Capitolo primo

 

 

Breve storia della Turchia

dalle origini alla Repubblica

 

  

 

1. I Turchi: le origini

 

I popoli turchi non hanno lasciato alcuna traccia scritta della loro storia fino al VII, VIII secolo d.C. Prima di quest’epoca, essi non scrissero niente e la lettura, sempre indiretta, del loro antico passato, si rivela difficile in quanto i principali testimoni, i Cinesi, erano terzi interessati e la loro civilizzazione sedentaria si opponeva fondamentalmente al modo di vita nomade dei Turchi.

I Cinesi ci riportano, riguardo ai loro turbolenti vicini, solo rari indizi sui loro contrasti e sulle continue guerre.

I primi antenati dei Turchi menzionati dai Cinesi vissero nel secondo millennio a.C. ed erano chiamati Hiong-Nou. Questo nome sembra raggruppare non solo i Turchi, ma anche i Mongoli e altre etnie. Ciò causò ai Cinesi una grossissima difficoltà: quella di non riuscire a distinguere gli uni dagli altri, perché i Turchi sono sia alti sia bassi, sia bruni sia biondi ecc. Alcuni storici dicono, per questo motivo, che la loro sola unità è quella linguistica. Di questi popoli, la federazione a noi più conosciuta è quella degli Unni che, sotto il loro capo Attila e sotto la pressione dei Mongoli, avanzarono verso Ovest. Nel III secolo d.C. gli Unni effettuarono una traversata eurasiatica, poi ne effettuarono una seconda il secolo successivo; nel 451 Attila invase l’Impero Romano d’Oriente.

Parallelamente a questi spostamenti intercontinentali, si può constatare una «permanenza asiatica» dei Turchi. Essi sono stati la bestia nera dei loro vicini, in particolare dei Cinesi. La Grande Muraglia, già innalzata tra il 214 e il 204 a.C. per 6000 km di lunghezza contro i popoli oppressori, non ha impedito nei secoli successivi l’invasione turca.

All’inizio dell’era cristiana furono fondati alcuni stati effimeri, di cui il più importante fu quello fondato da alcuni discendenti degli Unni, che si proclamarono indipendenti dagli Avari (proto-Mongoli) nel 551. Essi furono chiamati Turchi Celesti, Gök Türkler.

I Turchi controllavano vasti territori situati tra i due grandi imperi dell’epoca: Cina e Bisanzio ed erano padroni della Via della Seta frequentata dai mercanti carovanieri.

A questo punto della loro evoluzione interviene un cambiamento importantissimo: l’apparizione della loro storia scritta. I Turchi Celesti hanno lasciato sotto il nome di Monumenti d’Orhon delle iscrizioni preziose riguardo alla loro storia e alla loro civilizzazione (732-735). In questa iscrizione non si rilevano nomi di oggetti agricoli, ma solo un ricco vocabolario di guerra. Nel 745 l’Impero dei Turchi Celesti, i Gök Türkler,  è distrutto da altri Turchi, che sono gli antenati degli Ottomani, gli Uiguri.

Gli storici mettono l’accento sulla figura quasi emblematica dell’uomo di guerra. I nomadi si spostavano verso terre ricche, sorgevano dispute interne per i territori di pascolo, avvenivano razzie presso i popoli sedentari, ma in sostanza queste non erano forme di violenza gratuita. La guerra fa parte della lotta economica per la sopravvivenza della comunità nomade. Essa è concepita come una forma di produzione di beni (bottino) e di servizi (schiavi). È un popolo che cerca di imporre la sua legge dovunque passi: dalla Siberia settentrionale alla penisola indiana, dal Pacifico al Mediterraneo. In questa società nomade si vive a cavallo: da lì si fa la guerra, la caccia, si allevano gli animali e inoltre ci si riposa e si consumano i pasti.

 

 

 

2. Cultura e religioni

 

Il nomadismo delle tribù turche non si limitò ad un’attività di tipo «barbarico», ma fu anche un modo di apprendere lingue, culture, commercio e religioni straniere. I Turchi hanno così adottato più di una religione nella loro storia, senza essere per questo un popolo particolarmente religioso.

La loro prima religione fu lo Sciamanesimo, poi il Buddismo, il Manicheismo, il Cristianesimo (nestoriano), l’Ebraismo e, infine, l’Islam. La molteplicità delle religioni che essi hanno adottato non sembra aver avuto una grossa influenza sulle loro qualità guerriere.

La tolleranza religiosa dei popoli turchi è stata spesso segnalata da parte degli storici come un elemento degno di nota. L’Islam ha approfittato così di questa condizione per penetrare il mondo turco. I Turchi trovarono in questo incontro una causa e un’ideologia che integrava la loro vocazione militare con la legittimazione dei bottini di guerra e l’Islam trovò nei Turchi nuovi soldati, forti e validi.

È stato un incontro di lingue e di culture molto differenti: non c’era alcuna affinità linguistica, culturale, etnica tra i Turchi e gli Arabi. Il turco è una lingua «agglutinante» della famiglia uralo-altaica ed è totalmente estranea alla famiglia semitica, così come alla famiglia indoeuropea. Nonostante ciò, la tolleranza regnò sempre: libertà di culto, rispetto dei sacerdoti, conservazione delle chiese, assenza di prescrizioni religiose e di politica di assimilazione. Alcuni studiosi vedono in questo la spiegazione della grande espansione dell’Impero Ottomano. I Cristiani d’Anatolia e dei Balcani furono trattati meglio sotto l’amministrazione ottomana che sotto quella di Bisanzio.

A partire dal X secolo, i Turchi acquisirono una tendenza a stabilirsi in uno spazio definito. La loro sedentarizzazione si accompagnò all’adozione di una nuova religione, l’Islam.

 

 

 

3. L’ Impero ottomano

 

3.1 Le origini

Il primo movimento organizzato delle tribù turche nella loro marcia verso Occidente si ebbe intorno all’anno 1000 d. C. «Al comando di un capo di nome Selçuk, un gran numero di esse attraversò il fiume Oxus dell’Asia Centrale e cominciò  a penetrare nelle zone centrali del territorio dei Califfi Abbasidi nell’attuale  Persia»[1]. Nel loro movimento, incontrarono altri Turchi, non avanzarono più verso Sud, ma ad Occidente verso l’Anatolia. Qui si trovarono in contatto con gli avamposti dell’Impero greco-bizantino, in una battaglia sconfissero alcune truppe e penetrarono nel cuore dell’Anatolia. Da quel momento l’Impero bizantino cominciò il suo lento declino.

I Selciuchidi, per governare l’Anatolia, la trasformarono in una federazione di Province, con a capo governanti scelti in gran parte tra i parenti della famiglia governante. Sebbene questi Selciuchidi fossero uomini rozzi,  apprezzavano la civiltà dei Persiani e dei Greci, costruirono edifici magnifici: moschee, scuole religiose, palazzi e forti. Inoltre, patrocinarono le arti, la letteratura e la filosofia.

   Nel XIII secolo iniziò la grande invasione dell’Occidente da parte dei Mongoli: alcuni invasero la Russia, altri la Persia raggiungendo Bagdad e la Siria, dove però furono sconfitti dagli Egiziani con il loro esercito comandato da capi turchi.

   Altre forze penetrarono in Asia Minore e sottomisero il Sultano dei Selciuchidi. Tutto questo caos aveva obbligato grandi masse di popolo ad abbandonare i pascoli e a cercare nuove zone più tranquille. Così una piccola tribù turca, che stava ad Oxus in Asia, decise di muoversi e si stabilì sugli altipiani dell’Anatolia. Per un certo tempo rimase una tribù insignificante, sotto la sovranità del Sultano Selçuk. All’epoca di questo spostamento, il capo di questa tribù era Süleyman, che aveva un figlio di nome Ertuğrul.

 

3.2  I Turchi Osmanlı

Nel 1259 questa tribù diventò «la tribù dei Turchi Osmanlı»: questo nome derivava dal loro capo Osman, succeduto a Ertuğrul. A quell’epoca erano già entrati in contatto con i Greci e la civiltà occidentale, cosa che ebbe un grosso effetto sulla storia successiva dei Turchi Osmanlı (Ottomani). Nel 1290 Osman fissò il suo centro a Yenişehir, tra Bursa e Nicea.

   Gli Osmanlı cominciarono ad assorbire in modo pacifico le comunità intorno a loro (soprattutto quelle greche) e rispettarono tutte le usanze e tutte le religioni. In seguito, la conversione all’Islam portò questi popoli all’unità e così nacquero le basi dell’Impero ottomano (si ritiene che l’Impero abbia avuto inizio nel 1299). Osman pose gli occhi sulla città greca di Bursa, che intendeva possedere per allargare il suo dominio. Il comandante greco di Bursa, Evrenos, non essendo contento dell’appoggio datogli da Costantinopoli e per i suoi sordidi intrighi, accettò di consegnare la città ad Osman intorno al 1325. Più tardi egli divenne musulmano ed ebbe un comando nell’esercito di Osman.

I Turchi assorbirono un numero sempre maggiore di Greci, stanchi delle controversie nella Chiesa bizantina. Osman riuscì a costruire dove Gengis Khan era riuscito solo a distruggere. Osman morì dopo aver preso Bursa e gli succedette suo figlio Orhan, che fece di quella città la capitale degli Osmanlı (Ottomani) e vi eresse splendidi edifici, servendosi di artisti greci.

 

3.3          I discendenti di Osman

Orhan e suo figlio Murat avevano cominciato a rivolgere le loro attenzioni verso Occidente e così truppe turche attraversarono il mare per sbarcare in Tracia. I Turchi erano stati chiamati dall’imperatore Cantacuzemos, che voleva servirsene per combattere la dinastia dei Paleologi. Così il loro dissidio interno favorì l’espansione degli Ottomani. Avanzarono nei Balcani, strapparono Adrianopoli ai Bizantini, che era la loro seconda città più importante. I governanti europei cominciarono ad allarmarsi ma ormai non potevano fare niente e inoltre le lotte tra Serbi, Bulgari e Ungheresi resero facile l’avanzata ai Turchi e «i Cristiani ortodossi dei Balcani […] accettarono la sovranità turca perché erano sicuri di incontrare una tolleranza maggiore di quella che avrebbero mostrato gli Asburgo o i prelati della Chiesa Cattolica Romana»[2].

L’unica potenza che riuscì a contenere in qualche modo la spinta ottomana fu Venezia che, nel 1416, a Gallipoli (Gelibolu), distrusse la flotta turca e impose le condizioni per la salvaguardia degli interessi commerciali della Serenissima nel Levante.

 

3.4         Maometto II

Nel 1451 Maometto II salì al potere. I Turchi Ottomani avevano ormai una posizione salda, sia nell’Europa sud-orientale sia nell’Asia confinante. Rimaneva ancora da conquistare Costantinopoli. Maometto II la conquistò e vi si stabilì. Sembrò già da allora che i Turchi ci tenessero a mostrarsi come un popolo occidentale, quanto quello greco. Alle comunità cristiane furono riconosciuti tutti i diritti della loro religione, rispettate le proprietà della Chiesa, le leggi sull’eredità e conservati gli usi.

   Il Sultano in persona incontrò il Patriarca dei Greci e gli concesse il diritto di esigere speciali tasse in favore della propria comunità. Ma le speranze di Maometto II non si realizzarono completamente. I dottori del diritto, della cultura e della scienza se ne andarono in Occidente, dove contribuirono al Rinascimento in Italia e alla riforma del Cristianesimo occidentale. L’Impero Ottomano divenne sempre più forte, i Greci conservarono importanti posizioni e permisero allo Stato di andare avanti senza difficoltà, ma quando questi si allontanarono, sorse il problema di come governare. Allora il Sultano prese al proprio servizio tutti i Cristiani che poté.

 

3.5         Solimano il Magnifico

Il XVI secolo fu un periodo di ulteriori conquiste. Il Sultano ottomano Selim I sconfisse i Savafidi dell’Iran a Çaldıran nel 1514, occupò l’Anatolia Orientale e annetté l’Egitto e la Siria, sottraendoli ai Mamelucchi (1516-17) e conquistando anche località arabe sacre ai musulmani e porti commerciali nel Mar Rosso e nell’Oceano Indiano. Gli succedette il figlio Kanuni Sultan Süleyman, detto Solimano il Magnifico e Legislatore, che è considerato il più grande dei Sultani ottomani. Con questo Sultano si raggiunse il massimo splendore, anche se iniziarono i segni di una crisi profonda, a causa del progressivo allontanamento dei sultani dall’esercizio diretto del potere. Già Solimano I, verso la fine del suo regno, aveva affidato i compiti decisivi del governo al Gran Visir, una sorta di primo ministro o Gran Cancelliere. I Gran Visir provenivano dai devşirme, un ceto formato dai sudditi di origine cristiana, strappati da piccoli alle loro famiglie. Convertiti all’Islam ed educati nelle scuole di palazzo, essi entravano come soldati nel corpo speciale dei Giannizzeri (Yeni Çeri, Nuova Milizia) e i migliori diventavano alti funzionari dello stato.

   L’indebolirsi del potere centrale diede slancio alle tendenze centrifughe già presenti nell’Impero ottomano. Il Paese cadde in una sorta di feudalizzazione, causata anche dalla decadenza di uno dei pilastri del sistema amministrativo e fiscale: il timar. Il timar era un particolare sistema di riscossione delle imposte ed era concesso in usufrutto, come stipendio, ad un militare, il quale s’impegnava in cambio a contribuire al mantenimento dell’esercito e a fornire un determinato numero di cavalieri completamente equipaggiati. L’economia turca, fino a tutto il XVIII secolo, dimostrò comunque una certa vitalità.

 

3.6         Crisi del sistema ottomano

L’Europa fu all’origine di un’acuta crisi del sistema militare ottomano. Nel 1600 e nel 1700 gli Ottomani subirono dure sconfitte e fu proprio sul campo di battaglia che essi dovettero riconoscere la superiorità dell’Occidente. L’esercito ottomano era ancora numeroso, ma piuttosto lento: ogni spostamento era un vero e proprio esodo. Grandi città di tende, con armenti e schiavi al seguito, mettevano in scena uno spettacolo imponente, ma la macchina bellica era ormai superata. Le armi turche non potevano più reggere il paragone con quelle europee. Già nel XVII secolo si tentarono alcune riforme. Durante il regno di Maometto IV (1648-1687) l’opera dei Gran Visir Köprülü padre e figlio, di origine albanese, riuscì a risanare parzialmente il bilancio dello stato. Negli stessi anni vi fu una ripresa dell’espansionismo ottomano (sebbene avesse subìto un arresto a causa della sconfitta nella battaglia di Lepanto, vittoria enfatizzata dalla propaganda spagnola e soprattutto veneziana come la vittoria che aveva messo fine all’avanzata dei Turchi), culminata nella conquista di Creta, strappata ai Veneziani dopo il lungo assedio di Candia, durato 24 anni. Questa nuova speranza offensiva terminò sotto le mura di Vienna, dove l’esercito ottomano si era spinto con l’ambizioso disegno di umiliare l’Impero d’Austria, la potenza rivale nel dominio dei Balcani. Ai nemici tradizionali (Venezia, Austria e Polonia), si aggiunse la nascente potenza russa. Dalla fine del 1600 e per tutto il 1700, l’Impero Ottomano fu in guerra con questi Paesi. La pace di Carlowitz sancì la perdita dell’Ungheria e la cessione a Venezia della Dalmazia. Alla fine del 1700 l’Impero Ottomano si era ridotto ai territori a sud del Danubio, cioè all’estensione che aveva agli inizi il regno di Solimano il Magnifico.

 

3.7         Il periodo dei Tulipani (Lâle Devri)

Durante il regno di Ahmet III (1703-1730), fu tentata una riorganizzazione delle più importanti istituzioni. Questa epoca è conosciuta come «Il periodo dei Tulipani», per la moda di coltivare questi fiori importati dall’Olanda. Fu un periodo d’interesse e d’apertura verso la cultura occidentale. Questa tendenza fu però ostacolata da alcuni gruppi che si sentivano minacciati, come il caso dei Giannizzeri che, da corpo militare scelto, si erano trasformati in potente associazione, i cui membri spesso praticavano il commercio, l’artigianato e talvolta rivestivano anche funzioni di polizia. Essi erano appoggiati dagli Ulema (teologi e giuristi), che si consideravano i depositari della tradizione islamica ottomana. Nel 1730 una sanguinosa rivolta concluse questa epoca.

 

3.8 Le Riforme (Tanzimat)

Lo sfaldamento dell’Impero si aggravò sempre più. Durante il regno di Mahmut II, salito al trono agli inizi del 1800, a partire dal 1839 furono avviate alcune riforme (Tanzimat). Nel frattempo, la Grecia aveva ottenuto l’indipendenza (1832), destino successivamente condiviso anche da Serbia, Romania, Montenegro e parte della Bulgaria.

Mahmut II cercò di abolire il vecchio esercito e costruì una nuova milizia di tipo europeo. Eliminò i Giannizzeri e creò delle truppe retribuite soggette ad una rigida disciplina. Ma un esercito moderno comportava dei costi: fu necessario istituire una nuova burocrazia e nuove scuole per preparare i militari e i funzionari dello Stato. Inoltre, furono migliorate le comunicazioni (telegrafo e rete stradale). Tutto ciò richiese molti fondi e costrinse Mahmut II a chiedere prestiti all’estero, finché nel 1875 l’incapacità di pagare gli interessi sul debito pubblico lo portò ad accettare l’ingerenza europea. Altro scopo delle riforme fu la concessione di maggiori diritti e libertà per i cittadini dell’Impero, a prescindere dalla loro fede religiosa.

   Il documento delle Tanzimat rappresentava una volontà di cambiamento per una parte della classe dirigente dell’Impero Ottomano ed è confermata dalla promulgazione della prima Costituzione (1876). Ma Abdülhamit II già nel 1877 aveva abolto la Costituzione entrata in vigore nel 1876 e aveva decretato la chiusura del Parlamento. C’era una ristretta classe intellettuale che partecipava attivamente alle riforme. Tra i più attivi ricordiamo Namık Kemal, Şinası, Şemseddin Sami, che con altri intellettuali sollecitarono nuove riforme per arrivare ad un sistema costituzionale. Ma i tempi non erano ancora maturi e il Sultano li condannò all’esilio o al confino.

 

 

 

4. La Rivoluzione dei Giovani Turchi

 

Verso la fine del XIX secolo, le file dei nazionalisti turchi, disperse dopo il breve esperimento costituzionale del 1876, si ricostituirono in associazioni segrete all’estero, in Svizzera, in Francia e negli Stati Uniti. La Rivoluzione dei Giovani Turchi scoppiò all’improvviso nel 1908 e determinò in pochi giorni il crollo del dispotismo di Abdülhamit, che fu costretto a ripristinare la Costituzione del 1876. Infatti, il 24 luglio del 1808 fu una giornata cruciale per le sorti dell’Impero. La notte precedente arrivarono da Salonicco e da Adrianopoli notizie sui pronunciamenti militari in atto e le richieste di ripristinare la Costituzione. Nell’impossibilità di fronteggiare la situazione, gli uomini vicini al Sultano consigliarono di aderire alle richieste dei Giovani Turchi. Il Sultano dovette allontanare i funzionari che avevano attuato la sua politica conservatrice e non fece alcun tentativo per salvare i suoi più stretti collaboratori. La caratteristica della rivoluzione giovane-turca, almeno nel suo momento iniziale, è la totale assenza di forme violente da parte del Comitato rivoluzionario, Comitato d’Unione e Progresso. Nonostante le buone intenzioni, la situazione precipitò nell’aprile del 1909, quando i battaglioni albanesi e siriani fedeli al Sultano marciarono contro il Parlamento. I rivoluzionari allora occuparono Costantinopoli e deposero Abdülhamit II, che fu imprigionato a Salonicco e al suo posto fu insediato Maometto V, che sembrò dare più garanzie.

   Secondo i Giovani Turchi, la cosa più importante da fare era quella di costituire una forza compatta che riuscisse a eliminare ogni pretesto d’ingerenza straniera, perciò si doveva superare ogni divisione, sia religiosa sia nazionalista. A causa della composizione multietnica dell’Impero, tutto questo era molto difficile e le potenze straniere cominciarono a muoversi a vantaggio ora dell’una ora dell’altra popolazione cristiana, mentre l’etnia turca fu in realtà la più trascurata.

   In conclusione, malgrado alcuni risultati positivi nel breve periodo, «il movimento dei Giovani Turchi si risolve in un fallimento»[3]. Il nuovo governo aveva abbandonato l’iniziale moderazione per assumere i toni di un acceso nazionalismo, riaffermando il predominio dei Turchi su tutti gli altri popoli dell’area. L’Impero andava verso il collasso, che si definì con la Prima Guerra Mondiale e con l’allineamento con la Germania. Nei primi due anni del conflitto gli Ottomani combatterono con successo, ma furono poi sconfitti dai Russi. Nel 1917-18, quando gli Inglesi sferrarono la loro offensiva in Iraq e in Siria, gli Ottomani non riuscirono a contrattaccare e nell’ottobre 1918 (armistizio di Mudros) rimase solo l’Anatolia. Con il trattato di Sèvres dovettero rinunciare alle province arabe e a parte dell’Anatolia. Ormai si delineava la fine del grande Impero Ottomano. Il trattato di Sèvres fu firmato dal Sultano fantoccio il 10 agosto 1920. Le condizioni furono pesantissime per la Turchia:

 

·  Il Sultano doveva rimanere a Costantinopoli, sotto la protezione degli Alleati.

·  Gli Alleati avevano il diritto di occupare gli Stretti e qualsiasi parte della Turchia asiatica.

·  L’Anatolia Orientale con i Vilayets di Erzurum, Van, Bitlis, Trebisonda e Erzincan, dovevano formare uno Stato armeno e gli Stati Uniti dovevano presiedere alla sistemazione dei confini. -  Questo rientrava nel Progetto del presidente americano Wilson (1856-1924) che voleva farsi garante di un nuovo ordine internazionale da realizzare a guerra conclusa.

·  La Turchia doveva abbandonare qualsiasi pretesto sulle province arabe.

·  Dovevano essere riconosciuti un mandato francese sulla Siria, uno britannico sulla Mesopotamia, italiano su Antalya, mentre i Greci dovevano annettere İzmir e l’Anatolia occidentale.

 

 

 

5. Kemal Atatürk

 

5.1  Chi è Mustafa Kemal?

Nel corso del 1919 negli ambienti della Resistenza turca le cose stavano cambiando. Mustafa Kemal, un ufficiale che aveva combattuto contro gli Inglesi ai Dardanelli, era stato nominato Ispettore della Terza Armata turca dell’Anatolia, in un punto vicino alle coste del Mar Nero. Doveva prendere ordini dal Sultano fantoccio (cioè dagli Alleati), ma egli aspettava l’occasione propizia per avanzare (come fu) nell’interno fino a Sıvas. Lì agì chiedendo al governatore locale di scegliere tra i dipendenti degli organismi statali alcuni delegati da mandare alla Conferenza di Balıkeşhir, che fece da preludio ad un’altra Conferenza più importante ad Erzurum nel luglio del 1919. Quest’ultima sancì che il suolo turco era inviolabile e che non si doveva accettare alcun mandato straniero. In settembre ne fu convocata un’altra a Sıvas e ogni distretto vi mandò delegati.

Il Movimento nazionale turco non aveva ancora un capo; in generale i delegati non volevano rompere con il Sultano e con gli Inglesi. Intanto il Sultano aveva mandato il comandante Kâzim Kara Bekir ad arrestare Mustafa Kemal. K. K. Bekir non arrestò Kemal, che anzi fu eletto a Sıvas presidente di un governo provvisorio.

 

5.2            La svolta

Qualcosa venne in aiuto di M. Kemal. Il Sultano ordinò alle truppe curde dell’Anatolia di arrestarlo. Ciò fece risvegliare il sentimento patriottico dei Turchi, che, respinti i Curdi, acclamarono M. Kemal eroe nazionale. Il Sultano e gli Inglesi invitarono il Parlamento provvisorio di Sıvas a Costantinopoli. Kemal si oppose, ma i delegati non vollero rompere col Sultano e ci andarono. Il Parlamento firmò il Patto Nazionale di Erzurum e chiese al Sultano di approvarlo. Il Sultano non dette risposta e contemporaneamente gli Inglesi decisero di arrestare i membri del Parlamento turco e tutti coloro che non riuscirono a fuggire furono mandati in esilio a Malta. Il Sultano, inoltre, mandò l’«Armata del Califfo» nell’Anatolia per schiacciare il Movimento Nazionale. Mentre l’«Armata del Califfo» occupava İzmit, i Greci cominciavano ad avanzare da İzmir. Tutto ciò risvegliò il sentimento patriottico dei contadini dell’Anatolia, che cominciarono ad accorgersi che il Sultano era uno strumento nelle mani degli stranieri. Così, i delegati che erano fuggiti da Costantinopoli insieme ad altri si riunirono ad Ankara nell’aprile del 1920. Questa fu la Grande Assemblea Nazionale che si riunì in sessione permanente, come Assemblea Costituente. M. Kemal fu eletto Presidente dell’Assemblea e si decise che fosse anche Capo del Governo. Tutti i membri dell’Assemblea Nazionale firmarono il «Patto Nazionale» impegnandosi a compiere la liberazione del Paese.

Come si può notare, in questo periodo si è verificata una situazione anomala: sulla scena politica persistono due governi, quello del sultano e quello di Ankara, ognuno dei quali cerca di avere il potere totale.      

Mentre la situazione divenne più complessa, il governo del Sultano firmò il Trattato di pace, che fu considerato nullo dal governo di Ankara e, in fondo, anche dalle stesse potenze firmatarie: per esempio l’Inghilterra convocò una nuova Conferenza ammettendo i rappresentanti di tutti e due i governi, quello del Sultano e quello di Kemal. La Russia bolscevica e la Francia conclusero accordi con il governo di Ankara, riconoscendo così il nuovo Stato. Ciò si confermò nel 1922, quando le forze di Kemal sconfissero i Greci, che furono costretti ad abbandonare non solo l’Anatolia, ma anche la Tracia orientale.

 

5.3            Le prime decisioni importanti

Nel novembre 1922 l’Assemblea Nazionale di Ankara destituì Maometto VI che lasciò Costantinopoli a bordo di una nave inglese e il generale Refât Paşa assunse tutti i poteri nel nome del governo di Ankara. In quest’occasione non furono ancora risolte le questioni del Controllo degli Stretti, che trovarono soluzione in seguito con la Convenzione firmata a Montreaux il 20 luglio 1936. Tale Convenzione diede alla Turchia la tutela in esclusiva degli Stretti, con il diritto di fortificarli e di fermare le navi da guerra di Stati belligeranti, a meno che questi non portassero aiuto a vittime di aggressione, secondo la Convenzione delle Nazioni Unite.

Il primo novembre del 1922, la Grande Assemblea Nazionale emise un proclama che aboliva il Sultanato, ma soltanto il 29 ottobre dell’anno successivo la Turchia fu proclamata Repubblica e nell’aprile 1924 l’Assemblea Nazionale adottò una nuova Legge Costituzionale.          

 

 

 

 6. Le Riforme

 

Se la Turchia è riuscita a darsi un’immagine moderna, rifiutando in blocco l’eredità ottomana, ciò è certamente dovuto alla laicità radicale che il suo fondatore Mustafa Kemal ha imposto, purtroppo talvolta anche con l’uso della violenza, alla società turca negli anni 1920-30. L’esperienza turca riveste un carattere eccezionale: per la prima volta nella storia dell’Islam si passa da uno Stato islamico ad uno Stato laico. Si deve sottolineare che la laicità turca è più che una semplice separazione della religione dallo Stato: è un rapporto di sottomissione della prima al secondo. Tre serie di riforme ne illustrano l’estensione e la profondità: la Riforma Politica, la Riforma Sociale e la Riforma Culturale.

 

·             La Riforma Politica

1.      Abolizione del Sultanato (1922) in piena guerra contro le potenze   occidentali.

2.      Proclamazione della Repubblica (1923).

3.      Abolizione del Califfato (1924).

·             La Riforma Sociale

1.      La vita sociale viene inquadrata nel diritto occidentale: come Codice Civile è scelto quello svizzero, come Codice Penale quello italiano, come Codice Amministrativo quello francese ecc.

2.      Le prime a trarre beneficio da queste riforme sono le donne. Infatti, l’emancipazione femminile è una priorità kemalista. Le donne, dopo lunghi secoli d’oppressione, sono in qualche modo «riabilitate», non soltanto nell’esercizio dei loro diritti politici, che talvolta precedono quelli delle democrazie classiche, ma anche nel loro modo di esistere socialmente. Tutto ciò che era contrario all’uguaglianza dei sessi è rivisto: la poligamia, il diritto di successione, la testimonianza davanti ai tribunali, l’educazione, l’esercizio di un mestiere, i diritti civili, a cominciare dal diritto di voto che precede quello delle donne di molti Paesi europei.

3.      Un fatto curioso, ma simbolico: i funzionari della Repubblica dovevano danzare con le loro mogli nei balli ufficiali, per dare l’esempio al popolo.

·             La Riforma Culturale

1.      Insegnamento unificato, misto, gratuito e

2.      obbligatorio nella Scuola primaria già dal 1924.

3.      Processo di occidentalizzazione: riforma

4.      dell’alfabeto, del calendario, del sistema metrico, dell’abbigliamento, riforma culinaria (consumo autorizzato dell’alcool). Lo Stato produce vino, birra, soprattutto rakı.

5.      Sono introdotte la musica e la danza occidentali. Conservatorio e Opéra sono creati e garantiti dallo Stato, talvolta tralasciando troppo le arti tradizionali.

 

Le riforme introdotte da Kemal, quindi, non riguardarono solo le strutture politico-istituzionali o gli aspetti economici e finanziari, ma coinvolsero tutte le manifestazioni della vita sociale della nuova Turchia. Il primo coinvolgimento riguardò la vita religiosa che lo Stato intendeva ricondurre alla sfera privata degli individui, senza interferire nella vita politica. Con l’abolizione del Califfato e l’eliminazione del concetto di religione ufficiale dello Stato, Kemal realizzò la separazione assoluta tra le istituzioni religiose e lo Stato. In questo clima politico ed estremamente impegnativo sorse un altro elemento importante: quello della lingua turca. Questa non era mai riuscita ad adattarsi all’alfabeto della lingua araba, a causa della difficoltà con cui si dovevano rendere i suoni delle vocali. Tale situazione portava ad un alto tasso di analfabetismo nella popolazione turca.

   Nella letteratura era sempre più frequente il ricorso a parole arabe e persiane leggermente modificate. Così, intorno alla metà del XIX secolo, la Società Scientifica Ottomana propose l’adozione delle lettere dell’alfabeto latino. La proposta cadde nel vuoto, ma il problema fu ripreso nel 1924 durante la Grande Assemblea Nazionale per iniziativa di un suo illustre esponente, Şükrü Saraçoğlu, ma ancora senza seguito.

   Il compito di Kemal fu agevolato da una decisione presa dalla Russia sovietica, quando fu istituito nel 1927 un organismo incaricato di elaborare un nuovo alfabeto turco per le popolazioni turcofone della Federazione. Kemal costituì un’apposita Commissione con l’incarico di preparare il nuovo alfabeto, rifiutando l’obiezione relativa alla preclusione, che sarebbe derivata per le nuove generazioni, di tutto il patrimonio letterario e culturale della tradizione ottomana. Nonostante dai suoi collaboratori giungesse il suggerimento di diluire negli anni una riforma così importante, egli ne accelerò i tempi. I funzionari della Pubblica Amministrazione furono obbligati tra l’8 e il 25 ottobre 1928 a sottoporsi ad un esame sull’uso del nuovo alfabeto, che fu introdotto con una legge promulgata il primo novembre alla Grande Assemblea Nazionale, dalla quale sarebbero stati esclusi tutti i rappresentanti non in grado di leggere e scrivere in turco.

   Nelle opere a stampa l’arabo fu proibito a partire dal gennaio del 1929, mentre dal primo giugno dello stesso anno tutte le comunicazioni tra autorità e cittadini dovettero essere scritte col nuovo alfabeto. Nel luglio del 1932 si stabilì che anche l’invito alla preghiera doveva essere rivolto in turco e non più in lingua araba.

   L’elaborazione e la promulgazione di un nuovo Codice Civile rappresentò un altro dei momenti significativi e ricco d’importanti conseguenze nello status sociale, soprattutto delle donne turche, poiché divenne illegale la poligamia, s’introdusse il matrimonio civile e la donna acquisì in materia di divorzio gli stessi diritti dell’uomo, che a sua volta non avrebbe più potuto ripudiare la moglie. Nel 1932 fu eletta la prima donna giudice e fu adeguata la Costituzione al nuovo Codice, con il risultato che le donne avrebbero goduto degli stessi diritti di elettorato attivo una volta compiuti, come gli uomini i 18 anni. Il diritto di essere elette all’Assemblea fu sancito nel 1934.

   Si forma pertanto una nuova concezione monogamica della famiglia, in cui la donna perde la sua tradizionale inferiorità: il segno più visibile è l’abbandono del tradizionale velo e la presenza femminile nelle scuole, nelle università e negli uffici diviene una realtà concreta. Si realizza una traduzione dall’arabo al turco del Corano per eliminare ogni intermediario tra il credente e la fede, si bandisce ogni segno distintivo delle cariche religiose fuori dal tempio e anche il fez, simboli del passato.

   Altre riforme mutano le abitudini secolari della società turca: l’introduzione del sistema metrico, l’abbandono del sistema arabo d’identificazione delle persone, l’imposizione di cognomi specifici (lo stesso Kemal si attribuì il cognome di Atatürk, che significa turco-padre, ovvero “padre dei turchi”). Sono aboliti i titoli di paşa, efendi, bey e hanım, si proibisce ai religiosi l’uso degli abiti talari al di fuori delle manifestazioni religiose e nel 1935 è decisa l’interruzione del lavoro dei pubblici uffici dalle ore 13 del sabato fino al mattino del lunedì successivo; quest’ultima decisione riformatrice crea più delle altre malcontento nei vasti strati della società, perché sembra voler sostituire il sabato ebraico al venerdì musulmano che, sebbene dedicato alla preghiera, comunque non era un giorno di sosta dal lavoro.

   Ci si trova di fronte ad un processo accelerato di trasformazione promosso dall’alto, anche se ci vorranno ancora molti anni perché il senso di tali riforme penetri nella società turca.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

[1] PRICE M. Philips, A history of Turkey from Empire to Republic, George Allen e Unwin LTD, London, 1955, (Trad. it. di Capasso Torre/Fiorino) p. 49.

[2] PRICE M. Philips, A history of Turkey..., cit., p. 59

[3] BIAGINI Antonello, Storia della Turchia contemporanea, Bompiani, Milano, 2002, p. 37.