RECENSIONE del libro:
G. Barberis, M. Revelli, Sulla fine
della politica. Tracce di un
altro mondo possibile,
Guarini e
Associati, Milano 2005, pagine 135, euro 15,50.
(a cura di Paolo Coluccia)
Sulla fine
della politica. Tracce di un altro mondo possibile è un piccolo libro che tratta la crisi, ormai
irreversibile, del tempo presente, soprattutto nelle sue categorie
fondamentali: la politica e il lavoro. Nei tre saggi che lo compongono,
preceduti da una breve Introduzione,
gli Autori, Giorgio Barberis (La politica alla fine della politica, Un altro mondo possibile) e
Marco Revelli (L’epoca
delle fini), dopo un’attenta analisi, sottolineano
l’esigenza di ricercare spunti, pensieri, riflessioni e parole per la
costruzione di un mondo diverso, di un «altro» mondo possibile. Emerge dunque
la necessità di fondare un nuovo paradigma complessivo, ma non univoco ed
universale, soprattutto politico, che metta da parte e
sostituisca «i vecchi schemi costruiti sulla verticalità del potere, in un
ritrovamento organico della responsabilità individuale, e per avviare un
processo sistemico-relazionale e cooperativo inedito».
L’Introduzione già chiarisce i temi
che gli Autori svilupperanno nei tre saggi. Un’opera in nuce che
cerca di ridare carica emotiva, un po’ sottotono in verità negli ultimi tempi,
dei movimenti sociali internazionali che si sono impegnati nella ricerca e
nella costruzione utopica e non unilaterale di un mondo diverso, più giusto e
più equo, plurale e solidale, le cui categorie di pensiero sono la speranza,
l’incontro, la relazione, la cooperazione, la pace e la non violenza. Il
progetto è nel programma: vedere se
stesso con gli occhi dell’Altro, dove l’altro non è il nemico, l’ostacolo,
con cui la vecchia politica ha tentato e cercato soluzioni
di compromesso e di accordo, anche con la guerra, quando non era possibile fare
altrimenti. Barberis, nel primo saggio, dichiara
apertamente la fine della vecchia politica, che prefigurava l’uso della forza
per ripristinare l’ordine e il bene comune (l’esercizio del male a fin di
bene), scenario privilegiato della Modernità incentrata sugli Stati-nazione. Revelli, nel suo saggio suddiviso in paragrafi, interviene
con più decisione su tema del lavoro (La
“civiltà del lavoro” e la sua “fine”) e con l’espressione metaforica della
«linea di faglia», dove due estremità rocciose si allontanano per dinamiche tettoniche causando terremoti, analizza anche la
politica (Il paradigma politico dei
moderni e la sua crisi), la sicurezza (Il
fallimento del “paradigma securitario”), il
modello giuridico universale (Virtù
“palesi” e vizi “impliciti”). Questi temi caratterizzano il tempo presente
come tempo del «pensiero della fine», che si scava sotto i suoi piedi una «rottura
di faglia». Temporale, dice l’Autore,
più che spaziale. La via d’uscita, la
salvezza sta in un nuovo inizio, nel ricominciamento,
nell’andare alla ricerca di un «nuovo paradigma» che fondi l’uomo «planetario»
(è il titolo del paragrafo conclusivo), partendo da ogni singola persona,
perché ciascuno possa «controllare» il suo lavoro, la politica, dove ciascuno
salva «se stesso». Autoregolazione, dunque, sulla scorta di quell’Io che è stato il vero fondamento della
Modernità a partire da Cartesio, lontano però dalle «protesi» ideologiche del
‘900 che hanno tentato di costruire l’Io-Noi (stati totalitari, partiti di
massa, sindacati, miti, universalismi). Un Io che sappia guardare se stesso con
gli occhi degli altri, unico modo per inaugurare un efficace meccanismo di
comunicazione sociale.
Paolo
Coluccia