Recensione del libro di René Barbier, La ricerca-azione, Armando, Roma 2007. Tr. it. di Giusi Lumare, pagine 127, euro 12,00.

 

A cura di Paolo Coluccia

 

Senza la comprensione ogni ricerca sociale diventa inutile, persino vuota. Comprendere se stessi, l’altro, il mondo: questo è il fine del ricercatore in ricerca-azione. Sociologo e professore emerito in Scienze dell’Educazione, René Barbier s’interessa di teoria e prassi in ricerca-azione da oltre un trentennio. Di recente ha fondato l’Institut Supérieur des Sagesses du Monde (ISSM), istituto di formazione e ricerca, in regime d’associazione ai sensi della legge francese del 1901, per accedere al quale non è richiesto alcun diploma, né si rilascia alcun diploma all’uscita, in cui si attua una pedagogia attiva già sperimentata in numerosi anni di ricerca all’Università Paris 8. Il metodo della ricerca-azione, oltre che sconosciuto, è spesso stato misconosciuto nelle scienze umane e sociali. «La ricerca-azione – osserva Barbier – è una risorsa metodologica davvero importante, ma non si può nascondere che, essendo fuori da ogni standard universitario, comporta notevoli difficoltà per gli studenti». L’elaborazione della conoscenza s’incentra su un lavoro di ricerca con gli altri e non sugli altri.

Spesso nel ricercatore in ricerca-azione viene intravisto un ruolo politico e per questo non gli viene riconosciuta una certa scientificità. Purtroppo, il problema sta proprio in questo: l’università «è reticente» e oggi si assiste ad una rigidità e ad una chiusura eccessiva. Se in politica sembra prender piede il principio di democrazia partecipativa (o quanto meno la si auspica da molte parti), anche nella ricerca sociale si deve tener conto di metodologie di ricerca che avanzino sullo stesso piano. «Se davvero si avanza – dice Barbier – verso la democrazia, allora necessariamente si dovranno inventare dei metodi attraverso i quali la gente possa davvero partecipare. La ricerca-azione fa parte di questi metodi». Con essa si potrà creare ricercatori che vivano nella situazione sociale oggetto di studio, d’analisi e di comprensione, capaci di un’interpenetrazione, una collaborazione e una co-formazione educativa che possano rappresentare nel loro insieme l’avvenire della ricerca nelle scienze umane e sociali. «La gente ha veramente voglia di partecipare, vuole prendere la parola e si rifiuta di essere considerata ‘oggetto’».

La ricerca-azione, connettendo teoria e azione, è anche prassi sociale e si basa soprattutto sul dialogo sociale tra ricercatori e attori sociali: questo è il suo elemento epistemologico di base, che crea implicazione (concetto chiave, questo, del pensiero di Barbier), in quanto gli attori sociali sono persone che agiscono, soggetti e non oggetti di ricerca, che, come gli stessi ricercatori, hanno valori, conoscenze, interessi e storie personali. Dunque, relazione, ascolto reciproco, dialogo sugli stessi metodi di ricerca, riflessione comune, apprendimento reciproco: il ricercatore è dentro-fuori i cambiamenti sociali. «La ricerca-azione non rappresenta un semplice mutamento metodologico della sociologia classica. Essa esprime, al contrario, una vera trasformazione nel modo di concepire e di fare la ricerca nelle scienze umane». E s’apprende sul campo.

Nel primo capitolo, l’Autore si sofferma a tracciare una cronistoria della ricerca-azione classica, a partire da Marx, per arrivare a Kurt Levin, psicologo della Psicologia della Gestalt di origine tedesca che ha fondato gli studi di ricerca-azione, purtroppo lasciati incompiuti per una morte prematura, che però sono stati ripresi dai suoi allievi e che, nel dopoguerra, si sono moltiplicati. In campo industriale, hanno portato risultati importanti nella decisione collettiva, nell’autorganizzazione, nella formazione dei quadri, nella modifica degli stereotipi, nella resistenza al cambiamento. In ogni caso, «la ricerca-azione presuppone una conversione epistemologica»; a ciò seguono dei rischi: istituzionali e personali. Il secondo capitolo tratta della nuova ricerca-azione e della problematica epistemologica, per cui si scopre un nuovo ruolo del ricercatore, il quale «diventa un semplice mediatore nel processo di ricerca». In questo modo la ricerca-azione si emancipa «nella misura in cui il gruppo di operatori si responsabilizza autorganizzandosi». Il terzo capitolo tratta della ricerca-azione esistenziale e integrale. Qui il metodo si radicalizza, estendendosi alle dimensioni personali e comunitarie e si orienta verso «la dimensione filosofica dell’esistenza umana riqualificata». Dice Barbier: «I soggetti non sono più cavie da laboratorio, ma persone che hanno deciso di capire o lottare. […] Essi vogliono capire e partecipare». La razionalità sta qui nel cogliere il campo della complessità. La ricerca-azione è esistenziale perché conduce ai temi legati alla vita (nascita, morte, passione, vecchiaia, sofferenza, vita sociale, formazione-educazione, interculturalità), ed integrale perché mette insieme vari specialisti (l’etnologo, lo psicologo clinico, il biologo, il sociologo, il monaco zen, il poeta, il pittore, il geografo, lo storico, il filosofo ecc.). Così la ricerca si apre «a qualcosa che va oltre la scienza: l’arte, la poesia, la filosofia, le dimensioni spirituali e multiculturali della vita». Nel quarto capitolo si tratta delle nozioni-chiave della ricerca-azione, viste come un modo filosofico d’esistere e di svolgere ricerca interdisciplinare. Queste sono: la complessità (che fa intendere l’essere umano come una totalità dinamica, biologica, psicologica, sociale, culturale, cosmica), la quale diventa il paradigma di una visione sistemica aperta dell’essere umano e della realtà; l’ascolto sensibile (che si fonda sull’empatia), che accetta incondizionatamente l’altro, che non misura, non giudica e non fa paragoni, che coinvolge tutti e cinque i sensi del ricercatore, che è presenza meditativa, implicazione, coinvolgimento (principi chiave della ricerca-azione); il ricercatore collettivo, costituito dal ricercatore e da tutti gli altri membri implicati, che però non rappresenta una semplice somma aritmetica, ma un soggetto propulsivo esponenziale; il cambiamento, in quanto fine ultimo della ricerca-azione, quindi problematica politica che si muove e si forma sul terreno sociale, dal basso; la negoziazione e valutazione, perché il conflitto è sempre in atto nella ricerca-azione; il processo, per la costruzione di reti simboliche e dinamiche; l’autorizzazione, di tipo noetico, «cioè il divenire l’autore del proprio sviluppo spirituale», ovvero, diventare autore di se stesso per appropriarsi della propria esistenza.

Il quinto capitolo, infine, tratta della metodologia della ricerca-azione, il cui spirito consiste in un approccio a spirale (riflessione permanente), che tocca «quattro tematiche centrali: individuazione del problema e contrattazione; la pianificazione e la realizzazione a spirale; le tecniche di ricerca-azione; la teorizzazione, la valutazione e la pubblicazione dei risultati». In questa fase diventa importante uno strumento gnoseologico-esistenziale: il diario d’itineranza, per la conoscenza di sé, del gruppo e dell’esistenza in generale. Infatti, «ad un diario d’itineranza si consegnano il pensiero, i sentimenti, i desideri, i sogni più segreti», «si scrive giorno per giorno, senza aspettare e anche nelle situazioni più impreviste» e, pur legati alla prudenza deontologica e al rispetto delle persone, «una parte del diario sarà comunque resa manifesta». «Una ricerca-azione, più di ogni altro tipo di ricerca, – dice alla fine Barbier (che colloca la ricerca-azione all’interno della sua teoria inglobante dell’approccio trasversale) – pone più domande di quante non ne risolva. Essa disturba quasi sempre i poteri istituiti».

Il libro ci consegna alla fine una ricca e importante bibliografia, con cui poter approfondire l’argomento trattato.