TEMPO AL TEMPO
Provocazioni e divagazioni sul tempo e sul
suo uso sostenibile
di Paolo Coluccia
Relazione per il seminario di ricerca
“Verso un’educazione alla sostenibilità”
e adesso?
Marzo 2003
Organizzato da AnimaMundi-TerreAcolori
Programma INFEA Regione Emilia-Romagna 2002-2003
***
Il tempo è un moltiplicatore di
contraddizioni,
ma riesce nel contempo anche a mitigare,
a sciogliere le contraddizioni…
(Niklas Luhmann)
Preambolo
E adesso?... l’avverbio mi ha fatto pensare, partendo da lontano, da
circa 800 km per arrivare qui da voi, a cosa sia possibile dire oggi sul tempo,
di cui non siamo padroni, che ci sfugge e non riusciamo a controllare, che non
passa mai quando ci annoiamo, che non riusciamo a fermare o ad aumentare nemmeno
per un attimo quando stiamo facendo qualcosa di molto importante. “Il tempo che
è possibile avere; il tempo che può scarseggiare, il tempo della fretta e della
noia”. E’ proprio strano un gesto che compiamo, ma per finalità differenti,
durante il lavoro, nel tempo del lavoro, se facciamo qualcosa di interessante o
se aspettiamo annoiati l’ora di uscita. Sembra che il tempo si dilati,
“indeterminabilmente, da farci guardare l’orologio ogni due minuti” (Luhmann,
1990)
E adesso?... mi rievoca il presente, l’oggi, il momento, l’attimo… e
poi l’interrogativo… il non saper più che fare, la tristezza, la sfiducia, la
mancanza di risposte, il destino, il fato, ma anche la speranza, l’impegno, il
possibile: “Accanto al mondo concreto della cosiddetta realtà sociale, vi è un
mondo invisibile e quindi solo immaginabile, ma non di meno importantissimo,
per la comprensione del precedente: il mondo del possibile” (A. Febbraio,
1990).
Il tempo, dunque, il sé legato al
passato e la futuro, l’infinitamente indietro e l’imperscrutabile avanti, e lo
spazio, finito nel luogo, infinito nei contorni, negli orizzonti, i luoghi e i
tempi della storia, i fatti, le azioni, le distruzioni, le passioni.
“L’orizzonte non è un confine, non è possibile valicarlo… Prima o poi dobbiamo tornare
indietro, nella direzione indicata dall’orizzonte opposto… ‘tornare indietro’
significa, del resto, … avvicinamento ad un orizzonte, ma come allontanamento”.
E’ chiaro che “alla costituzione materiale di senso concorrono sempre e
necessariamente due orizzonti”. “Anche il tempo si distende fra orizzonti
temporali particolari… il passato e il futuro… Gli orizzonti temporali si
spostano via via che il tempo avanza… Quell’intervallo temporale tra passato e
futuro in cui si realizza l’irreversibilità dei mutamenti, viene vissuto come
presente… Il presente dura quanto dura l’irreversibilità” (N. Luhmann, 1990).
Concetti generali, il tempo e lo
spazio, che formano nella mente di filosofi e poeti categorie, teorie, visioni,
fantasie del mondo e della vita:
Scorgi la teoria, il mondo,
il presente come tua unica realtà,
tua unica meraviglia,
fascino di te e di lei, un noi,
in un presente infinito
che sotto i piedi
crolla di continuo nel passato,
che poggia su argilla bagnata,
viscida, appiccicosa e molle,
proteso in un futuro
di fango senza forma:
passato di terra sbriciolata,
presente fatto di nulla,
di sorprese tiranno futuro informe.
Più
di un saggio si è soffermato a osservare e a riflettere: a me hanno parlato
intere generazioni di pensatori sulla nullità del tempo, sul suo aspetto
effimero, sulla sua concretezza oppure sull’illusione dello spazio, sulla sua
necessità, sulla geofisica, scenari della storia della vita, con amplificazioni
di civiltà, coreografie di culture, vestigia e ricordi incancellabili,
monumenti, archetipi. E poi ancora il nulla, l’incertezza, la delusione, le
ombre, le paure:
Ciò che comincia
in realtà è già iniziato:
non l'inizio o la fine
sono il problema!
Il problema è il presente,
incauto, innocuo, deviante,
che sorprende e meraviglia,
legge d'improbabilità
e di caustica attesa.
Tempo che vola,
tempo che non esiste,
che non scorre,
tempo che non ha tempo.
L’avventura
comincia nella notte dei tempi. Ne abbiamo piena coscienza da pochi millenni,
al nascere delle prime forme di organizzazione sociale, da quando comincia la
prima delle grandi rivoluzioni spaziale-temporale, a partire dal paleolitico
prima e, molto più intensamente poi, durante il neolitico. Si cominciano a
definire i luoghi stanziali, di attesa, di coltivo e di raccolta. Si
scandiscono i ritmi del giorno e della notte, si intuiscono i tempi di semina,
le stagioni, la vita e la morte. Cacciatori in continuo nomadismo, sempre in
movimento su uno spazio che diventa sempre più piccolo per il costante aumento
della popolazione; raccoglitori in perenne situazione di scarsità, tra risorse
sempre più da dividere con gli altri.
Ci
siamo trasformati nei secoli, nei millenni di 15-10 mila anni fa, in
coltivatori ed in allevatori, in costruttori di capanne e di ponti, abbiamo
fondato le prime comunità, per poter sopravvivere, per risolvere il grande
problema legato alla scarsità delle risorse, alla mancanza di cibo per tutti,
che genera la fame, ma anche la socialità, la compagnia, l’amicizia. Ma spesso
genera anche l’odio, la difficoltà, la lotta, il dilemma, la conquista cruenta
del territorio, di suppellettili, di donne, di identità, di abitudini. E così
che abbiamo incrociato culture, razze, stirpi, pensieri, identità. Abbiamo
trasformato i luoghi, la natura, il mondo, lo spazio, l’esistenza… un processo
continuo di trasformazione quello umano, sempre rivolto a capire
l’inspiegabile, ad accogliere o ad escludere meraviglie e sogni, in un viaggio
infinito, esaltante, tra lo spazio e il tempo, in uno spazio reso sempre più
piccolo e con un tempo sempre più veloce, spesso turbinoso e maniacale. Su ciò
oggi ci giochiamo la grande partita che ha per scommessa la conservazione di
alcuni miliardi di persone e la natura intera. Ogni momento di queste migliaia
di anni è stato vissuto come l’oggi, l’adesso,
ed è stato incorniciato in un processo irreversibile, sempre più
razionalizzato, ingabbiato, disincantato:
E così, disincantato,
scorgi e scopri il mondo,
il vivere, il presente,
le tenebre e le oscure
interiorità degli uomini, delle
cose,
la complessità delle forme,
l'imprevedibilità dei pensieri,
la consuetudine delle abitudini,
il trasudare vecchiaia della storia
e la sua tremolante accidentalità,
che all'apice raggiunto
si sgretola e si scardina
e frana in ogni parte,
vivere rimasto indietro,
luogo di oscenità consunte,
disincanto dei resti
immondi di costruzioni arcane,
di edifici d'acciaio,
sulle rovine di un tempo
costruiti e rattoppati,
parte di un imprevedibile disegno
che ormai non sorprende più
nessuno.
Lungo questo percorso si è
incastonata la storia, il racconto, la favola, la fantasia; sullo sfondo della
scena la generosità della vita in ogni sua forma e la caducità della morte, la
decomposizione delle forme in ogni espressione vitale: vita e morte, produzione
e dissoluzione, rigenerazione continua ed evolutiva di corpi ed esplosione
molecolare che disintegra e disperde gli stessi, nel fluire della materia nel
tutto, nella realtà infinita dello spazio e del tempo.
Così comunichi agli altri
ciò che comunichi a te stesso,
gaia tautologia scontata,
che tutti sanno
ma che nessuno ricorda,
che ognuno misconosce,
così semplice e grandiosa,
d'evoluzione frutto singolare,
irta d'impudica complessità.
Questa è la realtà,
tragica, dirompente,
umoristica, ilare,
che tutti vogliono sistemare,
aggiustare, dirigere,
orientare, dominare,
che risponde con duri colpi di
coda.
E tu guardi con sorriso amaro,
ingenuo, triste, raffinato,
ma sempre ironico e paziente,
solitario ed innocuo,
semplice e distruttivo,
paradosso dirompente.
Oggi,
sul limitare di un nuovo millennio, ci accingiamo a riflettere su questo lungo
percorso… e adesso?... con uno
sguardo sul poi, ma anche sul nostro passato. Quello più recente: gli ultimi
tre secoli… una inezia in confronto ai millenni appena abbozzati, ma di
un’estrema intensità, impostati all’incredibile, al fantastico, al
meraviglioso, al demenziale sfruttamento delle risorse infinite, o almeno
ritenute tali, in un groviglio di luoghi, di grida, di conflitti, sfruttando
tutto e tutti, arraffando tutto ciò che c’era da arraffare, strappando
l’energia più remota alla materia più astratta, specializzando ogni attività, i
ruoli, i percorsi, i tempi, gli spazi, i luoghi, che nulla hanno più di
originario. E per quanto riguarda il tempo si sono perse le stagioni, ogni
momento è festa di primizie artificiali, ma anche la vita è diventata
artificiale, come il giorno e la notte, il buio perso nascosto non dalla luce
del sole, ma dall’inquinamento di luce prodotto da lampade accecanti, che
mettono in fuga la maestosità della notte e riescono persino a “spegnere” le
stelle. La nostra stessa attenzione a noi stessi è tanto artificiale,
interventi invasivi, silicone, cure intensive, profilassi continua per
debellare nuove malattie sempre in agguato. I nostri cibi quotidiani, sempre
più incolori, più insapori, più anonimi, compressi, gelatinosi, mollicci,
transgenici. E la vita normale con gli altri è costruzione infinita,
esasperante razionalità strumentale, giurisprudenziale, produzione e
significazione di società sempre più disincantata, istituzionalizzata,
sistemica, con compiti, funzioni e ruoli sempre più definiti, stabiliti,
ridiscussi, formalizzati, protocollati, standardizzati, legiferati.
In
questo disincanto infinito rincorriamo inutilmente le nostre incertezze, i
nostri sogni, il nostro arbitrio: non c’è posto per tutto questo in questo
mondo, un mondo che non è più quello che fu, di cui in ogni caso non possiamo
più essere arcadici e nostalgici. Ci siamo liberati da tanti pericoli naturali,
ma ne abbiamo inventato degli altri, spesso artificiali, chimici, ambientali…
La tecnica ci ha liberato dalla fatica e dai lunghi tempi del lavoro, ma siamo
sempre più stanchi, più deboli ed abbiamo sempre meno tempo per noi e per gli
altri, pochissimo per riflettere (spesso rinunciamo perché qualcun altro
pretende di farlo per noi, e noi glielo concediamo supportati dalla nostra
pigrizia) e per creare, inventare (è già stato inventato tutto, forse!).
Questa è la realtà,
tragica, dirompente,
umoristica, ilare,
che tutti vogliono sistemare,
aggiustare, dirigere,
orientare, dominare,
che risponde con duri colpi di
coda.
Non
ci bastano più le quotidiane 24 ore. Anche leggere l’omonimo quotidiano (Ilsole24ore o altri) rappresenta
un’impresa! E’ impossibile in questo spazio di tempo! Ora cominciamo a pensare
la realtà, per comprenderla, girandoci intorno, allo spazio e al tempo, di
360°, tentando di trasfigurare il mondo e la vita, per reincantare di un
incanto perduto lo scorrere del tempo. Osserviamo da lontano, da un orizzonte
all’altro, tentiamo di realizzare il possibile, questa nuova frontiera
dell’immaginario esistenziale: come intuire quali infinite forme la realtà
potrà assumere?
Osservi da lontano,
tu stesso osservatore di te stesso:
osservata dall'esterno
è strana la tua realtà,
così come ti appare, compresa
e ad un tempo incomprensibile,
mutante e generosa
d'inganni e di sorprese.
Ne scruti i particolari,
i nomi, le cose, i momenti
e trovi fango sgretolato
e appigli tremolanti.
Sogni e rincorri l'ultimo sole,
gli vai dietro da est ad ovest,
da nord a sud,
stringi nelle mani mai sazie
terra rossa e rocce bianche,
nevi d'altezza, lapilli rossastri,
accarezzi con un sorriso
la millenaria solitudine
di alberi d'olivo sempreverdi,
ricurvi ed intrecciati,
tenti un antico racconto,
ti confondi con il vento di
tramontana,
ti impigli nell'umidità dello
scirocco.
Ma
trasfigurare il tempo, la vita, il mondo, lo spazio è spesso opera dei filosofi
e degli artisti, dei creatori di figure e di ricordi. Ai tecnici tutto il
resto, agli ingegneri il compito di costruire i ponti. Di pochi è la capacità
di passare a guado i fiumi:
“E se qualcuno ti verrà a
dire che sa costruir ponti e che forse capiterà l’occasione in cui converrà
ricorrere alle sue nozioni per passare il fiume, buttalo fuori! Fuori
l’ingegnere! I fiumi li passerete a guado o nuotando… Vada a far ponti da
un’altra parte, l’ingegnere! Ce ne sarà bisogno” (M. De Unamuno).
Anche dei filosofi e degli artisti occorre
diffidare, come pure dei musici, dei suonatori di flauto e dei saltimbanchi,
che non sanno ascoltare l’incessante fluire del tempo e il movimento dei cieli:
“Se poi qualcuno tenterà
durante la marcia di suonare un piffero o una zampogna o uno zufolo o una viola
o un qualsiasi altro strumento, spezzaglielo e scaccialo dalle tue file perché
impedirebbe agli altri di ascoltare il canto delle stelle. Si vede, del resto,
che egli non ode”.
“Questi saltimbanchi ti
parleranno di poesia. Non gli badare! Chi si mette a suonare il suo flauto (…)
sotto l’ampio cielo, senza udire la musica delle sfere celesti, non merita che
gli altri lo ascoltino. Non conosce l’abissale poesia del fanatismo, non
conosce l’immensa poesia dei templi vuoti, senza lumi, senza dorature, senza
immagini, senza pompe, senz’armi, senza nulla di ciò che essi chiamano arte.
Quattro nude pareti e un tetto di tavole: una capanna qualunque”.
“Scaccia dal tuo squadrone
tutti i saltimbanchi del flauto. Scacciali prima che ti abbandonino per un
piatto di fagioli. Sono filosofi cinici, indulgenti, bonaccioni, di quelli che
tutto sanno comprendere e tutto sanno perdonare. Ma chi comprende tutto, non
comprende nulla; e chi tutto perdona, non perdona nulla. Non hanno scrupolo
alcuno di vendersi. Siccome vivono in due mondi, possono conservare la loro
libertà in uno e farsi schiavi nell’altro”. (M. De Unamuno).
Trasfigurare il mondo e la vita è cogliere il
momento del sogno, l’attuarsi del possibile, lo spaziare tra orizzonti
immobili, il ricordare in silenzio la solitudine dei tempi e della notte:
Ti accorgi che sogni,
la realtà non si ferma,
contadini rugosi ti vengono
incontro,
facce di legno e mani di pietra,
secche, dure, stanche.
Il diavolo ti aspetta,
sussurra un lamento,
qualcuno gli ordina invano
d'intrecciare dell'acqua,
di legare con corde la sabbia.
Chi ti ascolta? Chi è ascoltato?
Hai plagiato un ricordo,
hai parlato col diavolo,
hai rotto nella notte il silenzio,
la millenaria solitudine
degli alberi sempiterni,
memoria di un passato,
promessa nel futuro,
giganti nel presente:
poi silenzio e notte profonda,
ricordo e meraviglia,
sorpresa e titubanza,
tristezza e solitudine,
innocua infelicità,
silenziosa incomprensione,
desiderata felicità,
insperata conoscenza,
muta disponibilità,
promessa di memoria.
E adesso? Siamo ancora alla domanda
iniziale, trafitti dal pensiero di dover percorrere il presente del domani, di
farci carico del presente ormai passato, di non sprecare il momento attuale del
tempo presente, fatto di brevi ed effimeri attimi, l’oggi nel qui, per il poi,
che passa inesorabilmente… E’ un compito gravoso, il nostro, per noi, per gli
altri, per noi con gli altri. Non possiamo affidarci a fredde didascalie,
azzannare detti consunti, ma dobbiamo osare nel reincanto del mondo e della
realtà, della vita e della morte per creare il possibile, “il mondo del
possibile”.
Le
premesse di una dimensione spazio-temporale ancora decenti e dignitose per
l’umanità ancora persistono, su cui possiamo ancora fondare le nostre azioni
quotidiane e, poiché dobbiamo farlo insieme con gli altri, ci dobbiamo far
supportare dalla cultura della reciprocità e della solidarietà. Ma senza poter
o voler tornare indietro nei meandri tortuosi del tempo ormai sepolto.
Le
derive della società moderna sembrano volerci costringere all’individualità e
all’egoismo. Noi dobbiamo reagire a questa prospettiva negativa con un’azione
sociale innovativa, con una ricerca sociale, con un movimento comune che faccia
emergere l’amicizia, la professionalità, la solidarietà, la socialità, le
potenzialità della persona e il miglioramento socioeconomico, mediante la
creazione di gruppi non istituzionalizzati e non omogenei, minimamente
strutturati in associazione e con differenti scopi sociali, organizzati in
sistemi socioeconomici non monetari, a vocazione comunitaria, cercando di
comprendere il concetto della reciprocità e del dono libero, nella cornice di
un uso ragionevole e dedicato del tempo di cui disponiamo.
Tempo e
reciprocità
Vi
ringrazio per avermi dato l’occasione di divagare e provocare qui a Santa Sofia
sul tema del tempo. Vi voglio parlare di come impiegarlo meglio. Ma vi voglio
parlare anche della reciprocità.
La reciprocità è un comportamento
antichissimo, forse primordiale, neolitico, come abbiamo detto risalente alla
prima grande rivoluzione sociale, ma è nella sostanza una dimensione umana molto particolare, costruita sulla solidarietà e
sulla necessità di relazione sociale. Per millenni la forza della reciprocità è
stata fondamentale per i rapporti interumani. Essa si è esternata con il dono
multilaterale, indiretto e diretto. Ha scritto Federica Cordano che “Tucidide
sembra ancora più interessato agli usi particolari di popolazioni a lui
contemporanee. Per esempio gli Odrisi… avevano, a suo parere, la dinastia più
potente e ricca d’Europa perché utilizzavano la legge del dono, ché presso di
loro ‘non era possibile fare alcuna cosa senza offrire doni’. E Tucidide li
mette per questo in opposizione con i Traci e con i Persiani, che usavano ‘la
legge del prendere invece che dare’, avendo evidentemente superato – ma
Tucidide di questo non ne rende conto – un modello economico più antico”.
Sullo sfondo del comportamento
interindividuale della reciprocità aleggia il principio della solidarietà, che
una società consumistica ed utilitaristica come la nostra ha finito per
tramutare in assistenzialismo, carità, benevolenza. Come osserva acutamente
Touraine: “La solidarietà è il contrario dell’assistenzialismo” (1998), per
buona pace di tanta propaganda cattolica e filantropica. La solidarietà si basa
sul principio dell’estinzione di un debito e sul diritto di un credito, che
ciascuno di noi rispettivamente ha o può vantare, contemporaneamente, nei confronti
di tutti gli altri. Questo pensiero mi proviene dall’insegnamento di Don
Milani. Ma questo ci incanala in un discorso molto più complesso.
Tutti hanno da offrire qualcosa; tutti hanno
bisogno di ricevere qualcosa. Dare e ricevere, scambiare, non mediante il
sistema economico del mercato, ma animati dallo spirito della solidarietà, con
un uso proficuo della risorsa più grande a nostra disposizione: il tempo. Ecco
perché vi parlerò della Banca del tempo e della sua filosofia. Ho scritto in un
mio libro: “Sembra un paradosso che in una società dove il tempo a disposizione
delle persone è davvero tanto, sia per chi lavora, sia per chi non fa nulla,
esso non basti mai. Nel tentativo di recuperare gran parte del tempo che si
perde e si spreca, la Banca del tempo può svolgere un ruolo propedeutico
importante. Può cioè educare a far uso positivo della risorsa tempo, non in una
logica mercantile o di prestazione assistenziale, ma nel quadro di rapporti
comunitari improntati alla reciprocità dello scambio non solo economico tra le
persone” (2001).
Il problema è dunque nella concezione del
tempo, si risolve se si riflette sul nostro modo di intendere il tempo.
Fino a quando considereremo il tempo una misura, un processo legato alla
produzione, al consumo, allo scambio economico non saremo che degli ignari
seguaci di Beniamino Franklin, che ha coniato il famoso detto: “Il tempo è
denaro”. Solo se penseremo il tempo come “vita”, come rapporto con gli altri
nel presente, svincolato dal concetto di valore e di interesse, capovolgeremo
il sopraccitato detto con quello di “Il tempo… non è denaro”. E’ il titolo del
mio ultimo libro (2003).
C’è una sostanziale differenza tra il tempo
con gli altri e il tempo della storia. Questo ultimo è un tempo artificiale,
vuoto, che sta nella testa di un gruppo di sapienti, gli storici, appunto. “Uno
strumento finto ma necessario ad ogni pensiero che vuole costruire la storia
universale”, osserva Angel Enrique Carretero Pasin sulla scia del pensiero di
Halbwachs. Questa concezione storica del tempo non ha alcun rapporto con il
tempo “reale”, che è quello vissuto “con gli altri”, quello che si concentra
nel presente, punto di partenza della memoria, in quanto il pensiero cerca di
ri-memorizzare il fatto vissuto con l’altro. Da qui l’immagine,
l’immaginazione, il simbolico, per secoli esclusi dall’indagine scientifica
delle discipline sociali perché ritenuti elementi irrazionali (oltre il 50% del
pensiero umano!), emergono nella radicalizzazione concettuale della relazione
uomo-alter, uomo-spazio, uomo-mondo “facendo apparire la sinergia che esiste
tra l’immaginazione umana e lo spazio di fronte all’angoscia provocata dalla
scomparsa del tempo e dalla sua attualizzazione, la morte” (N. Paschalis, Lo spazio sociale, in Esprit Critique,
estate 2003).
Il tempo non
ha “valore”
Ha detto Ivan Illich al Colloque
International sur l’aprés-développement (Unesco, 2002): “Je n’aurais pas en latin un mot pour traduire le concepte de valeur”.
“Non
avrei in latino una parola per tradurre il concetto di valore”: significa che
il concetto di valore è estremamente recente, appartiene alla modernità, alla
razionalità strumentale, al comportamento economico, cioè a quando si comincia
a considerare il tempo che fa lievitare gli interessi e fa “lavorare” il denaro
stesso. Ma il tempo della “vita” non ha un “valore” e soprattutto “non è
denaro”, non può essere ridotto a uno scambio economico in senso totale. Tutte
le religioni lo hanno evidenziato, tutte hanno condannato il prestito e
l’usura, il denaro che sfrutta il tempo, che si autoriproduce. Oggi, purtroppo,
siamo ad un limite estremo, siamo nell’economicismo assoluto, abbiamo un
martello economico, come dice Latouche, che batte nella nostra testa e che ci
fa pensare solo al denaro, al valore, all’utile, alla crescita,
all’arricchimento! Non serve cambiare martello: occorre cambiare “testa”! Anche
se oggi molto del nostro tempo è dedicato a far lievitare l’economia di
mercato, non possiamo imporcelo in assoluto. Il nostro tempo è qualcosa di
molto più complesso, è una grande ricchezza e non possiamo svilirlo
rapportandolo in assoluto all’utilità e all’interesse.
Perciò, è bene evitare invasioni di campo o confusioni epistemologiche.
Se la redistribuzione è un principio “politico”; se il mercato è un concetto
“economico”; se la reciprocità è un argomento “filosofico”, (e tutti e tre
possono convivere in un sistema sociale, come dice J. Godbout) una concezione
“esistenziale” del tempo della nostra vita e di quella degli altri non può
essere esclusivamente utilitaristica, perché si tratta di quel tempo che
condividiamo con gli altri, mediante l’associazione, la reciprocità, la
mutualità e la collaborazione, principi che ancora non abbiamo sufficientemente
scoperto, perché siamo caduti inesorabilmente negli associazionismi, che come
tutti gli “ismi” uccidono il fondamento concettuale delle idee. Il tempo che
passa ogni giorno, ogni attimo, è tutta la nostra vita. Occorre pertanto togliere al tempo la nozione assoluta di “rendimento”,
per sostituirla con quella fluttuante del vivente. Perciò iniziamo a
riconsiderare il tempo con gli altri come un “nuovo fattore di ricchezza”:
- il tempo come legame tra le persone e non come
misura;
- il tempo ciclico delle stagioni;
- l’autonomia dal tempo pianificato delle organizzazioni produttive;
- il tempo soggettivo, emotivo e il ritmo personale e comunitario;
- il tempo di scelta e di condivisione;
- la complementarietà dei tempi (storico, presente, breve, medio e lungo
termine);
- l’accordo tra il tempo dell’industria con il tempo biologico e geologico, per
il problema delle materie prime, dell’energia e dei rifiuti;
- riabilitare il presente, il nostro presente con il mondo e il vivente;
- concepire soprattutto la fine del nostro tempo di vita, cioè la nostra morte,
come fondamento del nostro agire.
Riguardo a questo ultimo punto, vorrei
ricordare ancora le parole di Patrick Viveret: “Per la specie umana si può in
effetti avanzare l’ipotesi che ciò che costituisce in definitiva la gerarchia
dei valori della vita è la coscienza della morte… La percezione della finitezza
e della vulnerabilità è alla base di ogni valore”.
Se il paradigma moderno del tempo è stato
quello legato alla produzione e all’utile, oggi, in questo medioevo
post-moderno, lungo le derive della modernità, questo paradigma tende a fare i
conti con la vita, il mondo e il rispetto della dignità di ogni essere umano e
del vivente in generale.
Parafrasando il detto scritto sulla porta dei
Sistemi di Scambio Locale francesi mi piace dire: “La vera ricchezza non scaturisce
dal nostro conto in banca, ma dalla nostra creatività, dalla nostra
immaginazione e dai nostri sogni”. E nell’introdurre il tema dei sistemi di
scambio locale non monetari e delle Banche del tempo, lo faccio ricordando le
parole che ho ascoltato direttamente da François Terris (fondatore del primo
SEL in Francia): “La vera ricchezza di un
paese sono le ore che ciascuno va a donare alla sua comunità!”.
La filosofia della Banca del tempo.
La filosofia di
questa associazione si basa sull’azione di reciprocità generalizzata e sui
principi della simmetria e dello scambio sociale, per il raggiungimento della
solidarietà.
Cos’è la reciprocità generalizzata o, più
semplicemente, indiretta? Si dà a qualcuno, per ricevere da qualcun altro. Si
scambiano così, senza l’intermediazione del denaro, beni, servizi e sapere.
L’azione è necessariamente locale. Lo strumento è un’associazione senza fini di
lucro che in Italia ha preso il nome di Banca del tempo. Il fine è la
solidarietà tra i soci e di questi verso la comunità d’appartenenza. Tutti
hanno la possibilità di dare e chiunque ha bisogno dell’altro per ricevere. Il
comportamento individuale è il dare,
il ricevere e il ricambiare. E’ uno scambio tra equivalenti, ma non di mercato,
dove lo scambio segue la contrattazione diretta (qualcuno cede la merce in
cambio del denaro di qualcun altro). In un sistema di reciprocità si dà a
qualcuno per ricevere da qualcun altro in tempi e modi differenti. Al posto del
contratto c’è il patto. Non è nemmeno
assimilabile al baratto, come confusamente molti sottintendono, perché anche il
baratto si svolge frontalmente tra
gli equivalenti: si dà un oggetto in cambio di un altro d’uguale valore, d’uso
o convenzionale non importa, sempre a seguito di contrattazione. “Il principio
del baratto dipende per la sua efficacia dal modello di mercato” (Polanyi,
1974).
La simmetria è un principio fondamentale
in questi rapporti interindividuali.
Si manifesta:
a) nella
produzione e nell’uso dell’informazione (tutti contribuiscono a creare il
circuito informativo di ciò che si dà e di ciò che si riceve – bollettino offerte-richieste);
b) nella parità
sostanziale degli individui in rapporto alla prestazione offerta nel sistema
(un’ora dell’imbianchino vale quanto un’ora dell’esperto informatico);
c) nel pareggio
a saldo di tutti i conti individuali, in dare o in avere, considerato che tutti
partono con un conto zero (quando qualcuno riceve si “indebita” mentre chi ha
dato si “accredita” di ore di tempo o di unità locali di conto) (cfr. Coluccia,
2002).
Lo scambio sociale consiste della
relazione di ego verso alter; finalizzata alla solidarietà del noi, al legame sociale
(condivisione), allla comunic-azione
(azione-comune). La dimensione umana
della reciprocità instaura un nuovo settore sociale: quello della spontaneità e
del dono (cfr. Coluccia, 2001, 2002, 2003).
Non si vuole
soppiantare lo stato o il mercato, - questo è importante, anche se non è tutto
(Rifkin, 2000) e regola gli scambi della maggior parte degli individui
(Godbout, 1993) - ma si cerca di immettere nel sistema sociale un’innovazione
basata sui fondamenti antropologici e culturali del dono. “Le società hanno
progredito nella misura in cui esse stesse, i loro sottogruppi e, infine, i
loro individui, hanno saputo rendere stabili i loro rapporti, donare, ricevere
e, infine, ricambiare!” (M. Mauss, 1965). Infatti, “l’etica dello scambio
sociale permette di concepire una rifondazione della democrazia” (Latouche,
2000).
Come nasce una Banca del tempo?
Metti insieme
10-15 individui (e già questo comporta notevoli difficoltà ai giorni nostri,
soprattutto perché ciascuno non ha mai tempo!), consegna loro un pezzo di carta
e una penna e chiedi di scrivere, oltre ai propri dati, ciò che sanno fare o
ciò che vogliono dare o che vorrebbero ricevere. Aggrega le offerte e le richieste su un foglio più grande, fanne diverse copie e consegna
una a testa. Ora l’informazione è
comune: tutti dispongono dei nomi, dei numeri di telefono, delle attività,
delle disponibilità e dei bisogni di ciascuno. Una Banca del tempo autonoma e
autogestita come un sistema di reciprocità indiretta nasce proprio così.
Decolla quando realmente si comincia a chiedere e ad offrire. Alla fine di ogni
prestazione si stacca un tagliando dove si attesta il valore del bene, del servizio o del sapere ricevuto. Si conteggia
in ore o utilizzando un’unità di conto convenzionale e locale. Un gruppo di
amministrazione coordina le attività, anima l’associazione, aggiorna i conti,
cura la redazione periodica del bollettino offerte-richieste, predispone gli
strumenti minimi di funzionamento, presenta i nuovi entrati nel gruppo, convoca
riunioni periodiche. Si agisce nella massima parità e trasparenza. Chi fa il
furbo o cerca di approfittarsi prima o dopo viene scoperto e non ha vita
facile. Sembra tutto molto semplice, ma vi assicuro che dopo anni di attività
diretta e di analisi di varie esperienze nazionali ed internazionali, non è
proprio così. Sembra proprio una bella idea: purtroppo nella pratica succede di
tutto, anche l’imprevedibile (cfr. Coluccia, 2001).
Un po’ di storia e le esperienze straniere.
Questi sistemi
di scambio locale si diffondono nel mondo con motivazioni e modelli differenti,
anche se è unanimemente riconosciuto che il sistema iniziale e trainante è
stato il sistema LETS di M. Linton,
elaborato in Canada sulle ceneri di un’esperienza analoga fallita per ingenuità
e per inesperienza dei promotori.
Dal 1975 si organizzarono in Canada i LETSystem (Local
Echange Trading System), che utilizzarono monete locali riferite alla valuta
nazionale, al dollaro o al tempo inteso come ora di lavoro. Dal 1985 i LETS,
dopo qualche clamoroso fallimento e qualche affinamento tecnico-contabile e con
l’apertura della gestione e dell’organizzazione agli aderenti, si sono diffusi
rapidamente in Europa (Inghilterra, Germania, Francia, Belgio, Scozia, Italia
ecc.) e nel mondo (Argentina, Messico, Venezuela, Brasile, Australia, Senegal
ecc.). La parola lets, oltre che il
significato dell’acronimo, può significare provocatoriamente anche
«Lasciatecelo fare!». In Inghilterra si cercò di arginare le difficoltà causate
dalle politiche tacheriane.
In Francia oltre ai SEL (Sistème d'Echange Local), orientati in senso ecologico ed anti
utilitarista, si sono organizzati RERS (Réseau d'Echange Réciproque de Savoir -
Rete di scambio reciproco di sapere)
e Troc-Temp (Baratto di tempo).
Interessante la Route des SEL,
organizzazione nazionale di ospitalità per viaggiatori aderenti ai Sel che
permette il pernotto gratuito presso le famiglie che vi aderiscono.
In Germania esistono diverse configurazioni
di sistemi di scambio: i Tauschringe (Cerchi di scambio), i Talents (sistema
Talenti), le Zeitbörse (Borse del tempo). Singolare il motto dei Tauschringe:
«Vai, anche senza marchi!».
In Belgio è testimoniata la presenza e la sperimentazione
di SEL e di LETS: quest'ultimo acronimo, a differenza di quello inglese
riferito allo scambio commerciale ed economico, significa soprattutto Locale Scambio di Talenti e di Servizi,
dove per talenti s’intendono le
capacità personali creative dell'individuo.
In Olanda è attivo un gruppo che divulga e sostiene i
sistemi di scambio locale: Aktie-Strohalm. Questa associazione ha
organizzato a Strasburgo nel 1998 un Seminario Internazionale Lets con il fine
di sviluppare questi sistemi non monetari nelle nazioni dell’Est dell’Europa.
Oggi la divulgazione è ancora più ampia.
Nel 1991 ad Ithaca (New York) parte un sistema orientato a
controllare gli effetti negativi dell’economia di mercato. Si stampano le Ore di Ithaca, monete locali
multicolorate e dipinte, su carta filogranata o su canapa tessuta a mano, con
inchiostro termico alle quali si è dato un corso legale parallelo. Alcuni bar, ristoranti e cinema accettano
le Ithaca-Hours. Questo contante
rispetta l’ambiente, non è speculativo e crea lavoro e consumo responsabile.
In Argentina, sempre agli inizi degli anni 90, si formano i
Clubs de Trueque (Clubs di scambio) riuniti successivamente in un progetto di
comunicazione denominato Red de Trueque. Con queste associazioni si tenta di
rilanciare il dinamismo economico perduto dalle comunità negli anni ’80. La Red
cerca di mettere le popolazioni in condizione di rispondere ai problemi di
esclusione generati dalla globalizzazione dei mercati. Il motto è: «Il futuro
non sta scritto!». Interessante il forum
organizzato sul sito http://money.socioeco.org
dal 5 febbraio al 5 aprile 2001 sul tema della Moneta Sociale e in preparazione
del Seminario internazionale di Santiago (Cile) rivolto alla creazione di un
Polo di Socio-Economia Solidale in seno all’Alleanza per un Mondo Responsabile,
Plurale e Solidale. Seguì un altro incontro a Findorm, Scozia. Di recente ci
sono stati grossi problemi nella gestione dei “creditos” (moneta sociale del
Trueque), che hanno invaso la società argentina e sud-americana.
L’Australia conta il sistema Lets più
numeroso per numero d’iscritti (si parla di 1800 aderenti) e di famiglie
coinvolte nello scambio: il Blue Mountain. Ma le notizie non sono continue.
In Senegal sono nati i SEC (Sisthèmes d’Echange
Communautaire). Si prefiggono non tanto di generare legame sociale (l’Africa ne
ha da «vendere») ma di dinamizzare gli scambi, la reciprocità e l’auto-aiuto,
mediante reti locali e principi di vicinato e di prossimità, con una
particolare attenzione alle persone svantaggiate.
Interessante
la recente attività di scambio on-line
sulla rete Internet da parte di due organizzazioni: Notmoney in Venezuela (si scambia di tutto: vacanze, viaggi,
attività ecc. Stimolante il progetto Interser coordinato da Alberto Moron,
anche se ultimamente, dai momenti difficili del paese, non ho più notizie
dirette) e GRB (Global Resource
Bank) negli USA (una Banca globale di risorse che produce ricchezza in maniera
conforme alle necessità della produzione e dell’ecosistema: si può godere la
prosperità globale, eliminare la povertà, l’inquinamento e rendere l’ambiente
naturale sano e generoso mediante gli eco-crediti, la vera ricchezza della
terra).
Ultimamente
M. Linton ha spostato il suo campo d’azione in Giappone dove sta stimolando, tra tanti problemi e preoccupazioni,
sistemi di scambio basati sulla moneta sociale. Ne sono sorti di diverso
genere, anche sulla spinta di un programma televisivo.
Le Banche del tempo in Italia.
In Italia il fenomeno delle Banche del
tempo e dei sistemi locali di scambio non monetario che generano altruismo
reciproco generalizzato è molto differenziato. Possiamo distinguere, in modo
molto approssimativo, tre modelli di Banca del tempo:
- la Bdt organizzata, finanziata e gestita
dal Comune, a seguito di deliberazione della giunta comunale, con un
funzionario pubblico che fa l'animatore, il coordinatore e il segretario
dell'esperienza. Questo modello,
sviluppatosi in molte città italiane del centro-nord, vede nella Bdt un servizio
pubblico da fornire al cittadino, qualificato
come utente o cliente, che per le sue necessità
si rivolge ad uno sportello, stacca
degli assegni per le prestazioni, si accredita o si indebita per le prestazioni date o ricevute, riceve il suo bravo estratto conto periodico…, proprio come avviene nell’immaginario
economico e monetario del sistema bancario, solo che al posto delle monete in
queste organizzazioni si deposita e si conteggia
il tempo.
- la
Bdt che nasce all'interno di un’associazione, di una cooperativa o di
un’organizzazione sindacale (Arci, Misericordie, Mag, Auser ecc.). Questi
gruppi già costituiti e funzionanti fanno muovere (a mo’ di balie) i primi passi alla neonata iniziativa sociale In positivo,
si lascia alla fine che la Bdt proceda con le proprie gambe e che si apra alla
comunità; in negativo, può avvenire
che il rapporto ideologico di fondo
crei dipendenza, perduri all'infinito e che il sistema rimanga chiuso ed
individualizzato all'ambiente sociale.
- la
Bdt come sistema autonomo, autofinanziato e autogestito che nasce su iniziativa
di alcuni individui ampiamente motivati, spesso carburati ideologicamente (in senso politico, ambientalista,
solidaristico ecc.), che si riuniscono ed elaborano un progetto di azione
comune, che si autofinanziano e che si autonormano con uno statuto ed un
regolamento e con degli strumenti semplici di informazione e di contabilità,
per favorire e per registrare gli scambi di reciprocità generalizzata Non
nascondo una certa simpatia per questo modello, pur con qualche riserva.
Infatti, il substrato ideologico, se per un verso fa da collante, dall’altro
può isolare il gruppo dalla comunità. Inoltre, quando le controversie non si
ricompongono facilmente si rischia
l’implosione del sistema.
Il modello
di Banca del tempo che divulgo e promuovo è quello autonomo e autogestito.
E’
stata emanata qualche anno fa una Legge dello Stato (Legge 8 marzo 2000, n. 53 “Disposizioni
per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e
alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”) che
tenta di stimolare la nascita di Banche del tempo. Come tutte le leggi in
materia di legislazione sociale, tale norma disciplina (o almeno cerca di
disciplinare) e istituzionalizza, lo spazio d’azione pubblico, che è cosa ben diversa dallo spazio comune.
In seno
all’associazione sindacale CGIL è sorto verso la metà degli anni ‘90 un
osservatorio (Tempomat) delle Banche del tempo, che ha censito, registrato e
stimolato la nascita di queste associazioni. Verso la fine dell’anno 2002
Tempomat è ‘passato di mano’, cioè, avendo la principale sostenitrice, per
intervenuti ulteriori impegni, deciso di lasciare questo impegno, l’attività
dell’osservatorio è stata divisa in tre
parti (sito internet, software di gestione Bdt, formazione). Il tutto è passato
alla gestione di alcune persone che nel proprio territorio avevano implementato
una Banca del tempo o qualcosa di simile.
La regione Emilia-Romagna ha
svolto un ruolo propositivo e divulgativo, soprattutto nell’ambito delle
politiche sociali, curando di recente innanzitutto la bibliografia e le
pubblicazioni inerenti questi sistemi di scambio e sostenendo un progetto di
Banca del tempo-on-line su internet. Ma anche altri Enti locali, ai vari
livelli, hanno cercato di sostenere con mezzi finanziari e divulgativi queste
associazioni. Spesso, però, lo sforzo non è stato ripagato e parecchie
esperienze sono rimaste a livello di progetto, si sono arenate dopo i primi
tempi o sono diventate delle scatole vuote. Non sono mancate, comunque, Bdt
attive ed interessanti, almeno nei periodi di punta del fenomeno (anni
1997-2000).
L’organizzazione no profit Lunaria di Roma ha fatto una
notevole attività di divulgazione di questi sistemi locali di scambio non
monetario. Con il patrocinio della Commissione Europea ha organizzato il 7
giugno 2001 il primo meeting dell’European Network of Non-Monetary Echange
Systems (ENNES), al fine di formalizzare una rete cui aderiscono le più
significative esperienze di scambio europee. La rete persegue la promozione dei
sistemi non monetari, considerati strumenti di inclusione sociale, mediante la
divulgazione di informazioni sulle esperienze attive e significative. I sistemi
di scambio non monetario ricreano le reti della comunità riequilibrando il
tempo di lavoro con il tempo della vita e facendo emergere le risorse locali,
sviluppando le opportunità per uomini e donne e favorendo le buone relazioni.
Purtroppo, anche in questo caso, dopo una prima riunione a Bruxelles, l’azione
non è continuata e non è stata approfondita.
Il mondo della
ricerca universitaria non è stato a guardare. Numerose le tesi di laurea, nelle
più disparate facoltà e discipline (Sociologia, Antropologia, Giurisprudenza,
Servizi sociali, Scienze della formazione, Economia ecc.), e i dottorati di
ricerca, in università prestigiose, come la Sapienza, la Bicocca ecc.
Futile, fuorviante e soprattutto
deludente l’intervento di giornalisti, soprattutto della carta patinata, che
hanno ricalcato nelle loro pagine, in un certo determinato periodo (1997-1998),
una lunga serie di luoghi comuni, senza riuscire a cogliere gli aspetti
significanti e qualificanti di questi sodalizi. Inutile dire che è mancato
l’approfondimento, a parte qualche rara eccezione, come la rubrica Diario
dell’Unità (1996) o qualche trasmissione televisiva (Speciale TG1, 1997) o
radiofonica (Gr2-cultura e I misteri della notte-Gr2, 2001, 2002) della RAI.
A
Martano (LE) l’esperienza di Banca
del tempo autogestita nell’associazione ASSEM inizia nel 1996, assai simile ad
un Lets. Nel tempo il sistema di scambio si evolve. L’idea di fondo diventa il
dono, quello libero, riconducibile al triplice comportamento del dare, del
ricevere e del ricambiare, così felicemente descritto da Marcel Mauss nel Saggio sul dono. Gli scambi si
conteggiano in mistòs (dal grìco - lingua locale – che significa
soldo: “Vali quanto un soldo!” nel linguaggio popolare martanese significa “non
valere nulla!”). Dieci mistòs valgono
più o meno un’ora. Nel sistema è transitato di tutto: verdure
spontanee, ortaggi ecologici, trasporto di cose e persone, aiuto allo studio,
piccole manutenzioni, consigli estetici, lavori al computer, attività di
cucito, artistiche, sportive, lavori di giardinaggio, cibi, torte ecc. Ma è transitata
soprattutto tanta socialità, promozione sociale e comunicazione. C’è stato un
notevole interesse per l’esperienza da parte di mass-media locali e nazionali.
Alcune tesi di laurea discusse in varie facoltà universitarie italiane hanno
trattato quest’esperienza associativa di scambio locale. Molti, però, sono
stati i problemi e i momenti di difficoltà dovuti a fraintendimenti,
incomprensioni, polemiche che ne hanno rallentato cospicuamente l’attività.
Queste
problematiche compaiono in quasi tutte le esperienze finora conosciute in
Italia e nel mondo. Forse abbiamo anticipato “i tempi”! Ma non bisogna
abbattersi. Al contrario, occorre stimolare le esperienze a continuare e a
ricrearsi, anche seguendo le derive e i nuovi orientamenti.
L’innovazione sociale.
La Banca del
tempo può essere considerata un’innovazione sociale. E’ un termometro sociale con cui è possibile misurare la promozione di
sé, la cittadinanza attiva, la solidarietà, la capacità di progettazione della
comunità d’appartenenza, nella coesione sociale e nella salvaguardia delle
diversità individuali, psicologiche e culturali.
E’ difficile
inquadrare le Bdt e i Sistemi di scambio locale non monetari. Succede spesso e
in ogni contesto sociale e culturale. Ma proprio per questo la Bdt è un’innovazione
socio-culturale ed economica. La sua azione sociale è molto complessa ed articolata, al limite
dell’irrazionale. La sua base teorica più profonda è il dono, che si estrinseca
nella triplice azione del “dare – ricevere – ricambiare”. Si tratta però del
dono con radice antropologica, non si tratta della gratuità,
dell’assistenzialismo, della filantropia o dell’azione volontaria “del giorno
dopo”, ma della solidarietà intesa come scambio tra pari finalizzato
all’interazione sociale. Il riferimento al Saggio sul dono di Marcel Mauss è
chiaro.
La Bdt,
pertanto, non ha niente in comune con il volontariato, tanto meno con il
baratto, che altro non è che un mercato vero e proprio tra equivalenti, privo
dell’intermediazione del denaro. Difficile inoltre il rapporto con il settore
pubblico, in quanto lo “spazio d’azione” della Bdt è lo “spazio comune”, quello
della condivisione e della reciprocità.
La modernità ha
teorizzato e legittimato nel suo progetto socio-economico lo spazio d’azione
pubblico e lo spazio d’azione privato. Esiste, infatti, il “diritto pubblico” e
il “diritto privato”. Ma manca totalmente (o quasi) la teorizzazione dello
spazio comune (cum munus, con dono),
il diritto comune, la comunità, luogo consacrato, fondamentale e determinante del
legame sociale, della solidarietà, del “capitale” sociale, da cui tutto
discende (mercato, società, cultura, famiglia…) e non il contrario, come spesso
si pensa o come molti economisti contemporanei voglio farci credere.
Immaginare un settore sociale, dunque,
improntato sulla condivisione, sulla reciprocità e sulla lealtà è oggi
indispensabile, soprattutto per le difficoltà della nostra epoca, tanto
disincantata e irragionevole, per poter riscoprire l’incanto del senso,
dell’incontro dell’altro, del noi, per raggiungere quel substrato d’intimità
con cui è possibile ancora cercare di “riconoscere” l’altro, rispettarne le
diversità, le peculiarità e le qualità (d’opinione, di cultura, di sapere…).
Tutto questo si può fare provando piacere a scambiare alla pari i propri beni,
servizi, saperi, senza turbamenti, senza supremazie, senza speculazioni, senza
furbizie.
La
Bdt può essere considerata uno strumento per rimettere in campo un clima di
convivialità, per avere la chance di poter ancora vivere “insieme”, liberi,
uguali e diversi (Touraine, 1998). Ma è anche uno stimolo
all’autorganizzazione, all’autoreferenzialità: non si può ancora credere che
possa essere la società (una pura astrazione concettuale!) ad organizzarsi, in
quanto possono farlo solo gli individui, qualora ne sentano la necessità, il
bisogno e trovino la giusta volontà. E’ un viaggio cominciato oltre diecimila
anni fa, nel neolitico, che non si è mai interrotto e che è destinato a
continuare fino a che la specie umana non si estinguerà. E le istituzioni e le
organizzazioni sociali, se ci credono, possono “accompagnare” questi movimenti,
collaborando e operando con complementarietà, ma mai prevaricando con arroganza
e paternalismo intriso di subalternità. Anche questa è una importante
innovazione sociale, per non dire una scommessa.
La creazione di
società è un banco di prova per l’individuo, il gruppo e la stessa comunità. Il
sistema comunitario legato al progetto della Banca del tempo e dei sistemi
locali non monetari si rivela interessante e importante, a mio avviso,
soprattutto per una società moderna che rappresenta il suo futuro come
“rischio” (Luhmann, 1989, 1990, 1999; Baumann, 2000; Beck, 2000).
Queste esperienze
di scambio locale non monetario sono intraviste in un documento di lavoro,
effettuato da un gruppo di studiosi operanti nel Nucleo Valutazioni Prospettive
della Presidenza della Commissione Europea nel 1999, che complessivamente
disegna cinque probabili “scenari” europei nell’anno 2010.
In uno di questi
scenari, il secondo, definito I cento
fiori, naturalmente caratterizzato dal un “equilibrio instabile”, dove «la
distribuzione sempre più disomogenea della ricchezza, la proliferazione della
criminalità internazionale e la moltiplicazione dei piccoli conflitti regionali
stanno destabilizzando il sistema mondiale, che tuttavia continua a reggere
alla meno peggio», poiché «prigionieri di mentalità e modalità operative
arcaiche, gli apparati amministrativi e i sistemi politici delle capitali non
sono riusciti a tenere il passo con questi fenomeni di micro-rinascimento e
hanno lentamente perso il contatto col mondo reale», considerato che
«l’immobilismo delle gerarchie, lo spezzettamento delle competenze e l’eccessiva
fiducia nella scienza avevano gettato i semi di un diffuso disimpegno», «in
un’epoca in cui le società si facevano sempre più complesse, il progresso
tecnologico sempre più rapido e le esigenze individuali sempre più
differenziate, le burocrazie rimanevano rigide e incapaci di adeguarsi a
situazioni sempre eterogenee», e «la classe politica si rivelò intrinsecamente
incapace di rispondere al grande disagio, oscillando tra immobilismo e
demagogia», le Banche del tempo, insieme a cento micro-iniziative innovative,
fanno capolino nella società europea, in quanto, per fronteggiare la crisi
politica, economica, sociale e culturale determinatasi nel quinquennio
2000-2005, «l’opinione pubblica mostrò un forte spirito d’iniziativa: nacquero
centinaia di gruppi civici». Pertanto «si assiste in questo periodo all’ascesa
di collettività locali dinamiche come quelle odierne», si osserva nel documento
futuribile. «E’ ormai raro – continua lo studio – trovare un comune o un
quartiere che non abbia la propria valuta e una banca del tempo in cui
scambiare lezioni private, attività culturali e ogni tipo di servizi alla
persona (come ripetizioni, assistenza a bambini e anziani e collaborazioni
familiari). Le associazioni locali, spesso gestite da donne, pensionati o neolaureati,
si sono moltiplicate e di fatto trasformate in piccole imprese. Gran parte di
queste opera in modo informale, senza preoccuparsi di registrarsi presso le
autorità competenti o di pagare le imposte. Alcune, con l’aiuto delle autorità
locali, svolgono un ruolo importante nell’erogazione di piccoli prestiti ai
privati e alle imprese con problemi immediati
di liquidità. Altre hanno istituito “casse comuni” per finanziare reti
di sostegno economico e, se necessario, persino offrire borse di studio o di
riqualificazione professionale. Le più avanzate possono anche erogare
prestazioni sociali. Altrove sono nate nuove forme di aggregazione sindacale
per difendere i diritti dei cittadini in generale oltre a quelli dei
lavoratori. La stragrande maggioranza di queste strutture locali è rimasta
molto aperta al mondo esterno. Sfruttando tutte le possibilità dell’informatica
(senza la quale molte di loro non sarebbero mai nate) hanno instaurato
comunicazioni, partnership e scambi di esperienze a livello internazionale non
soltanto all’interno dell’UE ma anche con controparti nell’Europa orientale,
nel Mediterraneo e in Africa».
Nessuno di noi
si augura uno scenario “possibile” della società europea nell’immediato futuro
fondato sul paradigma dell’«equilibrio instabile», ma in ogni caso occorre non
farsi trovare impreparati, in quanto, per dirlo in senso metaforico, o se si
preannuncia il temporale o se le previsioni prevedono ottimisticamente il cielo
sereno e il sole splendente, non costa nulla portarsi nello zaino il
“parapioggia” ben piegato, che, se indossato con il bel tempo fa scoppiare
dalle risate i passanti, ma se estratto al momento giusto e all’inizio di un
violento temporale può farci passare per persone previdenti ed intelligenti.
E le Banche del tempo sono quasi la stessa cosa.
E adesso… che fare?
Questi
sistemi di scambio di tempo, fondati sull’uso ragionevole e responsabile del
tempo, rappresentano forse una chance, e forse anche un’illusione, ma possono
realizzare il possibile, una possibilità di convivenza (e di sopravvivenza)
dell’umanità, sia nella dimensione locale, sia in quella globale. Qualcuno ha
coniato il termine di glocale. Ma è un neologismo di complessa comprensione. In
queste esperienze di scambio l’ego e
l’alter si fondono in un’osmosi
spazio temporale, formano il noi,
possono darci un nuovo senso della vita e del quotidiano.
Questi
sistemi si fondano sulla condivisione delle risorse, ciascuno di noi per suo
conto ne dispone, e su un patto di alleanza, lontano da ogni contratto,
compravendita o diritto di proprietà. Questi concetti aprirebbero un nuovo
capitolo di riflessione: quello sulla libertà individuale. Questa, osservata
dal paradigma del dono, acquisterebbe un senso e una validità proprio in
funzione ed in relazione con l’altro: “Rammentiamo che, per gran parte dell’era moderna, abbiamo
associato al concetto di libertà quello di autonomia, e fatto coincidere
l’autonomia con la capacità di offrire il nostro lavoro sul mercato. I frutti
del lavoro – la proprietà – sono stati considerati simboli della nostra
libertà. Il diritto di escludere gli altri da ciò che ci appartiene è stato
considerato il miglior modo di proteggere la nostra autonomia e la nostra
libertà personale. La vera libertà, però, è figlia della condivisione, non del
possesso: non si può essere davvero liberi, se non si può condividere, provare
un sentimento di empatia nei confronti dell’altro, abbracciarsi” (J. Rifkin,
2000).
Al momento si prefigurano due
strade: 1) quella di chi sostiene la crescita infinita, come la posizione che
L. Turrow (1999) espone in La costruzione
della ricchezza (“Una torta economica che cresce lentamente può essere
divisa per generare ricchezza nella parte superiore. Ma soltanto una torta
economica che cresce velocemente può creare le società ricche in cui ciascuno
può partecipare alla creazione di ricchezza. Gli stipendi della massa non
possono svilupparsi nella parte inferiore senza una vigorosa crescita della
produttività”); 2) quella di chi raccomanda di tornare a ritrovare il senso
della misura nelle cose, nella natura e nei rapporti umani: “Ritrovare il senso
della misura è dunque vegliare affinché nessuno venga escluso, né l’uomo, né la
natura, né il sacro”, così si è espressa D. Perrot al Colloque International
sur l’àprés-développement (Paris, UNESCO, 2002), la quale ha inoltre raccontato
la seguente storia: “Venne posta ad un primo ministro africano, durante un
forum di Davos, la seguente domanda: ‘Se i poveri vogliono diventare come i
ricchi, occorrerebbero almeno cinque pianeti in più. Siccome ne abbiamo uno
solo, il problema si pone tra i ricchi. Esiste una visione che possa tener
conto di questa problematica?’. Il primo ministro rispose in modo negativo.
Questa domanda, comunque molto ingenua, pone il nodo della questione dei
rapporti tra Nord e Sud, ricchi e poveri. La risposta non può essere che una:
‘Ritrovare il senso della misura, non trascurando una visione panoramica
(pan-ottica) del mondo intero e dell’umanità” (2003).
Abbiamo sotto i nostri occhi un segnale
angosciante. Le ricchezze prodotte negli ultimi decenni non sono state
equamente distribuite tra gli abitanti del pianeta. La povertà è aumentata, il
divario tra chi ha e chi non ha diventa ogni giorno più ampio. Innumerevoli
sono le forme di esclusione, prevaricazione ed emarginazione. Sono all’ordine
del giorno, ed inequivocabili, forme di sopruso, fenomeni di corruzione e
devastanti ed incuranti processi d’inquinamento e di distruzione della natura e
della biodiversità. E’ veramente strano che ci siano delle posizioni che
continuano a pensare lo sviluppo dell’umanità sempre e comunque legato ad una
estrema costruzione della “piramide della ricchezza”. E Turrow ne è un teorico
propiziatore (consiglio di aprire per questo le prime pagine del suo libro che
abbiamo citato). In verità, la partecipazione agli utili, la divisione della
ricchezza, rimane un miraggio per la maggior parte dell’umanità.
E’ necessario, inoltre, acquisire
nuove forme di misura, per nuove valutazioni della ricchezza, che non facciano
esclusivo riferimento al PIL (prodotto interno lordo). Ed oltretutto, dobbiamo
“cambiare termometro”, ci ammonisce P. Viveret. E ancora: “Perché continuare a
trasmettere ai nostri ragazzi nozioni come l’altruismo, il merito o il civismo
se essi hanno permanentemente per modello il successo finanziario fondato
sull’individualismo, il denaro facile e l’aggiramento delle regole e delle
leggi come arte superiore del management?” (2003).
Ma per capire questo abbiamo bisogno
di cambiare paradigma, di cambiare la nostra visione della vita e del mondo.
Non possiamo considerare lo sfruttamento e le distruzioni virtù economiche che
generano ricchezze, anche se solo per pochi. Corriamo ciechi sul baratro
dell’autodistruzione. Per poterci conservare, per poter continuare questo
viaggio infinito dell’esistenza insieme con tutti gli altri, dobbiamo
recuperare il senso del valore fondamentale della vita stessa. “La
conservazione non è per la terra, è per noi stessi; la biodiversità è
importante per il nostro benessere fisiologico, psichico, relazionale,
estetico… è un problema di desiderio. Più si incrementa la coscienza ecologica
più potente essa diventa… Se no, o noi ci estinguiamo o noi ci trasformiamo per
forza in esseri che vivranno in un mondo artificiale, che sarà pertanto il
nostro nuovo mondo naturale. E’ questo che chiediamo?… Non c’è razionalità nel
mondo, non c’è finalità in esso. C’è solo un intreccio di relazioni. Il mondo
va alla deriva. Alla terra non importa nulla che si estingua la vita, non
sarebbe il primo pianeta che muore. Insisto: la conservazione non è per la
terra, non è per la biosfera. E’ per noi stessi!… E’ un problema di desiderio!”
(H. Maturana, 2001).
Nessuna azienda, nessuna forma
economica sarebbe possibile a questo mondo se l’aria diventasse irrespirabile,
l’acqua non potabile, la terra improduttiva. Non c’è in questo una visione
nostalgica di un’era bucolica o arcadica ormai affondate nel nulla del tempo
passato, crollata come argilla franosa, ma non possiamo dimenticare o
sottintendere che la vera ricchezza è rappresentata dalla vita in ogni sua
forma, dagli esseri umani alle svariate forme dell’ambiente naturale.
Purtroppo, oggi la teoria economica tende sempre di più a trascurare o a
dimenticare questa semplice verità. Certo, potremo scegliere di vivere in una
cupola artificiale di cristallo trasparente riempita di un gas respirabile, ma,
per quanto ciò possa rappresentare un debole momento di vita felice, sarebbe
sufficiente un guasto termoelettrico o una scossa tellurica un po’ più violenta
di quelle previste per essere dirottati verso una certa ed immediata
estinzione. Sicuramente ciò avverrà prima o poi, se l’osservazione di C.
Lèvi-Strauss in Tristi tropici (1997)
ha un senso (“Il mondo è cominciato senza l’uomo e finirà senza di lui”).
Oggi abbiamo un compito, e dobbiamo
farlo tutti insieme: continuare a godere tutti della prosperità globale e delle
sue meraviglie, supportati dalla nostra coscienza e dalle nostre capacità.
Stiamo entrando in una nuova era, l’era dell’umanità cosciente, che ci sta
insegnando che i valori fondamentali legati alla vita sono l’amore e il senso,
quegli stessi valori che ci legano al regno animale, al quale senza alcun
dubbio apparteniamo e di conseguenza non possiamo sfuggire ad una logica
inesorabile di sopravvivenza. E’ forse questo che ci insegna, e che ci chiede,
lo sguardo della pantera alla fine del documentario che abbiamo visto questa
mattina nella prima parte di questo percorso di ricerca verso un’educazione
alla sostenibilità. Per questo, dobbiamo riacquistare il senso della misura,
quella del tempo e dello spazio, consapevoli che la vera ricchezza, all’alba
della mutazione informazionale e del vivente, “domani più ancora di ieri – (e,
quindi, di adesso) – sarà quella
dell’intelligenza del cuore” (Viveret, 2003).
Grazie
Riferimenti bibliografici
Baumann
Zygmunt, La società dell’incertezza,
Il Mulino, Bologna, 1999.
Beck Ulrich, I rischi della libertà,
Il Mulino, 2000.
Bernard
Michel (a cura di) Dossier: Autour des SEL, in "Silence.
Ecologie, Alternatives, Non-violence", Lyon (F), n° 246/247, Juillet-Août
1999.
Bucolo
Elisabetta, Le Banche del tempo: una
specificità italiana, in P. Coluccia, Il
tempo… non è denaro, cit. post.
Coluccia
Paolo, La Banca del Tempo. Un’azione di solidarietà e di reciprocità, Introduzione di Serge Latouche, Bollati Boringhieri,
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sono estratti da: Paolo Coluccia, Questo
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