I SISTEMI DI SCAMBIO NON MONETARI E IL DIRITTO

Francesca Gaetano

" Quid est tempus?
Si nemo quaerat, scio;
Si quaerenti esplicare velim, nescio!"
"Che cos’è il tempo?
Se nessuno me lo chiede, lo so;
se voglio spiegarlo a chi me lo chiede ,
non lo so più!"

SANT’AGOSTINO

Premessa.

Questo lavoro è una rielaborazione, una sintesi e un aggiornamento della ricerca che ho condotto sui sistemi di scambio non monetari durante il mio corso di laurea in giurisprudenza: in data 11 marzo 2000 presso l’Università degli studi di Messina ho discusso, infatti, la tesi in Diritto Privato Comparato intitolata "La Banca del Tempo" (Relatore: Prof. Francesca Panuccio Dattola). Si tratta, pertanto, di un lavoro comparato sui sistemi di scambio locale non monetari, che consente certamente di arricchire l’esperienza giuridica italiana attraverso l’acquisizione di dati relativi a ordinamenti giuridici per tradizione e cultura profondamente diversi dal nostro, soprattutto attraverso la verifica di come gli stessi abbiano disciplinato tali esperienze, "atipiche" per il diritto.

 

I. I sistemi di scambio locale non monetari sono fenomeni sociali di recente acquisizione nell’esperienza italiana, presentati come innovazioni sociali. Si tratta, a ben vedere, semplicemente di una "iniziativa che fonde tradizione e modernità": alla base dei sistemi di scambio locale non monetari vi è, infatti, sia la volontà di accrescere i vantaggi derivanti dal baratto e dall’uso di monete locali, utilizzate soprattutto nei periodi di recessione e disoccupazione, sia la tensione a rimediare alla contraddizione paradossale della nostra epoca: capacità di lavoro inutilizzata e bisogni non soddisfatti! Come studiosa e operatrice del diritto non posso ignorare tali fenomeni, e in particolare le Banche del tempo, trattandosi di realtà che presentano profili giuridici meritevoli di attenzione e approfondimento.

 

II. Sebbene, avendo riguardo alle molteplici forme che attualmente hanno assunto i sistemi di scambio locale non monetari in Italia, tale considerazione possa apparire certamente superata e riduttiva, tuttavia un approccio corretto allo studio e alla conoscenza di tali esperienze socio-economiche non può ignorare che la spinta iniziale alla sperimentazione italiana delle Banche del tempo sia stata l’esigenza di riconoscere un valore al "tempo non monetizzabile" delle donne. Pertanto, a differenza delle esperienze europee e canadesi rientranti nella tipologia LETS, che hanno alla base una forte teorizzazione economica, nascendo dalla critica all’economia tradizionale e all’uso della moneta, in Italia l’esperienza de quo si forma, nel decennio ’80-’90, contestualmente alla crisi del Welfare State. Tale situazione ha determinato il consolidamento del c.d. Terzo settore e la crescita dell’associazionismo e dell’attivismo civico, che si sono manifestati in una molteplicità di esperienze e forme aventi però un unico fine: la realizzazione di una società "userfriendly", amica di chi vive. Ed è in questo contesto che si collocano le politiche temporali, sollecitate da una riflessione sui tempi di vita condotta dalle donne, da sempre indaffarate a conciliare gli orari e le incombenze imposte dal lavoro, dal mercato, dalla famiglia. Così, la necessità di razionalizzare il tempo si traduce nel 1988 in una prima proposta di legge d’iniziativa popolare "Le donne cambiano i tempi", nella quale si invitano i sindaci a elaborare un piano regolatore dei tempi. Nel 1990, un altro progetto di legge di iniziativa popolare, mai istituzionalizzato, intitolato "Orari di lavoro, stagioni della vita, tempi della città" in maniera del tutto innovativa riconosce a tutti i cittadini tre diritti fondamentali: il diritto all’autogoverno del territorio; il diritto ad esprimere liberamente la propria personalità e il diritto a prestare e ricevere cura. Successivamente, nel marzo 1995 viene presentato in Parlamento un nuovo progetto di legge "Norme per cambiare i tempi delle città" che nell’art.11 prevede espressamente la promozione da parte dei Comuni di centri di servizi, anche in forma di società per azioni, denominate Banche dei tempi, <per ampliare le fasce orarie di utilizzo dei vari servizi delle città, per aiutare le famiglie nella cura delle persone anziane, nella cura e nella formazione dei bambini e degli adolescenti e per favorire lo scambio di servizi di buon vicinato> e ciò <al fine di sostenere e incentivare l’iniziativa dei singoli cittadini, enti ed associazioni che intendono dare disponibilità del proprio tempo per impieghi sociali e per forme di solidarietà>. Non può, pertanto, negarsi che l’input alla creazione delle prime Banche del tempo sia stata l’ idea, espressione di sensibilità e di esigenze femminili, di valorizzare le cd. buone pratiche, cioè i rapporti di buon vicinato, e di attivare una rete di solidarietà, attraverso la promozione dell’aiuto reciproco. Questa è l’impronta originariamente impressa alle Banche del Tempo, le quali, tuttavia, non hanno mai assunto una tipologia uniforme, adattandosi alla realtà territoriale in cui ciascuna si è trovata ad operare e tenendo altresì in considerazione la natura, pubblica o privata, dell’ente promotore; per alcune di esse, poi, non può dirsi neppure ancora conclusa la fase della sperimentazione o della progettazione.

 

III. E’ indubbio che le esperienze italiane dei sistemi di scambio locale non monetari abbiano consentito di collocare il tempo e il suo uso tra i nuovi diritti della modernità. Infatti, la peculiarità del modello Banca del tempo consiste nell’uso non di una moneta alternativa ma del tempo come unità di misura degli scambi.

Il tempo è da sempre oggetto di riflessione filosofica, scientifica, teologica e giuridica. In diritto, taluni principi fondamentali (per es. "prior in tempore, potior in iure" o "lex posterior derogat legi priori") attribuiscono rilevanza al tempo. Profili temporali, e anche spaziali, contraddistinguono qualsiasi fattispecie regolata dal diritto, dal momento che ogni fatto giuridico è un evento o avvenimento che ha una dimensione temporale e, concernendo soggetti e oggetti, anche nello spazio fisico: l’efficacia di un contratto e la costituzione in mora di un debitore dipendono per es. dal decorso del tempo, che risulta altrettanto essenziale quando occorre determinare i limiti edittali delle pene restrittive della libertà personale. Bisogna precisare però che <il tempo senza eventi e comportamenti - tempo astratto e vuoto, tempus absolutum, verum et mathematicum - è tempo senza interessi umani: un tempo che non riveste alcun valore per il diritto>. L’interesse del giurista, pertanto, non è rivolto al "tempo coscienziale" come <esperienza che si realizza nell’intimo della soggettività> ma al "tempo obiettivo" inteso come <successione lineare e segmentabile di presente, passato e futuro> e, in quanto tale, oggetto di misurazione di eventi giuridici. L’importanza del "tempo obiettivo" emerge dai recenti studi sulla multiproprietà, un istituto nato dalla pratica e privo di una disciplina positiva, che conferisce <la titolarità di un diritto di godimento individuale, non collettivo, ma limitato ad un certo periodo dell’anno> a più soggetti. La multiproprietà è una situazione giuridica pluripersonale, che individua un gruppo di titolari di diritti di proprietà su beni diversi, i quali risultano però collegati, dal momento che hanno come struttura materiale la stessa cosa (di regola, si tratta di un immobile dove trascorrere le vacanze). Il godimento dell’unica cosa diventa, quindi, periodico per adeguarsi alla particolare natura dei vari beni, che vengono individuati utilizzando <moduli temporali>, cioè porzioni di tempo: al tempo è, così, riconosciuta una funzione generatrice di beni giuridici>. La novità, dunque, non è la considerazione del tempo come fattore che influisce sulla vita umana, ma l’attenzione rivolta al tempo come oggetto di azione pubblica (si pensi alla legislazione riguardante la riorganizzazione dei tempi e orari delle città, nell’ambito della quale è contemplata anche l’attivazione delle Banche del tempo) e come unità di misura e quantificazione, potendo in tal modo riconoscere uguale valore alle prestazioni scambiate, indipendentemente dalla condizione economica, sociale e professionale di chi partecipa allo scambio, in un’ottica, pertanto, di pari dignità.

IV. La possibilità per i privati di dar vita ai sistemi di scambio locale non monetari, e dunque anche alle Banche del tempo, si ricollega alla libertà di associazione prevista nell’art.18 Cost., che implicitamente richiama gli artt.2 e 3 Cost., dove è solennemente affermata l’importanza delle formazioni sociali per lo sviluppo della persona umana e per la sua partecipazione alla vita economica, politica e sociale del paese. Attualmente, il diritto delle associazioni si presenta come un diritto in fieri. Tra le new entities, non facilmente collocabili tra le figure associative del I libro del codice civile né tra quelle societarie del V libro c.c., ma comunque riconosciute da una costante giurisprudenza che nega la possibilità di creare nuove forme associative pur attribuendo ai privati la facoltà di utilizzare forme giuridiche tipiche per dare un contenuto sostanziale atipico, rientrano i sistemi di scambio locale non monetari. Questi fenomeni "ibridi" avvalorano la tesi della <neutralizzazione delle forme giuridiche> rispetto ai contenuti economici, riconoscendo una certa indeterminatezza dei confini tra associazioni e società, senza che ciò precluda, tuttavia, il loro inquadramento nella classe degli enti non profit. Il mondo non profit ricomprende, infatti, figure collettive a carattere privato, con strutture diverse, caratterizzate dal principio di "non distribution constraint", cioè dall’assenza di lucro soggettivo per i loro componenti, che comporta l’inserimento nello statuto di una clausola che vieta la distribuzione di utili ai membri delle organizzazioni collettive. Pertanto, mentre nell’esperienza nord-americana le non profit organizations costituiscono una categoria normativa, principalmente di carattere fiscale, in Italia continuano a rappresentare una categoria dogmatica utilizzata dagli interpreti e ciò nonostante il Dlgs. N.460/97 abbia introdotto nel nostro ordinamento una nuova figura giuridica, chiamata Onlus, il cui acronimo vuol dire Organizzazione non lucrativa di utilità sociale. Tale categoria, pur comprendendo soggetti che, dal punto di vista del diritto privato e del diritto commerciale, presentano caratteri eterogenei, essendo collocati in luoghi diversi del codice civile ed essendo sottoposti a discipline differenti, rileva solo a fini tributari e, pertanto, non delinea una nuova forma di contratto associativo, sebbene la previsione dell’inserimento nello statuto di determinate clausole per poter accedere ai benefici di ordine fiscale finisca di fatto per condizionare l’autonomia contrattuale delle parti. L’intervento del legislatore tributarista costituisce, tuttavia, un tentativo diretto a rendere unitaria e omogenea la disciplina del terzo settore attraverso l’inquadramento degli enti non profit come Onlus, ma ciò non deve indurre a credere che tutto il non profit sia Onlus! L’opinione dominante è che la soluzione del quesito: "le Banche del tempo sono Onlus?" non possa non essere negativa, se si ha riguardo alla Banca del tempo come associazione considerata in sé; l’inquadramento nelle Onlus è, invece, certamente possibile solo per le Banche del tempo del Veneto, dove è la Regione a considerle organizzazioni di volontariato, e per le realtà in cui la Banca del tempo è gestita da associazioni di volontariato (per.es Auser di Roma). Tale tesi è avvalorata dall’osservazione che il legislatore si è soffermato solo sulle forme tradizionali di associazionismo, dalle quali la Banca del tempo si distingue sia perché la responsabilità degli scambi permane in capo a coloro che li effettuano, sia per la tendenza all’assenza di gerarchia (all’interno della Banca del tempo le decisioni vengono prese da tutti gli iscritti; le disposizioni del codice civile prevedono, invece, all’interno delle associazioni un’organizzazione gerarchica - presidente, amministratori, assemblea), sia per la duplice e peculiare attività svolta dalla Banca del tempo che mira a migliorare le condizioni socio-economiche degli associati (azione interna) contemporaneamente interagendo con la comunità (azione esterna). Ma ciò che non consente di far rientrare la Banca del tempo nella categoria delle Onlus, pur essendo un’organizzazione non profit , è il fine di solidarietà sociale che sussiste, in base al II comma art.10 Dlgs n.460/97, <quando le cessioni di beni e le prestazioni di servizi non sono rese nei confronti dei propri soci , associati o partecipanti, organi di controllo, ma nei confronti di persone svantaggiate, in ragione di condizioni psichiche, economiche, sociali o familiari>. L’eterodestinazione dei vantaggi connessi all’attività esercitata è, pertanto, estranea alla Banca del tempo che per divenire Onlus dovrebbe adeguare i propri statuti e atti costitutivi ai requisiti strutturali e funzionali richiesti dal decreto legislativo, per es. la nomina di organi direttivi che contrasta appunto con il modo di essere non gerarchico ma paritario e informale delle Banche del tempo.

 

V. La forma associativa è, quindi, lo schema giuridico che meglio sembra adattarsi alle Banche del tempo. Esse, tuttavia, si caratterizzano per il contenuto atipico del contratto associativo: lo scambio di utilità per conseguire vantaggi non solo economici ma soprattutto sociali, senza intermediazione di denaro. L’azione interna, finalizzata a perseguire l’interesse dei propri associati, e l’azione esterna, che mira a realizzare indirettamente il benessere della collettività, anche semplicemente attraverso la promozione dello sviluppo locale, non consentono di accostare le Banche del tempo ad altri enti non profit, come le organizzazioni di volontariato (L.266/91) e le cooperative sociali (L.381/91). Queste considerazioni dovrebbero servire anche per superare la lettura che l’Unione Europea compie, secondo gli schemi economici tradizionali, dei sistemi di scambio locale soltanto come prodromi di nuove imprese o collegamenti di imprese, tesi, dunque, al perseguimento di modalità produttive innovative. In effetti, sussiste il rischio concreto che le Banche del tempo finiscano per presentarsi come un’alternativa al mercato, sottraendo occasioni di lavoro regolare, creando lavoro irregolare, o comunque alterando i meccanismi delle libera concorrenza e ciò soprattutto quando lo scambio che si compie all’interno del sistema non monetario concerne prestazioni professionali da parte di chi ha svolto o svolge tali attività per il mercato. Infatti, nonostante sia opinione prevalente in dottrina e giurisprudenza che la disciplina della libera concorrenza (art.2598c.c.) richieda l’esistenza di un rapporto di concorrenza economica tra imprenditori, ai quali soltanto è possibile addossare obblighi di correttezza professionale, l’attenzione rivolta alla realtà effettiva e all’effettività dei conflitti convince, tuttavia, ad estendere in via analogica la disciplina dell’azienda e della concorrenza sleale alle < attività professionali non organizzate ad impresa, ma svolte in forma sostanzialmente imprenditoriale>. Una recente sentenza del Tribunale di Roma ha riconosciuto la legittimazione passiva di un’associazione privata senza scopo di lucro all’azione per la repressione della concorrenza sleale. In verità, non vi è alcun ostacolo alla partecipazione di un professionista ai sistemi di scambio locale, tuttavia, ragioni di opportunità inducono a ritenere che egli debba scambiare una prestazione diversa da quella che svolge o ha svolto per il mercato. Del resto, la disciplina degli atti di concorrenza sleale è un’applicazione specifica del dovere generico del neminem laedere, per cui gli atti ex art.2598 c.c., compiuti da chi non è imprenditore, integrano comunque un illecito aquiliano ex art. 2043 c.c., individuandosi il diritto soggettivo leso nella libera iniziativa economica ex art.41 Cost.. A ben vedere, se lo scambio professionale all’interno della Banca del tempo non è configurabile come atto contrario all’etica delle relazioni commerciali, può, in ogni caso, integrare uno sviamento di clientela, potendosi ottenere prestazioni identiche a quelle offerte dal mercato dirette a soddisfare bisogni uguali o affini, senza esborso di denaro. A fortiori, il divieto di autorizzazioni preventive ex art 18 Cost. è riferito unicamente alla formazione del vincolo associativo e non anche alla realizzazione delle attività che i soci intendono compiere in forma associata. Se l’esercizio di tali attività è subordinato ad autorizzazioni e licenze è ovvio che anche l’associazione dovrà munirsi preventivamente di esse come qualsiasi individuo. Se così non fosse l’associazionismo privato diventerebbe una modalità per evitare i vincoli normativi e intendo riferirmi sia all’ alterazione della concorrenza, se l’attività agevolata è di natura economica, sia all’evasione della disciplina tipica del lavoro subordinato, sia all’elusione fiscale, se l’associazione è costituita per godere di finanziamenti pubblici o benefici fiscali. Se il fatto che l’attività delle Banche del tempo sia destinata esclusivamente ai soci e non al mercato è sufficiente ad escludere la configurazione dell’attività in termini di impresa ex art 2082 c.c. non vale però ad escludere anche il carattere economico ex art. 41 Cost.. L’attività economica delle associazioni deve, quindi, sottostare ai controlli previsti dall’art. 41 Cost. relativamente all’iniziativa economica degli altri imprenditori, che <non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale>. Se per aggirare gli oneri legali derivanti dalla qualifica di imprenditore bastasse destinare esclusivamente agli associati i servizi prodotti, sarebbe sufficiente prevedere nell’atto costitutivo, l’adesione all’associazione di chi vuole fruire del servizio per porre in essere un abuso: <la struttura aperta del contratto associativo potrebbe insomma essere utilizzata per portare frammenti di aree di mercato all’interno delle associazioni, così eludendo la disciplina generale dell’impresa o quella di settore fissata per talune attività economiche.>. Gli argomenti che consentono alle Banche del tempo di difendersi dall’accusa di concorrenza sleale e di sostenere la liceità degli scambi che si realizzano al loro interno evidenziano come l’attività delle associazioni consista semplicemente nel far incontrare domanda e offerta di tempo, sottolineando l’occasionalità e la modestia delle prestazioni fornite dagli associati, le quali, dunque, non possiedono il carattere delle professionalità: in tal modo, lo scambio realizzato all’interno della Banca del tempo viene ricondotto ad un semplice scambio di saperi prestato in forma di "aiuto" o "consiglio".

In Italia, il fenomeno dei sistemi di scambio locale è tollerato dagli attori della vita economica perché considerato marginale, limitato appunto ad un territorio locale. Rilievi di natura diversa devono compiersi con riferimento alle esperienze europee dei sistemi di scambio locale non monetari. In Belgio, nonostante il Ministro delle Finanze avesse optato per una fase sperimentale di tolleranza dei SEL, nel novembre 1996 l’Onem, l’Ufficio nazionale per l’impiego competente in materia di disoccupazione, ha inflitto ad un aderente al Système d’échange local di Verviers una sanzione di carattere civile per aver omesso di comunicare all’Onem la sua partecipazione al sistema di scambio locale. In Francia, nel gennaio 1998, su denuncia per concorrenza sleale di un artigiano copritetti, l’aderente al SEL che aveva chiesto un aiuto per la riparazione del tetto di casa e i due aderenti al SEL che avevano offerto tale aiuto sono stati condannati dal Tribunal de Grande Istance di Foix (Ariège) rispettivamente per impiego di lavoratori dissimulés e per lavoro illegale, per aver cioè eseguito la prestazione senza essere iscritti al Registro dei mestieri. Tuttavia, la sentenza di I grado, poi annullata in appello nel settembre 1998, è con tutta evidenza simbolica, espressione sia dell’inadeguatezza della legislazione francese nel conciliare i principi giuridici, politici, monetari ed economici che operano nei sistemi di scambio locale, sia del riconoscimento giurisprudenziale del ruolo sociale dei SEL: 2000 franchi di ammenda da corrispondere solo se i tre aderenti fossero incorsi in altra condanna entro 5 anni e 1 franco per danni. Del resto, già l’imputazione travail dissimulé lascia perplessi dal momento che nei sistemi di scambio locale non monetari tutti gli scambi sono contabilizzati ed è difficile individuare la dissimulation.. E’ significativo però che l’input per la condanna e il processo sia venuto dal mercato e dalle sue leggi e non dallo Stato o dall’amministrazione fiscale che, infatti, non si sono costituiti parte civile, come, invece, avviene quando la controversia concerne il lavoro clandestino, che è finalizzato a dissimulare le attività nell’unico obiettivo di sottrarsi agli obblighi fiscali e sociali.

Alla base della decisione di condanna del Tribunale di Foix vi sono tre illusioni:

-l’aiuto offerto dagli aderenti al SEL come <captazione di una parte del mercato> con occultamento di attività e salari.

Il SEL, invece, obbedisce ad una altra logica: lo scambio realizzato nel sistema locale non monetario non è atto di concorrenza sleale, ma è una modalità di attuazione di un principio di aiuto, qualificato dalla appartenenza al Sel, la quale comporta obblighi reciproci, simbolici e materiali. Tutto ciò è legale o almeno.. al limite della legalità!

-la convinzione che lo scambio tra gli aderenti al SEL abbia avuto come scopo la ricerca intenzionale di un profitto, impossibile da conseguire nei SEL dove le transazioni sono legate esclusivamente alle persone, alle loro capacità e volontà.

-la percezione della moneta locale (grain de sel) come denaro.

In realtà, nei Sel non circola denaro: lo scambio concerne qualità, beni e competenze che fanno di ogni individuo un essere "solvibile" che può dare e ricevere e a cui si può dare credito, inteso come riconoscimento di fiducia. I SEL non mirano cioè a realizzare speculazioni monetarie ma a creare meccanismi di cooperazione e di reciprocità in seno al mercato.

 

VI. La Banca del tempo concretizza una particolare modalità di azione sociale, basata sulla reciprocità e fiducia, che consente di rispondere ai bisogni individuali e collettivi che rimangono insoddisfatti, sia perché molti soggetti non dispongono del potere di acquisto per accedere al mercato, sia per l’incapacità del sistema di Welfare di intervenire efficacemente in ambiti come quello dell’ambiente, del rinnovamento urbano, degli spazi pubblici. Pertanto, il diritto non può ignorare lo spazio e le garanzie rivendicate dalla Banca del tempo, altrimenti rischierebbe di essere in ritardo rispetto alle innovazioni sociali che necessariamente comportano una trasformazione del rapporto pubblico-privato.

La tendenza a <socializzare> il diritto ha trovato recente attuazione con la Legge 8 marzo 2000 n.53, contenente disposizioni per il sostegno della maternità e paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città: in tal modo, per la prima volta le Banche del tempo hanno ottenuto un riconoscimento normativo! In effetti, l’intervento del legislatore è stato più ampio, perché ha inciso su due tematiche apparentemente diverse, ma strettamente connesse: i tempi di vita e i tempi di lavoro, e così ha inteso fornire una risposta all’esigenza di flessibilità dei tempi sociali, agganciandola a nuovi modelli organizzativi, le cd. "Banche dei tempi".

Gli enti locali possono sostenere e promuovere la costituzione delle Banche del tempo <per favorire lo scambio di servizi di vicinato, per facilitare l’utilizzo dei servizi della città e il rapporto con le pubbliche amministrazioni, per favorire l’estensione della solidarietà nelle comunità locali e per incentivare le iniziative di singoli gruppi di cittadini, associazioni, organizzazioni ed enti che intendano scambiare parte del proprio tempo per impieghi di reciproca solidarietà e interesse>(art.27 I comma l.53/2000). Tra i compiti degli enti locali, poi, la disciplina dei tempi sociali fa rientrare l’elaborazione di un "piano territoriale degli orari", approvato dal consiglio comunale su proposta del sindaco e vincolante per l’amministrazione comunale, prevedendo anche nell’ art.16 una rilevazione sull’uso del tempo da parte dell’Istat e ciò al fine di consentire un flusso informativo sull’organizzazione dei tempi di vita della popolazione. La necessità di una razionalizzazione del tempo emerge, comunque, anche con riferimento alla parte della nuova normativa dedicata al diritto del lavoro, nella quale è riconosciuto ad entrambi i genitori il diritto individuale al congedo parentale, parificando i diritti dei genitori naturali, adottivi e affidatari, e la possibilità per i lavoratori subordinati, pubblici e privati, di ottenere permessi retribuiti e periodi di congedo per gravi motivi interessanti la sfera familiare. L’intervento del legislatore, che finalmente valorizza un uso del tempo per fini di solidarietà sociale, è apprezzabile perché non ha dato una definizione del fenomeno Banca del tempo, la quale è impossibile da elaborare, essendo questi modelli associativi una realtà multiforme e in continuo movimento, in relazione ai bisogni e alla disponibilità di chi scambia. La legge n.53/2000 si rivela, però, certamente utile a contenere i rischi di una distorsione dei sistemi di scambio locale non monetari, che è sempre possibile quando in gioco vi sono gli uomini, aspettative e motivazioni diverse, spinte teoriche ed esigenze pratiche. Infatti, coerentemente a quanto previsto nella l.142/90, la quale affida agli enti locali il compito di promuovere e sostenere le libere associazioni di cittadini, la legge n.53/2000 limita il ruolo pubblico al sostegno e alla promozione delle Banche del tempo, prevedendo la possibilità per gli enti locali di disporre a loro favore l’utilizzo di locali e di servizi. Il Comune, pertanto, continua ad essere il soggetto istituzionale di riferimento per le Banche del tempo, anche nel caso in cui non ne sia il promotore. Il rapporto delle Banche dei tempi con gli enti locali andava, pertanto, chiarito per evitare che esso si riducesse semplicemente a far acquisire alle Banche del tempo la logica burocratica e i finanziamenti pubblici, limitativi della loro autonomia. Così, la legge n.53/2000 afferma che <gli enti locali possono altresì aderire alle Banche dei tempi e stipulare con esse accordi che prevedano scambi di tempo da destinare a prestazioni di mutuo aiuto a favore di singoli cittadini o della comunità locale> (art.27 II comma).

Lo strumento per ratificare l’accordo di scambio tra la Banca del tempo e il Comune è la convenzione, conformemente a quanto previsto dall’art. 7 L.266/91 per le organizzazioni di volontariato e dall’art. 5 L.381/91 per le cooperative sociali. Il diritto positivo, tuttavia, non attribuisce al termine convenzione un significato univoco, per cui l’accezione della convenzione come accordo complessivo, disciplinato dalle norme che le parti inseriscono espressamente in esso, è quella che meglio sembra adattarsi ai rapporti tra enti pubblici e Banche del tempo, organizzazioni di volontariato e cooperative sociali. Mentre la legge-quadro sul volontariato fissa alcuni principi generali affinché la convenzione possa essere espressione di autonomia e libertà, escludendo l’eventualità che attraverso essa possano essere esercitati controlli politici sui singoli volontari e sull’organizzazione stessa, la nuova regolamentazione normativa specifica delle Banche dei tempi precisa soltanto che gli scambi devono avere ad oggetto <prestazioni compatibili con gli scopi statutari delle Banche dei tempi>, senza costituire però <modalità di esercizio delle attività istituzionali degli enti locali> (art. 27 II comma L.n.53/2000). E’ implicito però che gli scambi che si attuano nei sistemi locale non monetari non devono neppure porsi in concorrenza con il lavoro esistente o possibile perché <l’ambito nel quale insediare gli scambi sono i piccoli interventi in grado di migliorare la qualità della vita urbana>. Sarebbe, poi, opportuno inserire nelle convenzioni anche taluni vincoli procedurali riguardanti gli accertamenti che gli enti pubblici devono compiere e l’indicazione dei criteri per l’individuazione dei settori nei quali attuare gli scambi di tempo, e ancora, le modalità e l’entità di tali scambi.

In conclusione, può dirsi che la normativa sulle Banche del tempo, lungamente attesa, è il riconoscimento legislativo dell’azione concretamente svolta finora sul territorio dai sistemi di scambio locale e dell’importanza delle politiche dei tempi, tese al miglioramento della vita quotidiana e dei rapporti umani solidali!