TEMPO E
RECIPROCITA’ NEI SISTEMI DI SCAMBIO
LOCALE E NELLE BANCHE DEL TEMPO:
ALLA RICERCA DI NUOVI FATTORI DI RICCHEZZA
di Paolo
Coluccia
paconet@libero.it
http://digilander.libero.it/paolocoluccia
Testo di
base per la relazione al corso
“Economia sobria e solidale come economia
equa e sostenibile”
realizzato
dal Centro Nuovo Modello di Sviluppo
Vecchiano
(PI), 27-31 agosto 2003
***
Le società hanno progredito nella
misura
in cui esse stesse, i loro sottogruppi e, infine,
i loro
individui, hanno saputo rendere
stabili i loro rapporti, donare,
ricevere e, infine, ricambiare!
(Marcel Mauss)
Preambolo
“Attenti a quei due!”,
consigliava il titolo di un film di qualche anno fa. Ma oggi dovremmo dire:
“Attenti a quei quattro, a quei quaranta, a quei quattrocento, a quei
quattromila… e così via!” riferendoci ovviamente a quello stuolo infinito di
economisti, chief economist,
consulenti e consiglieri economici, a tutti quei venditori di fumo, paranoici
suggeritori di politiche economiche ad incauti governi e a governanti corrotti,
di “destra” e di “sinistra”, di paesi sviluppati, sottosviluppati o in
transizione, spesso fiduciari di istituzioni pubbliche internazionali o di
gruppi d’interesse transnazionali, che dall’alto della loro influenza ordinano
con impudenza che l’unica ricetta per guarire i mali e le sofferenze
dell’umanità e delle società è soltanto la crescita. A parte qualche caso
isolato su posizioni più critiche (cfr Stiglitz e Sen, ma soprattutto Rifkin, Latouche e Caillé), spesso però si tratta di pentiti dell’ultima ora,
la massa di sacerdoti e stregoni del pensiero unico dell’economia di mercato e
della speculazione neoliberista legata alla liberalizzazione dei capitali (eufemisticamente il tutto viene chiamato globalizzazione), dettano legge. Basta aprire un semplice
quotidiano e nelle pagine economiche ci appaiono inesorabilmente le foto
ingessate di questi personaggi cupi e tristi (chissà perché sono fatti così gli
economisti? Avete notato la tristezza incartapecorita di Greenspan, presidente della FED?) che non perdono tempo od
occasione per imporre il loro inesorabile verdetto per la salvezza comune:
“Maggiore crescita e aumento della produttività del paese” (vedi, uno tra i
tanti, Ilsole24ore del 19/06/2003). E
la loro forza di persuasione è grande. Chi non è con loro è contro la felicità
della gente, del loro benessere, della “vita buona”, come si dice ultimamente,
nel sottile tentativo di una conciliazione dell’etica e
dell’economia.
Come possiamo metterci
contro l’evidenza dei loro complicatissimi calcoli scientifici e matematici?
Tanto scientifici e tanto esatti (almeno sulla carta) che puntualmente si autosmentiscono e mettono nei guai diverse nazioni del pianeta e riducono
in povertà intere fasce di popolazione. Ma anche di fronte all’evidenza dei
madornali disastri socioeconomici ed ambientali di interi paesi (e negli ultimi
10-15 anni gli esempi sono stati tanti, tra questi la Russia e l’Argentina) si
ha la sfacciata arroganza di argomentare che la validità della teoria economica
non si discute! Le “leggi” economiche neoliberiste che impongono l’economia di
mercato sono “sacre ed inviolabili”.
E’ il fondamentalismo dell’ortodossia più selvaggia che sia mai
apparso nel pensiero moderno e contemporaneo.
E, purtroppo, gente
“impreparata” come noi, che non si è dedicata a studiare a fondo l’economia, che
non ce l’ha fatta a stare dietro a formule astruse che “provano” la validità
delle teorie economiche e della loro infinita bontà, come può fare a
contrapporre teorie alternative al pensiero unico imperante, al fondamentalismo oligarchico dell’economia di mercato?
Possiamo solo evidenziare alcuni risultati evidenti: la crescita della povertà a
livello mondiale e l’arricchimento spropositato di un gruppo ristretto di
persone sul pianeta soprattutto negli ultimi 30 anni.
“Le 225 più grandi fortune
del mondo rappresentano un totale di più di mille miliardi di dollari, ossia
l’equivalente del guadagno annuale del 47% degli individui più poveri della
popolazione mondiale.
Le tre persone più ricche
del mondo hanno una fortuna superiore al PIL totale dei 48 paesi più poveri in
via di sviluppo.
L’accesso ai servizi sociali
di base; il costo della realizzazione e del mantenimento di un accesso
universale all’educazione di base, alle cure sanitarie di base, ad un nutrimento
adeguato, all’acqua potabile e alle infrastrutture sanitarie è stimato in 40
miliardi di dollari l’anno. Le spese di pubblicità sono dieci volte superiori:
400 miliardi di dollari l’anno!
La comparazione di ciò che
rappresenta il sovraccosto annuale, al fine di
permettere l’accesso universale ai servizi sociali e per i consumi vitali di
ogni essere umano, permette di constatare che ci sono abbondanti risorse
suscettibili di essere liberate in favore dello sviluppo
umano.
Le comparazioni non hanno
che un valore d’esempio, ma non ci illustrano il modo in cui colpisce
l’utilizzazione che viene fatta delle risorse del pianeta (vedi Appendice III)”
- (Fonte: Rapporto del PNUS
1998).
Ma questo è un discorso più
complesso, non pretendiamo di fare i moralisti in questa sede, né di farci
avviluppare dal “ressentiment” di nietzscheana memoria, vogliamo soltanto tentare di trovare
il modo di difenderci, di arginare le perdite e di preservarci dall’esplosione
epidemica che si annuncia in sordina nel sistema economico occidentale,
soprattutto americano, che trascinerà nel suo vortice soprattutto i paesi più
esposti e più deboli. Ma non vogliamo nemmeno fare i futuristi devastatori di
speranze o le cassandre di turno: vogliamo solo tentare di trovare l’antidoto
che ci permetta di sopravvivere ai guasti globalizzanti della corsa sfrenata verso la crescita
infinita. Non abbiamo, purtroppo, i mezzi per una contrapposizione netta, ma
possiamo solo tentare la via del buon senso e della persuasione, della
ragionevolezza (phrónesis), giorno dopo giorno,
persona dopo persona. Chi gestisce i capitali della globalizzazione finanziaria ed economica ha mezzi e
strumenti di influenza strategica e coercitiva esorbitanti. Il rapporto è quello
di Davide e Golia, ma sappiamo alla fine come è andata a finire quella storia…
Il veleno di una vipera non si combatte con il veleno di un altro serpente
altrettanto velenoso, ma con il suo stesso veleno trasformato in siero
antivipera, con un’azione prudente, con una profilassi epidemiologica e biosistemica, evitando di farci morsicare ed iniettare il
veleno, ma se succede (come sembra che sia ormai successo a centinaia di milioni
di persone in tutto il pianeta, abbagliate dal consumo sfrenato e dall’inutile
opulenza) occorre avere di scorta l’antidoto, per non crepare… al momento opportuno! Opportuno non certo per noi,
ma per chi ci guarda con ostilità e con paternalistico
disprezzo.
Ma quando parliamo di
crescita, a che cosa facciamo esattamente riferimento? Sgombriamo il campo da
ogni equivoco: per “crescita” intendiamo quel processo infinito innescato da
politiche e pratiche “sviluppistiche” e “competitive”,
finalizzate al consumo e alla creazione artificiale di bisogni infiniti, che per
essere soddisfatti portano all’acquisto infinito di oggetti e di beni inutili.
Non fanno parte del mio vocabolario e del mio pensiero parole come contrasto,
rivoluzione, alternativa. Fatta una rivoluzione o trovata un’alternativa, si
comincia a pensare ad un’altra ancora che ne rovesci la prima e così di seguito.
Il “mestiere” del rivoluzionario penso che sia ormai ampiamente superato.
Prediligo termini come mediazione, innovazione, profilassi, pattern, questo
ultimo nel senso di essere esempio/modello da mostrare e far imitare. La
“crescita”, osserva Viveret, è la componente perversa
del PIL (Prodotto Interno Lordo) che permette da qualche decennio di misurare la
potenza economica di un paese, “questa cifra magica la cui progressione si
esprime con una parola che da sola riassume la grande ambizione delle nostre
società materialmente sviluppate ed eticamente
sotto-sviluppate”. Parliamo della “produttività”, un termometro con cui si
misura, con noncuranza ecologica, etica, politica ed antropologica, il benessere
materiale di una società. Siamo di fronte a situazioni patologiche di non poca
importanza, che hanno ormai attanagliato le più svariate istituzioni economiche
nazionali ed internazionali. “E’ tempo di cambiare termometro!”, ammonisce Viveret, occorre trovare una cura, un antidoto per riportare
ad uno stato di salute l’umanità e la società. Occorre rendere più sobrio ed
umano un modello di sviluppo che sembra impazzito, privo di ogni regola e che
rasenta per molti aspetti situazioni o probabilità apocalittiche. L’aggettivo
“sostenibile” accoppiato di recente al termine sviluppo rappresenta una sottile
forma di cattiva coscienza: “La sostenibilità dei sistemi economici è una
premessa per la pace, ma non può crearsi su un sistema sbilanciato, che sta a
galla solo perché gli altri affondano. Questa sostenibilità, lo ‘sviluppo sostenibile’, è una grande ipocrisia” (B. Amoroso,
2001).
Non mancano i profeti
indiscussi e indiscutibili della crescita infinita: uno tra i tanti Lester Turrow, che nel suo libro
La costruzione della ricchezza
osserva: “Soltanto una torta economica che cresce velocemente può creare le
società ricche in cui ciascuno può partecipare alla creazione della ricchezza”
(2000, Edizioni Ilsole24ore). Purtroppo non è facile credere a questa
partecipazione, visti i dati del sopra riportato Rapporto del PNUS 1998! E’ vero
invece il contrario: ne viene fuori una piramide, la “Piramide della ricchezza”,
che compare, guarda caso, proprio a ridosso del Prologo del suo stesso libro
(lapsus onirico?). E questo ce lo conferma con lucida analisi il recente
libro-denuncia di Joseph E. Stiglitz La globalizzazione e i suoi oppositori (2003, Einaudi). Una lotta impari, comunque, tra chi, incurante
della miseria di oltre 3 miliardi di persone, vuole avere sempre di più,
assoggettando la natura e il vivente, le idee e la politica e chi invece tenta
un recupero della socialità e della vivibilità, della sobrietà dei consumi e
degli stili di vita virtuosi, perseguendo la giustizia, l’equità e l’armonia. Si
tratta di gruppi emergenti, nuovi movimenti, conosciuti o meno conosciuti, che
mettono in pratica giornalmente idee e principi orientati ad un equilibrio
interno ed esterno. Spesso non hanno rilevanza esterna, pubblica: i mezzi di
informazione non sono corretti nei loro confronti, perché non perdono
l’occasione di riprendere gesti e situazioni non generalizzabili. Si tende a
costruire artificialmente lo scontro tra questi nuovi “soggetti sociali” (come
ama definirli Alain Touraine) e i potenti del mondo. Certo, i contrasti e le
distanze tra la gente di Davos e la gente di Porto
Alegre, di Seattle e del WTO, dei Girotondi e delle
Politiche neoliberiste del Welfare sono immensi. Non
ci sono grandi mediazioni, sia sulla base delle premesse sia sui programmi.
Difficile una conciliazione, una mediazione, un compromesso. Ma ciò non ci vieta
di tentare un approfondimento o di convalidare o meno alcune nostre
posizioni.
E’ dunque importante
dibattere e mostrare i limiti della crescita materiale delle nostre società.
D’altronde è sotto gli occhi di tutti il danno provocato da un eccesso di grassi
e di proteine, di colesterolo, di guasti irreparabili all’ambiente, con
inquinamenti di ogni tipo, con città asfissiate da fumi, gas, rumori, con
malattie da nevrosi e da stress che determinano l’uso indiscriminato di prozac. Questo solo per fare alcuni esempi. Non possiamo
distoglierci dal capezzale di questo modello di sviluppo. Ecco perché è
importante denunciare con una pubblica discussione gli squilibri, gli abusi, le
vittime dello sviluppo, come si è fatto al Colloque
International sur l’Aprés-Developpement “Defaire le
développement, refaire le
monde” ai primi di marzo 2002 a Parigi nel Palazzo dell’UNESCO. “Disfare lo
sviluppo, rifare il mondo”: un programma ambizioso, sul quale però si sono
misurate le intelligenze di un migliaio di persone venute da tutto il mondo,
impegnate ad introdurre nel dibattito sociale e culturale, oltre che politico,
la filosofia di atteggiamenti umani innovativi, i nuovi stili di vita, un altro
modo di consumare, il senso della misura, la sobrietà esistenziale, il benessere
psico-fisico, il rispetto dell’altro, la cura, l’armonia con il mondo e con gli
esseri viventi e la salvaguardia delle biodiversità.
Sulla scorta delle ricerche
effettuate dal Wuppertal Insitut animato da Wolfang Sachs, possiamo affermare che in alcune parti del mondo si è
cominciato a ragionare seriamente e concretamente sull’opera di ri-conversione
socioeconomica e ambientale. Purtroppo, in generale, si dicono solo belle parole
o si fa semplicemente retorica di basso livello. Un esempio tra tutti: Joannesburg 2002. Qualcuno ha detto che è mancato “l’uomo”.
Ma sembra che per “ostriche e champagne” non si sia badato a spese. La critica
antiutilitaristica è cosciente della necessità di cambiare rotta alla società,
per arginare le varie forme di esclusione e di povertà, che la corsa alla
produttività e alla competitività generano in modo poco scrupoloso. Forti
critiche sono state rivolte alle istituzioni economiche, come l’FMI e la BM, per
le ingenti somme e risorse bruciate in fantasiosi programmi di sviluppo, che si
sarebbero potute gestire e destinare meglio, mentre quasi interamente sono
andate ad ingrossare i conti dei grossi speculatori ospiti dei paradisi fiscali
(Stiglitz, 2003).
Su questi punti, i
movimenti, che spesso per scelta rimangono allo stato nascente, ma che a volte
si organizzano in gruppi ed associazioni, supportati e collegati da tecnologie
di comunicazione elettronica ed informatica, hanno svolto un’azione continua di
denuncia, nel tentativo di poter cominciare quel processo di de-costruzione del
nostro immaginario cristiano-illuministico-occidentale-borghese, che ha
generato nel corso dei secoli la presunzione e l’arbitrio di poter asservire la
realtà e la sua rappresentazione sociale. Un atteggiamento che ci proviene da un
grossolano errore di interpretazione del famoso detto di Protagora (volgarmente tramandato in “l’uomo è misura di
tutte le cose ecc.), che Heidegger, in un affascinante
saggio degli Holzwege (Sentieri interrotti),
riesce a spiegare e a correggerne l’interpretazione. All’errore sulla misura si
è aggiunta anche la “mania” del possesso e del potere, che ha determinato una
società duale discriminante, chi ha e chi non ha, chi è incluso e chi è escluso,
chi sfrutta e chi è sfruttato, chi governa e chi è governato, chi è tiranno e
chi è suddito. Il problema dell’immediato futuro sta proprio nell’esclusione e
nella non partecipazione al dibattito sociale. Governance e democrazia partecipativa non possono essere
intese come concessioni che benevolmente vengono emanate anche da forme
libertarie di governo. Sono un diritto ed una responsabilità del singolo e delle
collettività.
Emerge chiaramente
l’esigenza di un progetto politico individuale, locale, sociale. Le politiche
per lo sviluppo e per la crescita non offrono che a parole la piena occupazione.
Spesso è il contrario. I processi di razionalizzazione economica di un’impresa
preannunciano sempre una serie inquietante di licenziamenti. Si sta cercando di
aggirare il fenomeno della sparizione dei posti di lavoro con la creazione
dell’istituto della precarietà. Si è inventato un eufemismo: l’occupabilità. Non si capisce bene cosa voglia dire né da
quale processo mentale sia scaturito questo termine. Sicuramente è un’altra
parola ingannevole, perché qualcuno potrà dire di essere disoccupato, ma che
allo stesso tempo è occupabile. E’
in atto una profonda trasformazione del concetto di lavoro, questo è innegabile,
ma il PIL si continua a misurare ancora oggi con la produzione materiale della
ricchezza. Sono stati coniati dal linguaggio sociologico ed economico termini
come “capitale sociale” o “capitale umano”. Ma non abbiamo gli strumenti per
quanti-quali-ficare la ricchezza completa di un paese.
Una ciminiera inquinante ha un “valore” certo, un fiume o un’intera vallata in
balia ad attentati inquinanti ne sono totalmente privi. E’ in corso comunque un
serio dibattito, animato dal rapporto di Patrick Viveret Riconsiderare
la ricchezza, che ho tradotto in italiano di recente. Ed in questo rapporto,
tra l’altro, si presta una considerevole attenzione alla novità dei sistemi di
scambio locale non monetari e delle Banche del tempo.
I sistemi di scambio locale
non monetari e le Banche del tempo sono dei laboratori che recuperano i concetti
di reciprocità e tempo. Essi si prefiggono il compito di riannodare i legami
sociali di una comunità e di una società fortemente individualizzata, con
un’azione semplice e complessa allo stesso tempo, che ho avuto modo di chiamare
in un mio libro “un’azione di reciprocità e di solidarietà” (2001). Possono
essere la piattaforma, la base di partenza per un progetto interistituzionale di
società, fondato sul “patto” e non sul “contratto”. “I SEL, i LETS, i TR le
BdT sono sistemi che permettono di vedere la nostra
esistenza differentemente, perché non ci si pone l’obiettivo di massimizzare il
profitto, ma di creare un mutuo aiuto, una solidarietà tra noi e nella nostra
comunità” (F. Terris, Atti
del Colloquio di Martano). Certo, ogni forma di scambio, soprattutto quello non
monetario, paragonabile al dono descritto da M. Mauss
nel famoso Saggio sul dono,
evidenziato dal triplice comportamento del dare-ricevere-ricambiare, presuppone l’indissociabilità delle relazioni umane: “Occorre che si
realizzi una fusione tra i membri, un clima di fiducia reciproca, di
disponibilità verso l’altro, una valorizzazione di sé, una partecipazione
cosciente o incosciente ad un progetto di società” (E. Bucalo, 2003). Ma
rappresentano anche uno stimolo, un rinforzo, una rottura di schemi e di
abitudini: “Tutti i sistemi di scambio locale non monetario partecipano a questa
rottura dell’organizzazione della società. A partire dal loro carattere
estremamente prezioso, sono delle utopie realizzate che ci mostrano un’idea del
futuro ancora in gestazione. Ci obbligano a pensare, a creare il nostro modo di
immaginare, di farci un’idea di società, non solo per i piccoli obiettivi della
società (cioè del vivere insieme, dello scambio locale nella diversità) ma di
tutta la società” (J.M. Servet, in Atti del Colloquio di
Martano).
Tempo e
reciprocità
Vi ringrazio per avermi dato l’occasione di discutere e di approfondire
qui a Vecchiano nel Centro Nuovo Modello di Sviluppo
le potenzialità dei concetti di tempo e di reciprocità. Vi voglio parlare di
come impiegare meglio il proprio tempo, nel modo più antico, ma valido anche per
oggi, supportati dal principio di reciprocità, giovani ed adulti, donne ed
uomini, fanciulli e anziani.
La reciprocità è un comportamento antichissimo, forse primordiale,
neolitico, risalente alla prima grande rivoluzione sociale, ma è nella sostanza
una dimensione umana molto
particolare, costruita sulla solidarietà e sulla necessità di relazione sociale.
Per millenni la forza della reciprocità è stato fondamentale per i rapporti
interumani. Essa si è esternata con il dono multilaterale, indiretto e diretto.
Ha scritto Federica Cordano che “Tucidide sembra ancora più interessato agli usi particolari
di popolazioni a lui contemporanee. Per esempio gli Odrisi… avevano, a suo parere, la dinastia più potente e
ricca d’Europa perché utilizzavano la legge del dono, ché presso di loro ‘non
era possibile fare alcuna cosa senza offrire doni’. E
Tucidide li mette per questo in opposizione con i
Traci e con i Persiani, che usavano ‘la legge del
prendere invece che dare’, avendo evidentemente
superato – ma Tucidide di questo non ne rende conto –
un modello economico più antico”.
Sullo sfondo del
comportamento interindividuale della reciprocità aleggia il principio della
solidarietà, che una società consumistica ed utilitaristica come la nostra ha
finito per tramutare in assistenzialismo, carità, benevolenza. Come osserva
acutamente Touraine: “La solidarietà è il contrario
dell’assistenzialismo” (1998), per buona pace di tanta propaganda cattolica e
filantropica. La solidarietà si basa sul principio dell’estinzione di un debito
e sul diritto di un credito, che ciascuno di noi rispettivamente ha o può
vantare, contemporaneamente, nei confronti di tutti gli altri. Questo pensiero
mi proviene dall’insegnamento di Don Milani. Ma
questo ci incanala in un discorso molto più complesso.
Tutti hanno da offrire
qualcosa; tutti hanno bisogno di ricevere qualcosa. Dare e ricevere, scambiare,
non mediante il sistema economico del mercato, ma animati dallo spirito della
solidarietà, con un uso proficuo della risorsa più grande a nostra disposizione:
il tempo. Ecco perché vi parlerò della Banca del tempo e della sua filosofia. Ho
scritto in un mio libro: “Sembra un paradosso che in una società dove il tempo a
disposizione delle persone è davvero tanto, sia per chi lavora, sia per chi non
fa nulla, esso non basti mai. Nel tentativo di recuperare gran parte del tempo
che si perde e si spreca, la Banca del tempo può svolgere un ruolo propedeutico
importante. Può cioè educare a far uso positivo della risorsa tempo, non in una
logica mercantile o di prestazione assistenziale, ma nel quadro di rapporti
comunitari improntati alla reciprocità dello scambio non solo economico tra le
persone” (2001).
Il problema è dunque nella
concezione del tempo, si risolve se si riflette sul nostro modo di intendere il
tempo.
Fino a quando considereremo
il tempo una misura, un processo
legato alla produzione, al consumo, allo scambio economico non saremo che degli
ignari seguaci di Beniamino Franklin, che ha coniato il famoso detto: “Il tempo
è denaro”. Solo se penseremo il tempo come “vita”, come rapporto con gli altri
nel presente, svincolato dal concetto di valore e di interesse, capovolgeremo il
sopraccitato detto con quello di “Il tempo… non è denaro”. E’ il titolo del mio
ultimo libro (2003).
C’è una sostanziale
differenza tra il tempo con gli altri e il tempo della storia. Questo ultimo è
un tempo artificiale, vuoto, che sta nella testa di un gruppo di sapienti, gli
storici, appunto. “Uno strumento finto ma necessario ad ogni pensiero che vuole
costruire la storia universale”, osserva Angel Enrique Carretero Pasin sulla scia del pensiero di Halbwachs. Questa concezione storica del tempo non ha alcun
rapporto con il tempo “reale”, che è quello vissuto “con gli altri”, quello che
si concentra nel presente, punto di partenza della memoria, in quanto il
pensiero cerca di ri-memorizzare il fatto vissuto con
l’altro. Da qui l’immagine, l’immaginazione, il simbolico, per secoli esclusi
dall’indagine scientifica delle discipline sociali perché ritenuti elementi
irrazionali (oltre il 50% del pensiero umano!), emergono nella radicalizzazione concettuale della relazione uomo-alter,
uomo-spazio, uomo-mondo “facendo apparire la sinergia che esiste tra
l’immaginazione umana e lo spazio di fronte all’angoscia provocata dalla
scomparsa del tempo e dalla sua attualizzazione, la
morte” (N. Paschalis, Lo spazio sociale, in Esprit Critique, estate 2003).
Il tempo non ha
“valore”
Ha
detto Ivan Illich al Colloque International sur
l’aprés-développement (Unesco, 2002): “Je n’aurais pas en latin un mot pour
traduire le concepte de valeur”.
“Non avrei in latino una
parola per tradurre il concetto di valore”: significa che il concetto di valore
è estremamente recente, appartiene alla modernità, alla razionalità strumentale,
al comportamento economico, cioè a quando si comincia a considerare il tempo che
fa lievitare gli interessi e fa “lavorare” il denaro stesso. Ma il tempo della
“vita” non ha un “valore” e soprattutto “non è denaro”, non può essere ridotto a
uno scambio economico in senso totale. Tutte le religioni lo hanno evidenziato,
tutte hanno condannato il prestito e l’usura, il denaro che sfrutta il
tempo, che si autoriproduce. Oggi, purtroppo, siamo ad
un limite estremo, siamo nell’economicismo assoluto, abbiamo un martello
economico, come dice Latouche, che batte nella nostra
testa e che ci fa pensare solo al denaro, al valore, all’utile, alla crescita,
all’arricchimento! Non serve cambiare martello: occorre cambiare “testa”! Anche
se oggi molto del nostro tempo è dedicato a far lievitare l’economia di mercato,
non possiamo imporcelo in assoluto. Il nostro tempo è qualcosa di molto più
complesso, è una grande ricchezza e non possiamo svilirlo rapportandolo in
assoluto all’utilità e all’interesse.
Perciò, è bene evitare invasioni di campo o confusioni epistemologiche. Se la redistribuzione è un principio “politico”; se il mercato è un concetto “economico”; se la reciprocità è un argomento “filosofico”, (e tutti e tre possono convivere in un sistema sociale, come dice J. Godbout) una concezione “esistenziale” del tempo della nostra vita e di quella degli altri non può essere esclusivamente utilitaristica, perché si tratta di quel tempo che condividiamo con gli altri, mediante l’associazione, la reciprocità, la mutualità e la collaborazione, principi che ancora non abbiamo sufficientemente scoperto, perché siamo caduti inesorabilmente negli associazionismi, che come tutti gli “ismi” uccidono il fondamento concettuale delle idee.
Il tempo che passa ogni giorno, ogni attimo, è tutta la nostra vita. Occorre pertanto togliere al tempo la nozione assoluta di “rendimento”, per sostituirla con quella fluttuante del vivente. Perciò iniziamo a riconsiderare il tempo con gli altri come un “nuovo fattore di ricchezza”:
- il tempo come
legame tra le persone e non come misura;
- il tempo ciclico delle
stagioni;
- l’autonomia dal tempo pianificato delle organizzazioni
produttive;
- il tempo soggettivo, emotivo e il ritmo personale e
comunitario;
- il tempo di scelta e di condivisione;
- la complementarietà
dei tempi (storico, presente, breve, medio e lungo termine);
- l’accordo tra
il tempo dell’industria con il tempo biologico e geologico, per il problema
delle materie prime, dell’energia e dei rifiuti;
- riabilitare il presente,
il nostro presente con il mondo e il vivente;
- concepire soprattutto la fine
del nostro tempo di vita, cioè la nostra morte, come fondamento del nostro
agire.
Riguardo a questo ultimo
punto, vorrei ricordare ancora le parole di Patrick
Viveret: “Per la specie umana si può in effetti
avanzare l’ipotesi che ciò che costituisce in definitiva la gerarchia dei valori
della vita è la coscienza della morte… La percezione della finitezza e della
vulnerabilità è alla base di ogni valore”.
In conclusione, se il
paradigma moderno del tempo è stato quello legato alla produzione e all’utile,
oggi, in questo medioevo post-moderno, lungo le derive della modernità, questo
paradigma tende a fare i conti con la vita, il mondo e il rispetto della dignità
di ogni essere umano e del vivente in generale.
Parafrasando il detto
scritto sulla porta dei Sistemi di Scambio Locale francesi mi piace dire: “La
vera ricchezza non scaturisce dal nostro conto in banca, ma dalla nostra
creatività, dalla nostra immaginazione e dai nostri sogni”. E nell’introdurre il
tema dei sistemi di scambio locale non monetari e delle Banche del tempo, lo
faccio ricordando le parole che ho ascoltato direttamente da François Terris (fondatore del
primo SEL in Francia): “La vera ricchezza
di un paese sono le ore che ciascuno va a donare alla sua
comunità!”.
1. La
filosofia della Banca del tempo.
La filosofia
di questa associazione si basa sull’azione di reciprocità generalizzata e sui
principi della simmetria e dello scambio sociale, per il raggiungimento della
solidarietà.
Cos’è la reciprocità generalizzata o, più
semplicemente, indiretta? Si dà a qualcuno, per
ricevere da qualcun altro. Si scambiano così, senza l’intermediazione del
denaro, beni, servizi e sapere. L’azione è necessariamente locale. Lo strumento
è un’associazione senza fini di lucro che in Italia ha preso il nome di Banca
del tempo. Il fine è la solidarietà tra i soci e di questi verso la comunità
d’appartenenza. Tutti hanno la possibilità di dare e chiunque ha bisogno
dell’altro per ricevere. Il comportamento individuale è il dare, il ricevere e il ricambiare. E’ uno scambio tra
equivalenti, ma non di mercato, dove lo scambio segue la contrattazione diretta
(qualcuno cede la merce in cambio del denaro di qualcun altro). In un sistema di
reciprocità si dà a qualcuno per ricevere da qualcun altro in tempi e modi
differenti. Al posto del contratto
c’è il patto. Non è nemmeno assimilabile al baratto,
come confusamente molti sottintendono, perché anche il baratto si svolge frontalmente tra gli equivalenti: si dà
un oggetto in cambio di un altro d’uguale valore, d’uso o convenzionale non
importa, sempre a seguito di contrattazione. “Il principio del baratto dipende
per la sua efficacia dal modello di mercato” (Polanyi,
1974).
La simmetria è un principio fondamentale
in questi rapporti interindividuali.
Si manifesta:
a) nella
produzione e nell’uso dell’informazione (tutti contribuiscono a creare il
circuito informativo di ciò che si dà e di ciò che si riceve – bollettino offerte-richieste);
b) nella
parità sostanziale degli individui in rapporto alla prestazione offerta nel
sistema (un’ora dell’imbianchino vale quanto un’ora dell’esperto informatico);
c) nel
pareggio a saldo di tutti i conti individuali, in dare o in avere, considerato
che tutti partono con un conto zero (quando qualcuno riceve si “indebita” mentre
chi ha dato si “accredita” di ore di tempo o di unità locali di conto) (cfr. Coluccia,
2002).
Lo scambio sociale consiste della
relazione di ego verso alter; finalizzata alla solidarietà del noi, al legame sociale (condivisione), allla comunic-azione (azione-comune). La dimensione umana
della reciprocità instaura un nuovo settore sociale: quello della spontaneità e
del dono (cfr. Coluccia,
2001, 2002, 2003).
Non si vuole
soppiantare lo stato o il mercato, - questo è importante, anche se non è tutto
(Rifkin, 2000) e regola gli scambi della maggior parte
degli individui (Godbout, 1993) - ma si cerca di
immettere nel sistema sociale un’innovazione basata sui fondamenti antropologici
e culturali del dono. “Le società hanno progredito nella misura in cui esse
stesse, i loro sottogruppi e, infine, i loro individui, hanno saputo rendere
stabili i loro rapporti, donare, ricevere e, infine, ricambiare!” (M. Mauss, 1965). Infatti, “l’etica dello scambio sociale
permette di concepire una rifondazione della democrazia” (Latouche, 2000).
2. Come nasce
una Banca del tempo?
Metti insieme
10-15 individui (e già questo comporta notevoli difficoltà ai giorni nostri,
soprattutto perché ciascuno non ha mai tempo!), consegna loro un pezzo di carta
e una penna e chiedi di scrivere, oltre ai propri dati, ciò che sanno fare o ciò
che vogliono dare o che vorrebbero ricevere. Aggrega le offerte e le richieste su un foglio più grande, fanne diverse copie e consegna una a testa. Ora l’informazione è comune: tutti dispongono
dei nomi, dei numeri di telefono, delle attività, delle disponibilità e dei
bisogni di ciascuno. Una Banca del tempo autonoma e autogestita come un sistema di reciprocità indiretta nasce
proprio così. Decolla quando realmente si comincia a chiedere e ad offrire. Alla
fine di ogni prestazione si stacca un tagliando dove si attesta il valore del bene, del servizio o del
sapere ricevuto. Si conteggia in ore o utilizzando un’unità di conto
convenzionale e locale. Un gruppo di amministrazione coordina le attività, anima
l’associazione, aggiorna i conti, cura la redazione periodica del bollettino
offerte-richieste, predispone gli strumenti minimi di funzionamento, presenta i
nuovi entrati nel gruppo, convoca riunioni periodiche. Si agisce nella massima
parità e trasparenza. Chi fa il furbo o cerca di approfittarsi prima o dopo
viene scoperto e non ha vita facile. Sembra tutto molto semplice, ma vi assicuro
che dopo anni di attività diretta e di analisi di varie esperienze nazionali ed
internazionali, non è proprio così. Sembra proprio una bella idea: purtroppo
nella pratica succede di tutto, anche l’imprevedibile (cfr. Coluccia,
2001).
3. Un po’ di
storia e le esperienze straniere.
Questi sistemi
di scambio locale si diffondono nel mondo con motivazioni e modelli differenti,
anche se è unanimemente riconosciuto che il sistema iniziale e trainante è stato
il sistema LETS di M. Linton, elaborato in Canada sulle ceneri di un’esperienza
analoga fallita per ingenuità e per inesperienza dei promotori.
Dal 1975 si
organizzarono in Canada i LETSystem (Local Echange Trading System), che
utilizzarono monete locali riferite alla valuta nazionale, al dollaro o al tempo
inteso come ora di lavoro. Dal 1985 i
LETS, dopo qualche clamoroso fallimento e qualche affinamento tecnico-contabile
e con l’apertura della gestione e dell’organizzazione agli aderenti, si sono
diffusi rapidamente in Europa (Inghilterra, Germania, Francia, Belgio, Scozia,
Italia ecc.) e nel mondo (Argentina, Messico, Venezuela, Brasile, Australia,
Senegal ecc.). La parola lets, oltre che il significato
dell’acronimo, può significare provocatoriamente anche «Lasciatecelo fare!». In
Inghilterra si cercò di arginare le difficoltà causate dalle politiche tacheriane.
In Francia oltre ai SEL (Sistème
d'Echange Local), orientati
in senso ecologico ed anti utilitarista, si sono
organizzati RERS (Réseau d'Echange Réciproque de Savoir - Rete di
scambio reciproco di sapere) e Troc-Temp (Baratto di tempo). Interessante la
Route des
SEL, organizzazione nazionale di ospitalità per viaggiatori aderenti ai
Sel che permette il pernotto gratuito presso le
famiglie che vi aderiscono.
In Germania esistono diverse configurazioni
di sistemi di scambio: i Tauschringe (Cerchi di
scambio), i Talents (sistema Talenti), le Zeitbörse (Borse del tempo). Singolare il motto dei Tauschringe: «Vai, anche senza
marchi!».
In Belgio è
testimoniata la presenza e la sperimentazione di SEL e di LETS: quest'ultimo acronimo, a differenza di quello inglese
riferito allo scambio commerciale ed economico, significa soprattutto Locale Scambio di Talenti e di Servizi,
dove per talenti s’intendono le
capacità personali creative dell'individuo.
In Olanda è
attivo un gruppo che divulga e sostiene i sistemi di scambio locale: Aktie-Strohalm. Questa
associazione ha organizzato a Strasburgo nel 1998 un Seminario Internazionale
Lets con il fine di sviluppare questi sistemi non
monetari nelle nazioni dell’Est dell’Europa. Oggi la divulgazione è ancora più
ampia.
Nel 1991 ad
Ithaca (New York) parte un sistema orientato a
controllare gli effetti negativi dell’economia di mercato. Si stampano le Ore di Ithaca, monete
locali multicolorate e dipinte, su carta filogranata o su canapa tessuta a mano, con inchiostro
termico alle quali si è dato un corso legale parallelo. Alcuni bar, ristoranti e cinema accettano
le Ithaca-Hours. Questo contante rispetta l’ambiente, non è
speculativo e crea lavoro e consumo responsabile.
In Argentina,
sempre agli inizi degli anni 90, si formano i Clubs de
Trueque (Clubs di scambio)
riuniti successivamente in un progetto di comunicazione denominato Red de Trueque. Con queste
associazioni si tenta di rilanciare il dinamismo economico perduto dalle
comunità negli anni ’80. La Red cerca di mettere le
popolazioni in condizione di rispondere ai problemi di esclusione generati dalla
globalizzazione dei mercati. Il motto è: «Il futuro
non sta scritto!». Interessante il forum organizzato sul sito http://money.socioeco.org dal 5 febbraio al
5 aprile 2001 sul tema della Moneta Sociale e in preparazione del Seminario
internazionale di Santiago (Cile) rivolto alla creazione di un Polo di
Socio-Economia Solidale in seno all’Alleanza per un Mondo Responsabile, Plurale
e Solidale. Seguì un altro incontro a Findorm, Scozia.
Di recente ci sono stati grossi problemi nella gestione dei “creditos” (moneta sociale del Trueque), che hanno invaso la società argentina e
sud-americana.
L’Australia conta il sistema Lets più numeroso per numero d’iscritti (si parla di 1800
aderenti) e di famiglie coinvolte nello scambio: il Blue Mountain. Ma le notizie
non sono continue.
In Senegal
sono nati i SEC (Sisthèmes d’Echange Communautaire). Si
prefiggono non tanto di generare legame sociale (l’Africa ne ha da «vendere») ma
di dinamizzare gli scambi, la reciprocità e
l’auto-aiuto, mediante reti locali e principi di vicinato e di prossimità, con
una particolare attenzione alle persone svantaggiate.
Interessante la recente attività di scambio on-line sulla rete Internet da
parte di due organizzazioni: Notmoney in Venezuela (si
scambia di tutto: vacanze, viaggi, attività ecc. Stimolante il progetto Interser coordinato da Alberto Moron, anche se ultimamente, dai momenti difficili del
paese, non ho più notizie dirette) e GRB
(Global Resource Bank) negli USA (una Banca globale di risorse che produce
ricchezza in maniera conforme alle necessità della produzione e dell’ecosistema:
si può godere la prosperità globale, eliminare la povertà, l’inquinamento e
rendere l’ambiente naturale sano e generoso mediante gli eco-crediti, la vera
ricchezza della terra).
Ultimamente M. Linton ha spostato il suo campo
d’azione in Giappone dove sta
stimolando, tra tanti problemi e preoccupazioni, sistemi di scambio basati sulla
moneta sociale. Ne sono sorti di diverso genere, anche sulla spinta di un
programma televisivo.
4. Le Banche
del tempo in Italia.
In Italia il fenomeno delle Banche del
tempo e dei sistemi locali di scambio non monetario che generano altruismo
reciproco generalizzato è molto differenziato. Possiamo distinguere, in modo
molto approssimativo, tre modelli di Banca del tempo:
- la Bdt
organizzata, finanziata e gestita dal Comune, a seguito di deliberazione
della giunta comunale, con un funzionario pubblico che fa l'animatore, il
coordinatore e il segretario dell'esperienza. Questo modello, sviluppatosi in molte
città italiane del centro-nord, vede nella Bdt un
servizio pubblico da fornire al
cittadino, qualificato come utente o
cliente, che per le sue necessità si rivolge ad uno sportello, stacca degli assegni per le prestazioni, si accredita o si indebita per le prestazioni date o
ricevute, riceve il suo bravo estratto
conto periodico…, proprio come
avviene nell’immaginario economico e monetario del sistema bancario, solo che al
posto delle monete in queste organizzazioni si deposita e si conteggia il tempo.
- la Bdt che nasce
all'interno di un’associazione, di una cooperativa o di un’organizzazione
sindacale (Arci, Misericordie, Mag, Auser ecc.). Questi gruppi
già costituiti e funzionanti fanno muovere (a mo’ di balie) i primi passi alla neonata iniziativa sociale In positivo, si lascia alla fine che la
Bdt proceda con le proprie gambe e che si apra alla
comunità; in negativo, può avvenire
che il rapporto ideologico di fondo
crei dipendenza, perduri all'infinito e che il sistema rimanga chiuso ed
individualizzato all'ambiente sociale.
- la Bdt come
sistema autonomo, autofinanziato e autogestito che nasce su iniziativa di alcuni individui
ampiamente motivati, spesso carburati
ideologicamente (in senso politico, ambientalista, solidaristico ecc.), che si riuniscono ed elaborano un
progetto di azione comune, che si autofinanziano e che
si autonormano con uno statuto ed un regolamento e con
degli strumenti semplici di informazione e di contabilità, per favorire e per
registrare gli scambi di reciprocità generalizzata Non nascondo una certa
simpatia per questo modello, pur con qualche riserva. Infatti, il substrato
ideologico, se per un verso fa da collante, dall’altro può isolare il gruppo
dalla comunità. Inoltre, quando le controversie non si ricompongono
facilmente si rischia l’implosione
del sistema.
Il modello di Banca del tempo che divulgo e
promuovo è quello autonomo e autogestito.
E’ stata
emanata qualche anno fa una Legge dello Stato (Legge 8 marzo 2000, n. 53 “Disposizioni per il sostegno della maternità
e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il
coordinamento dei tempi delle città”) che tenta di stimolare la nascita
di Banche del tempo. Come tutte le leggi in materia di legislazione sociale,
tale norma disciplina (o almeno cerca di disciplinare) e istituzionalizza, lo
spazio d’azione pubblico, che è cosa
ben diversa dallo spazio comune.
In seno all’associazione
sindacale CGIL è sorto verso la metà degli anni ‘90 un osservatorio (Tempomat) delle Banche del tempo, che ha censito, registrato
e stimolato la nascita di queste associazioni. Verso la fine dell’anno 2002
Tempomat è ‘passato di mano’, cioè, avendo la principale sostenitrice, per
intervenuti ulteriori impegni, deciso di lasciare questo impegno, l’attività
dell’osservatorio è stata divisa in
tre parti (sito internet, software di gestione Bdt,
formazione). Il tutto è passato alla gestione di alcune persone che nel proprio
territorio avevano implementato una Banca del tempo o qualcosa di simile.
La regione Emilia-Romagna ha svolto un ruolo propositivo e divulgativo,
soprattutto nell’ambito delle politiche sociali, curando di recente innanzitutto
la bibliografia e le pubblicazioni inerenti questi sistemi di scambio e
sostenendo un progetto di Banca del tempo-on-line su
internet. Ma anche altri Enti locali, ai vari livelli, hanno cercato di
sostenere con mezzi finanziari e divulgativi queste associazioni. Spesso, però,
lo sforzo non è stato ripagato e parecchie esperienze sono rimaste a livello di
progetto, si sono arenate dopo i primi tempi o sono diventate delle scatole
vuote. Non sono mancate, comunque, Bdt attive ed
interessanti, almeno nei periodi di punta del fenomeno (anni
1997-2000).
L’organizzazione no profit Lunaria di Roma ha fatto una notevole attività di
divulgazione di questi sistemi locali di scambio non monetario. Con il
patrocinio della Commissione Europea ha organizzato il 7 giugno 2001 il primo
meeting dell’European Network of Non-Monetary Echange Systems (ENNES), al fine di formalizzare una rete cui
aderiscono le più significative esperienze di scambio europee. La rete persegue
la promozione dei sistemi non monetari, considerati strumenti di inclusione
sociale, mediante la divulgazione di informazioni sulle esperienze attive e
significative. I sistemi di scambio non monetario ricreano le reti della
comunità riequilibrando il tempo di lavoro con il tempo della vita e facendo
emergere le risorse locali, sviluppando le opportunità per uomini e donne e
favorendo le buone relazioni. Purtroppo, anche in questo caso, dopo una prima
riunione a Bruxelles, l’azione non è continuata e non è stata
approfondita.
Il mondo della ricerca universitaria non è stato a guardare. Numerose le
tesi di laurea, nelle più disparate facoltà e discipline (Sociologia,
Antropologia, Giurisprudenza, Servizi sociali, Scienze della formazione,
Economia ecc.), e i dottorati di ricerca, in università prestigiose, come la
Sapienza, la Bicocca ecc.
Futile, fuorviante e soprattutto deludente l’intervento di giornalisti,
soprattutto della carta patinata, che hanno ricalcato nelle loro pagine, in un
certo determinato periodo (1997-1998), una lunga serie di luoghi comuni, senza
riuscire a cogliere gli aspetti significanti e qualificanti di questi sodalizi.
Inutile dire che è mancato l’approfondimento, a parte qualche rara eccezione,
come la rubrica Diario dell’Unità (1996) o qualche trasmissione televisiva
(Speciale TG1, 1997) o radiofonica (Gr2-cultura e I misteri della notte-Gr2,
2001, 2002) della RAI.
A Martano (LE) l’esperienza
di Banca del tempo autogestita nell’associazione ASSEM
inizia nel 1996, assai simile ad un Lets. Nel tempo il
sistema di scambio si evolve. L’idea di fondo diventa il dono, quello libero,
riconducibile al triplice comportamento del dare, del ricevere e del ricambiare,
così felicemente descritto da Marcel Mauss nel Saggio sul
dono. Gli scambi si conteggiano in mistòs (dal grìco - lingua locale – che
significa soldo: “Vali quanto un soldo!” nel linguaggio popolare martanese significa “non valere nulla!”). Dieci mistòs valgono più o meno un’ora. Nel sistema è transitato di tutto:
verdure spontanee, ortaggi ecologici, trasporto di cose e persone, aiuto allo
studio, piccole manutenzioni, consigli estetici, lavori al computer, attività di
cucito, artistiche, sportive, lavori di giardinaggio, cibi, torte ecc. Ma è
transitata soprattutto tanta socialità, promozione sociale e comunicazione. C’è
stato un notevole interesse per l’esperienza da parte di mass-media locali e
nazionali. Alcune tesi di laurea discusse in varie facoltà universitarie
italiane hanno trattato quest’esperienza associativa
di scambio locale. Molti, però, sono stati i problemi e i momenti di difficoltà
dovuti a fraintendimenti, incomprensioni, polemiche che ne hanno rallentato
cospicuamente l’attività.
Queste
problematiche compaiono in quasi tutte le esperienze finora conosciute in Italia
e nel mondo. Forse abbiamo anticipato “i tempi”! Ma non bisogna abbattersi. Al
contrario, occorre stimolare le esperienze a continuare e a ricrearsi, anche
seguendo le derive e i nuovi orientamenti.
5.
L’innovazione sociale.
La Banca del
tempo può essere considerata un’innovazione sociale. E’ un termometro sociale con cui è possibile
misurare la promozione di sé, la cittadinanza attiva, la solidarietà, la
capacità di progettazione della comunità d’appartenenza, nella coesione sociale
e nella salvaguardia delle diversità individuali, psicologiche e
culturali.
E’ difficile
inquadrare le Bdt e i Sistemi di scambio locale non
monetari. Succede spesso e in ogni contesto sociale e culturale. Ma proprio per
questo la Bdt è un’innovazione socio-culturale ed
economica. La sua azione sociale è
molto complessa ed articolata, al limite dell’irrazionale. La sua base
teorica più profonda è il dono, che si estrinseca nella triplice azione del
“dare – ricevere – ricambiare”. Si tratta però del dono con radice
antropologica, non si tratta della gratuità, dell’assistenzialismo, della
filantropia o dell’azione volontaria “del giorno dopo”, ma della solidarietà
intesa come scambio tra pari finalizzato all’interazione sociale. Il riferimento
al Saggio sul dono di Marcel Mauss è chiaro.
La Bdt, pertanto, non ha niente in comune con il volontariato,
tanto meno con il baratto, che altro non è che un mercato vero e proprio tra
equivalenti, privo dell’intermediazione del denaro. Difficile inoltre il
rapporto con il settore pubblico, in quanto lo “spazio d’azione” della Bdt è lo “spazio comune”, quello della condivisione e della
reciprocità.
La modernità
ha teorizzato e legittimato nel suo progetto socio-economico lo spazio d’azione
pubblico e lo spazio d’azione privato. Esiste, infatti, il “diritto pubblico” e
il “diritto privato”. Ma manca totalmente (o quasi) la teorizzazione dello spazio comune (cum munus, con
dono), il diritto comune, la comunità, luogo consacrato, fondamentale e
determinante del legame sociale, della solidarietà, del “capitale” sociale, da
cui tutto discende (mercato, società, cultura, famiglia…) e non il contrario,
come spesso si pensa o come molti economisti contemporanei voglio farci
credere.
Immaginare un settore
sociale, dunque, improntato sulla condivisione, sulla reciprocità e sulla lealtà
è oggi indispensabile, soprattutto per le difficoltà della nostra epoca, tanto
disincantata e irragionevole, per poter riscoprire l’incanto del senso,
dell’incontro dell’altro, del noi, per raggiungere quel substrato d’intimità con
cui è possibile ancora cercare di “riconoscere” l’altro, rispettarne le
diversità, le peculiarità e le qualità (d’opinione, di cultura, di sapere…).
Tutto questo si può fare provando piacere a scambiare alla pari i propri beni,
servizi, saperi, senza turbamenti, senza supremazie, senza speculazioni, senza
furbizie.
La Bdt può essere considerata uno strumento per rimettere in
campo un clima di convivialità, per avere la chance di
poter ancora vivere “insieme”, liberi, uguali e diversi (Touraine, 1998). Ma è anche uno stimolo all’autorganizzazione, all’autoreferenzialità: non si può ancora credere che possa
essere la società (una pura astrazione concettuale!) ad organizzarsi, in quanto
possono farlo solo gli individui, qualora ne sentano la necessità, il bisogno e
trovino la giusta volontà. E’ un viaggio cominciato oltre diecimila anni fa, nel
neolitico, che non si è mai interrotto e che è destinato a continuare fino a che
la specie umana non si estinguerà. E le istituzioni e le organizzazioni sociali,
se ci credono, possono “accompagnare” questi movimenti, collaborando e operando
con complementarietà, ma mai prevaricando con arroganza e paternalismo intriso
di subalternità. Anche questa è una importante innovazione sociale, per non dire
una scommessa.
La creazione
di società è un banco di prova per l’individuo, il gruppo e la stessa comunità.
Il sistema comunitario legato al progetto della Banca del tempo e dei sistemi
locali non monetari si rivela interessante e importante, a mio avviso,
soprattutto per una società moderna che rappresenta il suo futuro come “rischio”
(Luhmann, 1989, 1990, 1999; Baumann, 2000; Beck, 2000).
Queste
esperienze di scambio locale non monetario sono intraviste in un documento di
lavoro, effettuato da un gruppo di studiosi operanti nel Nucleo Valutazioni
Prospettive della Presidenza della Commissione Europea nel 1999, che
complessivamente disegna cinque probabili “scenari” europei nell’anno 2010.
In uno di
questi scenari, il secondo, definito I
cento fiori, naturalmente caratterizzato dal un “equilibrio instabile”, dove
«la distribuzione sempre più disomogenea della ricchezza, la proliferazione
della criminalità internazionale e la moltiplicazione dei piccoli conflitti
regionali stanno destabilizzando il sistema mondiale, che tuttavia continua a
reggere alla meno peggio», poiché «prigionieri di mentalità e modalità operative
arcaiche, gli apparati amministrativi e i sistemi politici delle capitali non
sono riusciti a tenere il passo con questi fenomeni di micro-rinascimento e hanno lentamente perso il contatto col
mondo reale», considerato che «l’immobilismo delle gerarchie, lo spezzettamento
delle competenze e l’eccessiva fiducia nella scienza avevano gettato i semi di
un diffuso disimpegno», «in un’epoca in cui le società si facevano sempre più
complesse, il progresso tecnologico sempre più rapido e le esigenze individuali
sempre più differenziate, le burocrazie rimanevano rigide e incapaci di
adeguarsi a situazioni sempre eterogenee», e «la classe politica si rivelò
intrinsecamente incapace di rispondere al grande disagio, oscillando tra
immobilismo e demagogia», le Banche del tempo, insieme a cento micro-iniziative
innovative, fanno capolino nella società europea, in quanto, per fronteggiare la
crisi politica, economica, sociale e culturale determinatasi nel quinquennio
2000-2005, «l’opinione pubblica mostrò un forte spirito d’iniziativa: nacquero
centinaia di gruppi civici». Pertanto «si assiste in questo periodo all’ascesa
di collettività locali dinamiche come quelle odierne», si osserva nel documento
futuribile. «E’ ormai raro – continua lo studio – trovare un comune o un
quartiere che non abbia la propria valuta e una banca del tempo in cui scambiare
lezioni private, attività culturali e ogni tipo di servizi alla persona (come
ripetizioni, assistenza a bambini e anziani e collaborazioni familiari). Le
associazioni locali, spesso gestite da donne, pensionati o neolaureati, si sono
moltiplicate e di fatto trasformate in piccole imprese. Gran parte di queste
opera in modo informale, senza preoccuparsi di registrarsi presso le autorità
competenti o di pagare le imposte. Alcune, con l’aiuto delle autorità locali,
svolgono un ruolo importante nell’erogazione di piccoli prestiti ai privati e
alle imprese con problemi immediati
di liquidità. Altre hanno istituito “casse comuni” per finanziare reti di
sostegno economico e, se necessario, persino offrire borse di studio o di
riqualificazione professionale. Le più avanzate possono anche erogare
prestazioni sociali. Altrove sono nate nuove forme di aggregazione sindacale per
difendere i diritti dei cittadini in generale oltre a quelli dei lavoratori. La
stragrande maggioranza di queste strutture locali è rimasta molto aperta al
mondo esterno. Sfruttando tutte le possibilità dell’informatica (senza la quale
molte di loro non sarebbero mai nate) hanno instaurato comunicazioni,
partnership e scambi di esperienze a livello internazionale non soltanto
all’interno dell’UE ma anche con controparti nell’Europa orientale, nel
Mediterraneo e in Africa».
Nessuno di noi
si augura uno scenario “possibile” della società europea nell’immediato futuro
fondato sul paradigma dell’«equilibrio instabile», ma in ogni caso occorre non
farsi trovare impreparati, in quanto, per dirlo in senso metaforico, o se si
preannuncia il temporale o se le previsioni prevedono ottimisticamente il cielo
sereno e il sole splendente, non costa nulla portarsi nello zaino il
“parapioggia” ben piegato, che, se indossato con il bel tempo fa scoppiare dalle
risate i passanti, ma se estratto al momento giusto e all’inizio di un violento
temporale può farci passare per persone previdenti ed intelligenti.
E le Banche
del tempo sono quasi la stessa
cosa.
Grazie
Riferimenti
bibliografici
Baumann Zygmunt, La società dell’incertezza, Il Mulino,
Bologna, 1999.
Beck Ulrich, I rischi
della libertà, Il Mulino, 2000.
Bernard Michel (a cura
di) Dossier: Autour des SEL, in
"Silence. Ecologie, Alternatives, Non-violence", Lyon (F), n° 246/247, Juillet-Août
1999.
Bucalo Elisabetta, Le Banche del tempo: una specificità
italiana, in P. Coluccia, Il tempo… non è denaro, cit.
dopo.
Coluccia Paolo, La Banca del Tempo. Un’azione di solidarietà e di reciprocità,
Introduzione di Serge Latouche, Bollati Boringhieri, Torino 2001.
Idem,
La cultura della reciprocità. I sistemi
di scambio locale non monetari, Arianna Editrice, Casalecchio (BO) 2002.
Idem,
Il tempo… non è denaro. Riflessioni sulle
Banche del tempo e sui sistemi di scambio locale non monetari, BFS, Pisa
2003.
Idem
(a cura di), Atti del Colloquio internazionale di Martano (LE) “I sistemi locali
di reciprocità indiretta”, Martano agosto 1998, in Lilliput-on-line,
http://digilander.libero.it/paolocoluccia.
COMMISSIONE EUROPEA, Nucleo Valutazioni
Prospettiche, Scenari Europa 2010. Cinque
futuri possibili per l’Europa. a cura di Gilles
Bertrand (coord.), Anna
Michalski, Lucio R. Pench.
Documento di Lavoro, Bruxelles, 1999.
Cordano F., La geografia degli antichi, Laterza, Roma-Bari
1992.
Godbout T. Jeaques, Il
linguaggio del dono, Bollati Boringhieri, Torino
1998.
Idem,
Lo spirito del dono, Bollati Boringhieri, Torino 1993.
Illich Ivan, Atti del Colloque International sur l'après-développement "Défaire le développement, refaire
le monde", Parigi, Palazzo
dell'UNESCO, 28 feb.-1-2-3 marzo 2002, (ed. a cura de La
Ligne d’horizon, Parigi 2003).
Latouche Serge, La sfida di Minerva, Bollati Boringhieri, Torino 2000.
Luhmann Niklas, Sistemi sociali, Il Mulino, Bologna
1990.
Idem,
Comunicazione ecologica, Franco
Angeli, Milano 1989.
Idem,
Sociologia del rischio, Bruno Mondadori, Milano 1999.
Mauss Marcel, Saggio sul dono, in Teoria generale della magia ed altri saggi,
Einaudi, Torino 1965. Ora anche in un volumetto curato da Marco Aime,
Einaudi, Torino 2002.
Polanyi Karl, La grande trasformazione, Einaudi, Torino 1974.
Rifkin Jeremy, L’era dell’accesso, Mondadori, Milano 2000.
Touraine Alain, Libertà, uguaglianza, diversità. Si può
vivere insieme?, Il Saggiatore, Milano 1998.
Viveret P., Riconsiderare la ricchezza. Missione sui
nuovi fattori di ricchezza, trad. it. di Paolo
Coluccia, in Lilliput-on-line, Martano, 2003
(www.digilander.libero.it/paolocoluccia).
***
Appendici alla relazione
I
Il progetto socio-economico
e solidale dell’ASSEM
di Paolo Coluccia
I promotori
dell’ASSEM, associazione di reciprocità e di solidarietà molto attiva nella
seconda metà degli anni ‘90 a livello locale e internazionale, constatarono fin
dall’inizio «il processo di de-socializzazione in atto nelle comunità locali».
Lo scopo principale dell’associazione, infatti, era quello di «riannodare il
legame sociale sviluppando la donazione di prestazioni reciproche indirette tra
i suoi aderenti e, da queste, la donazione di prestazioni gratuite alla
generalità delle popolazioni» (Art. 3 dello
Statuto).
Mediante lo sviluppo della
donazione reciproca di prestazioni tra aderenti si pensava che, oltre ad «armonizzare i
rapporti degli stessi», fosse possibile «creare un fondo di partecipazione allo
sviluppo delle comunità locali», che si sarebbe potuto devolvere «con
prestazioni gratuite a persone, famiglie, associazioni, enti locali ecc.» (Art. 4 dello Statuto).
Come ciò potesse essere
possibile era spiegato all’Art. 18 dello Statuto: «Il
fondo di partecipazione allo sviluppo delle comunità locali è un fondo non
monetario che si alimenta con le quote individuali e si devolve con prestazioni
gratuite a persone, famiglie, associazioni ed enti locali. La quota individuale
che alimenta il fondo è una percentuale prelevata sul volume annuale delle
prestazioni che l'aderente ha ricevuto in dono. La percentuale da prelevare, il
destinatario della devoluzione e le modalità della devoluzione vengono decise
dall’Assemblea ordinaria di fine anno».
Ho scritto nel mio libro La Banca del tempo pubblicato nel 2001
con la casa editrice Bollati Boringhieri di Torino:
«Per fare un esempio
pratico, se tra dato e ricevuto si conteggia un certo numero di ore in totale
(supponiamo 1000), la Banca del tempo si accrediterà di una percentuale
(supponiamo il 10 per cento) trattenendola dal suddetto totale (quindi 100 ore)
che devolverà successivamente, sempre tramite i suoi soci (che verranno per i
loro servizi ricompensati dalla
stessa Banca del tempo), a chi non può scambiare, quali un'associazione carente
di mezzi, persone disagiate, un Ente locale che non disponga di fondi
sufficienti per intervenire in contesti di utilità pubblica
ecc.
«Questa è un’idea fortemente
innovativa, perché può fondare sull’azione di reciprocità lo sviluppo sociale ed
economico di una comunità locale senza l’uso del denaro.
«Quest’azione, che non è riconducibile al volontariato così
come previsto dalla Legge quadro 266/91, si ispira a prìncipi generali assai diversi e può implementare un
meccanismo di intervento sociale privo di
costi solo partendo dalle singole azioni di reciprocità di un gruppo, anche
piccolo, di persone che sposano la bontà dell’idea di una Banca del tempo nella
propria comunità».
Ma proviamo ora a fare un
esempio su scala più estesa e con potenzialità più ampie. Continuo citando lo
stesso libro di prima:
«Per esempio, se 1000
persone in una città di 800.000 abitanti come Bologna scambiassero ciascuna 2
ore alla settimana, in 50 settimane il totale delle ore scambiate sarebbero
100.000, di cui il 10 per cento (cioè 10.000 ore) potrebbe essere devoluto alla
collettività, opportunamente individuata, che ne avesse bisogno. E a
costo zero!
Trova così giustificazione
la problematica relativa alla meticolosità della tenuta della contabilità in un
sistema di scambio locale non monetario, quale può essere una Banca del tempo.
Questa tenuta contabile è semplicemente strumentale e non espressione di valore
aggiunto-reddituale. Su tale problema siamo stati i
primi, a livello internazionale, a porre l’accento. Su questo principio stava la
grande innovazione socio-economica e solidale del nostro gruppo: purtroppo siamo
stati isolati, fraintesi, combattuti, soprattutto da molti dei nuovi profeti
delle alternative ideologiche post-moderne.
Non abbiamo nemmeno avuto la
possibilità di spiegare adeguatamente l’idea, la portata di questo sistema,
intorno ad un tavolo di parità tra istituzioni, imprese, associazioni e gruppi
sociali. Credo che questa sia la prima occasione pubblica, che mi si offre, a
distanza di oltre 5 anni, di esporre compiutamente il principio fondamentale del
sistema socio-economico e solidale dell’ASSEM.
La contabilità di un sistema
di scambio locale non monetario che adotta l’azione di reciprocità per un fine
solidale può essere vista come un termometro che misura il clima sociale della
comunità d’appartenenza, della comunicazione tra i suoi aderenti, dei loro
rapporti interistituzionali. Alla base della reciprocità c’è la solidarietà e la
condivisione, mediante le quali è possibile costituire comunità forti e aperte
al mondo.
II
Il
ritorno del dono e l’informale nel Grand Yoff
di Serge Latouche
N’daye Sokhna, madre di famiglia di
Grand Yoff, è
rappresentativa di questa categoria. Migliaia di donne vivono nelle periferie di
Dakar e probabilmente quasi tutte vivono in modo del tutto comparabile. N’daye ha un marito ferraiolo per il cemento armato che non
lavora da vari anni, sette figli la maggior parte dei quali vanno a scuola. Essa
ha un chiosco, sorta di garitta in metallo, posta sulla strada di fronte a casa
sua, dove vende tra mattina e sera da 25 a 35 chilogrammi di pane;
occasionalmente vende roba usata, incenso che confeziona lei stessa. Prepara la
zuppa, acquista pesci e fa il tonno alla maionese per la clientela del
vicinato.
In stagione, vende mandarini
che le spedisce il marito della sorella o anche l'altra sposa del marito rimasta
nel villaggio, della quale dice: “Essa fa come me, anche lei si arrangia...”. Fa
merletti che piazza presso le sue “collegate” della rete. Alleva pulcini e pensa
di contrarre un prestito per impiantare un allevamento di galline sulla
terrazza. Progetta di averne un centinaio. Di tanto in tanto, sostituisce
un’amica per un mese o due come impiegata nel centro ortopedico vicino. Affitta
tre camere, ma le entrate sono irregolari, e i locatari insolventi si
trasformano spesso in oneri supplementari perché mangiano in famiglia. Il denaro
guadagnato è immediatamente investito. Essa partecipa a varie tontine, una a 10
franchi al giorno per acquistare giubbotti ai bambini, una a 100 franchi per
acquistare tessuti e gioielli. Quella dei tessuti è organizzata da un’amica ed
essa è responsabile di quella dei gioielli. E’ responsabile inoltre di un’altra
tontina di
venti persone a 1000 franchi al mese. Dà inoltre 100 franchi al giorno per un
pezzo di tessuto a un venditore ambulante “toucouleur”. Se un giorno non ha denaro, non dà niente. Un
perizoma da 2000 franchi può, perciò, finire col costare 5000 franchi (è
razionale?)! Il venditore, dal canto suo, vive dunque della differenza, e passa
le sue giornate a fare il giro dei clienti. Questa vita di espedienti in cui si
mescolano produzione di beni e servizi, commercio, scambio di doni di denaro e
soprattutto di parole, è quella della maggior parte delle famiglie di Grand Yoff, e, con qualche piccola
variante, della maggior parte dei naufraghi dell’Africa.
La mia inchiesta era stata
fatta nel 93; ritrovata nel 95, poi nel 96, N’daye
Sokhna ha realizzato il suo sogno. E’ diventata una
donna d’affari.
Grazie al credito della
cooperativa delle donne e ai consigli della Enda-Graf,
ha montato con le sue amiche una piccola impresa originale e decentralizzata di
produzione e vendita di sciroppo di succo di bissap
(hibiscus o acetosella di Guinea o ancora carcadè),
succo di tamarindo e succo di zenzero. La marca è depositata per il gruppo, la
confezione e l’etichettatura sono normalizzate, è assicurato un controllo
tecnico per l'insieme. E funziona! Quanto al vecchio marito, felice di questa
relativa prosperità familiare, assicura la vendita in assenza della
padrona...
In queste condizioni, i
programmi di appoggio al “settore informale”, basati sulla professionalizzazione, nonostante le migliori intenzioni,
hanno effetti piuttosto negativi. L’essenziale della società vernacolare non entra nel quadro dell’intervento. Questo non
tocca evidentemente i più bisognosi e favorisce coloro che, entrati in una
logica professionale, sono già ai margini dell’informale.
Al di là della pluriattività e della non professionalizzazione, quel che colpisce l’osservatore attento ai “grappoli” di “collegati” della società vernacolare è l’importanza del tempo, della energia e delle risorse destinate ai rapporti sociali. Se si dispiega una attività intensa, sarebbe abusivo nella maggior parte dei casi parlare di vero lavoro. Gli incontri, le visite, i ricevimenti, le discussioni prendono molto tempo. Dare e prendere in prestito, donare, ricevere, aiutarsi reciprocamente, fare una ordinazione, consegnare, informarsi occupano gran parte della giornata, senza parlare del tempo dedicato alla festa, alla danza, al sogno o al gioco... “La festa, osserva Eric de Rosny, occupa un posto smisurato in proporzione ai mezzi finanziari della popolazione, tutti gli economisti lo dicono, ma essa è appropriata ai suoi bisogni affettivi” .
I compiti esecutivi sono effettuati alla lettera in momenti perduti. Se c’è urgenza per finire una ordinazione, si può sempre lavorare di notte o farsi aiutare da un collega non occupato. Tutte le entrate sono investite immediatamente all’interno della rete, si tratti di derrate o di denaro, sia perché è dovuto, sia perché si anticipa la necessità di dover prendere in prestito, sia anche, e in ogni caso, perché si vuole far profittare i parenti di quel che si è appena avuto e perché si cerca di far loro piacere. Ciascuno è cosciente del fatto che un beneficio non è mai perduto. L’atteggiamento generale è il senso di dovere molto ai "collegati" piuttosto che quello di essere un creditore che ci rimette sempre. Se il dono funziona bene, come ha finemente osservato Jacques Godbout, ciascuno degli attori ritiene di aver ricevuto più di quel che ha dato, mentre se il sistema funziona male ciascuno pensa di aver ricevuto di meno. Le persone di Grand Yoff parlano esse stesse di “cassetti” per designare questi investimenti relazionali.
Questi cassetti detenuti dai
“collegati” sono indifferentemente economici e sociali. Simmetricamente, in caso
di bisogno, e il bisogno è qui quasi endemico, si mobiliterà il “grappolo”, si
attingerà a diversi cassetti.
Spesso, si attingerà a un
cassetto per investire in un altro. Questa situazione di creditore-debitore è
comune a tutti…
Tratto
da:
L'altra Africa come
laboratorio del doposviluppo, di Serge Latouche, Università di
Parigi XI.
III
La
frattura sociale mondiale. Quali priorità per il mondo?
(Fonte
Rapporto del PNUS 1998)
(Spese annuali in miliardi
di dollari)
- Educazione per tutti :
6
- Spese di cosmetici negli
USA:
8
- Accesso all’acqua e
bonifica per tutti:
9
- Spese di gelati in
Europa:
11
- Cure ginecologiche e
ostetriche per tutte le donne:
12
- Consumi di profumi in
Europa e negli USA:
12
- Soddisfazione di bisogni
nutrizionali e sanitari di base:
13
- Spesa di alimenti di
animali in Europa e negli USA:
17
- Budget divertimenti delle
imprese giapponesi:
35
- Consumo di sigarette in
Europa:
50
- Spese di bevande alcoliche
in Europa:
105
- Consumo di stupefacenti
nel mondo:
400
- Spese militari nel
mondo:
780