Il
riconoscimento dei diritti morali fondamentali degli animali
di Andrea Coluccia
1. Le tematiche inerenti il riconoscimento dei diritti morali fondamentali degli animali hanno suscitato un grande interesse a partire dagli anni settanta del secolo scorso, soprattutto grazie all’impegno di autori come Tom Regan e Peter Singer, che sono considerati i fondatori di questo movimento.
Sin dall’antichità molti grandi esponenti del pensiero filosofico occidentale hanno discusso sui rapporti fra gli uomini e gli animali; infatti, per Aristotele l’uomo è dotato dell’anima intellettiva a differenza degli altri animali. Nella Genesi è scritto che l’uomo, creato da Dio a sua immagine e somiglianza, ha il potere di dominare su tutti gli altri animali. Cartesio riteneva che gli animali erano delle semplici macchine e conseguentemente il loro comportamento poteva essere spiegato mediante le leggi della fisica.
Da ciò si
evince che prima del ventesimo secolo gli animali non umani non godevano di particolari diritti; infatti si è cercato sempre
di distinguerli dall’uomo e mai di considerarli come esseri viventi a sé. Da
ciò si sono poste le basi per teorizzare la presunta superiorità della specie
umana rispetto alle altre e, di conseguenza, a giustificare il loro uso come semplici mezzi. Ma
prima del ventesimo ci sono stati anche pensatori che hanno dimostrato un interesse
nuovo per gli animali non umani e dai quali provengono alcuni temi che sono al
centro del dibattito contemporaneo sulla questione animale.
Fra i più importanti
contributi che sono giunti all’epoca contemporanea c’è
da ricordare ciò che Jeremy Bentham
scrisse nel suo I principi della morale e della legislazione a favore degli
animali: “Il problema non è:
“Possono ragionare?”, né: “Possono parlare?”, ma: “Possono soffrire?” [1].
Un altro contributo importante è stato quello di Charles Darwin, che nelle sue ricerche scientifiche sull’evoluzione ha dimostrato che l’essere superiore chiamato uomo deriva dagli animali, fornendo alcune risposte sulle differenze che intercorrono tra gli esseri umani e i non umani. Egli ritiene che vi sia una grande differenza fra la mente dell’uomo e quella degli animali più elevati ma, per quanto grande sia, è solo una differenza di grado e non di qualità; infatti per lo scienziato ciò che differenzia l’uomo dall’animale non è una differenza di genere, dato che l’uomo è un animale, ma solo una differenza di grado. Gli umani e i non umani hanno emozioni e facoltà molto simili, come per esempio la memoria, il coraggio, la gelosia, l’attenzione e anche una forma elementare di razionalità, che è stata considerata, e lo è ancora oggi, la differenza principale fra l’uomo e l’animale; infatti, secondo l’autore, si possono vedere animali che si fermano, deliberano e risolvono.
È soprattutto
per merito di questi autori che nell’ultimo secolo sono nate
le cosiddette etiche speciali, cioè etiche che si basano sui doveri che l’uomo
dovrebbe avere nei confronti dell’ambiente e degli animali che hanno causato l’indebolimento
della visione antropocentrica del mondo in favore di una visione biocentrica. In questo modo l’uomo perde la sua centralità,
intesa come la potenza di disporre di tutto il pianeta
e dei suoi abitanti; infatti in questa nuova prospettiva l’uomo non è più
l’apice dell’evoluzione ma è solo una delle componenti della biosfera.
2. Come abbiamo accennato, si situa negli anni Settanta del
ventesimo secolo la nascita di un vero e proprio pensiero animalista che si basa
su considerazioni inerenti la giustizia e tendenti a sancire gli interessi dei
non umani mediante la formulazione di veri e propri diritti. Fra le più
importanti problematiche che stanno alla base del riconoscimento dei diritti
degli animali vi è la capacità o l’interesse a provare
piacere o dolore a cui è collegato, in ambito morale, il diritto a non
soffrire.
Un posto di
rilievo nel dibattito contemporaneo è occupato da Peter
Singer fondatore dell’International Association of Bioethics.
La prospettiva singeriana è una prospettiva utilitaristica, secondo cui è
buona un’azione che determina un aumento medio di piacere o una diminuzione
media di dolore fra tutti coloro che in questa azione
sono coinvolti. Con ciò Singer rivendica l’uguale considerazione degli
interessi di tutti gli agenti (gli umani) e i pazienti (i non umani) morali.
All’uguale considerazione degli interessi si collega la sua affermazione
secondo cui “tutti gli animali sono
uguali”[2];
ciò significa, per esempio, che la stessa quantità di sofferenza ha lo stesso
valore e di conseguenza deve pesare in modo equo, qualunque sia l’essere che la
subisce, sia esso un umano o un non umano.
La nostra
considerazione morale per gli altri non deve dipendere da come essi sono ma deve basarsi sugli interessi che gli altri
esseri viventi possiedono. Il principio morale dell’eguale considerazione degli
interessi è riconosciuto in ambito contemporaneo; però tale principio per molti
uomini è applicabile solo alla propria specie e non alle altre.
Come le
battaglie contro il sessismo e il razzismo sono durate
per secoli, perché basate sopra una presunta superiorità di un gruppo umano rispetto
ad un altro, così, oggi, la battaglia da combattere è denominata specismo, termine
che Singer riprende da Richard Ryder
che nel 1975 lo aveva coniato, il cui significato si riferisce alla discriminazione
nel trattamento e nella considerazione degli interessi che è fatto dipendere
dall’appartenenza ad una determinata specie; in quest’ottica l’autore ritiene che la maggior parte
dell’umanità sia specista.
Altro importante
interprete è Tom Regan
appartenente alla corrente giusnaturalista. Regan affronta in
maniera più specifica la questione dei diritti che l’autore divide in due
categorie: i diritti morali e i diritti giuridici. Egli si sofferma sui primi
affermando che questi si dividono in diritti morali fondamentali e non
fondamentali. Un diritto morale fondamentale è di per sé la fonte di un obbligo
morale nel senso che se un essere possiede un diritto fondamentale alla vita,
il possesso di tale diritto costituisce la fonte del nostro obbligo a non
privarlo della vita.
Per quanto
riguarda l’esistenza dei diritti morali fondamentali Regan afferma che se alcuni umani, come i cerebrolesi (appartenenti alla categoria dei casi
marginali), li hanno per ciò che sono, allora lo stesso deve valere anche
per alcuni non umani.
Chi sono gli umani che appartengono alla categoria dei casi
marginali? Sono tutti quegli umani che non sono in possesso
di sufficienti capacità razionali; nello specifico sono neonati,
ritardati mentali gravi, cerebrolesi, comatosi
irreversibili. Molti autori ritengono che il possesso di diritti derivi dal
fatto di poter rivendicare i propri interessi; ma non c’è dubbio che questi
umani non siano in grado di rivendicare i propri interessi e diritti, cioè di essere agenti morali, ma ne sono ugualmente in
possesso. Gli umani marginali altro non sono se non
pazienti morali che usufruiscono del diritto per quel che sono.
Regan ritiene che i non umani siano pazienti morali; per
l’autore essi sono dotati di un valore che egli chiama intrinseco o inerente:
questo è un valore in sé che ritiene l’animale soggetto-di-una-vita. Ogni
essere senziente cerca di raggiungere, per l’autore, un certo benessere. Per la
realizzazione del proprio benessere l’essere senziente
tende a raggiungere due tipi di interessi: interessi-preferenze e
interessi-benessere. Il primo interesse significa volere, desiderare qualcosa
che piace indipendentemente se da questa l’essere vivente potrà trarne un
beneficio; il secondo tipo d’interesse, invece, non riguarda la preferenza
personale ma indica un bene oggettivo che contribuisce alla realizzazione
del benessere permettendo il miglioramento della vita dell’essere vivente
stesso. Gli interessi-benessere permettono ai pazienti morali di vivere una
vita qualitativamente migliore mediante il soddisfacimento dei propri bisogni.
Per dimostrare
che anche gli animali possiedono valore inerente, Regan
formula una distinzione tra agenti morali e pazienti morali. Ai primi
appartengono gli umani adulti e normali
che sono dotati di razionalità, responsabilità ed autocoscienza e che quindi
sono in grado di agire mediante le proprie scelte. Ai secondi appartengono i casi
marginali e alcuni non umani. Questi pazienti morali, pazienti nel senso
che sono destinatari dell’agire morale altrui, devono
essere considerati, al pari degli agenti morali, come soggetti-di-una-vita,
vita che può essere migliore o peggiore in base alle azioni degli agenti morali.
Vi è una dipendenza reciproca fra il concetto di valore inerente e l’essere soggetto-di-una-vita; agenti e pazienti morali lo
possiedono in egual misura, entrambi possono essere considerati soggetti-di-una-vita.
I pazienti morali, poiché subiscono le conseguenze delle azioni altrui, possono
venire danneggiati o avvantaggiati nella realizzazione
del loro benessere individuale.
Regan conclude affermando che i soggetti-di-una-vita sono coloro che hanno credenze e
desideri, percezione, memoria, senso del futuro, una vita emozionale, la
capacità di provare piacere e dolore, interessi-preferenze e
interessi-benessere. Queste caratteristiche fondamentali consentono a Regan di ritenere che anche gli animali, o meglio, i membri
di molte specie animali, non solo vivono, ma possono avere una vita migliore o
peggiore.
3. Si può effettuare un primo parallelismo fra gli umani marginali e i
non umani: entrambi sono soggetti-di-una-vita,
entrambi possono provare piacere o dolore,[3]
entrambi possiedono limitate capacità razionali, entrambi non sono in grado di
utilizzare un linguaggio, entrambi non hanno un concetto del sé. Eppure, odiernamente gli umani marginali sono salvaguardati
dal diritto solo per la specie alla quale appartengono.
Ciò che per
l’uomo ha sempre diviso il mondo umano da quello non umano
è stata generalmente la razionalità e il linguaggio, che permettono all’uomo di
poter reclamare i propri diritti a differenza degli animali; interessante è il
contributo su ciò da parte di Andrew Linzey.
Linzey sostiene che se la razionalità fosse necessaria per
possedere diritti, allora i bambini o certi malati mentali o non avrebbero
diritti o li avrebbero sminuiti; per l’autore ci
troviamo di fronte a delle “difficoltà
insite nei criteri prescelti”[4]
che dovrebbero essere comuni per esseri viventi che hanno caratteristiche simili.
Il criterio posto da Linzey, atto ad evitare tali
difficoltà, è costituito dalla capacità di provare piacere o dolore ritenendo
che è proprio la sensibilità il criterio più ragionevole
per il possesso di diritti, ritenendo per ragionevole una condizione necessaria
e sufficiente.
L’argomento dei
casi marginali è stato richiamato anche da Peter
Singer che, come abbiamo detto, ritiene i non umani esseri senzienti capaci di
provare piacere e dolore; infatti, come hanno l’interesse a non soffrire gli
umani normali, così lo hanno anche
gli umani che appartengono alla classe dei casi marginali, i quali hanno caratteristiche comuni con alcuni non umani.
Oggi, però, la
situazione vede alcuni non umani trattati come semplici strumenti e utilizzati
per fini non necessari. Singer, provocatoriamente, riflette sulla questione se
un umano dal cervello danneggiato possa essere usato
per un esperimento. Su questa ipotesi subentra un
atteggiamento di protezione nei confronti della specie umana, che ci induce a
ritenere obsoleta qualsiasi pratica dove la cavia sia un essere umano; ma da un
punto di vista logico come si può giustificare la ricerca su uno scimpanzé che
è ad un livello mentale più alto dell’umano in questione?[5] Si
inciampa nuovamente nello specismo. Gli esseri
viventi appartenenti ai casi marginali ed alcuni animali hanno molte cose in
comune, ma i primi sono protetti in quanto
appartenenti alla specie homo sapiens.
Qui non si
tratta di permettere che gli umani marginali perdano i loro diritti morali fondamentali,
ma il fine di Regan e Singer è quello, pur se per
strade diverse, di promuovere un allargamento dei diritti anche ad altri esseri
viventi.
4. L’argomento dei casi margina ci pone l’obbligo di riflettere sulle differenze di trattamento che sono riservate agli animali. L’argomento dei casi marginali è ostico perché ci mette di fronte a situazioni che possono sembrare assurde, perché si tratta di esseri appartenenti alla nostra specie ma che, da un punto di vista logico, è molto forte e difficilmente attaccabile se non si vuole cadere nello specismo.
E se fossimo noi al loro posto? Desmond
Stewart, in un suo esperimento mentale, si è posto proprio
questa domanda. In questo particolare esperimento, intitolato “Vennero i Troog e
dominarono la Terra”, Desmond Stewart attacca, in maniera ironica, la superiorità
dell’uomo sugli altri animali. I Troog sono
extraterrestri molto più intelligenti e più potenti di noi che, dopo essere
sbarcati sulla terra ed averne preso possesso, secondo la nostra visione del
mondo dominante, iniziano a trattare gli uomini come noi trattiamo gli animali[6].
Penso che Desmond Stewart abbia voluto, con questo racconto, aprire gli occhi all’umanità mettendo l’uomo di fronte alla sua stessa crudeltà; è un po’ quello che fa l’egualitarismo interspecifico con l’argomento dei casi marginali. L’uomo, e quindi l’intera umanità, dà importanza ad alcuni problemi solo quando viene attaccato in prima persona; questo perché, come ritiene la Midgley, esiste negli esseri umani la preferenza per la propria specie.
Un approccio più moderato è invece quello che fa capo all’etica della responsabilità secondo cui l’uomo ha il dovere di rispettare tutti gli altri esseri viventi differenti da sé. Questa posizione, più che sul concetto di diritto, si basa sul concetto di rispetto secondo cui l’uomo non è il padrone dell’universo ma ne è semplicemente il custode, custode dell’ambiente e dei suoi abitanti. Da entrambe le posizioni si evince che l’antropocentrismo è dannoso per gli animali.
Da una prima
analisi, queste due teorie sembrano procedere parallelamente perché la prima
riguarda l’uguale considerazione degli interessi e dei diritti degli esseri
umani e non umani, mentre la seconda pone l’accento sulla responsabilità che
gli uomini devono avere nei confronti degli “esseri inferiori”. Penso che
queste due teorie facciano parte di uno stesso percorso, che potrebbe giungere
al riconoscimento degli interessi morali fondamentali agli animali non umani da
parte dell’uomo.
In questa nuova
prospettiva, riferendoci all’egualitarismo dei due fattori di Donald Van De Veer
che fonda la preferenza per la specie umana sulle maggiori capacità
psicologiche che gli stessi hanno rispetto ai non umani, l’etica della
responsabilità permetterebbe di risolvere in maniera corretta e responsabile i
conflitti d’interesse che possono verificarsi fra gli umani e i non umani, nel
senso che, depurata dagli interessi di tipo economico, fungerebbe da
supervisore nella valutazione dell’eticità di un’azione valutando anche gli
interessi fondamentali degli animali, come l’interesse alla vita e l’interesse
a non soffrire.
Un esempio: le
sperimentazioni inutili provocano sofferenza e spesso la morte agli animali,
fra le quali vorrei ricordare la sperimentazione cosmetica. Secondo Donald Van De Veer
un interesse fondamentale di un
essere vivente non può essere sacrificato in favore di un interesse non fondamentale di un altro essere
vivente. Nel caso specifico della sperimentazione cosmetica l’interesse a non
soffrire o l’interesse alla vita di un animale non può essere sacrificato
all’interesse, per così dire, di una donna ad apparire esteticamente migliore. Per
la caccia il discorso è lo stesso.
L’etica della
responsabilità attraverso il rispetto per gli interessi morali fondamentali
degli animali, porterebbe al riconoscimento dei diritti morali fondamentali agli
animali; l’etica della responsabilità e l’egualitarismo interspecifico visti come due componenti dello stesso processo. Ma questa
responsabilità deve essere differente da quella rivolta all’intero ecosistema,
dove gli animali costituiscono soltanto una sua componente.
È differente perché l’uomo, in un certo senso, è obbligato a rispettare
l’ambiente e, di conseguenza, essere responsabile dello stesso perché se continuerà
a sfruttarlo, l’ambiente diventerà la sua tomba.
5. L’etica potrebbe percorrere questa via se vuole superare la linea che contrappone gli animali umani con quelli non umani; non sarà semplice, ma sono fiducioso che in futuro gli animali possiederanno, a pieno titolo, i diritti morali fondamentali per mezzo dei quali raggiungeranno il reale rispetto dei loro interessi.
È questa la via che, secondo me, le attuali leggi di protezione degli animali dovrebbero intraprendere per sancire e formulare dei veri e propri diritti che proteggano realmente gli animali non umani. Il 31 luglio 2004 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la Legge n. 189 che regolarizza i divieti e le pene di chi si rende responsabile di maltrattamenti nei confronti degli animali. Mediante questa legge l’uomo ha il dovere legale, e non morale, di non maltrattare gli animali semplicemente perché il dovere dell’uomo a rispettarli si basa esclusivamente sulla paura della sanzione. Sicuramente la Legge n. 189 è un passo avanti rispetto al passato, ma a questa dovrebbero affiancarsi anche altri provvedimenti che si basino sugli interessi degli animali. Sto pensando a quelli che possono classificarsi sotto il nome di maltrattamenti autorizzati come le sperimentazioni inutili e la caccia, di cui abbiamo parlato precedentemente.
Abbozzando un procedimento inverso potremmo porci una semplice domanda per nulla scontata: chi dà il diritto all’uomo di sfruttare liberamente gli animali non umani? Non saprei dare una risposta appropriata, se non pensando a qualche entità superiore oppure rischiando di cadere nello specismo. Credo, invece, che l’uomo si sia appropriato arbitrariamente di questo diritto. Altre volte l’uomo attua determinate pratiche sugli animali giustificandole con la necessità di salvare la vita umana, ma ad una più attenta analisi anche in questo caso l’uomo si appropria del diritto di servirsi degli altri esseri viventi in modo arbitrario. Perché avviene tutto questo?
È una bella
superiorità quella dell’uomo sugli altri animali! L’aggettivo umano perde il suo attuale significato e
si avvicina più al suo opposto; l’uomo spinto da interessi personali diventa
sempre più disumano. Ogni singolo
uomo dovrebbe riscoprire il significato più intimo del termine umano, affinché
si raggiunga l’ideale di un’umanità più umana, che guardi ai diritti morali
fondamentali di tutti gli esseri viventi.
Martano, 15
marzo 2006.
Bibliografia
L. Battaglia, Etica e diritti degli animali, Universale Laterza, Bari 1997.
J.
Bentham, I principi della morale e della
legislazione, UTET, Torino 1998.
S. Castignone (a cura di), I diritti degli animali, Il Mulino,
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P.
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A. Linzey, Animal Rights, SCM Press,
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T. Regan, P.
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P.
Singer, Liberazione animale, LAV-Lega Anti-Vivisezione, Roma 1986.
P.
Singer, La vita come si dovrebbe, Il
Saggiatore, Milano 2001.
Nota
biografica
Andrea
Coluccia: laureato in filosofia, ha discusso una tesi intitolata Verso una
filosofia dei diritti degli animali “rassegna storico-critica”. Volontario dell’Ente Nazionale Protezione Animali (ENPA) di Martano
(Lecce) dal 2003. Da questa esperienza pratica
è nato il suo interesse per le problematiche inerenti la questione morale nei
confronti degli animali.
[1] J. Bentham, I principi
della morale e della legislazione, UTET, Torino 1998.
[2] P.
Singer, La vita come si dovrebbe, il
Saggiatore, Milano, 2001, pp. 46-65.
[3] Regan, riferendosi alla capacità di soffrire, ritiene che
non tutti i non umani siano in grado di provare dolore come non tutti gli umani
marginali lo sono; gli umani in questione sono i comatosi irreversibili.
[4] A. Linzey,
Animal Rights, in S.
Castignone, (a cura di), I diritti degli animali, Il Mulino, Bologna 1985, p. 177.
[5] Peter
Singer, La vita come si dovrebbe, cit., pag. 355.
[6] D. Stewart, Vennero i Troog e
dominarono la Terra, in T. Regan,
P. Singer, (a cura di), Diritti animali,
obblighi umani, Ed. Gruppo Abele, Torino 1987,
pp. 237-244.