L’armonia dei nostri… piedi"

Coordinamento, responsabilità, conoscenza

Testo di discussione prodotto da Paolo COLUCCIA
per il Seminario annuale della Rete Meridione,
Città della Scienza, Napoli 3-4 dicembre 2002.

paconet@libero.it

http://digilander.libero.it/paolocoluccia

 La grande sfida è occupare
esattamente il proprio posto
nell’infinita tessitura dell’universo
e farlo consapevolmente.

(Giovanna Visini, e-mail del 24-1-2002)

 

Se dipendesse da me cambierei il titolo del prossimo seminario. Sul concetto di "Identità" si è ampiamente discusso nel precedente seminario del 2001 che, come tutti ricordano, portava il titolo "Identità meridionale e processi di mutamento". Sull’identità si era anche argomentato nella Lettera aperta agli aderenti alla Rete Meridione del marzo 2002 e nella stessa si poneva come inevitabile un approfondimento tematico sul concetto di rete o come "fare rete". Inoltre si preannunciavano i temi più significativi per gli appuntamenti del futuro: una rivisitazione concettuale della democrazia e una riqualificazione dello sviluppo socio-economico legato al processo sistemico locale. Già nei precedenti approcci legati ai "processi di mutamento" mi era sembrato chiaro ed evidente un riferimento concettuale che preannunciava una riflessione sulla metodologia della rete.

Che dire ancora dell’identità?

Ho partecipato di recente ad un interessante convegno internazionale organizzato a Rimini dal Centro Ricerche Pio Manzù. Le conferenze vertevano su una serie di problematiche raccolte nell’allegorico titolo Il corno di Heimdall. Sottotitolo più chiarificatore era: Cittadinanza terrestre, nuova alleanza fra uomini, idee, culture. Il fondamento teoretico era sintetizzato nel seguente principio: "La comunanza nell’incertezza e la relazione di inseparabilità di ogni essere l’un l’altro, sono il vincolo concreto della nuova identità umana".

Esigenza di connessione, dunque, di essere e di fare rete, di contatto, di reciprocità. "La novità di oggi è che l’esigenza di armonia è divenuta mondiale". A questa esigenza si provvede proprio mediante il riconoscimento dell’identità, con la democrazia partecipativa e non soltanto di delega, con l’armonia ecologica dell’azione (politica, economica, strutturale). Il nostro problema è che "non sappiamo ancora ‘collegare le conoscenze’ (Morin) e porci in relazione in quanto comunità di un pianeta in cui ognuno è condizionato dalla stessa generale possibilità di speranza o di distruzione".

Ma proprio per questo "il corno di Heimdall suona per chiamare individualmente alla responsabilità verso il futuro. Invoca i costruttori di armonia a formare una rete contro la brutalità. Un’armonia senza responsabilità per la Natura minaccia non solo il divenire dello sviluppo, ma ogni divenire contestuale all’uomo".

Ho voluto riportare alcuni brani del libretto di presentazione del convegno. I temi sono stati approfonditi da numerose conferenze. Mi sembra che anche noi della rete Meridione discutiamo da tempo su questi temi, ma ci sfugge, come pure sfugge al Centro Pio Manzù, la problematica epistemologica del concetto di rete, di come fare effettivamente rete, forse perché diamo per scontato che siamo già una rete, per una semplice scelta semantica, e che sappiamo cosa sia o come si debba intendere una rete. Su questo, l’ho detto sempre apertamente nelle varie occasioni d’incontro, nutro seri e sereni dubbi. E’ un concetto su cui abbiamo sorvolato, che abbiamo rinunciato ad approfondire e a valutare metodologicamente e a livello epistemologico.

I temi dell’identità, della democrazia e dello sviluppo locale non sono aleatori e superficiali, soprattutto di fronte allo scenario agghiacciante delle acciaierie di Bagnoli e di tanti altri scempi della natura e di ogni principio armonico relativo al processo di sviluppo socio-economico del dopoguerra. Impensabile, fino a qualche anno fa, lo sforzo d’attività di Città della Scienza, che getta un lume di speranza nel recupero di un’area stravolta dalle eccitazioni maniacali legate al "progresso" e allo "sviluppo". Se ci si pone di fronte questi temi è perché si sente fino in fondo la responsabilità che sia d’obbligo ricercare un equilibrio, un’armonia di diversità culturali, di regole democratiche e di sviluppo socio-economico. Se non fossimo su questa linea d’onda saremmo dei semplici… americani! Penseremmo, infatti, ad investire soltanto nella cultura dei consumi e dell’indebitamento da carte di credito, le uniche velleità che ritardano (e ritardano soltanto, si badi bene) il collasso del sistema opulento del modello nord-americano. Qualcuno in Italia ci stimola a fare altrettanto dalle pagine de IlSole24ore o da tivù pubbliche e private: ma noi italiani siamo senz’altro più cauti e prudenti!

Equilibrio ed armonia investono l’individuo e la comunità, ma anche le nazioni e il pianeta. E’ proprio su questa tendenza, avvertita in ogni angolo del mondo e da ogni coscienza, che nasce la domanda di armonia, che non è una nuova moda new age, ma una vera e consapevole necessità, perché il rischio è l’estinzione e che, per buona pace di molti e senza falsi pudori, "sorge dalla sofferenza della singola persona, dagli umani rapporti e attraverso la comunità terrestre raggiunge un nuovo senso storico del globo".

Da questa percezione più o meno condivisa a livello mondiale nasce e si progetta "un mutamento radicale di visione", si cerca un nuovo paradigma, si elabora una nuova ontologia. "Cominciato trent’anni fa con una coraggiosa ridefinizione della natura e dell’universo, raccoglie oggi i lembi del sapere disgiunto e disseminato, annunciando una sorprendente figura di conciliazione e di armonia. Tale si è dato, dalla medicina alla biologia, dalla fisica evolutiva all’ecologia, alla cosmologia, alla psicologia, alla sociobiologia, alla bioenergetica, l’avvento delle cosiddette ‘scienze della complessità’, che possono tollerare altrimenti la definizione di scienze d’armonia".

Non c’è un primato di una singola disciplina, di un singolo sapere. Tutto è in relazione, tutto tende a stabilire un reticolo infinito su cui si comincia ex novo a tessere l’interminabile abito della conoscenza. Sembra finalmente chiusa l’era degli assolutismi. perenniter philosophare, dunque, e non philosophia perennis di hegeliana memoria.

Chi è rimasto ancorato ad una visione esclusivamente economicistica (anche questa assolutistica e unica = pensiero unico!) del mondo e della società è destinato a rimanere irrimediabilmente indietro, a guardare il mondo e la società che si orientano verso nuovi orizzonti dell’esistenza.

Chi ha invece solo preoccupazione e cura del potere espresso dalla politica (spesso questa è stata intesa come esclusivo primato di pochi, oggi si dice con un eufemismo accademico: la classe dirigente) è destinato a rimanere da solo e deluso, chiuso nella propria stanza di bottoni che non danno più alcun input, perché il potere politico nulla può per impedire la conoscenza e l’informazione in altri ambienti socio-culturali.

Chi narcisisticamente poi guarda se stesso, la sua identità rozza e risolve i suoi problemi rifugiandosi nel solipsismo degli identarismi cade inesorabilmente nello stagno putrescente del fondamentalismo integralista più illusorio e grossolano.

Una sfida, dunque, quella che è rappresentata dalle frasi fatte, dagli argomenti dati per scontati: tutto è in movimento, idee, uomini, comunità, popoli. La ricerca di equilibrio e di armonia investe ciascuno di noi. Questa va fatta in ogni angolo di mondo e in ogni anfratto del nostro cervello, delle nostre conoscenze, delle nostre lingue, delle nostre civiltà. E’ un bisogno del singolo, ma anche dell’intera umanità.

L’umanità, le economie del mondo, le filosofie, le arti possono rispondere nichilisticamente, ma anche secondo responsabilità e fermezza, senza sogni di assolutezza, ma con spirito costruttivo "per tessere una lucida rete di cercatori d’armonia".

Cambierei titolo (quello individuato nella lettera-invito è: "Identità, qualità sociale del sistema di sviluppo locale, democrazia"), pertanto, al prossimo seminario del 3 e 4 dicembre 2002 con il seguente: "Reti sociali, democrazia e sistema locale". Ma, ove ciò non fosse possibile, opererei almeno una drastica riduzione semantica tra le due virgole, nel modo che segue: "Identità, democrazia e sistema locale". Quest’ultimo concetto dovrebbe sostituire quei sette termini tra parole e preposizioni semplici ed articolate, che stanno tra le due virgole del titolo (…,qualità sociale del sistema di sviluppo locale,…) e che si interpongono tra i concetti di "Identità" (il primo) e di "democrazia" (l’ultimo). Si rischia di voler dire molto e di rendere poco, ma soprattutto si possono confondere le idee.

Il filosofo Jean-Pierre Vernant, nel convegno di cui ho ampiamente parlato sopra, ha detto chiaramente che in oltre tremila anni si è abusato con i significati delle parole. I termini si sono confusi, i concetti si sono dilatati: occorre ridefinire i significati originari delle parole.

C’è una grande necessità di rigore semantico, soprattutto c’è bisogno di mettere in chiaro molti episodi e leggende che sono fatti passare per storia, che sono solo credenze e che hanno inficiato il significato intrinseco delle parole. E’ chiaro che se si procede su questa strada molte verità e molte certezze cominceranno inevitabilmente a crollare e molte illusioni si riveleranno tali.

Questa operazione non può più essere evitata, perché è necessario ricostruire il nuovo statuto della conoscenza, per liberarsi dalle incrostazioni pseudo-culturali che inaridiscono le semantiche delle lingue e dei popoli. Non bisogna vergognarsi di pronunciare alcune parole, ma bisogna sforzarsi per capire fino in fondo perché ce le troviamo davanti e perché ci sentiamo obbligati a pronunciarle e ad inseguirne il fascino arcano. E’ il caso dello sviluppo, del capitale, e di tante altre parole che quando non ci soddisfano più così come sono le accoppiamo con degli aggettivi per renderle più… sostenibili, più umane, più durevoli. Sono costrutti aleatori, semplici "ossimori", che lasciano il tempo che trovano!

Occorre ritrovare l’intelligenza delle parole, dunque, per essere il più possibile chiari e precisi, schietti e sinceri, per dire con genuinità e senza sotterfugi quello che abbiamo nella nostra testa, fermo restando che ogni nostra parola è sempre il cadavere esangue del nostro pensiero più originario ed originale. Immaginiamoci, poi, cosa potranno essere quelle parole che noi scriviamo e trascriviamo sulla carta o in video scrittura!

E soprattutto, quando si intraprende un cammino di ricerca, da soli o in compagnia di viandanti "disorientati" (cioè che non guardano più ad oriente, ma sempre e soltanto ad… occidente!), conviene non incamminarsi scorrettamente con due piedi nella stessa scarpa, ma indossare naturalmente con entrambi i piedi calzari diversi, senza costrizioni e senza sotterfugi.

Se poi i piedi che si affiancano ai nostri sono molteplici e le scarpe altrettante e di varia misura e fattura, forse si perderà in omogeneità di pensiero e di idee (questa è stata una mania per la modernità, ma è una ricchezza per la post-modernità), ma si guadagnerà in compagnia, in creatività e in nuove proposte, in un’osmosi di pluralità e d’innovazioni.

Lasciamo pure che qualche colonizzatore di menti, qualche goliardico grande fratello delle coscienze, gridi a squarciagola che così facendo si pensa…coi piedi! Meglio pensare con queste estremità del nostro corpo… che non pensare affatto, visto che normalizzandosi nell’univocità, di fatto ci si uniforma esclusivamente a deprecabili forme di pensiero "unico", che da Hegel in poi fanno proseliti tra le folle che si accalcano nelle piazze e nei centri commerciali, guidate da abili manovratori che non perdono la benché minima occasione di arrampicarsi sempre e comunque sui carri dei vincitori.

E’ per questo motivo che auspico che si parli chiaro e che si argomenti genuinamente sui concetti del prossimo seminario: identità, democrazia e sviluppo locale. Per quanto mi riguarda, oltre al testo sulle Sette tesi inviato per il seminario di tappa di Caserta del 24 ottobre 2002 e quest’ultima riflessione, segnalo ancora una volta il mio testo già inviato prima dell’estate dal titolo Reti sociali ed innovazione metodologica, di cui non ho mai ricevuto menzione, perché ritengo che il concetto di rete sociale e la sua metodologia debbano essere ancora molto approfonditi, in quanto necessari per una epistemologia delle relazioni e dell’interazione.

Sento che l’ambiente culturale internazionale si muove su questo sentiero e mi sovviene e mi sostiene il passo di un saggio scritto dal compianto Francisco Varela (a cui ho dedicato il mio ultimo libro che verrà pubblicato nei primi mesi del prossimo anno), che riporto di seguito:

"Gli sviluppi significativi della scienza cognitiva sono dovuti quasi esclusivamente all’orientamento cognitivista-computazionale o a quello connessionista. (…) Il connessionismo in particolare ha reso possibile un’idea rivoluzionaria, quella delle tradizioni e dei ponti fra livelli esplicativi, più nota come ‘filosofia dell’emergenza’: la maniera in cui regole locali possono dare origine a una proprietà o oggetti globali in una causalità reciproca".

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