Convivio su Ivan Illich
Introzzo (Lecco), 1-2-3 dicembre 2006
Comunicazione di Paolo Coluccia
http://digilander.libero.it/paolocoluccia
Premessa
Avrei voluto parlare direttamente con voi, guardarvi negli occhi, dialogare e sviluppare insieme l’argomento del mio intervento. Era così che Ivan Illich amava fare con i suoi amici, davanti ad un piatto di spaghetti e ad un buon bicchiere di vino rosso, con una candela accesa, ché di sera potesse riverberare dai vetri delle finestre fuori la sua fioca luce, per far capire che dentro casa c’era qualcuno che dialogava, mangiava, conviviava e chi era fuori era invitato ad entrare, sedersi, mangiare, parlare, in modo semplice, senza formalità, in modo condiviso e conviviale... Pertanto, se non l’avete già fatto, accendete una candela durante le giornate d’Introzzo, perché qualcuno da fuori possa vederne il riverbero.
Purtroppo, un fastidioso problema di salute non mi ha permesso di affrontare un lungo viaggio di 1200 km, dal mio profondo sud che lotta con tutte le sue forze (politiche, istituzionali e private) di “svilupparsi”, che insegue il sogno dello sviluppo, tanto declamato e desiderato a destra e a sinistra (persino il nostro governatore Vendola, che si pensava avesse idee diverse ed ha rappresentato una speranza per molti, non passa giorno ad invocare e a darsi da fare per “sviluppare” e “valorizzare” la Puglia), quel sogno rivelatosi un incubo che già Illich trenta-quaranta anni fa aveva criticato, ma che il nord del mondo ha raggiunto nei “famosi trent’anni d’oro”, in modo irruento, rocambolesco, distruttivo, inquinante, all’insegna dell’opulenza e dello spreco.
Non ci è bastata la lezione, perpetuiamo l’errore, dobbiamo a tutti i costi ricadere nell’errore. E il sud del mondo si avvia inesorabilmente a ripetere l’errore, che al nord si cerca di correggere (vedi le rocambolesche avventure del Protocollo di Kyoto). I moniti di Illich, le sue intuizioni (per molti semplici illazioni) non sono state ascoltate, in nessun modo prese in considerazione. Una voce nel deserto, ho scritto da qualche parte, una voce quasi isolata, forte e decisa che nessuno (o quasi) ha colto nella sua essenzialità. Una voce che però ha lasciato una traccia, ha segnato un solco indelebile, ha espresso un pensiero, ha intrapreso un cammino, per un’azione comune che molti di recente hanno cominciato ad implementare, cogliendone originalità e tensioni.
Quando nel dicembre del 2002 è morto, molti pensavano che fosse già morto da tempo. I suoi libri erano ormai introvabili, ma lui stesso non ne pubblicava, perché aveva cominciato a dedicarsi al dialogo, con le persone, i suoi amici, in luoghi diversi sparsi nel mondo. Come ricorda il suo amico di sempre Jean Robert: “Effettivamente, la carriera dello scrittore Ivan Illich si divide grosso modo in due periodi: quella di ciò che egli stesso chiamava i suoi ‘pamphlets’, che sono gli scritti che lo resero famoso, e quella di esplorazioni in profondità partendo da conversazioni tra amici” (In ricordo di Ivan Illich, che ho tradotto nel mio sito). Questa seconda parte della sua ricerca è la più avvincente, perché in molti luoghi se ne sente la presenza, tanto da essere diventato un mito. D’altronde, cosa vuol dire la parola “mito”? Vuol dire “parola”, parola che s’insinua, si ripete, che diventa eco, che porta via il vento, di bocca in bocca, di porta in porta, da luogo a luogo, come tra noi qui (ah, scusate, tra voi lì, ad Introzzo, visto che io non ci sono, ma scrivendo queste righe mi è sembrato di esserci). Ma idealmente sono con voi.
Un ricordo
Nei primi giorni di marzo del 2002 mi trovavo a Parigi per partecipare con una mia relazione al Colloque International sur l’aprés-développement “Défaire le développement, refaire le monde” (Palazzo dell’UNESCO) organizzato dall’associazione La Ligne d’horizon: Les amis de François Partant, in collaborazione con Le Monde Diplomatique ed altri soggetti sociali e culturali, impegnati a ridefinire i termini e le modalità dello sviluppo. Vi partecipava anche Ivan Illich, forse la sua ultima apparizione ad un convegno internazionale. Ho tradotto la sua relazione e ho avuto modo di redigere a suo tempo un resoconto di questo Colloquio. Relazione e resoconto sono scaricabile dal mio sito Internet.
Sullo sfondo aleggiava lo spirito del secondo Forum Mondiale di Porto Alegre.
Contemporaneamente, in un altro luogo di Parigi, si svolgeva un altro importantissimo incontro: Il Convegno internazionale “Riconsideriamo la ricchezza”, organizzato per approfondire i temi trattati dal Rapporto al Ministro per l’economia solidale francese “Riconsideriamo la ricchezza. Missione sui nuovi fattori di ricchezza”, realizzato dal filosofo francese, nonché consigliere referente della Corte dei conti, Patrick Viveret. Ho tradotto in italiano questo Rapporto (ed. Terredimezzo, Milano 2005), ed anche questo è scaricabile integralmente dal mio sito Internet.
Avendo lavorato in questi anni su questi temi, ho cercato di mettere insieme le due concezioni: i problemi dello sviluppo, i problemi della ricchezza. Entrambi sono un problema per l’umanità, di cui il neo-capitalismo non se ne cura, anzi, tende ad aggravarli. Urge la fondazione di un’etica nuova, semplice, conviviale. Sarà importante scavare a fondo le idee e le intuizioni di Illich per questo. Ma anche il tema affrontato da Viveret è importante: bisogna aprire gli occhi e riconfigurare i nostri sguardi sulla ricchezza. Non voglio tediarvi a lungo, avrei voluto parlarne con voi direttamente. Ma se qualcuno vuole approfondire questo argomento può leggere con calma un mio saggio dal titolo Dalla distopia ipertelica all’etica conviviale: verso nuovi fattori di ricchezza (in http://digilander.libero.it/paolocoluccia/eticaconviviale.rtf) da cui avrei tratto gli spunti e i riferimenti del mio intervento. Se poi qualcuno vorrà dialogare e discutere sul tema con me, potrà farlo liberamente, telefonicamente o per posta elettronica (è tutto sul mio sito), nei giorni avvenire. Resta inteso, però, che sarà per me un gran piacere potervi incontrare, singolarmente o in gruppo, e se qualcuno di voi capiterà dalle mie parti, ho sempre pronta una zuppa di verdure (che avrei voluto prepararvi ad Introzzo) o un piatto di spaghetti e un buon bicchiere di vino, accendere una candela, e discorrere degli argomenti che c’impegnano nella nostra vita, proprio come amava fare il nostro amico Ivan.
Un caro saluto e buon lavoro.
Paolo Coluccia