Banche del tempo e sistemi di scambio locale non monetario

Verso un nuovo paradigma socio-economico

di Paolo Coluccia

 

Relazione al Convegno “Economia civile ed economia non monetaria a confronto: la realtà delle Banche del tempo”

 

Bologna, 16 febbraio 2008

 

Le società hanno progredito nella misura
in cui esse stesse, i loro sottogruppi e, infine,
i loro individui, hanno saputo rendere stabili i loro
 rapporti, donare, ricevere e, infine, ricambiare!
(Marcel Mauss)

 

Premessa: emergenza di tre nozioni sociologiche

 

Nel pensiero di Marcel Bolle de Bal emergono tre nozioni sociologiche: reliance, deliance, liance (rileanza, delianza, leanza). Tre termini intraducibili, in verità. Cerchiamo di spiegarne i contenuti essenziali. La reliance è ontologicamente legata ai concetti di deliance e di liance, come concetto a-posteriori, bisogno psico-sociale, risposta all’isolamento. Rileanza sociale come ricerca di legami funzionali, dunque, comunione umana, lo stato di sentirsi collegati. Anche idee e cose possono essere collegate, ma qui ci s’interessa alla persona umana, che deve rappresentare almeno uno dei poli da legare. Azione: atto di collegare. Status: risultato dell’atto. Creazione o ri-creazione di legami: a) rileanza tra una persona ed elementi naturali; b) rileanza tra una persona e l’umanità; c) rileanza tra una persona e le istanze della sua personalità; d) rileanza tra due o più attori sociali collettivi, fatti di persone che rappresentano le istituzioni. Dimensione non solo psicologica, ma anche sociologica della rileanza, perché l’atto di ri-collegare implica un sistema mediatore: produzione di relazioni sociali mediatizzate e complementari, tramite sistemi di segni e di istanze sociali.

La rileanza non può esistere senza istanze mediatrici: compito del sociologo è quello di comprendere le dinamiche del tessuto sociale e della sua tessitura, per stabilizzare legami sociali complementari, legami disgiunti, o entrambi. Vocazione e orientamento della ricerca in senso psico-sociologico. Rileanza a sé/Rileanza al mondo: identità, fraternità-solidarietà, cittadinanza. Complessità: questo termine esprime un’emergenza del sistema sociale globale, stanco di divisioni e particolarismi. La rileanza come un indispensabile concetto-cerniera: approccio sociologico, psicologico, filosofico. I casi concreti di processi di rileanza che falliscono dimostrano ed insegnano la profondità dello stato di delianza in cui versa la società umana moderna.

Le basi della delianza sono le seguenti: dividere per dominare (in politica, in scienza, in economia, nella produzione ecc.); razionalità strumentale e semplificante. In sociologia esistono quattro spaccature: 1) tra ricerca pura e ricerca applicata; 2) tra ricercatore e strutture sociali studiate; 3) tra progettisti ed esecutori della ricerca; 4) psicologico-interna alla persona stessa del ricercatore. Sono queste paradossalmente le razionalizzazioni che slegano: dagli altri, dalla terra, dal cielo. Carenze di rileanza come: a) delianza socioeconomica (lavoro minacciato); b) delianza sociotecnica (lavoro ‘razionalizzato’); c) delianza socio-psicologica (lavoratore isolato); delianza socio-organizzativa (potere esploso); e) delianza socio-culturale (solidarietà dislocate). La ‘ri-leanza’ suppone l’esistenza preliminare di una ‘de-lianza’ e questa uno stato di ‘pre-delianza’ che definiamo conleanza’, fenomeno di partenza, di fusione, ma non più raggiungibile (per es. feto-madre).

Si va alla ricerca di una società ragionevole fondata sulla relianza. Strumenti: ragione complessa e nuove alleanze scientifiche per evitare delianze intellettuali e delianze esistenziali. Tre punti euristici fondamentali:  a) la delianza paradigma della modernità; b) la rileanza paradigma della post-modernità (l’impulso che spinge a ricercarsi, ad unirsi, l’ideale comunitario, la società vitale, il vivere insieme); c) delianza/rileanza paradigma duale della iper-modernità (iper-complessità), ovvero sintesi indissociabile, ontologia insuperabile, coppia duale: giorno/notte, amore/odio, centro/periferia, divieto/trasgressione, vita/morte, yin/yang ecc. Quest’insieme forse spiega meglio la società contemporanea.

E, allora, la leanza che cos’è? Uno stato di fusione primaria, come il feto fuso e fondente con la madre, nel contempo fisico e psichico, destinato a dividersi. La nascita: fine di un mondo/creazione di un mondo. Doppio choc, libertà dai legami che legano, desiderio di fondersi nuovamente. All’inizio c’è sempre una separazione, come le tenebre dalla luce; poi la speranza di ritrovare qualcosa che unisca, che ci riunisca. La rileanza non abolirà la separazione, ma la trasformerà: metterà in relazione, passando dall’azione disgiunta (delianza) ad un’azione congiunta (lianza), però condivisa e conviviale, premessa di un’azione comune, ovvero di una vera comunic-azione sociale (azione-comune).

Su questa linea di pensiero e nella prospettiva della ricercazione si tenta scandalosamente una trasformazione e una ridefinizione dello schema AGIL: da adaptation, goal, integration, latency (organizzazione, obiettivo, norma, valori) ad amicizia, gioia, impegno, lealtà (incontro con alter, ben vivere, concretezza, dignità). Ha osservato Nestor Garcia Canclini (1998): «La sociologia, la psicologia e le scienze dell’informazione e della comunicazione di massa hanno contribuito notevolmente a ‘secolarizzare’,pianificare’ e ‘modernizzare’ le relazioni sociali. Alleate con le industrie e con i nuovi movimenti sociali, fecero sì che la versione struttural-funzionalista dell’opposizione tradizione-modernità diventasse il nucleo del senso comune. Di fronte alle società rurali rette da un’economia di sussistenza e da valori arcaici, predicavano i vantaggi delle relazioni di tipo urbano, competitive, dominate dalla libera scelta individuale. La politica ‘sviluppista’ diede impulso a questa visione ideologica e scientifica e la usò per creare consenso intorno al suo progetto modernizzatore presso le nuove generazioni di politici, professionisti e studenti».  E ancora: «Le scienze sociali contribuiscono a questa difficoltà utilizzando differenti scale di osservazione. L’antropologo arriva alla città a piedi, il sociologo in macchina e per l’autostrada principale, lo studioso della comunicazione in aereo. Ognuno registra quello che può, costruisce una visione diversa, e quindi parziale. C’è una quarta prospettiva, quella dello storico, che non consiste nell’entrare ma piuttosto nell’uscire dalla città, dal suo centro antico verso bordi contemporanei. Ma il centro della città attuale non è più nel passato». Eppure, c’è una quinta prospettiva: la nostra. Noi viviamo e agiamo nella nostra città. E forse è proprio questo il senso della ricercazione condivisa e conviviale. Su questi presupposti teorici e metodologici parlerò delle Banche del tempo.

 

1.      La Banca del tempo: “come”, “quando”, “perché”. 

“Come” creare una Banca del tempo?

«Metti insieme dieci-quindici persone, consegna loro un foglio di carta ed una penna e chiedi loro di scriverci sopra, oltre ai propri dati anagrafici, ciò che sanno fare o ciò che vogliono dare ad altre persone del gruppo e ciò che eventualmente vorrebbero ricevere da qualcuno. Aggrega le offerte e le richieste su un foglio più grande, fai diverse copie e consegnane uno a testa. Ora l’informazione è comune: tutti dispongono dei nomi, dei numeri di telefono, delle attività, delle disponibilità e dei bisogni di ciascuno. Una Banca del tempo nasce proprio così. Decolla quando si comincia effettivamente a chiedere e ad offrire». (Dalla prima pagina del libro: Paolo Coluccia, La Banca del tempo. Un’azione di reciprocità e di solidarietà, Bollati Boringhieri, Torino 2001, Introduzione di Serge Latouche).

 

Quando  creare una Banca del tempo?

Abbiamo scelto di vivere con gli altri almeno 10-15.000 anni fa, nell’era neolitica, ci siamo trasformati da cacciatori e raccoglitori vaganti sulla terra a coltivatori ed allevatori più sedentari. Da allora ci confrontiamo con un grande problema: come vivere insieme? Oggi questo interrogativo è più pressante che mai, a livello locale e a livello globale, come individui, ma anche come nazioni. «L’individualismo esasperato e la difficoltà di relazione ripropongono i dilemmi dell’azione collettiva: dobbiamo perseverare nella diffidenza reciproca, batterci oppure venire a patti? Comprendendo i bisogni dell’altro e soddisfacendo le proprie necessità con ciò che gli altri ci offrono, possiamo superare molti limiti sociali, economici e culturali, per inaugurare una società (locale e globale) fondata sul dono libero e sulla reciprocità generalizzata, ovvero sulla cultura della reciprocità». (Dal libro: Paolo Coluccia, La cultura della reciprocità. I sistemi di scambio locale non monetari, Arianna Editrice, Casalecchio-BO 2002).

 

Perché” creare una Banca del tempo?

La società attuale, spesso definita come società dell’informazione e della conoscenza, «offre grandi opportunità, ma presenta anche molteplici difficoltà, tra queste il divario tra chi sa e chi non sa; ponendo così il problema dell’esclusione. Una soluzione può essere l’incremento della cultura della relazione e dello scambio sociale, economico e culturale, per passare da una società dei subordinati (l’età moderna) ad una società degli associati (l’era emergente). La Banca del tempo si inserisce in questo scenario aggiungendo alle forme d’azione nello spazio pubblico e nello spazio privato una nuova forma d’azione, quella in uno spazio comune. Le Banche del tempo liberano una parte del tempo della vita e soprattutto fanno capire che nella sostanza il tempo non è denaro, capovolgendo così la forzatura dell’economicismo moderno. Un progetto locale, dunque, per finalizzare la proposta soprattutto verso l’orizzontalità dei rapporti interindividuali ed intersoggettivi». (Dal libro: Paolo Coluccia, Il tempo… non è denaro. Riflessioni sui sistemi di scambio locale non monetario e sulle Banche del tempo, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 2003).

 

2. Le dinamiche temporali di una società in mutamento e gli spazi di relazione sociale [1]

Reciprocità, simmetria e scambio sociale

La filosofia della Banca del tempo si basa sull’azione di reciprocità generalizzata ed indiretta, sul principio della simmetria e sulla dinamica dello scambio sociale, per il raggiungimento della solidarietà e dell’integrazione sociale.

Cos’è la reciprocità generalizzata o, più semplicemente, indiretta? Si dà a qualcuno, per ricevere da qualcun altro. Si scambiano così, senza l’intermediazione del denaro, beni, servizi e sapere. L’azione è necessariamente locale. Lo strumento è un’associazione senza fini di lucro che in Italia ha preso il nome di Banca del tempo. Il fine è la solidarietà tra i soci e di questi verso la comunità d’appartenenza. Tutti hanno la possibilità di dare e chiunque ha bisogno dell’altro per ricevere. Il comportamento individuale è il dare, il ricevere e il ricambiare. E’ uno scambio tra equivalenti, ma non di mercato, dove lo scambio segue la contrattazione diretta (qualcuno cede la merce in cambio del denaro di qualcun altro). In un sistema di reciprocità si dà a qualcuno per ricevere da qualcun altro in tempi e modi differenti. Al posto del contratto c’è il patto.  Non è nemmeno assimilabile al baratto, come confusamente molti sottintendono, perché anche il baratto si svolge frontalmente tra gli equivalenti: si dà un oggetto in cambio di un altro d’uguale valore, d’uso o convenzionale non importa, sempre a seguito di contrattazione. “Il principio del baratto dipende per la sua efficacia dal modello di mercato” (Polanyi, 1974).

La simmetria è il principio (requisito) fondamentale in questi rapporti interindividuali.

Si manifesta:

a) nella produzione e nell’uso dell’informazione (tutti contribuiscono a creare il circuito informativo di ciò che si dà e di ciò che si riceve – bollettino offerte-richieste);

b) nella parità sostanziale degli individui in rapporto alla prestazione offerta nel sistema (un’ora dell’imbianchino vale quanto un’ora dell’esperto informatico);

c) nel pareggio a saldo di tutti i conti individuali, in dare o in avere, considerato che tutti partono con un conto zero (quando qualcuno riceve si “indebita” mentre chi ha dato si “accredita” di ore di tempo o di unità locali di conto) (cfr. Coluccia, 2002).

Lo scambio sociale consiste della relazione dinamica di ego verso alter; finalizzata alla solidarietà del noi, al legame sociale (condivisione), alla comunic-azione (azione-comune). La dimensione umana della reciprocità instaura un nuovo settore sociale: quello della spontaneità e del dono (cfr. Coluccia, 2001, 2002, 2003).

Le Banche del tempo e i sistemi di scambio non monetario non vogliono soppiantare lo stato o il mercato, - questo è importante, anche se non è tutto (Rifkin, 2000) e regola gli scambi della maggior parte degli individui (Godbout, 1993) - ma producono un’innovazione basata sui fondamenti antropologici e culturali del dono. “Le società hanno progredito nella misura in cui esse stesse, i loro sottogruppi e, infine, i loro individui, hanno saputo rendere stabili i loro rapporti, donare, ricevere e, infine, ricambiare!” (Mauss, 1965). Infatti, “l’etica dello scambio sociale permette di concepire una rifondazione della democrazia” (Latouche, 2000).

 

3.      Un po’ di storia e le esperienze straniere

Questi sistemi di scambio locale si diffondono nel mondo con motivazioni e modelli differenti, anche se è unanimemente riconosciuto che il sistema iniziale e trainante è stato il sistema LETS di M. Linton, elaborato in Canada sulle ceneri di un’esperienza analoga fallita per ingenuità e per inesperienza dei promotori.

Dal 1975 si organizzarono in Canada i LETSystem (Local Echange Trading System), che utilizzarono monete locali riferite alla valuta nazionale, al dollaro o al tempo inteso come ora di lavoro. Dal 1985 i LETS, dopo qualche clamoroso fallimento e qualche affinamento tecnico-contabile e con l’apertura della gestione e dell’organizzazione agli aderenti, si sono diffusi rapidamente in Europa (Inghilterra, Germania, Francia, Belgio, Scozia, Italia ecc.) e nel mondo (Argentina, Messico, Venezuela, Brasile, Australia, Senegal ecc.). La parola lets, oltre che il significato dell’acronimo, può significare provocatoriamente anche ‘Lasciatecelo fare!’. In Inghilterra si cercò di arginare le difficoltà causate dalle politiche tatcheriane.

            In Francia oltre ai SEL (Sistème d'Echange Local), orientati in senso ecologico ed anti utilitarista, si sono organizzati RERS (Réseau d'Echange Réciproque de Savoir - Rete di scambio reciproco di sapere) e Troc-Temp (Baratto di tempo). Interessante la Route des SEL, organizzazione nazionale di ospitalità per viaggiatori aderenti ai SEL che permette il pernotto gratuito presso le famiglie che vi aderiscono.

 In Germania esistono diverse configurazioni di sistemi di scambio: i Tauschringe (Cerchi di scambio), i Talents (sistema Talenti), le Zeitbörse (Borse del tempo). Singolare il motto dei Tauschringe:Vai, anche senza marchi!’.

In Belgio è testimoniata la presenza e la sperimentazione di SEL e di LETS: questo ultimo acronimo, a differenza di quello inglese riferito allo scambio commerciale ed economico, significa soprattutto Locale Scambio di Talenti e di Servizi, dove per talenti s’intendono le capacità personali creative dell’individuo.

In Olanda è attivo un gruppo che divulga e sostiene i sistemi di scambio locale: Aktie-Strohalm. Questa associazione ha organizzato a Strasburgo nel 1998 un Seminario Internazionale Lets con il fine di sviluppare questi sistemi non monetari nelle nazioni dell’Est dell’Europa. Oggi la divulgazione si è fatta ancora più ampia e punta decisamente su alternative economiche.

Nel 1991 ad Ithaca (New York) parte un sistema orientato a controllare gli effetti negativi dell’economia di mercato. Si stampano le Ore di Ithaca, monete locali multicolorate dipinte su carta filogranata o su canapa tessuta a mano con inchiostro termico, alle quali si è dato un corso legale parallelo. Alcuni bar, ristoranti e cinema accettano le Ithaca-Hours. Questo contante rispetta l’ambiente, non è speculativo e crea lavoro e consumo responsabile.

In Argentina, sempre agli inizi degli anni 90, si formano i Clubs de Trueque (Clubs di scambio) riuniti successivamente in un progetto di comunicazione denominato Red de Trueque. Con queste associazioni si tenta di rilanciare il dinamismo economico perduto dalle comunità negli anni ’80. La Red cerca di mettere le popolazioni in condizione di rispondere ai problemi di esclusione generati dalla globalizzazione dei mercati. Il motto è:Il futuro non sta scritto!’. Interessante il forum organizzato sul sito http://money.socioeco.org dal 5 febbraio al 5 aprile 2001 sul tema della Moneta Sociale e in preparazione del Seminario internazionale di Santiago (Cile) rivolto alla creazione di un Polo di Socio-Economia Solidale in seno all’Alleanza per un Mondo Responsabile, Plurale e Solidale. Seguì dopo qualche mese un altro incontro a Findorm, in Scozia. Di recente ci sono stati grossi problemi nella gestione dei creditos (moneta sociale del Trueque), che hanno invaso la società argentina e sud-americana, per abusi di emissione compiuti da organizzazioni malavitose.

L’Australia conta il sistema Lets più numeroso per numero d’iscritti (si parla di 1800 aderenti) e di famiglie coinvolte nello scambio: il Blue Mountain. Ma le notizie sono molto superficiali, a parte un tour di conferenze in Europa di una sua animatrice, Gil Jordan, verso la metà degli anni ‘90.

In Senegal sono nati i SEC (Sisthèmes d’Echange Communautaire). Si prefiggono non tanto di generare legame sociale (l’Africa ne ha da ‘vendere’) ma di dinamizzare gli scambi economici, la reciprocità e l’auto-aiuto, mediante reti locali e gruppi di vicinato e di prossimità, con una particolare attenzione alle persone svantaggiate.

            Interessante la recente attività di scambio on-line sulla rete Internet da parte di due organizzazioni: Notmoney in Venezuela (si scambia di tutto: vacanze, viaggi, attività ecc. Stimolante il progetto Interser coordinato da Alberto Moron, anche se ultimamente, dai momenti difficili del paese, non ho più notizie dirette) e GRB (Global Resource Bank) negli USA (una Banca globale di risorse che produce ricchezza in maniera conforme alle necessità della produzione e dell’ecosistema: si può godere la prosperità globale, eliminare la povertà, l’inquinamento e rendere l’ambiente naturale sano e generoso mediante gli eco-crediti, la vera ricchezza della terra).

            Ultimamente M. Linton ha spostato il suo campo d’azione in Giappone dove sta stimolando, tra tanti problemi e preoccupazioni, sistemi di scambio basati sulla moneta sociale. Ne sono sorti di diverso genere, anche sulla spinta di un programma televisivo.

 
4. Le Banche del tempo in Italia

In Italia il fenomeno delle Banche del tempo e dei sistemi locali di scambio non monetario che generano altruismo reciproco generalizzato è molto differenziato. Possiamo distinguere, in modo molto approssimativo, tre modelli di Banca del tempo:

- la Bdt organizzata, finanziata e gestita dal Comune, a seguito di deliberazione della giunta comunale, con un funzionario pubblico che fa l’animatore, il coordinatore e il segretario dell’esperienza.  Questo modello, sviluppatosi in molte città italiane del centro-nord, vede nella Bdt un servizio pubblico da fornire al cittadino, qualificato come utente o cliente, che per le sue necessità si rivolge ad uno sportello, stacca degli assegni per le prestazioni, si accredita o si indebita per le prestazioni date o ricevute, riceve il suo bravo estratto conto periodico…, proprio come avviene nell’immaginario economico e monetario del sistema bancario, solo che al posto delle monete in queste organizzazioni si deposita  e si conteggia il tempo.

-        la Bdt che nasce all'interno di un’associazione, di una cooperativa o di un’organizzazione sindacale (Arci, Misericordie, Mag, Auser ecc.). Questi gruppi già costituiti e funzionanti fanno muovere (a mo’ di balie) i primi passi alla neonata iniziativa sociale  In positivo, si lascia alla fine che la Bdt proceda con le proprie gambe e che si apra alla comunità; in negativo, può avvenire che il rapporto ideologico di fondo crei dipendenza, perduri all'infinito e che il sistema rimanga chiuso ed individualizzato all’ambiente sociale.

-        la Bdt come sistema autonomo, autofinanziato e autogestito che nasce su iniziativa di alcuni individui ampiamente motivati, spesso carburati ideologicamente (in senso politico, ambientalista, solidaristico ecc.), che si riuniscono ed elaborano un progetto di azione comune, che si autofinanziano e che si autonormano con uno statuto ed un regolamento e con degli strumenti semplici di informazione e di contabilità, per favorire e per registrare gli scambi di reciprocità generalizzata Non nascondo una certa simpatia per questo modello, pur con qualche riserva. Infatti, il substrato ideologico, se per un verso fa da collante, dall’altro può isolare il gruppo dalla comunità. Inoltre, quando le controversie non si ricompongono facilmente  si rischia l’implosione del sistema.

          Il modello di Banca del tempo che divulgo e promuovo è comunque quello autonomo e autogestito, non inficiato da significazioni ideologiche o settarie.

E’ stata emanata qualche anno fa una Legge dello Stato (Legge 8 marzo 2000, n. 53 “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”) che tenta di stimolare la nascita di Banche del tempo. Come tutte le leggi in materia di legislazione sociale, tale norma disciplina (o almeno cerca di disciplinare) e istituzionalizza, lo spazio d’azione pubblico, che è cosa ben diversa dallo spazio comune.

In seno all’associazione sindacale CGIL è sorto verso la metà degli anni ‘90 un osservatorio (Tempomat) delle Banche del tempo, che ha censito, registrato e stimolato la nascita di queste associazioni. Verso la fine dell’anno 2002 Tempomat è ‘passato di mano’, cioè, avendo la principale sostenitrice, per intervenuti ulteriori impegni, deciso di lasciare questo impegno, l’attività dell’osservatorio è stata divisa  in tre parti (sito internet, software di gestione Bdt, formazione). Il tutto è passato alla gestione di alcune persone che nel proprio territorio avevano implementato una Banca del tempo o qualcosa di simile.

La regione Emilia-Romagna ha svolto un ruolo propositivo e divulgativo, soprattutto nell’ambito delle politiche sociali, curando di recente innanzitutto la bibliografia e le pubblicazioni inerenti questi sistemi di scambio e sostenendo un progetto di Banca del tempo-on-line su internet. Ma anche altri Enti locali, ai vari livelli, hanno cercato di sostenere con mezzi finanziari e divulgativi queste associazioni. Spesso, però, lo sforzo non è stato ripagato e parecchie esperienze sono rimaste a livello di progetto, si sono arenate dopo i primi tempi o sono diventate delle scatole vuote. Non sono mancate, comunque, Bdt attive ed interessanti, almeno nei periodi di punta del fenomeno (anni 1997-2000).

            L’organizzazione no profit Lunaria di Roma ha fatto una notevole attività di divulgazione di questi sistemi locali di scambio non monetario. Con il patrocinio della Commissione Europea ha organizzato il 7 giugno 2001 il primo meeting dell’European Network of Non-Monetary Echange Systems (ENNES), al fine di formalizzare una rete cui aderiscono le più significative esperienze di scambio europee. La rete persegue la promozione dei sistemi non monetari, considerati strumenti di inclusione sociale, mediante la divulgazione di informazioni sulle esperienze attive e significative. I sistemi di scambio non monetario ricreano le reti della comunità riequilibrando il tempo di lavoro con il tempo della vita e facendo emergere le risorse locali, sviluppando le opportunità per uomini e donne e favorendo le buone relazioni. Purtroppo, anche in questo caso, dopo una prima riunione a Bruxelles, l’azione non è continuata e non è stata approfondita.

            Il mondo della ricerca universitaria non è stato a guardare. Numerose le tesi di laurea, nelle più disparate facoltà e discipline (Sociologia, Antropologia, Giurisprudenza, Servizi sociali, Scienze della formazione, Economia ecc.), e i dottorati di ricerca, in università prestigiose, come la Sapienza, la Bicocca ecc.

            Futile, fuorviante e soprattutto deludente l’intervento di giornalisti, soprattutto della carta patinata, che hanno ricalcato nelle loro pagine, in un certo determinato periodo (1997-1998), una lunga serie di luoghi comuni, senza riuscire a cogliere gli aspetti significanti e qualificanti di questi sodalizi. Inutile dire che è mancato l’approfondimento, a parte qualche rara eccezione, come la rubrica Diario dell’Unità (1996) o qualche trasmissione televisiva (Speciale TG1, 1997) o radiofonica (Gr2-cultura e I misteri della notte-Gr2, 2001, 2002) della RAI.

 

5. La mia esperienza diretta, sul filo del pensare, immaginare, osare, investigare, discutere e scrivere (M. Castells)

A Martano (LE), il comune dove abito, l’esperienza di Banca del tempo autogestita nell’associazione ASSEM (Associazione per lo Sviluppo Sociale ed Economico di Martano), a cui ho partecipato e che ho animato, parte verso la fine del 1996. All’inizio il sistema è molto simile ad un LETS, infatti viene denominato Sistema di Scambio Locale (SSL), ed è finalizzato alla fondazione di relazioni d’aiuto sociali ed economiche (reciproche ed indirette) tra gli aderenti, mediante un sistema non-monetario. Il richiamo economicistico in alcuni aderenti è predominante. Si utilizza una unità locale fittizia per conteggiare gli scambi: il mistòs, rapportato alla lira, (un mistòs = una lira) (dal grìco – antica lingua locale – che significa ‘soldo’: ‘Vali quanto un soldo!’ nel linguaggio popolare martanese significa ‘non conti nulla!’). Dopo qualche mese, nella primavera-estate del 1997, il sistema di scambio non monetario si evolve. L’idea di fondo diventa il ‘dono’, quello ‘libero’, riconducibile al triplice comportamento del dare, del ricevere e del ricambiare, così felicemente descritto da Marcel Mauss. Con la trasformazione del SSL in SRI si passò ad un rapporto con il ‘tempo’ (base oggettiva: un’ora = 10 mistòs) e al grado di ‘riconoscenza e di libertà’ del gesto del donante percepito dal ricevente (su base soggettiva). Ne è venuto fuori un modo di ‘quantificare’ completamente estraneo alla logica economica, sia essa onerosa (di mercato) che temporale (delle BdT in generale). Anche la registrazione della prestazione non avveniva con assegni-tempo, ma conattestazioni di dono’ che il ricevente rilasciava alla fine della prestazione. Non erano depositate ore come in molte BdT e i soci non erano ‘clienti’ del sistema ma ‘fruitori’ del ‘loro’ sistema. L’associazione garantiva che l’informazione fosse trasparente, comune. Tutti i soci potevano conoscere in qualsiasi momento la propria e la altrui situazione di conto. Anche l’ASSEM era unsocio’ del sistema, che accorpava sul suo conto le quote tessera in mistòs (50 mistòs per socio) che servivano per gestire il sistema in modo completamente non-monetario, per la tenuta della contabilità, per la redazione del bollettino cerca-trova, per il recapito della posta ai soci ecc. Nel sistema è transitato di tutto: verdure spontanee, ortaggi ecologici, trasporto di cose e persone, aiuto allo studio, piccole manutenzioni, consigli estetici, lavori al computer, attività di cucito, artistiche, sportive, lavori di giardinaggio, cibi, torte ecc. Ma è transitata soprattutto tanta socialità, promozione sociale e comunicazione. C’è stato un notevole interesse per l’esperienza da parte di mass-media locali e nazionali. Alcune tesi di laurea discusse in varie facoltà universitarie italiane hanno trattato quest’esperienza associativa di scambio locale. I risultati previsti dall’idea-progetto dell’ASSEM erano: 1) la presenza di un sistema di scambio non monetario; 2) una rete tra associazioni; 3) una comunità interagente ed associata, partecipativa, capace di programmare lo sviluppo locale; 4) la presenza di gruppi tematici e territoriali dinamici e propositivi; 5) la costituzione di un ‘fondo non-monetario’ di partecipazione allo sviluppo locale, alimentato con percentuali prelevate sul volume annuale degli scambi da destinare alla comunità. I risultati ottenuti sono stati il sistema non-monetario e la costituzione di alcuni gruppi di base tematici e territoriali, purtroppo non tutti dinamici. Non sono nate reti tra associazioni ed è stato complicatissimo spiegate il concetto di comunità interagente e associativa, cioè partecipativa. Ci sono state alcune riunioni con altri gruppi, con associazioni e con l’Amministrazione comunale, per spiegare l’idea-progetto e per attivare una rete, ma non si sono viste concrete convergenze e tutto è rimasto nel vago e nel provvisorio, soprattutto la costituzione del fondo di partecipazione allo sviluppo locale.  Possiamo affermare che l’idea-progetto dell’Assem ha sempre navigato in acque difficili e a volte anche controcorrente. Inoltre, non ha avuto un impatto significativo sul territorio e sulla popolazione. Anche tra gli stessi soci ci sono state attese, motivazioni, approcci e dinamiche differenti e discordanti. Non è mancato, come in ogni buona famiglia, lo scontro e il diverbio, la lite e la chiacchiera. Ci sono stati momenti buoni, altri difficili, altri dolorosi, altri entusiasmanti. Ma tanti sono stati i problemi e i momenti di difficoltà dovuti a fraintendimenti, incomprensioni, polemiche che ne hanno rallentato cospicuamente l’attività nel 2000, fino a far cessare totalmente nel 2001 gli scambi tra i soci. (Per un approfondimento complessivo dell’esperienza si può visitare il mio sito Internet e leggere la seconda parte del mio libro del 2002). Dove più, dove meno, queste problematiche compaiono in quasi tutte le esperienze finora conosciute in Italia e nel mondo. Forse un po’ tutti abbiamo anticipato ‘i tempi’ o sbagliato in molte cose! Ma non bisogna abbattersi. Al contrario, occorre stimolare le esperienze a continuare e a ricrearsi, anche seguendo le derive e i nuovi orientamenti sociali e culturali.

 

6. L’innovazione sociale

La Banca del tempo può essere considerata un’innovazione sociale. E’ un termometro sociale con cui è possibile misurare la promozione di sé, la cittadinanza attiva, la solidarietà, la capacità di progettazione della comunità d’appartenenza, nella coesione sociale e nella salvaguardia delle diversità individuali, psicologiche e culturali.

E’ difficile inquadrare le Bdt e i Sistemi di scambio locale non monetari. Succede spesso e in ogni contesto sociale e culturale. Ma proprio per questo la Bdt è un’innovazione socio-culturale ed economica. La sua azione sociale è  molto complessa ed articolata, al limite dell’irrazionale. La sua base teorica più profonda è il dono, che si estrinseca nella triplice azione del ‘dare – ricevere – ricambiare’. Si tratta però del dono con radice antropologica, libero e finalizzato alla solidarietà, non si tratta della gratuità, dell’assistenzialismo, della filantropia o dell’azione volontaria ‘del giorno dopo’. La Bdt non ha niente in comune con il volontariato, tanto meno con il baratto, che altro non è che un mercato vero e proprio tra equivalenti, privo dell’intermediazione del denaro. Difficile inoltre il rapporto con il settore pubblico, in quanto lo ‘spazio d’azione’ della Bdt è lo ‘spazio comune’, quello della condivisione e della reciprocità.

La modernità ha teorizzato e legittimato nel suo progetto socio-economico lo spazio d’azione pubblico e lo spazio d’azione privato. Esiste, infatti, ildiritto pubblico’ e il ‘diritto privato’. Ma manca totalmente (o quasi) la teorizzazione dello ‘spazio comune’ (cum munus, con dono), del diritto comune, della comunità, luogo consacrato, fondamentale e determinante, al legame sociale, alla solidarietà, generatore di ‘capitale’ sociale, da cui tutto discende (mercato, società, cultura, famiglia, istituzioni…) e non il contrario, come spesso si pensa o come molti economisti contemporanei voglio farci credere.

La Bdt può essere considerata uno strumento per rimettere in campo un clima di convivialità, per avere la chance di poter ancora vivere ‘insieme’, liberi, uguali e diversi (Touraine, 1998). Ma è anche uno stimolo all’autorganizzazione, all’autoreferenzialità: non si può ancora credere che possa essere la società (una pura astrazione concettuale!) ad organizzarsi, in quanto possono farlo solo gli individui, qualora ne sentano la necessità, il bisogno e trovino la giusta volontà. E’ un viaggio cominciato oltre diecimila anni fa, nel neolitico, che non si è mai interrotto e che è destinato a continuare fino a che la specie umana non si estinguerà. E le istituzioni e le organizzazioni sociali, se ci credono, possono ‘accompagnare’ questi movimenti, collaborando e operando con complementarietà, ma mai prevaricando con arroganza e paternalismo intriso di subalternità. Anche questa è una importante innovazione sociale, per non dire una scommessa.

Queste esperienze di scambio locale non monetario sono intraviste in un documento di lavoro, effettuato da un gruppo di studiosi operanti nel Nucleo Valutazioni Prospettive della Presidenza della Commissione Europea nel 1999, che complessivamente disegna cinque probabili “scenari” europei nell’anno 2010. In uno di questi scenari, il secondo, definito I cento fiori, naturalmente caratterizzato dal un “equilibrio instabile”, dove “la distribuzione sempre più disomogenea della ricchezza, la proliferazione della criminalità internazionale e la moltiplicazione dei piccoli conflitti regionali stanno destabilizzando il sistema mondiale, che tuttavia continua a reggere alla meno peggio”, poiché “prigionieri di mentalità e modalità operative arcaiche, gli apparati amministrativi e i sistemi politici delle capitali non sono riusciti a tenere il passo con questi fenomeni di micro-rinascimento e hanno lentamente perso il contatto col mondo reale”, considerato che “l’immobilismo delle gerarchie, lo spezzettamento delle competenze e l’eccessiva fiducia nella scienza avevano gettato i semi di un diffuso disimpegno”, “in un’epoca in cui le società si facevano sempre più complesse, il progresso tecnologico sempre più rapido e le esigenze individuali sempre più differenziate, le burocrazie rimanevano rigide e incapaci di adeguarsi a situazioni sempre eterogenee”, e “la classe politica si rivelò intrinsecamente incapace di rispondere al grande disagio, oscillando tra immobilismo e demagogia”, le Banche del tempo, insieme a cento micro-iniziative innovative, fanno capolino nella società europea, in quanto, per fronteggiare la crisi politica, economica, sociale e culturale determinatasi nel quinquennio 2000-2005, “l’opinione pubblica mostrò un forte spirito d’iniziativa: nacquero centinaia di gruppi civici”. Pertanto “si assiste in questo periodo all’ascesa di collettività locali dinamiche come quelle odierne”, si osserva nel documento futuribile. “E’ ormai raro – continua lo studio – trovare un comune o un quartiere che non abbia la propria valuta e una banca del tempo in cui scambiare lezioni private, attività culturali e ogni tipo di servizi alla persona (come ripetizioni, assistenza a bambini e anziani e collaborazioni familiari). Le associazioni locali, spesso gestite da donne, pensionati o neolaureati, si sono moltiplicate e di fatto trasformate in piccole imprese. Gran parte di queste opera in modo informale, senza preoccuparsi di registrarsi presso le autorità competenti o di pagare le imposte. Alcune, con l’aiuto delle autorità locali, svolgono un ruolo importante nell’erogazione di piccoli prestiti ai privati e alle imprese con problemi immediati  di liquidità. Altre hanno istituito ‘casse comuni’ per finanziare reti di sostegno economico e, se necessario, persino offrire borse di studio o di riqualificazione professionale. Le più avanzate possono anche erogare prestazioni sociali. Altrove sono nate nuove forme di aggregazione sindacale per difendere i diritti dei cittadini in generale oltre a quelli dei lavoratori. La stragrande maggioranza di queste strutture locali è rimasta molto aperta al mondo esterno. Sfruttando tutte le possibilità dell’informatica (senza la quale molte di loro non sarebbero mai nate) hanno instaurato comunicazioni, partnership e scambi di esperienze a livello internazionale non soltanto all’interno dell’UE ma anche con controparti nell’Europa orientale, nel Mediterraneo e in Africa”.

Nessuno di noi si augura uno scenario ‘possibile’ della società europea nell’immediato futuro fondato sul paradigma dell’equilibrio instabile, ma in ogni caso occorre non farsi trovare impreparati, in quanto, per dirlo in senso metaforico, o se si preannuncia il temporale o se le previsioni prevedono ottimisticamente il cielo sereno e il sole splendente, non costa nulla portarsi nello zaino il ‘parapioggia’ ben piegato, che, se indossato con il bel tempo fa scoppiare dalle risate i passanti, ma se estratto al momento giusto e all’inizio di un violento temporale può farci passare per persone previdenti ed intelligenti. E le Banche del tempo sono quasi la stessa cosa…

 

Conclusioni

Una società più giusta. Un’economia più umana. Il diritto di essere riconosciuti dagli altri. Su questi principi ci si interroga spesso senza trovare risposte esaurienti. Ma come creare le basi di una società più giusta, più solidale; di un’economia più equa, più distributiva; di un rapporto con gli altri più conciliante, più condiviso? Tutte queste domande se le pone chi come me guarda alla Banche del tempo come ad un luogo di scambio e di generosità, di aiuto per le difficoltà sociali ed economiche, come soluzione a qualche problema quotidiano pratico, come miglioramento della propria vita, come antidoto contro la solitudine… Molte sono le definizioni, magari ingenue ma sempre consapevoli di un nuovo modo di vivere la propria vita, che vengono date di questa forma di associazione, a volte frutto dell’iniziativa spontanea di gruppi di cittadini, ma spesso promossa da enti e associazioni.

 

La comunità è un luogo deputato alla reciprocità, alla solidarietà, alla condivisione e alla parità. Il denominatore comune di ogni rapporto sociale è il tempo, ma non il tempo della produzione, né il tempo libero, ma il tempo che si può dedicare a se stessi e agli altri. Non siamo padroni del tempo, anche se pretendiamo di esserlo in tutti i modi. Esso ci sfugge, non ci basta mai, non riusciamo ad allungarne la durata nemmeno per un secondo. Ecco perché dobbiamo imparare ad usarlo meglio, non per un tornaconto utilitaristico, ma per comprendere gli altri, per costruire relazioni, per l’incontro, per fondare la propria comunità. Il significato etimologico di comunità è il seguente: “cum munus”, “con dono”, scambio reciproco con gli altri di beni, servizi e saperi, di ciò che abbiamo o sappiamo fare, delle ore che possiamo dedicare alla nostra comunità. Questo è la Banca del tempo. Essa è uno strumento semplice, facile da capire, concreta nei fatti, ma anche difficile da spiegare, contraddittoria e rischiosa nei fondamenti, perché nella relazione della reciprocità indiretta (dare a qualcuno e ricevere da qualcun altro) si accetta il rischio che si può dare e non ricevere quando si chiede. Proprio qui sta la sua più profonda innovazione sociale, tale però che può aiutarci a ricomprendere e a riproporre un modello più umano della nostra società.

 

Una società in mutamento, spesso definita complessa e incerta, pone interrogativi spesso inquietanti. La tecnologia ha liberato il nostro tempo, ci ha fornito tanti mezzi, ma mai come oggi ci sentiamo poveri di tempo ed insoddisfatti.  Sembra un paradosso che in una società dove il tempo a disposizione delle persone è davvero tanto, sia per chi lavora sia per chi non fa nulla, esso non basti mai. Nel tentativo di recuperare gran parte del tempo che si perde o si spreca, la Banca del tempo può svolgere un ruolo propedeutico importante. Può cioè educare a far uso positivo della risorsa tempo, non in una logica strumentale di scambio mercantile o di prestazione assistenziale, ma nel quadro di rapporti comunitari improntati alla reciprocità dello scambio non solo economico tra le persone.  Ha scritto M. Sahlins: “Le persone più primitive del mondo hanno pochi beni e mezzi, ma non sono povere. La povertà non è avere una piccola quantità di beni e mezzi, né una relazione tra bisogni e fini; è soprattutto una relazione tra le persone. La povertà è una posizione sociale. Come tale è un’invenzione della civilizzazione”. Su un pianeta così ricco di ecosistemi e di alta tecnologia non c’è giustificazione per la povertà. Abbiamo fondato la nostra libertà sulla proprietà privata. Ma la vera libertà, dice J. Rifkin, “è figlia della condivisione, non del possesso”. Il modello sociale ed economico occidentale porta inevitabilmente all’individualizzazione e alla dispersione delle comunità locali.

 

Occorre agire e riflettere, anche in contesti limitati geograficamente, per innovare il comportamento delle persone e per ideare una nuova possibilità, un nuovo spazio d’azione, un progetto locale. Ecco perché è importante immaginare un nuovo settore sociale, spontaneo ed informale, basato su rapporti di parità, di ragionevolezza e di condivisione. Questo è ciò che io chiamo nei miei scritti: lo spazio comune. Il progetto della modernità ha sempre più parcellizzato il concetto di tempo. Si parla spesso di tempo di lavoro, tempo di riproduzione e cura, tempo libero, tempo per le buone azioni... Ma il tempo nella sua essenza è il tempo della vita, della nostra vita insieme con quella degli altri. Dare all’altro un giusto riconoscimento (timós) significa realizzare una complessa dimensione d’in-timità, di solidarietà. Scambiare il nostro tempo alla pari può servire ad incontrare e a riconoscere nel giusto valore gli altri. Una Banca del tempo si basa sulla reciprocità e sulla comunicazione (leggi azione-comune), ovvero sulla simmetria. Tutti conoscono tutto di tutti: offerte, richieste, bisogni; scambi, contabilità, moneta; creatività, illusioni e sogni. Un unico “difetto”, si fa per dire: non si usa denaro negli scambi! E allora? … Addio Premio Nobel per l’economia.

 

Le derive della società moderna sembrano volerci costringere all’individualismo più egoistico, al consumismo più inutile, alla logica dello scontro e del contrasto. Noi vogliamo reagire a questa prospettiva negativa con un’azione sociale innovativa, con una ricerca sociale, con un movimento pratico comune che faccia emergere l’amicizia, la professionalità, la solidarietà, la socialità, le potenzialità della persona e il miglioramento socioeconomico, mediante la creazione di gruppi non istituzionalizzati e non omogenei, minimamente strutturati in associazione e con differenti scopi sociali, organizzati in sistemi socioeconomici non monetari, a vocazione comunitaria, cercando di comprendere e di far proprio il semplice, ma ad un tempo complesso, concetto della reciprocità indiretta e del dono libero.

Vorrei concludere con le parole di Cornelius Castoriadis: “Dovremmo volere una società in cui i valori economici non siano più centrali (o unici), dove l’economia sia rimessa al suo posto come semplice mezzo della vita umana e non come fine ultimo, una società in cui si rinunci dunque a questa corsa folle verso un consumo sempre crescente. Tutto ciò è necessario non soltanto per evitare la definitiva distruzione dell’ambiente terrestre, ma anche e soprattutto per liberarci della miseria psichica e morale propria degli uomini contemporanei”.

            L’altro non può rappresentare un problema; l’altro è la nostra speranza. Abbiamo tre scelte di fronte: considerare l’altro superiore a noi ed annuallarci; considerarlo inferiore a noi e distruggerlo. La terza scelta, ci dice sempre Castoriadis, è quello di considerarlo “pari”, di riconoscerlo nella sua entità e nella sua dignità di essere vivente.

           

             Bibliografia di riferimento

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[1] Parte di questo testo è stato pubblicato su MA@MA, rivista elettronica di scienze umane e sociali (www.analisiqualitativa.com), numero 4, ottobre-dicembre 2003, col titolo La filosofia della reciprocità: Banche del tempo e sistemi di scambio non monetari.