Miti, riti e tribalizzazione delle società post-moderne

 

     (Traduzione italiana di Paolo COLUCCIA – paconet@libero.it http://digilander.libero.it/paolocoluccia)

 

 

di Sandrine Basilico

 

Dottoressa in Antropologia della comunicazione sociale. Membro del GREDIC-CNRS (gruppo di ricerche sulla diversità culturale, laboratorio comunicazione e politica, UPR36). Esperta presso il Consiglio d’Europa per le questioni relative alla diversità culturale ed alla globalizzazione.  Insegnante e ricercatrice, Università di Nizza. Autrice di opere e di articoli riguardanti la globalizzazione culturale. Ultime pubblicazioni: Mondialisation et intégration des minorités ethniques au Viêt-Nam, Paris, L’Harmattan, 2003 ; «Redéfinir le Patrimoine culturel à l'heure de la globalisation» in Lardellier P. (Dir.) Des cultures et des Hommes. Clefs anthropologiques pour la mondialisation, Paris, L’Harmattan, Collection Logiques sociales, 2004.

 

Riassunto

Nella società contemporanea, segnata in prevalenza dell’attività comunicativa, la riappropriazione dei riti, dei miti e dei simboli è importante.  Il “dato sociale”, con il quale ciascuno strutturalmente avrà a che fare, favorisce l’impegno organico degli uni verso gli altri. Cioè una forma di tribalismo.

 

Parole chiave: Mito, rito, simbolico, tribalizzazione, post-modernità.

 

 

Introduzione

 

Nei confronti della riapparizione dei miti e dei riti, che induce ad una sacralizzazione delle relazioni sociali, il concetto dell’intervento sociale può essere interrogato come luogo di mobilizzazione socio-emozionale ed istituzionale dei gruppi sociali. Poiché intervenire è comprendere la forza dell’immaginario sociale nella sua dimensione creatrice, in una società profondamente influenzata dai suoi miti fondatori, gli attori sociali si trovano di fronte alla pluralità degli aspetti di una realtà sociale in cambiamento.

 

Espressioni complementari di uno stesso destino, che rassicurano per il suo aspetto ripetitivo, i miti e i riti ricordano in effetti alla comunità che “fa corpo”, che funge da anamnesi con la solidarietà.

 

Dopo una definizione dei miti e dei riti, studieremo la loro sopravvivenza nella nostra società attuale, attraverso i mass media oltre che nell’immaginario collettivo. Vedremo in che cosa la nostra società è intrinsecamente rituale prima di tentare di individuarne le sfide per il lavoratore sociale.

 

Post-modernità e riapparizione del mito

 

a)      Modernità contro post-modernità

 

Il mondo che si può qualificare come moderno è caratterizzato dal grande progetto filosofico dei Lumi ed dei lavori degli Enciclopedisti. Il concetto di modernità può abbastanza ben capirsi se ci riferiamo ai quattro grandi principi generali individuati da Latraverse e Moser, cioè:

 

Al contrario, la post-modernità, sarebbe “l’arcaico reinvestito dal moderno, o moderno che entra in sinergia con gli elementi più arcaici, cioè gli elementi primari, primordiali di qualsiasi umanità” (M.  Maffesoli, 2002a, p. 244.). In quest’ottica, non è più la ragione strumentale che prevale, ma il sentimento, la passione, l’emozionale, la conoscenza intuitiva. Al potere del patriarcato sta succedendo il matriarcato. Secondo M. Maffesoli, il matriarcato “connota uno stato di civiltà più flessibile, diverso, esploso, più vicino alla vita nelle sue diverse potenzialità” (M. Maffesoli, op. cit., p. 132). Si presenta come affermazione di una vita non separata, che cerca di esprimersi nella sua totalità e che, per fare ciò, pone tutto l’accento sul qualitativo. Così, tutto ciò che riguarda l’ecologia, la preoccupazione di sé, l’attenzione al domestico, l’importanza dell’immaginario ecc., rinvia a questo qualitativo, nel quale possiamo vedere, nonostante le apparenze, una forma ordinata, un ordine interno che non è meno solido dell’ordine razionale patriarcale. Come ideal-tipo, il matriarcato ci permetterebbe dunque di rendere coerenti tutti i valori alternativi allo schema razionale della modernità.

 

Sembra che un nuovo mito sia dunque in gestazione, l’intuizione immediata, per riprendere un’espressione di Durkheim di una vita “generalmente buona”; o, almeno, di una vita che occorre vivere qui ed ora e che conviene vivere il meglio possibile. Edonismo relativistico in qualche modo. Quest’orizzonte matriarcale, è causa ed effetto di ciò che M. Maffesoli ha chiamato “l’erotico sociale” (M. Maffesoli, 1991).

 

b) Miti e riti

 

Questa definizione della post-modernità, presa in prestito da Michel Maffesoli, ci permette di comprendere la rinascita, nelle società post-moderne, del rito e del mito. Il rito è un susseguirsi di gesti che rispondono a necessità essenziali. Questi gesti sono diventati metodi di realizzazione composti da canti, musiche, parole che riproducono atteggiamenti naturali che sono stati dapprima dei riflessi causati spontaneamente in circostanze analoghe, che rispondono alle stesse necessità. Sono gesti elementari che compiamo tutti i giorni e che accompagnano i nostri modi di vivere, di camminare, di vestirci, di manifestare la nostra benevolenza o la nostra ostilità. (Luc Benoist, 1989, p. 95).

 

I miti pertanto sono “storie vere”, molto preziose perché sacre, esemplari e significative. Utilizziamo l’accezione sviluppata da Mircea Eliade (1988, p. 11) che definisce il mito come era compreso nelle società arcaiche. L’autore riconosce che questo nuovo valore semantico, accordato alla parola “mito”, rende il suo impiego nella lingua corrente abbastanza equivoco, poiché è oggi utilizzato nel senso di “finzione”, “d’illusione” o di “tradizione sacra, rivelazione primordiale”.

 

Rito e mito testimoniano una ricerca, un saggio di codificazione del mondo che mira ad imporre credenze e a perpetuare così l’ordine sociale stabilito. Il rituale è il suo aspetto liturgico ed il mito la sua realizzazione attraverso gli episodi di una storia vissuta.

 

 

Sopravvivenza dei miti

 

a)      Nei mass media

 

Effettivamente, alcuni “comportamenti mitici” sopravvivono ancora sotto i nostri occhi... Non che si tratti di “sopravvivenze” di una mentalità arcaica. Ma alcuni aspetti e funzioni del pensiero mitico sono costitutivi dell’essere umano. Il prestigio “dell’origine”, molto importante nelle società arcaiche, è sopravvissuto nelle società europee (1). Tanto più che i mass media impongono alle collettività immagini e comportamenti la cui struttura mitica è inconfondibile (2). Così, i personaggi dei “comic strips” (fumetti) presentano la versione moderna degli eroi mitologici o popolari. Comprendono l’ideale di gran parte della società. Si scoprirebbero così comportamenti mitici nell’ossessione del “successo” così caratteristico della società post-moderna, che traduce il desiderio oscuro di oltrepassare i limiti della condizione umana. Come osserva Andrew Greeley, “basta visitare il salone annuale dell’automobile per riconoscere una manifestazione religiosa profondamente ritualizzata. I colori, le luci, la musica, la reverenza degli ammiratori, la presenza delle sacerdotesse del tempio (le modelle), la pompa e il lusso, lo spreco di denaro, la folla compatta – tutto ciò costituirebbe in un’altra cultura un ufficio autenticamente liturgico (...). Il culto dell’automobile sacra ha i suoi fedeli ed i suoi iniziati. Lo gnostico non attendeva con più impazienza la rivelazione oracolare di quanto l’adoratore dell’automobile le prime notizie sui nuovi modelli. È a questo momento del ciclo stagionale annuale che i pontefici del culto – i commercianti di automobili – assumono un’importanza nuova quando una folla ansiosa attende impazientemente l’arrivo di una nuova forma di saluto” (Andrew Greeley, 1961, 1962, p. 19.).                                                                                                                                                       

Infine, il “micro”, come la televisione, ci rinvia al differimento all’infinito di un’oralità che si diffonde sempre più vicino. Il successo d’Internet deve essere interpretato in questo senso. Così, la comunicazione vicina indotta da questo processo si struttura in rete, l’aumento e la moltiplicazione dei mass media, che reinvestono una certa cultura tradizionale di cui l’oralità è il vettore essenziale. Ciò facendo, i mass media, visualizzandone non più per forza le grandi opere della cultura, ma mettendo in immagine la vita di tutti i giorni, svolgerebbero il ruolo attribuito alle diverse forme della parola pubblica: garantire con il mito la coesione di un insieme sociale dato. Così, tale evento politico, tale fatto anodino, o tale aspetto della vita di una star possono, ad un momento dato, prendere una dimensione mitica. F. Dumont non manca del resto di sottolineare che questi, quale che ne sia il contenuto, “servono ad alimentare come un tempo, pettegolezzi e conversazioni informali... Ciò che si diceva precedentemente del curato o del notaio, si dice ora di questa o quella vedette del cinema o della politica” (F. Dumont, 1982). Così nella loro logica i mass media non sono che un semplice pretesto di comunicazione.

 

In queste diverse forme il contenuto certamente non è trascurabile per qualcuno ma, come ci indica M. Mac Luhan (M. Mac Luhan, 1968), il messaggio proprio dei mass media è quello che consolida prima di tutto la sensazione di partecipare ad un gruppo più vasto, di uscire da sé, e ciò vale per il più gran numero. È in questo senso che si è più attenti al contenuto/mass media, che funge da tessuto di fondo, crea un ambiente che unisce, collega.

 

Con la prevalenza dell’attività comunicativa, il mondo è accettato così com’è. Costume e comunicazione sono dunque strettamente legati nel “dato sociale”. Questo “dato sociale”, con il quale ciascuno strutturalmente dovrà fare i conti, favorisce l’impegno organico degli uni verso gli altri. Cioè una forma di tribalismo.

                                                                                 

Ma più ancora, la relazione pragmatica che il rito intrattiene con i media, porta logicamente a porsi la questione della potenza del “vedere con”: per la loro funzione testimoniale, alleata ad una funzione di legittimazione, di drammatizzazione, di monumentalizzazione e d’evocazione mobilizzatrice, i media rituali trasformano in effetti i telespettatori in testimoni oculari della Storia.

 

Questo gioco di sguardi, alleato con il principio di magnificenza inerente ad ogni rituale, esercita un’azione sull’individuo come sul corpo sociale. I partecipanti divengono così più che degli attori e meglio che degli spettatori – degli “spettattori” (Pascal Lardellier, 2003, p. 180). C’è così in modo permanente durante il processo, e per le regole che vi presiedono, la volontà schernita per esprimere un’emozione, per avvicinare il doppio impegno  batesoniano. Luogo di domanda sociale, il contesto rituale è anche uno spazio di fuga sociale, per riprendere la terminologia usata da E. T. Hall (1984 e 1971).

 

b)      Nell’immaginario collettivo

 

Durkheim, Mauss e, dopo di loro, quelli che appartengono alla Scuola sociologica francese, hanno mostrato l’importanza del sacrificio nella comprensione della totalità sociale. Più precisamente, il sacrificio è causa ed effetto di grandi sollevazioni sociali. Esso rimette in moto l’energia collettiva e ricrea così un nuovo ethos. Alcuni elementi sono dunque messi a morte, sacrificati. Pensiamo in particolare alla politica. Questo sacrificio potrà allora assumere la forma estrema del terrorismo, del fanatismo, del prendere ostaggi, dell’astensione, della versatilità delle masse, dei voti di derisione o ancora dell’ironia televisiva (Guignols ecc.). In tutti i casi, il significato è il seguente: l’energia collettiva, la forma immaginale dell’essere insieme si cerca una via, oltre i percorsi segnati dal razionalismo della modernità, purché si mantenga quest’esigenza etica che è alla base di ogni società, “apprendere a vivere con l’altro uscendo da sé” (M. Maffesoli, op. cit., p. 93).

 

L’immaginario collettivo ha dunque un’importanza capitale in un certo numero di avvenimenti sociali. Così, Michelet (1999) ha ben fatto emergere, per esempio, che, durante la Rivoluzione Francese, l’azione “avanguardista” ha prefigurato, ha preparato questo movimento, non potendo moltiplicarne gli effetti se non quando avesse avuto “una presa” con l’immaginario collettivo, di cui cristallizza la forza.

 

In breve, sono i sogni e le visioni che strutturano culturalmente ogni insieme sociale. Sulla scorta delle leggende, delle canzoni, della memoria collettiva, dei motti di spirito ecc., sono tutte cose che si capillarizzano nella vita quotidiana che fanno società. Non s’insisterà mai abbastanza sull’importanza dei miti e della mitologia. Più che la Storia lineare, dallo sviluppo continuo e razionale, sono essi che, in una maniera ciclica, presiedono al respiro di questa cosa vivente che è la strutturazione sociale. I miti, altro modo di chiamare i sogni, esprimono il simbolismo di un insieme sociale. In breve, non insisteremo mai abbastanza sull’aspetto emozionale, torbido, affettivo che persiste in ogni essere sociale vivente.

                                                                                                                                            

 

Sacralizzazione delle relazioni sociali

 

È Durkheim ancora e la sua scuola, che hanno privilegiato la sacralizzazione delle relazioni sociali. Ma il sacro è misterioso, inquietante. Conviene persuaderlo, negoziare con lui. Il mito ed il rito hanno questa funzione (3).

 

Goffmann ha del resto ripreso dalle Forme elementari della vita religiosa (Durkheim, 1912) l’idea della sacralità della persona, “che si manifesta e si conferma attraverso atti simbolici” (Erving Goffman, 1974, p. 43), l’interazione che diventa “l’occasione di molteplici piccole cerimonie” (ibid., p. 81) la cui funzione è di garantire e di affermare l’ordine sociale.

 

Si comprende meglio allora l’ambiente “mistico” che caratterizza l’epoca, se la si considera meno come una nuova certezza che come un invito a pensare, a contemplare e a comunicare.

 

Ma molti altri elementi caratterizzano la nostra società attuale. Pensiamo in particolare alla massificazione della cultura, degli svaghi, del turismo, del consumo, che sono sicuramente la causa e l’effetto di un certo tribalismo. Quest’ultimo può (ri)nascere allorquando l’ambiente prende il sopravvento sulla semplice ragione. Perché favorisce l’immaginario, il ludico, l’onirico collettivo, consolida i micro-raggruppamenti, i clan in qualche modo. Poiché “Il pensiero e l’azione sono soprattutto clanici” (M. Maffesoli, 2002b, p. 154). È questo il grande cambiamento di paradigma. Possiamo comparare questo momento tribale ad un periodo di gestazione: qualche cosa si perfeziona, si prova prima d’involarsi  per una più ampia espansione.

 

Tutti i miti fondamentali fanno appello al nebuloso, al fluido, al mobile. Durkheim ha mostrato l’importanza degli elementi immateriali, come l’ambiente, che favoriscono la “comunione delle coscienze”. In effetti, da un punto istituzionale, il clan manca particolarmente di consistenza visibile. L’autorità è poco centralizzata e, come nel nomadismo, il territorio è poco delimitato. Da qui l’importanza dell’attività simbolica che garantirà la coesione dell’insieme. Ciò che egli dice per il clan, come struttura originale, può essere estrapolato per la nostra proposta: ogni volta che si fa riferimento alla fondazione, ci si occupa di destare sensazioni comuni. Questi non hanno un’utilità diretta, non alcuna razionalità, ma non ne costituiscono meno una forza innegabile, istituente, molto più solida di molte costruzioni razionali che, in generale, non arrivano che soltanto di conseguenza. Si tratta di un paradosso importante: la consistenza di un insieme sociale deriva principalmente da una forza invisibile che prende corpo nei totems, emblemi o immagini diverse, e da là costituisce il corpo sociale. Ogni volta che si cerca ciò che fonda, più da vicino, qualunque aggregato sociale che sia, si ritrova la condivisione delle idee comuni, dei sentimenti collettivi o altre immagini emblematiche, la cui struttura di base è ciò che costituisce un ambiente accertato, e per questo fatto garantisce il radicamento dinamico della società in questione. Ciò che riguarda le leggende, le abitudini, i racconti, è molto meno trascurabile di quanto non si creda. L’oralità che si manifesta assai bene nella rinascita delle storie locali come nel folclore regionale, senza dimenticare il successo dei racconti biografici ed altri riferimenti di base, trova la sua consacrazione “scientifica” nelle metodologie legate alle storie di vita sia individuali sia di gruppo. In tutti i casi, la parte che riguarda l’ambiente è non trascurabile.

                                                                                                                                            

D’altra parte, la moltiplicazione ed la riproposizione delle occasioni festive mostrano che “l’uscita di sé”, l’esplosione verso l’altro, la necessità di toccarlo, è una costante antropologica che, dopo essere stata occultata durante tutta la modernità, torna in superficie con la forza che si sa. Ma, rinsaldando la comunità, questa “esaltazione” fa società, integrando tutti gli elementi che la compongono, ivi compresi il sentimento o la passione. Da qui la prevalenza attuale del sentimento comune, dell’archetipo comunitario, su tutte le razionalizzazioni o legittimazioni ulteriori. Le abitudini (costumi, modi di essere, posizioni, gestualità, modi di pensare) ed altri riti si nidificheranno profondamente nel quotidiano e nell’immaginario di un corpo sociale dato. Sono esse che permetteranno la formazione dell’individuo nella sua società. Ora, è nel momento in cui si fa destinatario di un “collettivo di pensiero”, di un mito o di un discorso comune, che si può entrare in una relazione di reciprocità. Poiché il corpo sociale trova nei miti l’energia o la forza che gli sarà necessaria per esistere semplicemente, per agire, battersi, entrare in conflitto, in negoziato con altri corpi sociali che funzionano nello stesso modo.

 

Riassumendo, l’emozione, il sentimento provato in comune fa entrare nel tempo del mito che è quello del vissuto comune. Il quotidiano ed i suoi rituali, le emozioni e le passioni collettive, l’importanza del corpo in spettacolo e del piacere contemplativo, il reviviscenza del nomadismo contemporaneo, ecco tutto ciò che fa corteo col tribalismo post-moderno.

 

Maffesoli ha così sviluppato la metafora della tribù per prendere atto della metamorfosi del legame sociale, “per rendere attenti alla saturazione dell’identità e dell’individualismo che ne è l’espressione” (M. Maffesoli, 2002b, p. 143). Il tribalismo possiede infatti aspetti a volte arcaici e giovanili ma anche una dimensione comunitaria. È l’espressione di un radicamento dinamico, poiché rivitalizza un corpo sociale un poco invecchiato, la fedeltà alle fonti che è impegno di futuro.

 

 

Conclusione

 

Capaci di colpire l’immaginazione dell’uomo, gli eroi e le eroine mitici hanno ispirato le dottrine religiose, le leggende, il folclore, le superstizioni, i racconti di fate, la poesia, le tragedie classiche e innumerevoli opere d’arte. Sono diventati simboli che, trasmessi di generazione in generazione, rimangono ormai attivi nella memoria dell’umanità. In effetti, profondamente radicati nell’immaginario collettivo, i miti sono dotati di una vitalità straordinaria: (ri)nascono, vivono, evolvono con le epoche, i paesi, sopravvivono sotto nomi o aspetti diversi. Ma riappaiono sempre, circondati della loro aura di leggenda, che suscita il nostro stupore, che abita i nostri sogni. Sopravvivono nella radice della maggior parte delle parole che utilizziamo ogni giorno! I racconti rocamboleschi o fantastici della mitologia fanno vibrare una corda sensibile nel più profondo della psiche umano. Svegliano o mantengono la necessità di superamento e soddisfanno l’intenso bisogno di meraviglioso le cui radici risalgono all’alba dell’umanità, questo piccolo “grano di follia” che persisterà sempre in fondo all’anima umana. Inoltre, sono sempre d’attualità e l’uomo, le società moderne si riconoscono in questi personaggi di leggenda.                                                                                                          

La società è così intrinsecamente rituale, si potrebbe dire parafrasando e traducendo C. Tarot. Che cosa è infatti il rituale se non il simbolismo in atto e in rappresentazioni attive e pratiche? Da quest’angolazione, la società appare come un assemblaggio enorme di campi rituali mescolati, che vanno dai rituali d’istituzione più generali, quelli che presiedono alla costituzione della società e della comunità politica, ai rituali più privati e più quotidiani.

 

Sfida per il lavoratore sociale

 

In primo luogo, il mondo del lavoro sociale, negli anni 1960-1970, si è dotato di simboli e di segni forti, che hanno avuto l’effetto di creare una comunità d’appartenenza, o, se ci si riferisce ad una nozione maffesoliana (1988), una tribù. Questi simboli e questi segni superavano in gran parte la sfera del lavoro sociale, si pensa più particolarmente al riferimento “comunitaristico”, attraverso il modo di vestire, l’acconciatura, il veicolo... (Géraud D., 2002).

 

Il simbolismo è così presente nella pratica anche del lavoratore sociale. Essa è in effetti basata sul valore e sull’efficacia dello scambio simbolico, cioè che c’è del relazionale in ogni pratica d’intervento.

 

Infine, il mito è essenziale per la ricerca nel settore del lavoro sociale: oggetto irreale tuttavia costitutivo di un desiderio fatto di due misteri, dipende dal pensato e dal vissuto, meglio, interroga profondamente le categorie della Modernità. Antinomico del reale nel linguaggio corrente, si dà a vedere come reale. Ci si può tuttavia chiedere se la sua realtà non s’impone alla ricerca. Così si potrebbe sostenere il paradosso che stabilirebbe il fatto che ogni pensiero scientifico sia prima di tutto un pensiero mitico, che la categoria del mitico interroghi le nostre certezze più stabili come qualsiasi ricerca in Scienze antropo-sociali (G. Bertin, 2001).

 

Apprendere il rito ed il mito così come i loro simboli, è dunque essenziale al lavoratore sociale, nella sua pratica come nella sua ricerca. Occorre riconoscerlo, poiché “una comunità che non realizza il possesso rituale dei suoi miti, scriveva Roger Caillois, non possiede altro che una verità che declina: è viva nella misura in cui la sua volontà d’essere anima tutte le occasioni mitiche che ne raffigurano l’intima esistenza. Un mito non può dunque essere assimilato ai frammenti sparsi di un insieme dissociato. È interdipendente dall’esistenza totale di cui è l’espressione sensibile” (R. Caillois, 1979).

 

Sandrine Basilico

 

Note:

 

(1) Così, la Rivoluzione Francese si è data come paradigma i Romani e gli Spartani, mentre la Riforma prefigurava il ritorno alla Bibbia.

(2) Vedere a questo proposito Umberto Eco, “Il mito di superman” in Demitizzazione e immagine, a cura di Enrico Castelli, Padova, 1962, pp. 131-148.

(3) Questa sacralizzazione delle relazioni sociali è caratterizzata dal meccanismo complesso di doni e di contro-doni che si stabiliscono tra diverse persone. Può trattarsi di scambi reali o simbolici, la comunicazione non manca di prendere in prestito i percorsi più diversi.

 

 

Riferimenti bibliografici:

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Notice:

Basilico, Sandrine. «Mythes, rites et tribalisation des sociétés post-modernes», Esprit critique, Automne 2004, Vol.06, No.04, ISSN 1705-1045, consulté sur Internet: http://www.espritcritique.org

 

     (Traduzione italiana di Paolo COLUCCIA – paconet@libero.it http://digilander.libero.it/paolocoluccia)