TEMPO  AL TEMPO

Provocazioni e divagazioni sul tempo e sul suo uso sostenibile

di Paolo Coluccia

 

Relazione per il seminario di ricerca

“Verso un’educazione alla sostenibilità”

e adesso?

Marzo 2003

Organizzato da AnimaMundi-TerreAcolori

Programma INFEA Regione Emilia-Romagna 2002-2003

 

***

 

Il tempo è un moltiplicatore di contraddizioni,

ma riesce nel contempo anche a mitigare,

a sciogliere le contraddizioni…

(Niklas Luhmann)

 

 

            Preambolo

            E adesso?... l’avverbio mi ha fatto pensare, partendo da lontano, da circa 800 km per arrivare qui da voi, a cosa sia possibile dire oggi sul tempo, di cui non siamo padroni, che ci sfugge e non riusciamo a controllare, che non passa mai quando ci annoiamo, che non riusciamo a fermare o ad aumentare nemmeno per un attimo quando stiamo facendo qualcosa di molto importante. “Il tempo che è possibile avere; il tempo che può scarseggiare, il tempo della fretta e della noia”. E’ proprio strano un gesto che compiamo, ma per finalità differenti, durante il lavoro, nel tempo del lavoro, se facciamo qualcosa di interessante o se aspettiamo annoiati l’ora di uscita. Sembra che il tempo si dilati, “indeterminabilmente, da farci guardare l’orologio ogni due minuti” (Luhmann, 1990)

            E adesso?... mi rievoca il presente, l’oggi, il momento, l’attimo… e poi l’interrogativo… il non saper più che fare, la tristezza, la sfiducia, la mancanza di risposte, il destino, il fato, ma anche la speranza, l’impegno, il possibile: “Accanto al mondo concreto della cosiddetta realtà sociale, vi è un mondo invisibile e quindi solo immaginabile, ma non di meno importantissimo, per la comprensione del precedente: il mondo del possibile” (A. Febbraio, 1990).

            Il tempo, dunque, il sé legato al passato e la futuro, l’infinitamente indietro e l’imperscrutabile avanti, e lo spazio, finito nel luogo, infinito nei contorni, negli orizzonti, i luoghi e i tempi della storia, i fatti, le azioni, le distruzioni, le passioni. “L’orizzonte non è un confine, non è possibile valicarlo… Prima o poi dobbiamo tornare indietro, nella direzione indicata dall’orizzonte opposto… ‘tornare indietro’ significa, del resto, … avvicinamento ad un orizzonte, ma come allontanamento”. E’ chiaro che “alla costituzione materiale di senso concorrono sempre e necessariamente due orizzonti”. “Anche il tempo si distende fra orizzonti temporali particolari… il passato e il futuro… Gli orizzonti temporali si spostano via via che il tempo avanza… Quell’intervallo temporale tra passato e futuro in cui si realizza l’irreversibilità dei mutamenti, viene vissuto come presente… Il presente dura quanto dura l’irreversibilità” (N. Luhmann, 1990).

            Concetti generali, il tempo e lo spazio, che formano nella mente di filosofi e poeti categorie, teorie, visioni, fantasie del mondo e della vita:

 

Scorgi la teoria, il mondo,
il presente come tua unica realtà,
tua unica meraviglia,
fascino di te e di lei, un noi,
in un presente infinito
che sotto i piedi
crolla di continuo nel passato,
che poggia su argilla bagnata,
viscida, appiccicosa e molle,
proteso in un futuro
di fango senza forma:
passato di terra sbriciolata,
presente fatto di nulla,
di sorprese tiranno futuro informe.

            Più di un saggio si è soffermato a osservare e a riflettere: a me hanno parlato intere generazioni di pensatori sulla nullità del tempo, sul suo aspetto effimero, sulla sua concretezza oppure sull’illusione dello spazio, sulla sua necessità, sulla geofisica, scenari della storia della vita, con amplificazioni di civiltà, coreografie di culture, vestigia e ricordi incancellabili, monumenti, archetipi. E poi ancora il nulla, l’incertezza, la delusione, le ombre, le paure:

 

Ciò che comincia
in realtà è già iniziato:
non l'inizio o la fine
sono il problema!
Il problema è il presente,
incauto, innocuo, deviante,
che sorprende e meraviglia,
legge d'improbabilità
e di caustica attesa.
Tempo che vola,
tempo che non esiste,
che non scorre,
tempo che non ha tempo.

            L’avventura comincia nella notte dei tempi. Ne abbiamo piena coscienza da pochi millenni, al nascere delle prime forme di organizzazione sociale, da quando comincia la prima delle grandi rivoluzioni spaziale-temporale, a partire dal paleolitico prima e, molto più intensamente poi, durante il neolitico. Si cominciano a definire i luoghi stanziali, di attesa, di coltivo e di raccolta. Si scandiscono i ritmi del giorno e della notte, si intuiscono i tempi di semina, le stagioni, la vita e la morte. Cacciatori in continuo nomadismo, sempre in movimento su uno spazio che diventa sempre più piccolo per il costante aumento della popolazione; raccoglitori in perenne situazione di scarsità, tra risorse sempre più da dividere con gli altri.

            Ci siamo trasformati nei secoli, nei millenni di 15-10 mila anni fa, in coltivatori ed in allevatori, in costruttori di capanne e di ponti, abbiamo fondato le prime comunità, per poter sopravvivere, per risolvere il grande problema legato alla scarsità delle risorse, alla mancanza di cibo per tutti, che genera la fame, ma anche la socialità, la compagnia, l’amicizia. Ma spesso genera anche l’odio, la difficoltà, la lotta, il dilemma, la conquista cruenta del territorio, di suppellettili, di donne, di identità, di abitudini. E così che abbiamo incrociato culture, razze, stirpi, pensieri, identità. Abbiamo trasformato i luoghi, la natura, il mondo, lo spazio, l’esistenza… un processo continuo di trasformazione quello umano, sempre rivolto a capire l’inspiegabile, ad accogliere o ad escludere meraviglie e sogni, in un viaggio infinito, esaltante, tra lo spazio e il tempo, in uno spazio reso sempre più piccolo e con un tempo sempre più veloce, spesso turbinoso e maniacale. Su ciò oggi ci giochiamo la grande partita che ha per scommessa la conservazione di alcuni miliardi di persone e la natura intera. Ogni momento di queste migliaia di anni è stato vissuto come l’oggi, l’adesso, ed è stato incorniciato in un processo irreversibile, sempre più razionalizzato, ingabbiato, disincantato:

 

E così, disincantato,
scorgi e scopri il mondo,
il vivere, il presente,
le tenebre e le oscure
interiorità degli uomini, delle cose,
la complessità delle forme,
l'imprevedibilità dei pensieri,
la consuetudine delle abitudini,
il trasudare vecchiaia della storia
e la sua tremolante accidentalità,
che all'apice raggiunto
si sgretola e si scardina
e frana in ogni parte,
vivere rimasto indietro,
luogo di oscenità consunte,
disincanto dei resti
immondi di costruzioni arcane,
di edifici d'acciaio,
sulle rovine di un tempo
costruiti e rattoppati,
parte di un imprevedibile disegno
che ormai non sorprende più nessuno.

            Lungo questo percorso si è incastonata la storia, il racconto, la favola, la fantasia; sullo sfondo della scena la generosità della vita in ogni sua forma e la caducità della morte, la decomposizione delle forme in ogni espressione vitale: vita e morte, produzione e dissoluzione, rigenerazione continua ed evolutiva di corpi ed esplosione molecolare che disintegra e disperde gli stessi, nel fluire della materia nel tutto, nella realtà infinita dello spazio e del tempo.

 

Così comunichi agli altri
ciò che comunichi a te stesso,
gaia tautologia scontata,
che tutti sanno
ma che nessuno ricorda,
che ognuno misconosce,
così semplice e grandiosa,
d'evoluzione frutto singolare,
irta d'impudica complessità.
Questa è la realtà,
tragica, dirompente,
umoristica, ilare,
che tutti vogliono sistemare,
aggiustare, dirigere,
orientare, dominare,
che risponde con duri colpi di coda.
E tu guardi con sorriso amaro,
ingenuo, triste, raffinato,
ma sempre ironico e paziente,
solitario ed innocuo,
semplice e distruttivo,
paradosso dirompente.

            Oggi, sul limitare di un nuovo millennio, ci accingiamo a riflettere su questo lungo percorso… e adesso?... con uno sguardo sul poi, ma anche sul nostro passato. Quello più recente: gli ultimi tre secoli… una inezia in confronto ai millenni appena abbozzati, ma di un’estrema intensità, impostati all’incredibile, al fantastico, al meraviglioso, al demenziale sfruttamento delle risorse infinite, o almeno ritenute tali, in un groviglio di luoghi, di grida, di conflitti, sfruttando tutto e tutti, arraffando tutto ciò che c’era da arraffare, strappando l’energia più remota alla materia più astratta, specializzando ogni attività, i ruoli, i percorsi, i tempi, gli spazi, i luoghi, che nulla hanno più di originario. E per quanto riguarda il tempo si sono perse le stagioni, ogni momento è festa di primizie artificiali, ma anche la vita è diventata artificiale, come il giorno e la notte, il buio perso nascosto non dalla luce del sole, ma dall’inquinamento di luce prodotto da lampade accecanti, che mettono in fuga la maestosità della notte e riescono persino a “spegnere” le stelle. La nostra stessa attenzione a noi stessi è tanto artificiale, interventi invasivi, silicone, cure intensive, profilassi continua per debellare nuove malattie sempre in agguato. I nostri cibi quotidiani, sempre più incolori, più insapori, più anonimi, compressi, gelatinosi, mollicci, transgenici. E la vita normale con gli altri è costruzione infinita, esasperante razionalità strumentale, giurisprudenziale, produzione e significazione di società sempre più disincantata, istituzionalizzata, sistemica, con compiti, funzioni e ruoli sempre più definiti, stabiliti, ridiscussi, formalizzati, protocollati, standardizzati, legiferati.

            In questo disincanto infinito rincorriamo inutilmente le nostre incertezze, i nostri sogni, il nostro arbitrio: non c’è posto per tutto questo in questo mondo, un mondo che non è più quello che fu, di cui in ogni caso non possiamo più essere arcadici e nostalgici. Ci siamo liberati da tanti pericoli naturali, ma ne abbiamo inventato degli altri, spesso artificiali, chimici, ambientali… La tecnica ci ha liberato dalla fatica e dai lunghi tempi del lavoro, ma siamo sempre più stanchi, più deboli ed abbiamo sempre meno tempo per noi e per gli altri, pochissimo per riflettere (spesso rinunciamo perché qualcun altro pretende di farlo per noi, e noi glielo concediamo supportati dalla nostra pigrizia) e per creare, inventare (è già stato inventato tutto, forse!).

 

Questa è la realtà,
tragica, dirompente,
umoristica, ilare,
che tutti vogliono sistemare,
aggiustare, dirigere,
orientare, dominare,
che risponde con duri colpi di coda.

 

            Non ci bastano più le quotidiane 24 ore. Anche leggere l’omonimo quotidiano (Ilsole24ore o altri) rappresenta un’impresa! E’ impossibile in questo spazio di tempo! Ora cominciamo a pensare la realtà, per comprenderla, girandoci intorno, allo spazio e al tempo, di 360°, tentando di trasfigurare il mondo e la vita, per reincantare di un incanto perduto lo scorrere del tempo. Osserviamo da lontano, da un orizzonte all’altro, tentiamo di realizzare il possibile, questa nuova frontiera dell’immaginario esistenziale: come intuire quali infinite forme la realtà potrà assumere?

 

Osservi da lontano,
tu stesso osservatore di te stesso:
osservata dall'esterno
è strana la tua realtà,
così come ti appare, compresa
e ad un tempo incomprensibile,
mutante e generosa
d'inganni e di sorprese.
Ne scruti i particolari,
i nomi, le cose, i momenti
e trovi fango sgretolato
e appigli tremolanti.
Sogni e rincorri l'ultimo sole,
gli vai dietro da est ad ovest,
da nord a sud,
stringi nelle mani mai sazie
terra rossa e rocce bianche,
nevi d'altezza, lapilli rossastri,
accarezzi con un sorriso
la millenaria solitudine
di alberi d'olivo sempreverdi,
ricurvi ed intrecciati,
tenti un antico racconto,
ti confondi con il vento di tramontana,
ti impigli nell'umidità dello scirocco.

            Ma trasfigurare il tempo, la vita, il mondo, lo spazio è spesso opera dei filosofi e degli artisti, dei creatori di figure e di ricordi. Ai tecnici tutto il resto, agli ingegneri il compito di costruire i ponti. Di pochi è la capacità di passare a guado i fiumi:

 

“E se qualcuno ti verrà a dire che sa costruir ponti e che forse capiterà l’occasione in cui converrà ricorrere alle sue nozioni per passare il fiume, buttalo fuori! Fuori l’ingegnere! I fiumi li passerete a guado o nuotando… Vada a far ponti da un’altra parte, l’ingegnere! Ce ne sarà bisogno” (M. De Unamuno).

 

Anche dei filosofi e degli artisti occorre diffidare, come pure dei musici, dei suonatori di flauto e dei saltimbanchi, che non sanno ascoltare l’incessante fluire del tempo e il movimento dei cieli:

 

“Se poi qualcuno tenterà durante la marcia di suonare un piffero o una zampogna o uno zufolo o una viola o un qualsiasi altro strumento, spezzaglielo e scaccialo dalle tue file perché impedirebbe agli altri di ascoltare il canto delle stelle. Si vede, del resto, che egli non ode”.

“Questi saltimbanchi ti parleranno di poesia. Non gli badare! Chi si mette a suonare il suo flauto (…) sotto l’ampio cielo, senza udire la musica delle sfere celesti, non merita che gli altri lo ascoltino. Non conosce l’abissale poesia del fanatismo, non conosce l’immensa poesia dei templi vuoti, senza lumi, senza dorature, senza immagini, senza pompe, senz’armi, senza nulla di ciò che essi chiamano arte. Quattro nude pareti e un tetto di tavole: una capanna qualunque”.

“Scaccia dal tuo squadrone tutti i saltimbanchi del flauto. Scacciali prima che ti abbandonino per un piatto di fagioli. Sono filosofi cinici, indulgenti, bonaccioni, di quelli che tutto sanno comprendere e tutto sanno perdonare. Ma chi comprende tutto, non comprende nulla; e chi tutto perdona, non perdona nulla. Non hanno scrupolo alcuno di vendersi. Siccome vivono in due mondi, possono conservare la loro libertà in uno e farsi schiavi nell’altro”. (M. De Unamuno).

 

Trasfigurare il mondo e la vita è cogliere il momento del sogno, l’attuarsi del possibile, lo spaziare tra orizzonti immobili, il ricordare in silenzio la solitudine dei tempi e della notte:

 

Ti accorgi che sogni,
la realtà non si ferma,
contadini rugosi ti vengono incontro,
facce di legno e mani di pietra,
secche, dure, stanche.
Il diavolo ti aspetta,
sussurra un lamento,
qualcuno gli ordina invano
d'intrecciare dell'acqua,
di legare con corde la sabbia.
Chi ti ascolta? Chi è ascoltato?
Hai plagiato un ricordo,
hai parlato col diavolo,
hai rotto nella notte il silenzio,
la millenaria solitudine
degli alberi sempiterni,
memoria di un passato,
promessa nel futuro,
giganti nel presente:
poi silenzio e notte profonda,
ricordo e meraviglia,
sorpresa e titubanza,
tristezza e solitudine,
innocua infelicità,
silenziosa incomprensione,
desiderata felicità,
insperata conoscenza,
muta disponibilità,
promessa di memoria.

 

            E adesso? Siamo ancora alla domanda iniziale, trafitti dal pensiero di dover percorrere il presente del domani, di farci carico del presente ormai passato, di non sprecare il momento attuale del tempo presente, fatto di brevi ed effimeri attimi, l’oggi nel qui, per il poi, che passa inesorabilmente… E’ un compito gravoso, il nostro, per noi, per gli altri, per noi con gli altri. Non possiamo affidarci a fredde didascalie, azzannare detti consunti, ma dobbiamo osare nel reincanto del mondo e della realtà, della vita e della morte per creare il possibile, “il mondo del possibile”.

            Le premesse di una dimensione spazio-temporale ancora decenti e dignitose per l’umanità ancora persistono, su cui possiamo ancora fondare le nostre azioni quotidiane e, poiché dobbiamo farlo insieme con gli altri, ci dobbiamo far supportare dalla cultura della reciprocità e della solidarietà. Ma senza poter o voler tornare indietro nei meandri tortuosi del tempo ormai sepolto.

            Le derive della società moderna sembrano volerci costringere all’individualità e all’egoismo. Noi dobbiamo reagire a questa prospettiva negativa con un’azione sociale innovativa, con una ricerca sociale, con un movimento comune che faccia emergere l’amicizia, la professionalità, la solidarietà, la socialità, le potenzialità della persona e il miglioramento socioeconomico, mediante la creazione di gruppi non istituzionalizzati e non omogenei, minimamente strutturati in associazione e con differenti scopi sociali, organizzati in sistemi socioeconomici non monetari, a vocazione comunitaria, cercando di comprendere il concetto della reciprocità e del dono libero, nella cornice di un uso ragionevole e dedicato del tempo di cui disponiamo.

 

Tempo e reciprocità

            Vi ringrazio per avermi dato l’occasione di divagare e provocare qui a Santa Sofia sul tema del tempo. Vi voglio parlare di come impiegarlo meglio. Ma vi voglio parlare anche della reciprocità.

La reciprocità è un comportamento antichissimo, forse primordiale, neolitico, come abbiamo detto risalente alla prima grande rivoluzione sociale, ma è nella sostanza una dimensione umana molto particolare, costruita sulla solidarietà e sulla necessità di relazione sociale. Per millenni la forza della reciprocità è stata fondamentale per i rapporti interumani. Essa si è esternata con il dono multilaterale, indiretto e diretto. Ha scritto Federica Cordano che “Tucidide sembra ancora più interessato agli usi particolari di popolazioni a lui contemporanee. Per esempio gli Odrisi… avevano, a suo parere, la dinastia più potente e ricca d’Europa perché utilizzavano la legge del dono, ché presso di loro ‘non era possibile fare alcuna cosa senza offrire doni’. E Tucidide li mette per questo in opposizione con i Traci e con i Persiani, che usavano ‘la legge del prendere invece che dare’, avendo evidentemente superato – ma Tucidide di questo non ne rende conto – un modello economico più antico”.

Sullo sfondo del comportamento interindividuale della reciprocità aleggia il principio della solidarietà, che una società consumistica ed utilitaristica come la nostra ha finito per tramutare in assistenzialismo, carità, benevolenza. Come osserva acutamente Touraine: “La solidarietà è il contrario dell’assistenzialismo” (1998), per buona pace di tanta propaganda cattolica e filantropica. La solidarietà si basa sul principio dell’estinzione di un debito e sul diritto di un credito, che ciascuno di noi rispettivamente ha o può vantare, contemporaneamente, nei confronti di tutti gli altri. Questo pensiero mi proviene dall’insegnamento di Don Milani. Ma questo ci incanala in un discorso molto più complesso.

Tutti hanno da offrire qualcosa; tutti hanno bisogno di ricevere qualcosa. Dare e ricevere, scambiare, non mediante il sistema economico del mercato, ma animati dallo spirito della solidarietà, con un uso proficuo della risorsa più grande a nostra disposizione: il tempo. Ecco perché vi parlerò della Banca del tempo e della sua filosofia. Ho scritto in un mio libro: “Sembra un paradosso che in una società dove il tempo a disposizione delle persone è davvero tanto, sia per chi lavora, sia per chi non fa nulla, esso non basti mai. Nel tentativo di recuperare gran parte del tempo che si perde e si spreca, la Banca del tempo può svolgere un ruolo propedeutico importante. Può cioè educare a far uso positivo della risorsa tempo, non in una logica mercantile o di prestazione assistenziale, ma nel quadro di rapporti comunitari improntati alla reciprocità dello scambio non solo economico tra le persone” (2001).

Il problema è dunque nella concezione del tempo, si risolve se si riflette sul nostro modo di intendere il tempo.

Fino a quando considereremo il tempo una misura, un processo legato alla produzione, al consumo, allo scambio economico non saremo che degli ignari seguaci di Beniamino Franklin, che ha coniato il famoso detto: “Il tempo è denaro”. Solo se penseremo il tempo come “vita”, come rapporto con gli altri nel presente, svincolato dal concetto di valore e di interesse, capovolgeremo il sopraccitato detto con quello di “Il tempo… non è denaro”. E’ il titolo del mio ultimo libro (2003).

C’è una sostanziale differenza tra il tempo con gli altri e il tempo della storia. Questo ultimo è un tempo artificiale, vuoto, che sta nella testa di un gruppo di sapienti, gli storici, appunto. “Uno strumento finto ma necessario ad ogni pensiero che vuole costruire la storia universale”, osserva Angel Enrique Carretero Pasin sulla scia del pensiero di Halbwachs. Questa concezione storica del tempo non ha alcun rapporto con il tempo “reale”, che è quello vissuto “con gli altri”, quello che si concentra nel presente, punto di partenza della memoria, in quanto il pensiero cerca di ri-memorizzare il fatto vissuto con l’altro. Da qui l’immagine, l’immaginazione, il simbolico, per secoli esclusi dall’indagine scientifica delle discipline sociali perché ritenuti elementi irrazionali (oltre il 50% del pensiero umano!), emergono nella radicalizzazione concettuale della relazione uomo-alter, uomo-spazio, uomo-mondo “facendo apparire la sinergia che esiste tra l’immaginazione umana e lo spazio di fronte all’angoscia provocata dalla scomparsa del tempo e dalla sua attualizzazione, la morte” (N. Paschalis, Lo spazio sociale, in Esprit Critique, estate 2003).

 

Il tempo non ha “valore”

Ha detto Ivan Illich al Colloque International sur l’aprés-développement (Unesco, 2002): “Je n’aurais pas en latin un mot pour traduire le concepte de valeur”.
 
“Non avrei in latino una parola per tradurre il concetto di valore”: significa che il concetto di valore è estremamente recente, appartiene alla modernità, alla razionalità strumentale, al comportamento economico, cioè a quando si comincia a considerare il tempo che fa lievitare gli interessi e fa “lavorare” il denaro stesso. Ma il tempo della “vita” non ha un “valore” e soprattutto “non è denaro”, non può essere ridotto a uno scambio economico in senso totale. Tutte le religioni lo hanno evidenziato, tutte hanno condannato il prestito e l’usura, il denaro che sfrutta il tempo, che si autoriproduce. Oggi, purtroppo, siamo ad un limite estremo, siamo nell’economicismo assoluto, abbiamo un martello economico, come dice Latouche, che batte nella nostra testa e che ci fa pensare solo al denaro, al valore, all’utile, alla crescita, all’arricchimento! Non serve cambiare martello: occorre cambiare “testa”! Anche se oggi molto del nostro tempo è dedicato a far lievitare l’economia di mercato, non possiamo imporcelo in assoluto. Il nostro tempo è qualcosa di molto più complesso, è una grande ricchezza e non possiamo svilirlo rapportandolo in assoluto all’utilità e all’interesse.

Perciò, è bene evitare invasioni di campo o confusioni epistemologiche. Se la redistribuzione è un principio “politico”; se il mercato è un concetto “economico”; se la reciprocità è un argomento “filosofico”, (e tutti e tre possono convivere in un sistema sociale, come dice J. Godbout) una concezione “esistenziale” del tempo della nostra vita e di quella degli altri non può essere esclusivamente utilitaristica, perché si tratta di quel tempo che condividiamo con gli altri, mediante l’associazione, la reciprocità, la mutualità e la collaborazione, principi che ancora non abbiamo sufficientemente scoperto, perché siamo caduti inesorabilmente negli associazionismi, che come tutti gli “ismi” uccidono il fondamento concettuale delle idee. Il tempo che passa ogni giorno, ogni attimo, è tutta la nostra vita. Occorre pertanto  togliere al tempo la nozione assoluta di “rendimento”, per sostituirla con quella fluttuante del vivente. Perciò iniziamo a riconsiderare il tempo con gli altri come un “nuovo fattore di ricchezza”:

- il tempo come legame tra le persone e non come misura;
- il tempo ciclico delle stagioni;
- l’autonomia dal tempo pianificato delle organizzazioni produttive;
- il tempo soggettivo, emotivo e il ritmo personale e comunitario;
- il tempo di scelta e di condivisione;
- la complementarietà dei tempi (storico, presente, breve, medio e lungo termine);
- l’accordo tra il tempo dell’industria con il tempo biologico e geologico, per il problema delle materie prime, dell’energia e dei rifiuti;
- riabilitare il presente, il nostro presente con il mondo e il vivente;
- concepire soprattutto la fine del nostro tempo di vita, cioè la nostra morte, come fondamento del nostro agire.

Riguardo a questo ultimo punto, vorrei ricordare ancora le parole di Patrick Viveret: “Per la specie umana si può in effetti avanzare l’ipotesi che ciò che costituisce in definitiva la gerarchia dei valori della vita è la coscienza della morte… La percezione della finitezza e della vulnerabilità è alla base di ogni valore”.

Se il paradigma moderno del tempo è stato quello legato alla produzione e all’utile, oggi, in questo medioevo post-moderno, lungo le derive della modernità, questo paradigma tende a fare i conti con la vita, il mondo e il rispetto della dignità di ogni essere umano e del vivente in generale.

Parafrasando il detto scritto sulla porta dei Sistemi di Scambio Locale francesi mi piace dire: “La vera ricchezza non scaturisce dal nostro conto in banca, ma dalla nostra creatività, dalla nostra immaginazione e dai nostri sogni”. E nell’introdurre il tema dei sistemi di scambio locale non monetari e delle Banche del tempo, lo faccio ricordando le parole che ho ascoltato direttamente da François Terris (fondatore del primo SEL in Francia): “La vera ricchezza di un paese sono le ore che ciascuno va a donare alla sua comunità!”.

 

La filosofia della Banca del tempo.

La filosofia di questa associazione si basa sull’azione di reciprocità generalizzata e sui principi della simmetria e dello scambio sociale, per il raggiungimento della solidarietà.

Cos’è la reciprocità generalizzata o, più semplicemente, indiretta? Si dà a qualcuno, per ricevere da qualcun altro. Si scambiano così, senza l’intermediazione del denaro, beni, servizi e sapere. L’azione è necessariamente locale. Lo strumento è un’associazione senza fini di lucro che in Italia ha preso il nome di Banca del tempo. Il fine è la solidarietà tra i soci e di questi verso la comunità d’appartenenza. Tutti hanno la possibilità di dare e chiunque ha bisogno dell’altro per ricevere. Il comportamento individuale è il dare, il ricevere e il ricambiare. E’ uno scambio tra equivalenti, ma non di mercato, dove lo scambio segue la contrattazione diretta (qualcuno cede la merce in cambio del denaro di qualcun altro). In un sistema di reciprocità si dà a qualcuno per ricevere da qualcun altro in tempi e modi differenti. Al posto del contratto c’è il patto.  Non è nemmeno assimilabile al baratto, come confusamente molti sottintendono, perché anche il baratto si svolge frontalmente tra gli equivalenti: si dà un oggetto in cambio di un altro d’uguale valore, d’uso o convenzionale non importa, sempre a seguito di contrattazione. “Il principio del baratto dipende per la sua efficacia dal modello di mercato” (Polanyi, 1974).

La simmetria è un principio fondamentale in questi rapporti interindividuali.

Si manifesta:

a) nella produzione e nell’uso dell’informazione (tutti contribuiscono a creare il circuito informativo di ciò che si dà e di ciò che si riceve – bollettino offerte-richieste);

b) nella parità sostanziale degli individui in rapporto alla prestazione offerta nel sistema (un’ora dell’imbianchino vale quanto un’ora dell’esperto informatico);

c) nel pareggio a saldo di tutti i conti individuali, in dare o in avere, considerato che tutti partono con un conto zero (quando qualcuno riceve si “indebita” mentre chi ha dato si “accredita” di ore di tempo o di unità locali di conto) (cfr. Coluccia, 2002).

Lo scambio sociale consiste della relazione di ego verso alter; finalizzata alla solidarietà del noi, al legame sociale (condivisione), allla comunic-azione (azione-comune). La dimensione umana della reciprocità instaura un nuovo settore sociale: quello della spontaneità e del dono (cfr. Coluccia, 2001, 2002, 2003).

Non si vuole soppiantare lo stato o il mercato, - questo è importante, anche se non è tutto (Rifkin, 2000) e regola gli scambi della maggior parte degli individui (Godbout, 1993) - ma si cerca di immettere nel sistema sociale un’innovazione basata sui fondamenti antropologici e culturali del dono. “Le società hanno progredito nella misura in cui esse stesse, i loro sottogruppi e, infine, i loro individui, hanno saputo rendere stabili i loro rapporti, donare, ricevere e, infine, ricambiare!” (M. Mauss, 1965). Infatti, “l’etica dello scambio sociale permette di concepire una rifondazione della democrazia” (Latouche, 2000).

 

Come nasce una Banca del tempo?

Metti insieme 10-15 individui (e già questo comporta notevoli difficoltà ai giorni nostri, soprattutto perché ciascuno non ha mai tempo!), consegna loro un pezzo di carta e una penna e chiedi di scrivere, oltre ai propri dati, ciò che sanno fare o ciò che vogliono dare o che vorrebbero ricevere. Aggrega le offerte e le richieste su un foglio più grande, fanne diverse copie e consegna una a testa. Ora l’informazione è comune: tutti dispongono dei nomi, dei numeri di telefono, delle attività, delle disponibilità e dei bisogni di ciascuno. Una Banca del tempo autonoma e autogestita come un sistema di reciprocità indiretta nasce proprio così. Decolla quando realmente si comincia a chiedere e ad offrire. Alla fine di ogni prestazione si stacca un tagliando dove si attesta il valore del bene, del servizio o del sapere ricevuto. Si conteggia in ore o utilizzando un’unità di conto convenzionale e locale. Un gruppo di amministrazione coordina le attività, anima l’associazione, aggiorna i conti, cura la redazione periodica del bollettino offerte-richieste, predispone gli strumenti minimi di funzionamento, presenta i nuovi entrati nel gruppo, convoca riunioni periodiche. Si agisce nella massima parità e trasparenza. Chi fa il furbo o cerca di approfittarsi prima o dopo viene scoperto e non ha vita facile. Sembra tutto molto semplice, ma vi assicuro che dopo anni di attività diretta e di analisi di varie esperienze nazionali ed internazionali, non è proprio così. Sembra proprio una bella idea: purtroppo nella pratica succede di tutto, anche l’imprevedibile (cfr. Coluccia, 2001).

 

Un po’ di storia e le esperienze straniere.

Questi sistemi di scambio locale si diffondono nel mondo con motivazioni e modelli differenti, anche se è unanimemente riconosciuto che il sistema iniziale e trainante è stato il sistema LETS di M. Linton, elaborato in Canada sulle ceneri di un’esperienza analoga fallita per ingenuità e per inesperienza dei promotori.

Dal 1975 si organizzarono in Canada i LETSystem (Local Echange Trading System), che utilizzarono monete locali riferite alla valuta nazionale, al dollaro o al tempo inteso come ora di lavoro. Dal 1985 i LETS, dopo qualche clamoroso fallimento e qualche affinamento tecnico-contabile e con l’apertura della gestione e dell’organizzazione agli aderenti, si sono diffusi rapidamente in Europa (Inghilterra, Germania, Francia, Belgio, Scozia, Italia ecc.) e nel mondo (Argentina, Messico, Venezuela, Brasile, Australia, Senegal ecc.). La parola lets, oltre che il significato dell’acronimo, può significare provocatoriamente anche «Lasciatecelo fare!». In Inghilterra si cercò di arginare le difficoltà causate dalle politiche tacheriane.

            In Francia oltre ai SEL (Sistème d'Echange Local), orientati in senso ecologico ed anti utilitarista, si sono organizzati RERS (Réseau d'Echange Réciproque de Savoir - Rete di scambio reciproco di sapere) e Troc-Temp (Baratto di tempo). Interessante la Route des SEL, organizzazione nazionale di ospitalità per viaggiatori aderenti ai Sel che permette il pernotto gratuito presso le famiglie che vi aderiscono.

 In Germania esistono diverse configurazioni di sistemi di scambio: i Tauschringe (Cerchi di scambio), i Talents (sistema Talenti), le Zeitbörse (Borse del tempo). Singolare il motto dei Tauschringe: «Vai, anche senza marchi!».

In Belgio è testimoniata la presenza e la sperimentazione di SEL e di LETS: quest'ultimo acronimo, a differenza di quello inglese riferito allo scambio commerciale ed economico, significa soprattutto Locale Scambio di Talenti e di Servizi, dove per talenti s’intendono le capacità personali creative dell'individuo.

In Olanda è attivo un gruppo che divulga e sostiene i sistemi di scambio locale: Aktie-Strohalm. Questa associazione ha organizzato a Strasburgo nel 1998 un Seminario Internazionale Lets con il fine di sviluppare questi sistemi non monetari nelle nazioni dell’Est dell’Europa. Oggi la divulgazione è ancora più ampia.

Nel 1991 ad Ithaca (New York) parte un sistema orientato a controllare gli effetti negativi dell’economia di mercato. Si stampano le Ore di Ithaca, monete locali multicolorate e dipinte, su carta filogranata o su canapa tessuta a mano, con inchiostro termico alle quali si è dato un corso legale parallelo. Alcuni bar, ristoranti e cinema accettano le Ithaca-Hours. Questo contante rispetta l’ambiente, non è speculativo e crea lavoro e consumo responsabile.

In Argentina, sempre agli inizi degli anni 90, si formano i Clubs de Trueque (Clubs di scambio) riuniti successivamente in un progetto di comunicazione denominato Red de Trueque. Con queste associazioni si tenta di rilanciare il dinamismo economico perduto dalle comunità negli anni ’80. La Red cerca di mettere le popolazioni in condizione di rispondere ai problemi di esclusione generati dalla globalizzazione dei mercati. Il motto è: «Il futuro non sta scritto!». Interessante il forum organizzato sul sito http://money.socioeco.org dal 5 febbraio al 5 aprile 2001 sul tema della Moneta Sociale e in preparazione del Seminario internazionale di Santiago (Cile) rivolto alla creazione di un Polo di Socio-Economia Solidale in seno all’Alleanza per un Mondo Responsabile, Plurale e Solidale. Seguì un altro incontro a Findorm, Scozia. Di recente ci sono stati grossi problemi nella gestione dei “creditos” (moneta sociale del Trueque), che hanno invaso la società argentina e sud-americana.

L’Australia conta il sistema Lets più numeroso per numero d’iscritti (si parla di 1800 aderenti) e di famiglie coinvolte nello scambio: il Blue Mountain. Ma le notizie non sono continue.

In Senegal sono nati i SEC (Sisthèmes d’Echange Communautaire). Si prefiggono non tanto di generare legame sociale (l’Africa ne ha da «vendere») ma di dinamizzare gli scambi, la reciprocità e l’auto-aiuto, mediante reti locali e principi di vicinato e di prossimità, con una particolare attenzione alle persone svantaggiate.

            Interessante la recente attività di scambio on-line sulla rete Internet da parte di due organizzazioni: Notmoney in Venezuela (si scambia di tutto: vacanze, viaggi, attività ecc. Stimolante il progetto Interser coordinato da Alberto Moron, anche se ultimamente, dai momenti difficili del paese, non ho più notizie dirette) e GRB (Global Resource Bank) negli USA (una Banca globale di risorse che produce ricchezza in maniera conforme alle necessità della produzione e dell’ecosistema: si può godere la prosperità globale, eliminare la povertà, l’inquinamento e rendere l’ambiente naturale sano e generoso mediante gli eco-crediti, la vera ricchezza della terra).

            Ultimamente M. Linton ha spostato il suo campo d’azione in Giappone dove sta stimolando, tra tanti problemi e preoccupazioni, sistemi di scambio basati sulla moneta sociale. Ne sono sorti di diverso genere, anche sulla spinta di un programma televisivo.

 

Le Banche del tempo in Italia.

In Italia il fenomeno delle Banche del tempo e dei sistemi locali di scambio non monetario che generano altruismo reciproco generalizzato è molto differenziato. Possiamo distinguere, in modo molto approssimativo, tre modelli di Banca del tempo:

- la Bdt organizzata, finanziata e gestita dal Comune, a seguito di deliberazione della giunta comunale, con un funzionario pubblico che fa l'animatore, il coordinatore e il segretario dell'esperienza.  Questo modello, sviluppatosi in molte città italiane del centro-nord, vede nella Bdt un servizio pubblico da fornire al cittadino, qualificato come utente o cliente, che per le sue necessità si rivolge ad uno sportello, stacca degli assegni per le prestazioni, si accredita o si indebita per le prestazioni date o ricevute, riceve il suo bravo estratto conto periodico, proprio come avviene nell’immaginario economico e monetario del sistema bancario, solo che al posto delle monete in queste organizzazioni si deposita  e si conteggia il tempo.

-        la Bdt che nasce all'interno di un’associazione, di una cooperativa o di un’organizzazione sindacale (Arci, Misericordie, Mag, Auser ecc.). Questi gruppi già costituiti e funzionanti fanno muovere (a mo’ di balie) i primi passi alla neonata iniziativa sociale  In positivo, si lascia alla fine che la Bdt proceda con le proprie gambe e che si apra alla comunità; in negativo, può avvenire che il rapporto ideologico di fondo crei dipendenza, perduri all'infinito e che il sistema rimanga chiuso ed individualizzato all'ambiente sociale.

-        la Bdt come sistema autonomo, autofinanziato e autogestito che nasce su iniziativa di alcuni individui ampiamente motivati, spesso carburati ideologicamente (in senso politico, ambientalista, solidaristico ecc.), che si riuniscono ed elaborano un progetto di azione comune, che si autofinanziano e che si autonormano con uno statuto ed un regolamento e con degli strumenti semplici di informazione e di contabilità, per favorire e per registrare gli scambi di reciprocità generalizzata Non nascondo una certa simpatia per questo modello, pur con qualche riserva. Infatti, il substrato ideologico, se per un verso fa da collante, dall’altro può isolare il gruppo dalla comunità. Inoltre, quando le controversie non si ricompongono facilmente  si rischia l’implosione del sistema.

          Il modello di Banca del tempo che divulgo e promuovo è quello autonomo e autogestito.

E’ stata emanata qualche anno fa una Legge dello Stato (Legge 8 marzo 2000, n. 53 “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”) che tenta di stimolare la nascita di Banche del tempo. Come tutte le leggi in materia di legislazione sociale, tale norma disciplina (o almeno cerca di disciplinare) e istituzionalizza, lo spazio d’azione pubblico, che è cosa ben diversa dallo spazio comune.

            In seno all’associazione sindacale CGIL è sorto verso la metà degli anni ‘90 un osservatorio (Tempomat) delle Banche del tempo, che ha censito, registrato e stimolato la nascita di queste associazioni. Verso la fine dell’anno 2002 Tempomat è ‘passato di mano’, cioè, avendo la principale sostenitrice, per intervenuti ulteriori impegni, deciso di lasciare questo impegno, l’attività dell’osservatorio è stata divisa  in tre parti (sito internet, software di gestione Bdt, formazione). Il tutto è passato alla gestione di alcune persone che nel proprio territorio avevano implementato una Banca del tempo o qualcosa di simile.

La regione Emilia-Romagna ha svolto un ruolo propositivo e divulgativo, soprattutto nell’ambito delle politiche sociali, curando di recente innanzitutto la bibliografia e le pubblicazioni inerenti questi sistemi di scambio e sostenendo un progetto di Banca del tempo-on-line su internet. Ma anche altri Enti locali, ai vari livelli, hanno cercato di sostenere con mezzi finanziari e divulgativi queste associazioni. Spesso, però, lo sforzo non è stato ripagato e parecchie esperienze sono rimaste a livello di progetto, si sono arenate dopo i primi tempi o sono diventate delle scatole vuote. Non sono mancate, comunque, Bdt attive ed interessanti, almeno nei periodi di punta del fenomeno (anni 1997-2000).

            L’organizzazione no profit Lunaria di Roma ha fatto una notevole attività di divulgazione di questi sistemi locali di scambio non monetario. Con il patrocinio della Commissione Europea ha organizzato il 7 giugno 2001 il primo meeting dell’European Network of Non-Monetary Echange Systems (ENNES), al fine di formalizzare una rete cui aderiscono le più significative esperienze di scambio europee. La rete persegue la promozione dei sistemi non monetari, considerati strumenti di inclusione sociale, mediante la divulgazione di informazioni sulle esperienze attive e significative. I sistemi di scambio non monetario ricreano le reti della comunità riequilibrando il tempo di lavoro con il tempo della vita e facendo emergere le risorse locali, sviluppando le opportunità per uomini e donne e favorendo le buone relazioni. Purtroppo, anche in questo caso, dopo una prima riunione a Bruxelles, l’azione non è continuata e non è stata approfondita.

            Il mondo della ricerca universitaria non è stato a guardare. Numerose le tesi di laurea, nelle più disparate facoltà e discipline (Sociologia, Antropologia, Giurisprudenza, Servizi sociali, Scienze della formazione, Economia ecc.), e i dottorati di ricerca, in università prestigiose, come la Sapienza, la Bicocca ecc.

            Futile, fuorviante e soprattutto deludente l’intervento di giornalisti, soprattutto della carta patinata, che hanno ricalcato nelle loro pagine, in un certo determinato periodo (1997-1998), una lunga serie di luoghi comuni, senza riuscire a cogliere gli aspetti significanti e qualificanti di questi sodalizi. Inutile dire che è mancato l’approfondimento, a parte qualche rara eccezione, come la rubrica Diario dell’Unità (1996) o qualche trasmissione televisiva (Speciale TG1, 1997) o radiofonica (Gr2-cultura e I misteri della notte-Gr2, 2001, 2002) della RAI.

            A Martano (LE) l’esperienza di Banca del tempo autogestita nell’associazione ASSEM inizia nel 1996, assai simile ad un Lets. Nel tempo il sistema di scambio si evolve. L’idea di fondo diventa il dono, quello libero, riconducibile al triplice comportamento del dare, del ricevere e del ricambiare, così felicemente descritto da Marcel Mauss nel Saggio sul dono. Gli scambi si conteggiano in mistòs (dal grìco - lingua locale – che significa soldo: “Vali quanto un soldo!” nel linguaggio popolare martanese significa “non valere nulla!”). Dieci mistòs valgono più o meno un’ora.  Nel sistema è transitato di tutto: verdure spontanee, ortaggi ecologici, trasporto di cose e persone, aiuto allo studio, piccole manutenzioni, consigli estetici, lavori al computer, attività di cucito, artistiche, sportive, lavori di giardinaggio, cibi, torte ecc. Ma è transitata soprattutto tanta socialità, promozione sociale e comunicazione. C’è stato un notevole interesse per l’esperienza da parte di mass-media locali e nazionali. Alcune tesi di laurea discusse in varie facoltà universitarie italiane hanno trattato quest’esperienza associativa di scambio locale. Molti, però, sono stati i problemi e i momenti di difficoltà dovuti a fraintendimenti, incomprensioni, polemiche che ne hanno rallentato cospicuamente l’attività.

Queste problematiche compaiono in quasi tutte le esperienze finora conosciute in Italia e nel mondo. Forse abbiamo anticipato “i tempi”! Ma non bisogna abbattersi. Al contrario, occorre stimolare le esperienze a continuare e a ricrearsi, anche seguendo le derive e i nuovi orientamenti.

 

L’innovazione sociale.

La Banca del tempo può essere considerata un’innovazione sociale. E’ un termometro sociale con cui è possibile misurare la promozione di sé, la cittadinanza attiva, la solidarietà, la capacità di progettazione della comunità d’appartenenza, nella coesione sociale e nella salvaguardia delle diversità individuali, psicologiche e culturali.

E’ difficile inquadrare le Bdt e i Sistemi di scambio locale non monetari. Succede spesso e in ogni contesto sociale e culturale. Ma proprio per questo la Bdt è un’innovazione socio-culturale ed economica. La sua azione sociale è  molto complessa ed articolata, al limite dell’irrazionale. La sua base teorica più profonda è il dono, che si estrinseca nella triplice azione del “dare – ricevere – ricambiare”. Si tratta però del dono con radice antropologica, non si tratta della gratuità, dell’assistenzialismo, della filantropia o dell’azione volontaria “del giorno dopo”, ma della solidarietà intesa come scambio tra pari finalizzato all’interazione sociale. Il riferimento al Saggio sul dono di Marcel Mauss è chiaro.

La Bdt, pertanto, non ha niente in comune con il volontariato, tanto meno con il baratto, che altro non è che un mercato vero e proprio tra equivalenti, privo dell’intermediazione del denaro. Difficile inoltre il rapporto con il settore pubblico, in quanto lo “spazio d’azione” della Bdt è lo “spazio comune”, quello della condivisione e della reciprocità.

La modernità ha teorizzato e legittimato nel suo progetto socio-economico lo spazio d’azione pubblico e lo spazio d’azione privato. Esiste, infatti, il “diritto pubblico” e il “diritto privato”. Ma manca totalmente (o quasi) la teorizzazione dello spazio comune (cum munus, con dono), il diritto comune, la comunità, luogo consacrato, fondamentale e determinante del legame sociale, della solidarietà, del “capitale” sociale, da cui tutto discende (mercato, società, cultura, famiglia…) e non il contrario, come spesso si pensa o come molti economisti contemporanei voglio farci credere.

Immaginare un settore sociale, dunque, improntato sulla condivisione, sulla reciprocità e sulla lealtà è oggi indispensabile, soprattutto per le difficoltà della nostra epoca, tanto disincantata e irragionevole, per poter riscoprire l’incanto del senso, dell’incontro dell’altro, del noi, per raggiungere quel substrato d’intimità con cui è possibile ancora cercare di “riconoscere” l’altro, rispettarne le diversità, le peculiarità e le qualità (d’opinione, di cultura, di sapere…). Tutto questo si può fare provando piacere a scambiare alla pari i propri beni, servizi, saperi, senza turbamenti, senza supremazie, senza speculazioni, senza furbizie.

            La Bdt può essere considerata uno strumento per rimettere in campo un clima di convivialità, per avere la chance di poter ancora vivere “insieme”, liberi, uguali e diversi (Touraine, 1998). Ma è anche uno stimolo all’autorganizzazione, all’autoreferenzialità: non si può ancora credere che possa essere la società (una pura astrazione concettuale!) ad organizzarsi, in quanto possono farlo solo gli individui, qualora ne sentano la necessità, il bisogno e trovino la giusta volontà. E’ un viaggio cominciato oltre diecimila anni fa, nel neolitico, che non si è mai interrotto e che è destinato a continuare fino a che la specie umana non si estinguerà. E le istituzioni e le organizzazioni sociali, se ci credono, possono “accompagnare” questi movimenti, collaborando e operando con complementarietà, ma mai prevaricando con arroganza e paternalismo intriso di subalternità. Anche questa è una importante innovazione sociale, per non dire una scommessa.

La creazione di società è un banco di prova per l’individuo, il gruppo e la stessa comunità. Il sistema comunitario legato al progetto della Banca del tempo e dei sistemi locali non monetari si rivela interessante e importante, a mio avviso, soprattutto per una società moderna che rappresenta il suo futuro come “rischio” (Luhmann, 1989, 1990, 1999; Baumann, 2000; Beck, 2000).

Queste esperienze di scambio locale non monetario sono intraviste in un documento di lavoro, effettuato da un gruppo di studiosi operanti nel Nucleo Valutazioni Prospettive della Presidenza della Commissione Europea nel 1999, che complessivamente disegna cinque probabili “scenari” europei nell’anno 2010.

In uno di questi scenari, il secondo, definito I cento fiori, naturalmente caratterizzato dal un “equilibrio instabile”, dove «la distribuzione sempre più disomogenea della ricchezza, la proliferazione della criminalità internazionale e la moltiplicazione dei piccoli conflitti regionali stanno destabilizzando il sistema mondiale, che tuttavia continua a reggere alla meno peggio», poiché «prigionieri di mentalità e modalità operative arcaiche, gli apparati amministrativi e i sistemi politici delle capitali non sono riusciti a tenere il passo con questi fenomeni di micro-rinascimento e hanno lentamente perso il contatto col mondo reale», considerato che «l’immobilismo delle gerarchie, lo spezzettamento delle competenze e l’eccessiva fiducia nella scienza avevano gettato i semi di un diffuso disimpegno», «in un’epoca in cui le società si facevano sempre più complesse, il progresso tecnologico sempre più rapido e le esigenze individuali sempre più differenziate, le burocrazie rimanevano rigide e incapaci di adeguarsi a situazioni sempre eterogenee», e «la classe politica si rivelò intrinsecamente incapace di rispondere al grande disagio, oscillando tra immobilismo e demagogia», le Banche del tempo, insieme a cento micro-iniziative innovative, fanno capolino nella società europea, in quanto, per fronteggiare la crisi politica, economica, sociale e culturale determinatasi nel quinquennio 2000-2005, «l’opinione pubblica mostrò un forte spirito d’iniziativa: nacquero centinaia di gruppi civici». Pertanto «si assiste in questo periodo all’ascesa di collettività locali dinamiche come quelle odierne», si osserva nel documento futuribile. «E’ ormai raro – continua lo studio – trovare un comune o un quartiere che non abbia la propria valuta e una banca del tempo in cui scambiare lezioni private, attività culturali e ogni tipo di servizi alla persona (come ripetizioni, assistenza a bambini e anziani e collaborazioni familiari). Le associazioni locali, spesso gestite da donne, pensionati o neolaureati, si sono moltiplicate e di fatto trasformate in piccole imprese. Gran parte di queste opera in modo informale, senza preoccuparsi di registrarsi presso le autorità competenti o di pagare le imposte. Alcune, con l’aiuto delle autorità locali, svolgono un ruolo importante nell’erogazione di piccoli prestiti ai privati e alle imprese con problemi immediati  di liquidità. Altre hanno istituito “casse comuni” per finanziare reti di sostegno economico e, se necessario, persino offrire borse di studio o di riqualificazione professionale. Le più avanzate possono anche erogare prestazioni sociali. Altrove sono nate nuove forme di aggregazione sindacale per difendere i diritti dei cittadini in generale oltre a quelli dei lavoratori. La stragrande maggioranza di queste strutture locali è rimasta molto aperta al mondo esterno. Sfruttando tutte le possibilità dell’informatica (senza la quale molte di loro non sarebbero mai nate) hanno instaurato comunicazioni, partnership e scambi di esperienze a livello internazionale non soltanto all’interno dell’UE ma anche con controparti nell’Europa orientale, nel Mediterraneo e in Africa».

Nessuno di noi si augura uno scenario “possibile” della società europea nell’immediato futuro fondato sul paradigma dell’«equilibrio instabile», ma in ogni caso occorre non farsi trovare impreparati, in quanto, per dirlo in senso metaforico, o se si preannuncia il temporale o se le previsioni prevedono ottimisticamente il cielo sereno e il sole splendente, non costa nulla portarsi nello zaino il “parapioggia” ben piegato, che, se indossato con il bel tempo fa scoppiare dalle risate i passanti, ma se estratto al momento giusto e all’inizio di un violento temporale può farci passare per persone previdenti ed intelligenti.

  E le Banche del tempo sono quasi la stessa cosa.

          

            E adesso… che fare?

            Questi sistemi di scambio di tempo, fondati sull’uso ragionevole e responsabile del tempo, rappresentano forse una chance, e forse anche un’illusione, ma possono realizzare il possibile, una possibilità di convivenza (e di sopravvivenza) dell’umanità, sia nella dimensione locale, sia in quella globale. Qualcuno ha coniato il termine di glocale. Ma è un neologismo di complessa comprensione. In queste esperienze di scambio l’ego e l’alter si fondono in un’osmosi spazio temporale, formano il noi, possono darci un nuovo senso della vita e del quotidiano.

            Questi sistemi si fondano sulla condivisione delle risorse, ciascuno di noi per suo conto ne dispone, e su un patto di alleanza, lontano da ogni contratto, compravendita o diritto di proprietà. Questi concetti aprirebbero un nuovo capitolo di riflessione: quello sulla libertà individuale. Questa, osservata dal paradigma del dono, acquisterebbe un senso e una validità proprio in funzione ed in relazione con l’altro: “Rammentiamo che, per gran parte dell’era moderna, abbiamo associato al concetto di libertà quello di autonomia, e fatto coincidere l’autonomia con la capacità di offrire il nostro lavoro sul mercato. I frutti del lavoro – la proprietà – sono stati considerati simboli della nostra libertà. Il diritto di escludere gli altri da ciò che ci appartiene è stato considerato il miglior modo di proteggere la nostra autonomia e la nostra libertà personale. La vera libertà, però, è figlia della condivisione, non del possesso: non si può essere davvero liberi, se non si può condividere, provare un sentimento di empatia nei confronti dell’altro, abbracciarsi” (J. Rifkin, 2000).

            Al momento si prefigurano due strade: 1) quella di chi sostiene la crescita infinita, come la posizione che L. Turrow (1999) espone in La costruzione della ricchezza (“Una torta economica che cresce lentamente può essere divisa per generare ricchezza nella parte superiore. Ma soltanto una torta economica che cresce velocemente può creare le società ricche in cui ciascuno può partecipare alla creazione di ricchezza. Gli stipendi della massa non possono svilupparsi nella parte inferiore senza una vigorosa crescita della produttività”); 2) quella di chi raccomanda di tornare a ritrovare il senso della misura nelle cose, nella natura e nei rapporti umani: “Ritrovare il senso della misura è dunque vegliare affinché nessuno venga escluso, né l’uomo, né la natura, né il sacro”, così si è espressa D. Perrot al Colloque International sur l’àprés-développement (Paris, UNESCO, 2002), la quale ha inoltre raccontato la seguente storia: “Venne posta ad un primo ministro africano, durante un forum di Davos, la seguente domanda: ‘Se i poveri vogliono diventare come i ricchi, occorrerebbero almeno cinque pianeti in più. Siccome ne abbiamo uno solo, il problema si pone tra i ricchi. Esiste una visione che possa tener conto di questa problematica?’. Il primo ministro rispose in modo negativo. Questa domanda, comunque molto ingenua, pone il nodo della questione dei rapporti tra Nord e Sud, ricchi e poveri. La risposta non può essere che una: ‘Ritrovare il senso della misura, non trascurando una visione panoramica (pan-ottica) del mondo intero e dell’umanità” (2003).

            Abbiamo sotto i nostri occhi un segnale angosciante. Le ricchezze prodotte negli ultimi decenni non sono state equamente distribuite tra gli abitanti del pianeta. La povertà è aumentata, il divario tra chi ha e chi non ha diventa ogni giorno più ampio. Innumerevoli sono le forme di esclusione, prevaricazione ed emarginazione. Sono all’ordine del giorno, ed inequivocabili, forme di sopruso, fenomeni di corruzione e devastanti ed incuranti processi d’inquinamento e di distruzione della natura e della biodiversità. E’ veramente strano che ci siano delle posizioni che continuano a pensare lo sviluppo dell’umanità sempre e comunque legato ad una estrema costruzione della “piramide della ricchezza”. E Turrow ne è un teorico propiziatore (consiglio di aprire per questo le prime pagine del suo libro che abbiamo citato). In verità, la partecipazione agli utili, la divisione della ricchezza, rimane un miraggio per la maggior parte dell’umanità.

            E’ necessario, inoltre, acquisire nuove forme di misura, per nuove valutazioni della ricchezza, che non facciano esclusivo riferimento al PIL (prodotto interno lordo). Ed oltretutto, dobbiamo “cambiare termometro”, ci ammonisce P. Viveret. E ancora: “Perché continuare a trasmettere ai nostri ragazzi nozioni come l’altruismo, il merito o il civismo se essi hanno permanentemente per modello il successo finanziario fondato sull’individualismo, il denaro facile e l’aggiramento delle regole e delle leggi come arte superiore del management?” (2003).

            Ma per capire questo abbiamo bisogno di cambiare paradigma, di cambiare la nostra visione della vita e del mondo. Non possiamo considerare lo sfruttamento e le distruzioni virtù economiche che generano ricchezze, anche se solo per pochi. Corriamo ciechi sul baratro dell’autodistruzione. Per poterci conservare, per poter continuare questo viaggio infinito dell’esistenza insieme con tutti gli altri, dobbiamo recuperare il senso del valore fondamentale della vita stessa. “La conservazione non è per la terra, è per noi stessi; la biodiversità è importante per il nostro benessere fisiologico, psichico, relazionale, estetico… è un problema di desiderio. Più si incrementa la coscienza ecologica più potente essa diventa… Se no, o noi ci estinguiamo o noi ci trasformiamo per forza in esseri che vivranno in un mondo artificiale, che sarà pertanto il nostro nuovo mondo naturale. E’ questo che chiediamo?… Non c’è razionalità nel mondo, non c’è finalità in esso. C’è solo un intreccio di relazioni. Il mondo va alla deriva. Alla terra non importa nulla che si estingua la vita, non sarebbe il primo pianeta che muore. Insisto: la conservazione non è per la terra, non è per la biosfera. E’ per noi stessi!… E’ un problema di desiderio!” (H. Maturana, 2001).

            Nessuna azienda, nessuna forma economica sarebbe possibile a questo mondo se l’aria diventasse irrespirabile, l’acqua non potabile, la terra improduttiva. Non c’è in questo una visione nostalgica di un’era bucolica o arcadica ormai affondate nel nulla del tempo passato, crollata come argilla franosa, ma non possiamo dimenticare o sottintendere che la vera ricchezza è rappresentata dalla vita in ogni sua forma, dagli esseri umani alle svariate forme dell’ambiente naturale. Purtroppo, oggi la teoria economica tende sempre di più a trascurare o a dimenticare questa semplice verità. Certo, potremo scegliere di vivere in una cupola artificiale di cristallo trasparente riempita di un gas respirabile, ma, per quanto ciò possa rappresentare un debole momento di vita felice, sarebbe sufficiente un guasto termoelettrico o una scossa tellurica un po’ più violenta di quelle previste per essere dirottati verso una certa ed immediata estinzione. Sicuramente ciò avverrà prima o poi, se l’osservazione di C. Lèvi-Strauss in Tristi tropici (1997) ha un senso (“Il mondo è cominciato senza l’uomo e finirà senza di lui”).

            Oggi abbiamo un compito, e dobbiamo farlo tutti insieme: continuare a godere tutti della prosperità globale e delle sue meraviglie, supportati dalla nostra coscienza e dalle nostre capacità. Stiamo entrando in una nuova era, l’era dell’umanità cosciente, che ci sta insegnando che i valori fondamentali legati alla vita sono l’amore e il senso, quegli stessi valori che ci legano al regno animale, al quale senza alcun dubbio apparteniamo e di conseguenza non possiamo sfuggire ad una logica inesorabile di sopravvivenza. E’ forse questo che ci insegna, e che ci chiede, lo sguardo della pantera alla fine del documentario che abbiamo visto questa mattina nella prima parte di questo percorso di ricerca verso un’educazione alla sostenibilità. Per questo, dobbiamo riacquistare il senso della misura, quella del tempo e dello spazio, consapevoli che la vera ricchezza, all’alba della mutazione informazionale e del vivente, “domani più ancora di ieri – (e, quindi, di adesso) – sarà quella dell’intelligenza del cuore” (Viveret, 2003).

Grazie

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