dare’, avendo evidentemente superato – ma Tucidide di questo non ne rende conto – un modello economico più antico”.

Sullo sfondo del comportamento interindividuale della reciprocità aleggia il principio della solidarietà, che una società consumistica ed utilitaristica come la nostra ha finito per tramutare in assistenzialismo, carità, benevolenza. Come osserva acutamente Touraine: “La solidarietà è il contrario dell’assistenzialismo” (1998), per buona pace di tanta propaganda cattolica e filantropica. La solidarietà si basa sul principio dell’estinzione di un debito e sul diritto di un credito, che ciascuno di noi rispettivamente ha o può vantare, contemporaneamente, nei confronti di tutti gli altri. Questo pensiero mi proviene dall’insegnamento di Don Milani. Ma questo ci incanala in un discorso molto più complesso.

Tutti hanno da offrire qualcosa; tutti hanno bisogno di ricevere qualcosa. Dare e ricevere, scambiare, non mediante il sistema economico del mercato, ma animati dallo spirito della solidarietà, con un uso proficuo della risorsa più grande a nostra disposizione: il tempo. Ecco perché vi parlerò della Banca del tempo e della sua filosofia. Ho scritto in un mio libro: “Sembra un paradosso che in una società dove il tempo a disposizione delle persone è davvero tanto, sia per chi lavora, sia per chi non fa nulla, esso non basti mai. Nel tentativo di recuperare gran parte del tempo che si perde e si spreca, la Banca del tempo può svolgere un ruolo propedeutico importante. Può cioè educare a far uso positivo della risorsa tempo, non in una logica mercantile o di prestazione assistenziale, ma nel quadro di rapporti comunitari improntati alla reciprocità dello scambio non solo economico tra le persone” (2001).

Il problema è dunque nella concezione del tempo, si risolve se si riflette sul nostro modo di intendere il tempo.

Fino a quando considereremo il tempo una misura, un processo legato alla produzione, al consumo, allo scambio economico non saremo che degli ignari seguaci di Beniamino Franklin, che ha coniato il famoso detto: “Il tempo è denaro”. Solo se penseremo il tempo come “vita”, come rapporto con gli altri nel presente, svincolato dal concetto di valore e di interesse, capovolgeremo il sopraccitato detto con quello di “Il tempo… non è denaro”. E’ il titolo del mio ultimo libro (2003).

C’è una sostanziale differenza tra il tempo con gli altri e il tempo della storia. Questo ultimo è un tempo artificiale, vuoto, che sta nella testa di un gruppo di sapienti, gli storici, appunto. “Uno strumento finto ma necessario ad ogni pensiero che vuole costruire la storia universale”, osserva Angel Enrique Carretero Pasin sulla scia del pensiero di Halbwachs. Questa concezione storica del tempo non ha alcun rapporto con il tempo “reale”, che è quello vissuto “con gli altri”, quello che si concentra nel presente, punto di partenza della memoria, in quanto il pensiero cerca di ri-memorizzare il fatto vissuto con l’altro. Da qui l’immagine, l’immaginazione, il simbolico, per secoli esclusi dall’indagine scientifica delle discipline sociali perché ritenuti elementi irrazionali (oltre il 50% del pensiero umano!), emergono nella radicalizzazione concettuale della relazione uomo-alter, uomo-spazio, uomo-mondo “facendo apparire la sinergia che esiste tra l’immaginazione umana e lo spazio di fronte all’angoscia provocata dalla scomparsa del tempo e dalla sua attualizzazione, la morte” (N. Paschalis, Lo spazio sociale, in Esprit Critique, estate 2003).

 

Il tempo non ha “valore”

Ha detto Ivan Illich al Colloque International sur l’aprés-développement (Unesco, 2002): “Je n’aurais pas en latin un mot pour traduire le concepte de valeur”.
 
“Non avrei in latino una parola per tradurre il concetto di valore”: significa che il concetto di valore è estremamente recente, appartiene alla modernità, alla razionalità strumentale, al comportamento economico, cioè a quando si comincia a considerare il tempo che fa lievitare gli interessi e fa “lavorare” il denaro stesso. Ma il tempo della “vita” non ha un “valore” e soprattutto “non è denaro”, non può essere ridotto a uno scambio economico in senso totale. Tutte le religioni lo hanno evidenziato, tutte hanno condannato il prestito e l’usura, il denaro che sfrutta il tempo, che si autoriproduce. Oggi, purtroppo, siamo ad un limite estremo, siamo nell’economicismo assoluto, abbiamo un martello economico, come dice Latouche, che batte nella nostra testa e che ci fa pensare solo al denaro, al valore, all’utile, alla crescita, all’arricchimento! Non serve cambiare martello: occorre cambiare “testa”! Anche se oggi molto del nostro tempo è dedicato a far lievitare l’economia di mercato, non possiamo imporcelo in assoluto. Il nostro tempo è qualcosa di molto più complesso, è una grande ricchezza e non possiamo svilirlo rapportandolo in assoluto all’utilità e all’interesse.

Perciò, è bene evitare invasioni di campo o confusioni epistemologiche. Se la redistribuzione è un principio “politico”; se il mercato è un concetto “economico”; se la reciprocità è un argomento “filosofico”, (e tutti e tre possono convivere in un sistema sociale, come dice J. Godbout) una concezione “esistenziale” del tempo della nostra vita e di quella degli altri non può essere esclusivamente utilitaristica, perché si tratta di quel tempo che condividiamo con gli altri, mediante l’associazione, la reciprocità, la mutualità e la collaborazione, principi che ancora non abbiamo sufficientemente scoperto, perché siamo caduti inesorabilmente negli associazionismi, che come tutti gli “ismi” uccidono il fondamento concettuale delle idee.

Il tempo che passa ogni giorno, ogni attimo, è tutta la nostra vita. Occorre pertanto  togliere al tempo la nozione assoluta di “rendimento”, per sostituirla con quella fluttuante del vivente. Perciò iniziamo a riconsiderare il tempo con gli altri come un “nuovo fattore di ricchezza”:

- il tempo come legame tra le persone e non come misura;
- il tempo ciclico delle stagioni;
- l’autonomia dal tempo pianificato delle organizzazioni produttive;
- il tempo soggettivo, emotivo e il ritmo personale e comunitario;
- il tempo di scelta e di condivisione;
- la complementarietà dei tempi (storico, presente, breve, medio e lungo termine);
- l’accordo tra il tempo dell’industria con il tempo biologico e geologico, per il problema delle materie prime, dell’energia e dei rifiuti;
- riabilitare il presente, il nostro presente con il mondo e il vivente;
- concepire soprattutto la fine del nostro tempo di vita, cioè la nostra morte, come fondamento del nostro agire.

Riguardo a questo ultimo punto, vorrei ricordare ancora le parole di Patrick Viveret: “Per la specie umana si può in effetti avanzare l’ipotesi che ciò che costituisce in definitiva la gerarchia dei valori della vita è la coscienza della morte… La percezione della finitezza e della vulnerabilità è alla base di ogni valore”.

In conclusione, se il paradigma moderno del tempo è stato quello legato alla produzione e all’utile, oggi, in questo medioevo post-moderno, lungo le derive della modernità, questo paradigma tende a fare i conti con la vita, il mondo e il rispetto della dignità di ogni essere umano e del vivente in generale.

Parafrasando il detto scritto sulla porta dei Sistemi di Scambio Locale francesi mi piace dire: “La vera ricchezza non scaturisce dal nostro conto in banca, ma dalla nostra creatività, dalla nostra immaginazione e dai nostri sogni”. E nell’introdurre il tema dei sistemi di scambio locale non monetari e delle Banche del tempo, lo faccio ricordando le parole che ho ascoltato direttamente da François Terris (fondatore del primo SEL in Francia): “La vera ricchezza di un paese sono le ore che ciascuno va a donare alla sua comunità!”.

 

1. La filosofia della Banca del tempo.

La filosofia di questa associazione si basa sull’azione di reciprocità generalizzata e sui principi della simmetria e dello scambio sociale, per il raggiungimento della solidarietà.

Cos’è la reciprocità generalizzata o, più semplicemente, indiretta? Si dà a qualcuno, per ricevere da qualcun altro. Si scambiano così, senza l’intermediazione del denaro, beni, servizi e sapere. L’azione è necessariamente locale. Lo strumento è un’associazione senza fini di lucro che in Italia ha preso il nome di Banca del tempo. Il fine è la solidarietà tra i soci e di questi verso la comunità d’appartenenza. Tutti hanno la possibilità di dare e chiunque ha bisogno dell’altro per ricevere. Il comportamento individuale è il dare, il ricevere e il ricambiare. E’ uno scambio tra equivalenti, ma non di mercato, dove lo scambio segue la contrattazione diretta (qualcuno cede la merce in cambio del denaro di qualcun altro). In un sistema di reciprocità si dà a qualcuno per ricevere da qualcun altro in tempi e modi differenti. Al posto del contratto c’è il patto.  Non è nemmeno assimilabile al baratto, come confusamente molti sottintendono, perché anche il baratto si svolge frontalmente tra gli equivalenti: si dà un oggetto in cambio di un altro d’uguale valore, d’uso o convenzionale non importa, sempre a seguito di contrattazione. “Il principio del baratto dipende per la sua efficacia dal modello di mercato” (Polanyi, 1974).

La simmetria è un principio fondamentale in questi rapporti interindividuali.

Si manifesta:

a) nella produzione e nell’uso dell’informazione (tutti contribuiscono a creare il circuito informativo di ciò che si dà e di ciò che si riceve – bollettino offerte-richieste);

b) nella parità sostanziale degli individui in rapporto alla prestazione offerta nel sistema (un’ora dell’imbianchino vale quanto un’ora dell’esperto informatico);

c) nel pareggio a saldo di tutti i conti individuali, in dare o in avere, considerato che tutti partono con un conto zero (quando qualcuno riceve si “indebita” mentre chi ha dato si “accredita” di ore di tempo o di unità locali di conto) (cfr. Coluccia, 2002).

Lo scambio sociale consiste della relazione di ego verso alter; finalizzata alla solidarietà del noi, al legame sociale (condivisione), allla comunic-azione (azione-comune). La dimensione umana della reciprocità instaura un nuovo settore sociale: quello della spontaneità e del dono (cfr. Coluccia, 2001, 2002, 2003).

Non si vuole soppiantare lo stato o il mercato, - questo è importante, anche se non è tutto (Rifkin, 2000) e regola gli scambi della maggior parte degli individui (Godbout, 1993) - ma si cerca di immettere nel sistema sociale un’innovazione basata sui fondamenti antropologici e culturali del dono. “Le società hanno progredito nella misura in cui esse stesse, i loro sottogruppi e, infine, i loro individui, hanno saputo rendere stabili i loro rapporti, donare, ricevere e, infine, ricambiare!” (M. Mauss, 1965). Infatti, “l’etica dello scambio sociale permette di concepire una rifondazione della democrazia” (Latouche, 2000).

 

2. Come nasce una Banca del tempo?

Metti insieme 10-15 individui (e già questo comporta notevoli difficoltà ai giorni nostri, soprattutto perché ciascuno non ha mai tempo!), consegna loro un pezzo di carta e una penna e chiedi di scrivere, oltre ai propri dati, ciò che sanno fare o ciò che vogliono dare o che vorrebbero ricevere. Aggrega le offerte e le richieste su un foglio più grande, fanne diverse copie e consegna una a testa. Ora l’informazione è comune: tutti dispongono dei nomi, dei numeri di telefono, delle attività, delle disponibilità e dei bisogni di ciascuno. Una Banca del tempo autonoma e autogestita come un sistema di reciprocità indiretta nasce proprio così. Decolla quando realmente si comincia a chiedere e ad offrire. Alla fine di ogni prestazione si stacca un tagliando dove si attesta il valore del bene, del servizio o del sapere ricevuto. Si conteggia in ore o utilizzando un’unità di conto convenzionale e locale. Un gruppo di amministrazione coordina le attività, anima l’associazione, aggiorna i conti, cura la redazione periodica del bollettino offerte-richieste, predispone gli strumenti minimi di funzionamento, presenta i nuovi entrati nel gruppo, convoca riunioni periodiche. Si agisce nella massima parità e trasparenza. Chi fa il furbo o cerca di approfittarsi prima o dopo viene scoperto e non ha vita facile. Sembra tutto molto semplice, ma vi assicuro che dopo anni di attività diretta e di analisi di varie esperienze nazionali ed internazionali, non è proprio così. Sembra proprio una bella idea: purtroppo nella pratica succede di tutto, anche l’imprevedibile (cfr. Coluccia, 2001).

 

3. Un po’ di storia e le esperienze straniere.

Questi sistemi di scambio locale si diffondono nel mondo con motivazioni e modelli differenti, anche se è unanimemente riconosciuto che il sistema iniziale e trainante è stato il sistema LETS di M. Linton, elaborato in Canada sulle ceneri di un’esperienza analoga fallita per ingenuità e per inesperienza dei promotori.

Dal 1975 si organizzarono in Canada i LETSystem (Local Echange Trading System), che utilizzarono monete locali riferite alla valuta nazionale, al dollaro o al tempo inteso come ora di lavoro. Dal 1985 i LETS, dopo qualche clamoroso fallimento e qualche affinamento tecnico-contabile e con l’apertura della gestione e dell’organizzazione agli aderenti, si sono diffusi rapidamente in Europa (Inghilterra, Germania, Francia, Belgio, Scozia, Italia ecc.) e nel mondo (Argentina, Messico, Venezuela, Brasile, Australia, Senegal ecc.). La parola lets, oltre che il significato dell’acronimo, può significare provocatoriamente anche «Lasciatecelo fare!». In Inghilterra si cercò di arginare le difficoltà causate dalle politiche tacheriane.

            In Francia oltre ai SEL (Sistème d'Echange Local), orientati in senso ecologico ed anti utilitarista, si sono organizzati RERS (Réseau d'Echange Réciproque de Savoir - Rete di scambio reciproco di sapere) e Troc-Temp (Baratto di tempo). Interessante la Route des SEL, organizzazione nazionale di ospitalità per viaggiatori aderenti ai Sel che permette il pernotto gratuito presso le famiglie che vi aderiscono.

 In Germania esistono diverse configurazioni di sistemi di scambio: i Tauschringe (Cerchi di scambio), i Talents (sistema Talenti), le Zeitbörse (Borse del tempo). Singolare il motto dei Tauschringe: «Vai, anche senza marchi!».

In Belgio è testimoniata la presenza e la sperimentazione di SEL e di LETS: quest'ultimo acronimo, a differenza di quello inglese riferito allo scambio commerciale ed economico, significa soprattutto Locale Scambio di Talenti e di Servizi, dove per talenti s’intendono le capacità personali creative dell'individuo.

In Olanda è attivo un gruppo che divulga e sostiene i sistemi di scambio locale: Aktie-Strohalm. Questa associazione ha organizzato a Strasburgo nel 1998 un Seminario Internazionale Lets con il fine di sviluppare questi sistemi non monetari nelle nazioni dell’Est dell’Europa. Oggi la divulgazione è ancora più ampia.

Nel 1991 ad Ithaca (New York) parte un sistema orientato a controllare gli effetti negativi dell’economia di mercato. Si stampano le Ore di Ithaca, monete locali multicolorate e dipinte, su carta filogranata o su canapa tessuta a mano, con inchiostro termico alle quali si è dato un corso legale parallelo. Alcuni bar, ristoranti e cinema accettano le Ithaca-Hours. Questo contante rispetta l’ambiente, non è speculativo e crea lavoro e consumo responsabile.

In Argentina, sempre agli inizi degli anni 90, si formano i Clubs de Trueque (Clubs di scambio) riuniti successivamente in un progetto di comunicazione denominato Red de Trueque. Con queste associazioni si tenta di rilanciare il dinamismo economico perduto dalle comunità negli anni ’80. La Red cerca di mettere le popolazioni in condizione di rispondere ai problemi di esclusione generati dalla globalizzazione dei mercati. Il motto è: «Il futuro non sta scritto!». Interessante il forum organizzato sul sito http://money.socioeco.org dal 5 febbraio al 5 aprile 2001 sul tema della Moneta Sociale e in preparazione del Seminario internazionale di Santiago (Cile) rivolto alla creazione di un Polo di Socio-Economia Solidale in seno all’Alleanza per un Mondo Responsabile, Plurale e Solidale. Seguì un altro incontro a Findorm, Scozia. Di recente ci sono stati grossi problemi nella gestione dei “creditos” (moneta sociale del Trueque), che hanno invaso la società argentina e sud-americana.

L’Australia conta il sistema Lets più numeroso per numero d’iscritti (si parla di 1800 aderenti) e di famiglie coinvolte nello scambio: il Blue Mountain. Ma le notizie non sono continue.

In Senegal sono nati i SEC (Sisthèmes d’Echange Communautaire). Si prefiggono non tanto di generare legame sociale (l’Africa ne ha da «vendere») ma di dinamizzare gli scambi, la reciprocità e l’auto-aiuto, mediante reti locali e principi di vicinato e di prossimità, con una particolare attenzione alle persone svantaggiate.

            Interessante la recente attività di scambio on-line sulla rete Internet da parte di due organizzazioni: Notmoney in Venezuela (si scambia di tutto: vacanze, viaggi, attività ecc. Stimolante il progetto Interser coordinato da Alberto Moron, anche se ultimamente, dai momenti difficili del paese, non ho più notizie dirette) e GRB (Global Resource Bank) negli USA (una Banca globale di risorse che produce ricchezza in maniera conforme alle necessità della produzione e dell’ecosistema: si può godere la prosperità globale, eliminare la povertà, l’inquinamento e rendere l’ambiente naturale sano e generoso mediante gli eco-crediti, la vera ricchezza della terra).

            Ultimamente M. Linton ha spostato il suo campo d’azione in Giappone dove sta stimolando, tra tanti problemi e preoccupazioni, sistemi di scambio basati sulla moneta sociale. Ne sono sorti di diverso genere, anche sulla spinta di un programma televisivo.

 

4. Le Banche del tempo in Italia.

In Italia il fenomeno delle Banche del tempo e dei sistemi locali di scambio non monetario che generano altruismo reciproco generalizzato è molto differenziato. Possiamo distinguere, in modo molto approssimativo, tre modelli di Banca del tempo:

- la Bdt organizzata, finanziata e gestita dal Comune, a seguito di deliberazione della giunta comunale, con un funzionario pubblico che fa l'animatore, il coordinatore e il segretario dell'esperienza.  Questo modello, sviluppatosi in molte città italiane del centro-nord, vede nella Bdt un servizio pubblico da fornire al cittadino, qualificato come utente o cliente, che per le sue necessità si rivolge ad uno sportello, stacca degli assegni per le prestazioni, si accredita o si indebita per le prestazioni date o ricevute, riceve il suo bravo estratto conto periodico, proprio come avviene nell’immaginario economico e monetario del sistema bancario, solo che al posto delle monete in queste organizzazioni si deposita  e si conteggia il tempo.

-        la Bdt che nasce all'interno di un’associazione, di una cooperativa o di un’organizzazione sindacale (Arci, Misericordie, Mag, Auser ecc.). Questi gruppi già costituiti e funzionanti fanno muovere (a mo’ di balie) i primi passi alla neonata iniziativa sociale  In positivo, si lascia alla fine che la Bdt proceda con le proprie gambe e che si apra alla comunità; in negativo, può avvenire che il rapporto ideologico di fondo crei dipendenza, perduri all'infinito e che il sistema rimanga chiuso ed individualizzato all'ambiente sociale.

-        la Bdt come sistema autonomo, autofinanziato e autogestito che nasce su iniziativa di alcuni individui ampiamente motivati, spesso carburati ideologicamente (in senso politico, ambientalista, solidaristico ecc.), che si riuniscono ed elaborano un progetto di azione comune, che si autofinanziano e che si autonormano con uno statuto ed un regolamento e con degli strumenti semplici di informazione e di contabilità, per favorire e per registrare gli scambi di reciprocità generalizzata Non nascondo una certa simpatia per questo modello, pur con qualche riserva. Infatti, il substrato ideologico, se per un verso fa da collante, dall’altro può isolare il gruppo dalla comunità. Inoltre, quando le controversie non si ricompongono facilmente  si rischia l’implosione del sistema.

          Il modello di Banca del tempo che divulgo e promuovo è quello autonomo e autogestito.

E’ stata emanata qualche anno fa una Legge dello Stato (Legge 8 marzo 2000, n. 53 “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”) che tenta di stimolare la nascita di Banche del tempo. Come tutte le leggi in materia di legislazione sociale, tale norma disciplina (o almeno cerca di disciplinare) e istituzionalizza, lo spazio d’azione pubblico, che è cosa ben diversa dallo spazio comune.

             In seno all’associazione sindacale CGIL è sorto verso la metà degli anni ‘90 un osservatorio (Tempomat) delle Banche del tempo, che ha censito, registrato e stimolato la nascita di queste associazioni. Verso la fine dell’anno 2002 Tempomat è ‘passato di mano’, cioè, avendo la principale sostenitrice, per intervenuti ulteriori impegni, deciso di lasciare questo impegno, l’attività dell’osservatorio è stata divisa  in tre parti (sito internet, software di gestione Bdt, formazione). Il tutto è passato alla gestione di alcune persone che nel proprio territorio avevano implementato una Banca del tempo o qualcosa di simile.

La regione Emilia-Romagna ha svolto un ruolo propositivo e divulgativo, soprattutto nell’ambito delle politiche sociali, curando di recente innanzitutto la bibliografia e le pubblicazioni inerenti questi sistemi di scambio e sostenendo un progetto di Banca del tempo-on-line su internet. Ma anche altri Enti locali, ai vari livelli, hanno cercato di sostenere con mezzi finanziari e divulgativi queste associazioni. Spesso, però, lo sforzo non è stato ripagato e parecchie esperienze sono rimaste a livello di progetto, si sono arenate dopo i primi tempi o sono diventate delle scatole vuote. Non sono mancate, comunque, Bdt attive ed interessanti, almeno nei periodi di punta del fenomeno (anni 1997-2000).

            L’organizzazione no profit Lunaria di Roma ha fatto una notevole attività di divulgazione di questi sistemi locali di scambio non monetario. Con il patrocinio della Commissione Europea ha organizzato il 7 giugno 2001 il primo meeting dell’European Network of Non-Monetary Echange Systems (ENNES), al fine di formalizzare una rete cui aderiscono le più significative esperienze di scambio europee. La rete persegue la promozione dei sistemi non monetari, considerati strumenti di inclusione sociale, mediante la divulgazione di informazioni sulle esperienze attive e significative. I sistemi di scambio non monetario ricreano le reti della comunità riequilibrando il tempo di lavoro con il tempo della vita e facendo emergere le risorse locali, sviluppando le opportunità per uomini e donne e favorendo le buone relazioni. Purtroppo, anche in questo caso, dopo una prima riunione a Bruxelles, l’azione non è continuata e non è stata approfondita.

            Il mondo della ricerca universitaria non è stato a guardare. Numerose le tesi di laurea, nelle più disparate facoltà e discipline (Sociologia, Antropologia, Giurisprudenza, Servizi sociali, Scienze della formazione, Economia ecc.), e i dottorati di ricerca, in università prestigiose, come la Sapienza, la Bicocca ecc.

            Futile, fuorviante e soprattutto deludente l’intervento di giornalisti, soprattutto della carta patinata, che hanno ricalcato nelle loro pagine, in un certo determinato periodo (1997-1998), una lunga serie di luoghi comuni, senza riuscire a cogliere gli aspetti significanti e qualificanti di questi sodalizi. Inutile dire che è mancato l’approfondimento, a parte qualche rara eccezione, come la rubrica Diario dell’Unità (1996) o qualche trasmissione televisiva (Speciale TG1, 1997) o radiofonica (Gr2-cultura e I misteri della notte-Gr2, 2001, 2002) della RAI.

            A Martano (LE) l’esperienza di Banca del tempo autogestita nell’associazione ASSEM inizia nel 1996, assai simile ad un Lets. Nel tempo il sistema di scambio si evolve. L’idea di fondo diventa il dono, quello libero, riconducibile al triplice comportamento del dare, del ricevere e del ricambiare, così felicemente descritto da Marcel Mauss nel Saggio sul dono. Gli scambi si conteggiano in mistòs (dal grìco - lingua locale – che significa soldo: “Vali quanto un soldo!” nel linguaggio popolare martanese significa “non valere nulla!”). Dieci mistòs valgono più o meno un’ora.  Nel sistema è transitato di tutto: verdure spontanee, ortaggi ecologici, trasporto di cose e persone, aiuto allo studio, piccole manutenzioni, consigli estetici, lavori al computer, attività di cucito, artistiche, sportive, lavori di giardinaggio, cibi, torte ecc. Ma è transitata soprattutto tanta socialità, promozione sociale e comunicazione. C’è stato un notevole interesse per l’esperienza da parte di mass-media locali e nazionali. Alcune tesi di laurea discusse in varie facoltà universitarie italiane hanno trattato quest’esperienza associativa di scambio locale. Molti, però, sono stati i problemi e i momenti di difficoltà dovuti a fraintendimenti, incomprensioni, polemiche che ne hanno rallentato cospicuamente l’attività.

Queste problematiche compaiono in quasi tutte le esperienze finora conosciute in Italia e nel mondo. Forse abbiamo anticipato “i tempi”! Ma non bisogna abbattersi. Al contrario, occorre stimolare le esperienze a continuare e a ricrearsi, anche seguendo le derive e i nuovi orientamenti.

 

5. L’innovazione sociale.

La Banca del tempo può essere considerata un’innovazione sociale. E’ un termometro sociale con cui è possibile misurare la promozione di sé, la cittadinanza attiva, la solidarietà, la capacità di progettazione della comunità d’appartenenza, nella coesione sociale e nella salvaguardia delle diversità individuali, psicologiche e culturali.

E’ difficile inquadrare le Bdt e i Sistemi di scambio locale non monetari. Succede spesso e in ogni contesto sociale e culturale. Ma proprio per questo la Bdt è un’innovazione socio-culturale ed economica. La sua azione sociale è  molto complessa ed articolata, al limite dell’irrazionale. La sua base teorica più profonda è il dono, che si estrinseca nella triplice azione del “dare – ricevere – ricambiare”. Si tratta però del dono con radice antropologica, non si tratta della gratuità, dell’assistenzialismo, della filantropia o dell’azione volontaria “del giorno dopo”, ma della solidarietà intesa come scambio tra pari finalizzato all’interazione sociale. Il riferimento al Saggio sul dono di Marcel Mauss è chiaro.

La Bdt, pertanto, non ha niente in comune con il volontariato, tanto meno con il baratto, che altro non è che un mercato vero e proprio tra equivalenti, privo dell’intermediazione del denaro. Difficile inoltre il rapporto con il settore pubblico, in quanto lo “spazio d’azione” della Bdt è lo “spazio comune”, quello della condivisione e della reciprocità.

La modernità ha teorizzato e legittimato nel suo progetto socio-economico lo spazio d’azione pubblico e lo spazio d’azione privato. Esiste, infatti, il “diritto pubblico” e il “diritto privato”. Ma manca totalmente (o quasi) la teorizzazione dello spazio comune (cum munus, con dono), il diritto comune, la comunità, luogo consacrato, fondamentale e determinante del legame sociale, della solidarietà, del “capitale” sociale, da cui tutto discende (mercato, società, cultura, famiglia…) e non il contrario, come spesso si pensa o come molti economisti contemporanei voglio farci credere.

Immaginare un settore sociale, dunque, improntato sulla condivisione, sulla reciprocità e sulla lealtà è oggi indispensabile, soprattutto per le difficoltà della nostra epoca, tanto disincantata e irragionevole, per poter riscoprire l’incanto del senso, dell’incontro dell’altro, del noi, per raggiungere quel substrato d’intimità con cui è possibile ancora cercare di “riconoscere” l’altro, rispettarne le diversità, le peculiarità e le qualità (d’opinione, di cultura, di sapere…). Tutto questo si può fare provando piacere a scambiare alla pari i propri beni, servizi, saperi, senza turbamenti, senza supremazie, senza speculazioni, senza furbizie.

La Bdt può essere considerata uno strumento per rimettere in campo un clima di convivialità, per avere la chance di poter ancora vivere “insieme”, liberi, uguali e diversi (Touraine, 1998). Ma è anche uno stimolo all’autorganizzazione, all’autoreferenzialità: non si può ancora credere che possa essere la società (una pura astrazione concettuale!) ad organizzarsi, in quanto possono farlo solo gli individui, qualora ne sentano la necessità, il bisogno e trovino la giusta volontà. E’ un viaggio cominciato oltre diecimila anni fa, nel neolitico, che non si è mai interrotto e che è destinato a continuare fino a che la specie umana non si estinguerà. E le istituzioni e le organizzazioni sociali, se ci credono, possono “accompagnare” questi movimenti, collaborando e operando con complementarietà, ma mai prevaricando con arroganza e paternalismo intriso di subalternità. Anche questa è una importante innovazione sociale, per non dire una scommessa.

La creazione di società è un banco di prova per l’individuo, il gruppo e la stessa comunità. Il sistema comunitario legato al progetto della Banca del tempo e dei sistemi locali non monetari si rivela interessante e importante, a mio avviso, soprattutto per una società moderna che rappresenta il suo futuro come “rischio” (Luhmann, 1989, 1990, 1999; Baumann, 2000; Beck, 2000).

Queste esperienze di scambio locale non monetario sono intraviste in un documento di lavoro, effettuato da un gruppo di studiosi operanti nel Nucleo Valutazioni Prospettive della Presidenza della Commissione Europea nel 1999, che complessivamente disegna cinque probabili “scenari” europei nell’anno 2010.

In uno di questi scenari, il secondo, definito I cento fiori, naturalmente caratterizzato dal un “equilibrio instabile”, dove «la distribuzione sempre più disomogenea della ricchezza, la proliferazione della criminalità internazionale e la moltiplicazione dei piccoli conflitti regionali stanno destabilizzando il sistema mondiale, che tuttavia continua a reggere alla meno peggio», poiché «prigionieri di mentalità e modalità operative arcaiche, gli apparati amministrativi e i sistemi politici delle capitali non sono riusciti a tenere il passo con questi fenomeni di micro-rinascimento e hanno lentamente perso il contatto col mondo reale», considerato che «l’immobilismo delle gerarchie, lo spezzettamento delle competenze e l’eccessiva fiducia nella scienza avevano gettato i semi di un diffuso disimpegno», «in un’epoca in cui le società si facevano sempre più complesse, il progresso tecnologico sempre più rapido e le esigenze individuali sempre più differenziate, le burocrazie rimanevano rigide e incapaci di adeguarsi a situazioni sempre eterogenee», e «la classe politica si rivelò intrinsecamente incapace di rispondere al grande disagio, oscillando tra immobilismo e demagogia», le Banche del tempo, insieme a cento micro-iniziative innovative, fanno capolino nella società europea, in quanto, per fronteggiare la crisi politica, economica, sociale e culturale determinatasi nel quinquennio 2000-2005, «l’opinione pubblica mostrò un forte spirito d’iniziativa: nacquero centinaia di gruppi civici». Pertanto «si assiste in questo periodo all’ascesa di collettività locali dinamiche come quelle odierne», si osserva nel documento futuribile. «E’ ormai raro – continua lo studio – trovare un comune o un quartiere che non abbia la propria valuta e una banca del tempo in cui scambiare lezioni private, attività culturali e ogni tipo di servizi alla persona (come ripetizioni, assistenza a bambini e anziani e collaborazioni familiari). Le associazioni locali, spesso gestite da donne, pensionati o neolaureati, si sono moltiplicate e di fatto trasformate in piccole imprese. Gran parte di queste opera in modo informale, senza preoccuparsi di registrarsi presso le autorità competenti o di pagare le imposte. Alcune, con l’aiuto delle autorità locali, svolgono un ruolo importante nell’erogazione di piccoli prestiti ai privati e alle imprese con problemi immediati  di liquidità. Altre hanno istituito “casse comuni” per finanziare reti di sostegno economico e, se necessario, persino offrire borse di studio o di riqualificazione professionale. Le più avanzate possono anche erogare prestazioni sociali. Altrove sono nate nuove forme di aggregazione sindacale per difendere i diritti dei cittadini in generale oltre a quelli dei lavoratori. La stragrande maggioranza di queste strutture locali è rimasta molto aperta al mondo esterno. Sfruttando tutte le possibilità dell’informatica (senza la quale molte di loro non sarebbero mai nate) hanno instaurato comunicazioni, partnership e scambi di esperienze a livello internazionale non soltanto all’interno dell’UE ma anche con controparti nell’Europa orientale, nel Mediterraneo e in Africa».

Nessuno di noi si augura uno scenario “possibile” della società europea nell’immediato futuro fondato sul paradigma dell’«equilibrio instabile», ma in ogni caso occorre non farsi trovare impreparati, in quanto, per dirlo in senso metaforico, o se si preannuncia il temporale o se le previsioni prevedono ottimisticamente il cielo sereno e il sole splendente, non costa nulla portarsi nello zaino il “parapioggia” ben piegato, che, se indossato con il bel tempo fa scoppiare dalle risate i passanti, ma se estratto al momento giusto e all’inizio di un violento temporale può farci passare per persone previdenti ed intelligenti.

E le Banche del tempo sono quasi la stessa cosa.

Grazie

 

 

 

Riferimenti bibliografici

 

Baumann Zygmunt, La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna, 1999.
Beck Ulrich, I rischi della libertà, Il Mulino, 2000.

Bernard Michel (a cura di) Dossier: Autour des SEL, in "Silence. Ecologie, Alternatives, Non-violence", Lyon (F), n° 246/247, Juillet-Août 1999.

Bucalo Elisabetta, Le Banche del tempo: una specificità italiana, in P. Coluccia, Il tempo… non è denaro, cit. dopo.

Coluccia Paolo, La Banca del Tempo. Un’azione di solidarietà e di reciprocità, Introduzione di Serge Latouche, Bollati Boringhieri, Torino 2001.

Idem, La cultura della reciprocità. I sistemi di scambio locale non monetari, Arianna Editrice, Casalecchio (BO) 2002.

Idem, Il tempo… non è denaro. Riflessioni sulle Banche del tempo e sui sistemi di scambio locale non monetari, BFS, Pisa 2003.

Idem (a cura di), Atti del Colloquio internazionale di Martano (LE) “I sistemi locali di reciprocità indiretta”, Martano agosto 1998, in Lilliput-on-line, http://digilander.libero.it/paolocoluccia.

COMMISSIONE EUROPEA, Nucleo Valutazioni Prospettiche, Scenari Europa 2010. Cinque futuri possibili per l’Europa. a cura di Gilles Bertrand (coord.), Anna Michalski, Lucio R. Pench. Documento di Lavoro, Bruxelles, 1999.

Cordano F., La geografia degli antichi, Laterza, Roma-Bari 1992.

Godbout T. Jeaques, Il linguaggio del dono, Bollati Boringhieri, Torino 1998.

Idem, Lo spirito del dono, Bollati Boringhieri, Torino 1993.

Illich Ivan, Atti del Colloque International sur l'après-développement "Défaire le développement, refaire le monde", Parigi, Palazzo dell'UNESCO, 28 feb.-1-2-3 marzo 2002, (ed. a cura de La Ligne d’horizon, Parigi 2003).

Latouche Serge, La sfida di Minerva, Bollati Boringhieri, Torino 2000.

Luhmann Niklas, Sistemi sociali, Il Mulino, Bologna 1990.

Idem, Comunicazione ecologica, Franco Angeli, Milano 1989.

Idem, Sociologia del rischio, Bruno Mondadori, Milano 1999.

Mauss Marcel, Saggio sul dono, in Teoria generale della magia ed altri saggi, Einaudi, Torino 1965. Ora anche in un volumetto curato da Marco Aime, Einaudi, Torino 2002.

Polanyi Karl, La grande trasformazione, Einaudi, Torino 1974.

Rifkin Jeremy, L’era dell’accesso, Mondadori, Milano 2000.

Touraine Alain, Libertà, uguaglianza, diversità. Si può vivere insieme?, Il Saggiatore, Milano 1998.

Viveret P., Riconsiderare la ricchezza. Missione sui nuovi fattori di ricchezza, trad. it. di Paolo Coluccia, in Lilliput-on-line, Martano, 2003 (www.digilander.libero.it/paolocoluccia).

 

 

***

 

Appendici alla relazione

 

I

Il progetto socio-economico e solidale dell’ASSEM
di Paolo Coluccia

 

I promotori dell’ASSEM, associazione di reciprocità e di solidarietà molto attiva nella seconda metà degli anni ‘90 a livello locale e internazionale, constatarono fin dall’inizio «il processo di de-socializzazione in atto nelle comunità locali». Lo scopo principale dell’associazione, infatti, era quello di «riannodare il legame sociale sviluppando la donazione di prestazioni reciproche indirette tra i suoi aderenti e, da queste, la donazione di prestazioni gratuite alla generalità delle popolazioni» (Art. 3 dello Statuto).

 

Mediante lo sviluppo della donazione reciproca di prestazioni tra aderenti si pensava che, oltre ad «armonizzare i rapporti degli stessi», fosse possibile «creare un fondo di partecipazione allo sviluppo delle comunità locali», che si sarebbe potuto devolvere «con prestazioni gratuite a persone, famiglie, associazioni, enti locali ecc.» (Art. 4 dello Statuto).

 

Come ciò potesse essere possibile era spiegato all’Art. 18 dello Statuto: «Il fondo di partecipazione allo sviluppo delle comunità locali è un fondo non monetario che si alimenta con le quote individuali e si devolve con prestazioni gratuite a persone, famiglie, associazioni ed enti locali. La quota individuale che alimenta il fondo è una percentuale prelevata sul volume annuale delle prestazioni che l'aderente ha ricevuto in dono. La percentuale da prelevare, il destinatario della devoluzione e le modalità della devoluzione vengono decise dall’Assemblea ordinaria di fine anno».

 

Ho scritto nel mio libro La Banca del tempo pubblicato nel 2001 con la casa editrice Bollati Boringhieri di Torino:

«Per fare un esempio pratico, se tra dato e ricevuto si conteggia un certo numero di ore in totale (supponiamo 1000), la Banca del tempo si accrediterà di una percentuale (supponiamo il 10 per cento) trattenendola dal suddetto totale (quindi 100 ore) che devolverà successivamente, sempre tramite i suoi soci (che verranno per i loro servizi ricompensati dalla stessa Banca del tempo), a chi non può scambiare, quali un'associazione carente di mezzi, persone disagiate, un Ente locale che non disponga di fondi sufficienti per intervenire in contesti di utilità pubblica ecc.

«Questa è un’idea fortemente innovativa, perché può fondare sull’azione di reciprocità lo sviluppo sociale ed economico di una comunità locale senza l’uso del denaro.

«Quest’azione, che non è riconducibile al volontariato così come previsto dalla Legge quadro 266/91, si ispira a prìncipi generali assai diversi e può implementare un meccanismo di intervento sociale privo di costi solo partendo dalle singole azioni di reciprocità di un gruppo, anche piccolo, di persone che sposano la bontà dell’idea di una Banca del tempo nella propria comunità».

 

Ma proviamo ora a fare un esempio su scala più estesa e con potenzialità più ampie. Continuo citando lo stesso libro di prima:

«Per esempio, se 1000 persone in una città di 800.000 abitanti come Bologna scambiassero ciascuna 2 ore alla settimana, in 50 settimane il totale delle ore scambiate sarebbero 100.000, di cui il 10 per cento (cioè 10.000 ore) potrebbe essere devoluto alla collettività, opportunamente individuata, che ne avesse bisogno. E a costo zero!

 

Trova così giustificazione la problematica relativa alla meticolosità della tenuta della contabilità in un sistema di scambio locale non monetario, quale può essere una Banca del tempo. Questa tenuta contabile è semplicemente strumentale e non espressione di valore aggiunto-reddituale. Su tale problema siamo stati i primi, a livello internazionale, a porre l’accento. Su questo principio stava la grande innovazione socio-economica e solidale del nostro gruppo: purtroppo siamo stati isolati, fraintesi, combattuti, soprattutto da molti dei nuovi profeti delle alternative ideologiche post-moderne.

 

Non abbiamo nemmeno avuto la possibilità di spiegare adeguatamente l’idea, la portata di questo sistema, intorno ad un tavolo di parità tra istituzioni, imprese, associazioni e gruppi sociali. Credo che questa sia la prima occasione pubblica, che mi si offre, a distanza di oltre 5 anni, di esporre compiutamente il principio fondamentale del sistema socio-economico e solidale dell’ASSEM.

 

La contabilità di un sistema di scambio locale non monetario che adotta l’azione di reciprocità per un fine solidale può essere vista come un termometro che misura il clima sociale della comunità d’appartenenza, della comunicazione tra i suoi aderenti, dei loro rapporti interistituzionali. Alla base della reciprocità c’è la solidarietà e la condivisione, mediante le quali è possibile costituire comunità forti e aperte al mondo.

 

 

 

II


Il ritorno del dono e l’informale nel Grand Yoff

di Serge Latouche

 

N’daye Sokhna, madre di famiglia di Grand Yoff, è rappresentativa di questa categoria. Migliaia di donne vivono nelle periferie di Dakar e probabilmente quasi tutte vivono in modo del tutto comparabile. N’daye ha un marito ferraiolo per il cemento armato che non lavora da vari anni, sette figli la maggior parte dei quali vanno a scuola. Essa ha un chiosco, sorta di garitta in metallo, posta sulla strada di fronte a casa sua, dove vende tra mattina e sera da 25 a 35 chilogrammi di pane; occasionalmente vende roba usata, incenso che confeziona lei stessa. Prepara la zuppa, acquista pesci e fa il tonno alla maionese per la clientela del vicinato.

 

In stagione, vende mandarini che le spedisce il marito della sorella o anche l'altra sposa del marito rimasta nel villaggio, della quale dice: “Essa fa come me, anche lei si arrangia...”. Fa merletti che piazza presso le sue “collegate” della rete. Alleva pulcini e pensa di contrarre un prestito per impiantare un allevamento di galline sulla terrazza. Progetta di averne un centinaio. Di tanto in tanto, sostituisce un’amica per un mese o due come impiegata nel centro ortopedico vicino. Affitta tre camere, ma le entrate sono irregolari, e i locatari insolventi si trasformano spesso in oneri supplementari perché mangiano in famiglia. Il denaro guadagnato è immediatamente investito. Essa partecipa a varie tontine, una a 10 franchi al giorno per acquistare giubbotti ai bambini, una a 100 franchi per acquistare tessuti e gioielli. Quella dei tessuti è organizzata da un’amica ed essa è responsabile di quella dei gioielli. E’ responsabile inoltre di un’altra tontina di venti persone a 1000 franchi al mese. Dà inoltre 100 franchi al giorno per un pezzo di tessuto a un venditore ambulante “toucouleur”. Se un giorno non ha denaro, non dà niente. Un perizoma da 2000 franchi può, perciò, finire col costare 5000 franchi (è razionale?)! Il venditore, dal canto suo, vive dunque della differenza, e passa le sue giornate a fare il giro dei clienti. Questa vita di espedienti in cui si mescolano produzione di beni e servizi, commercio, scambio di doni di denaro e soprattutto di parole, è quella della maggior parte delle famiglie di Grand Yoff, e, con qualche piccola variante, della maggior parte dei naufraghi dell’Africa.

 

La mia inchiesta era stata fatta nel 93; ritrovata nel 95, poi nel 96, N’daye Sokhna ha realizzato il suo sogno. E’ diventata una donna d’affari.

Grazie al credito della cooperativa delle donne e ai consigli della Enda-Graf, ha montato con le sue amiche una piccola impresa originale e decentralizzata di produzione e vendita di sciroppo di succo di bissap (hibiscus o acetosella di Guinea o ancora carcadè), succo di tamarindo e succo di zenzero. La marca è depositata per il gruppo, la confezione e l’etichettatura sono normalizzate, è assicurato un controllo tecnico per l'insieme. E funziona! Quanto al vecchio marito, felice di questa relativa prosperità familiare, assicura la vendita in assenza della padrona...

In queste condizioni, i programmi di appoggio al “settore informale”, basati sulla professionalizzazione, nonostante le migliori intenzioni, hanno effetti piuttosto negativi. L’essenziale della società vernacolare non entra nel quadro dell’intervento. Questo non tocca evidentemente i più bisognosi e favorisce coloro che, entrati in una logica professionale, sono già ai margini dell’informale.

 

Al di là della pluriattività e della non professionalizzazione, quel che colpisce l’osservatore attento ai “grappoli” di “collegati” della società vernacolare è l’importanza del tempo, della energia e delle risorse destinate ai rapporti sociali. Se si dispiega una attività intensa, sarebbe abusivo nella maggior parte dei casi parlare di vero lavoro. Gli incontri, le visite, i ricevimenti, le discussioni prendono molto tempo. Dare e prendere in prestito, donare, ricevere, aiutarsi reciprocamente, fare una ordinazione, consegnare, informarsi occupano gran parte della giornata, senza parlare del tempo dedicato alla festa, alla danza, al sogno o al gioco... “La festa, osserva Eric de Rosny, occupa un posto smisurato in proporzione ai mezzi finanziari della popolazione, tutti gli economisti lo dicono, ma essa è appropriata ai suoi bisogni affettivi” .

 

I compiti esecutivi sono effettuati alla lettera in momenti perduti. Se c’è urgenza per finire una ordinazione, si può sempre lavorare di notte o farsi aiutare da un collega non occupato. Tutte le entrate sono investite immediatamente all’interno della rete, si tratti di derrate o di denaro, sia perché è dovuto, sia perché si anticipa la necessità di dover prendere in prestito, sia anche, e in ogni caso, perché si vuole far profittare i parenti di quel che si è appena avuto e perché si cerca di far loro piacere. Ciascuno è cosciente del fatto che un beneficio non è mai perduto. L’atteggiamento generale è il senso di dovere molto ai "collegati" piuttosto che quello di essere un creditore che ci rimette sempre. Se il dono funziona bene, come ha finemente osservato Jacques Godbout, ciascuno degli attori ritiene di aver ricevuto più di quel che ha dato, mentre se il sistema funziona male ciascuno pensa di aver ricevuto di meno. Le persone di Grand Yoff parlano esse stesse di “cassetti” per designare questi investimenti relazionali.

Questi cassetti detenuti dai “collegati” sono indifferentemente economici e sociali. Simmetricamente, in caso di bisogno, e il bisogno è qui quasi endemico, si mobiliterà il “grappolo”, si attingerà a diversi cassetti.

Spesso, si attingerà a un cassetto per investire in un altro. Questa situazione di creditore-debitore è comune a tutti…

 

Tratto da:

L'altra Africa come laboratorio del doposviluppo, di Serge Latouche, Università di Parigi XI.

 

 

III

 

La frattura sociale mondiale. Quali priorità per il mondo?

(Fonte Rapporto del PNUS 1998)

 

(Spese annuali in miliardi di dollari)

- Educazione per tutti   :                                                                                      6  

- Spese di cosmetici negli USA:                                                                          8

- Accesso all’acqua e bonifica per tutti:                                                               9

- Spese di gelati in Europa:                                                                                11

 

- Cure ginecologiche e ostetriche per tutte le donne:                   12

- Consumi di profumi in Europa e negli USA:                             12

- Soddisfazione di bisogni nutrizionali e sanitari di base:                           13

- Spesa di alimenti di animali in Europa e negli USA:                  17

 

- Budget divertimenti delle imprese giapponesi:                          35

- Consumo di sigarette in Europa:                                                         50

- Spese di bevande alcoliche in Europa:                                              105

- Consumo di stupefacenti nel mondo:                                     400

- Spese militari nel mondo:                                                                  780