Intervista

(13 agosto 2001)

di Stella Antonucci a Paolo Coluccia,

in occasione della pubblicazione del libro

La Banca del tempo.
Un’azione di solidarietà e di reciprocità
,

Bollati Boringhieri Editore, Torino 2001,

per la trasmissione radiofonica di Radio 1 RAI

"La notte dei misteri"
andata in onda nella notte tra il 20 e il 21 agosto 2001.

 

***

 

Cosa sono le Banche del tempo?

Sono delle associazioni un po’ particolari, sulle quali forse c’è stata troppa pubblicizzazione e troppa voglia di voler fare bene a tutti i costi. Il che ha creato molto rumore da parte dei mass media. Non si è andati a fondo teoricamente per capirne le esigenze, le potenzialità e le filosofie che sono alla base di questi movimenti sociali. Si è puntato, a mio avviso, solo al successo e all’apparenza.

Io cerco di divulgare, tra mille difficoltà che solo ultimamente cominciano a dileguarsi, il modello autonomo e autogestito, quello che nasce tra un gruppo di persone e non tanto quello molto influenzato, a volte strategicamente, dall’amministrazione pubblica e dagli enti locali, perché ritengo, sia in via teorica sia in via pratica, che l’Ente e le BdT svolgano un’azione completamente diversa nel contesto sociale, in quanto rispondono a logiche e a bisogni altrettanto differenziati.

Tempomat, che è un luogo fisico e virtuale di registrazione delle BdT sul territorio nazionale, ne censisce al momento 282: però almeno due terzi di queste non danno segni di vita dal 31 dicembre 1999. E quel terzo che rimane, senz’altro, (può essere una mia impressione comunque confermata dai contatti con persone amiche che lamentano varie difficoltà o la chiusura dell’esperienza) non vanno a gonfie vele, specie quelle che, pur avendo avuto un florido passato gestito dalla struttura pubblica, venuto a mancare il finanziamento o il luogo dove far "girare" l’esperienza, sono entrate in crisi.

Quindi, secondo me, con le finalità piuttosto semplici che mi pongo con questo libro, occorre riprendere il concetto di reciprocità che è alla base di queste associazioni, per cercare di farle conoscere sempre tramite le esperienze e con mezzi talmente semplici e blandi, senza l’impiego di grandi investimenti e soprattutto senza l’uso di denaro pubblico, per vedere (o far vedere) cosa è possibile fare con un piccolo gruppo di persone.

Il mio libro La Banca del Tempo, pubblicato da Bollati Boringhieri, comincia così: "Metti insieme quindici-venti persone…", e già sarebbe tanto! Cerco di dare non una ri-partenza all’esperienza, ma una sterzata concettuale, per allinearsi un po’ con le esperienze che ci sono in diverse parti del mondo, lì dove effettivamente la necessità di una socialità "artificiale" (così la definisco al momento, perché di socialità artificiale si tratta), occorre e viene aggiunta a quella secondaria che in alcuni casi può mancare (per es. quella dello stato sociale) o a quella primaria (quella della famiglia e della rete parentale), che nel processo di individualizzazione in atto può essere deficitaria, almeno nelle società avanzate economicamente.

Da dove parte la sua esperienza e la sua riflessione?

Io sono stato un animatore della Banca del tempo di Martano, nata in seno ad un’associazione che aveva grandi ambizioni e che conteneva e promuoveva una grande riflessione teorica da trasferire nella pratica quotidiana, con a monte un’esperienza e con una finalità molto ben precisa: quella di costituire una comunità solidale.

Sono un ricercatore sociale indipendente, significa che non appartengo a strutture di ricerca universitarie, pubbliche o private. Sono un dipendente pubblico che opera nel Centro territoriale per l’impiego di Martano (l’ex collocamento del Ministero del Lavoro): questo è il mio lavoro per sopravvivere nell’economia di mercato.

L’introduzione al libro è di Serge Latouche, filosofo ed economista francese molto conosciuto in Italia, specialmente per la critica all’economia legata allo sviluppo irresponsabile e per la riproposta della solidarietà, in particolare grande conoscitore del mondo sociale, culturale ed economico dell’Africa.

Quale definizione si può dare della Bdt?

Una definizione che può essere data molto semplicemente è la seguente: si tratta di un gruppo di persone che si contattano per scambiare beni, servizi e sapere, con un patto di solidarietà (nel senso vero della parola), al di là di un contratto come può essere nell’economia di mercato, dove entra il denaro come medium degli scambi.

Si tratta di persone con pari dignità e responsabilità che mettono a disposizione degli aderenti, o per il piacere di dare o per il piacere di ricevere, ma anche per il piacere di apprendere, quello che si sa fare o quello che gli altri sanno fare. Ognuno ha pari opportunità e pari valenza nel sistema di scambio, tanto è vero che si preferisce conteggiare il "valore" degli scambi in tempo.

Alcuni gruppi utilizzano anche unità di conto fittizie, "monete" fittizie o "sociali", chiamiamole così, anche se il termine moneta è improprio, con le quali è possibile poter conteggiare eventuali scambi di beni. Il rapporto tra pari dei soci, degli individui che formano il gruppo, permette la creazione di legame sociale perché la BdT è soprattutto un luogo di scambio e di relazione, d’incontro e di parola!

I beni e i servizi che in essa si scambiano potrebbero anche essere acquistati sul mercato, ma occorrerebbe in questo caso il denaro; ma il denaro se è un medium che regola gli scambi dell’economia di mercato, non permette il contatto, la relazione, il legame sociale.

E’ consigliabile, e nel mio libro lo dico da qualche parte, che non sia offerta nella BdT l’attività che si svolge nell’economia di mercato, perché in questa vige la logica del guadagno, dell’utile. Se si inserisce in questo circuito di solidarietà quello che si fa per mestiere e per denaro il rischio sarà quello di non cogliere il senso più caratteristico della reciprocità, nella quale, invece, dovrebbe rientrare, specialmente nella nostra attuale società, tutto ciò che è parte della propria creatività, del proprio bagaglio culturale, in una parola le proprie capacità. E quelle attività che non trovano valenza nell’economia di mercato sono le più importanti.

Cosa si offre e cosa si chiede in una Banca del tempo?

Le attività offerte e richieste sono tantissime; anche il contesto ambientale e culturale è propositivo in questi termini. A me personalmente, per esempio, piace scambiare, pur essendo un impiegato, i miei prodotti dell’orto, perché coltivo per diletto in maniera biologica, e cerco di portare nel circuito di scambio la mia passione per l’agricoltura biologica, e non disdegno di scambiare anche verdure selvatiche. Mi è piaciuto scambiare anche qualcosa di pratico, nel senso che mi diletto anche a fare impianti irrigui sempre nel settore agricolo.

Ho trasportato questa attività nel circuito della Banca del tempo per chi avesse bisogno, di fare un piccolo impianto idrico, montare una doccia provvisoria in giardino, da smontare dopo il periodo estivo, con un notevole risparmio economico.

Per quanto riguarda i servizi alla persona molto richiesti sono quelli di baby sitter, servizi di cura, consigli estetici.

La Banca del tempo di Martano è nata con grande spinta emotiva nel 1996 e nel 1997 ha avuto molto riscontro anche a livello nazionale e internazionale. Faceva capo ad un’associazione che aveva delle ambizioni molto ampie. Ho voluto che nella parte finale del libro entrasse il suo Statuto e il Regolamento di scambio, perché propositivi e con scopi molto interessanti.

Il discorso con i soci è andato avanti con idee e riflessioni, però, nel momento in cui si dà forma ad un’associazione di questo genere, l’impatto nella cultura locale è determinante, nel senso che sfera pubblica ed economia di mercato e gruppi sociali già esistenti risentono immediatamente dell’innovazione, la quale può essere vista anche come una contraddizione dell’ordine sociale costituito, anche per la sua difficile comprensione.

Non a torto un sociologo-economista francese che intervenne ad un convegno che organizzammo nel 1998 parlò di "rottura dell’organizzazione sociale", nel senso che se tu vai ad immettere un’attività di scambio che fuoriesce dal canone tradizionale dell’acquisto e della vendita, che è quello dell’economia di mercato, vale a dire anche di liberare gli individui dal medium denaro, il problema comincia a porsi in termini molto seri, in quanto si rischia di essere tacciati anche di irrazionalità. L’irrazionalità sarebbe effettivamente tale dall’ottica dell’economia di mercato, nel senso che se tu vai a comprare un video registratore e non lo paghi il negoziante fallisce, o se il negoziante te lo regala compie, da un punto di vista economico, un atto irrazionale, perché secondo le regole della sfera economica del mercato deve venderlo e basta. Ma se tu in un circuito di scambio non monetario ricevi un video registratore di vecchia tecnologia che non è più utilizzato perché il proprietario ne ha comprato uno nuovo e ti dà il vecchio in uso, e a tua volta ricambi con ore di tempo ad un’altra persona che ha bisogno del tuo sapere o delle tue capacità, può sembrare sicuramente irrazionale tale comportamento dal chi guarda dall’ottica del mercato, ma può essere molto razionale e ragionevole nell’ambito della condivisione e della reciprocità, in quanto si ricostituisce un legame con un rapporto di scambio di oggetti, che dante e ricevente hanno creato per mezzo del principio del dono (che significa dare-ricevere), pratica che affonda nella notte dei tempi, nelle pratiche di scambio "totale" e del dono comunitario, con cui si regolavano tutte le attività primordiali degli individui appartenenti alle società arcaiche descritte da M. Mauss nel Saggio sul dono.

Quindi la provocazione legata all’innovazione in sostanza è grande, e perciò anche se l’effetto, il risultato rimane simbolico, si cerca di non recepirlo o non è recepito affatto, anche dagli stessi aderenti al sistema, dagli stessi iscritti all’associazione, perché non hanno capito effettivamente la portata dell’idea, le sue potenzialità, soprattutto perché la spinta a poter soltanto "guadagnare" in senso economico è sempre molto sentita, è in agguato ed è purtroppo imperante.

Possiamo dire che fino al 1999 il riscontro e la risonanza dell’esperienza, sia in ambito sociale sia in quello culturale, sono stati notevoli; poi si è un po’ diversificata tutta l’impostazione dell’esperienza, sono venute fuori tutta una serie di intenzioni e sensibilità, e anche l’idea lentamente è andata affievolendosi. E’ rimasto un gruppo molto limitato di famiglie che avevano raggiunto una certa continuità e linearità negli scambi e in un momento successivo si è cominciato a non contabilizzare più gli scambi. E’ una storia che cerco di raccontare nel mio sito Internet, nel quale riporto la cronistoria di questa esperienza, almeno per come io l’ho osservata, dal mio punto di vista. L’indirizzo Internet è http://digilander.iol.it/paolocoluccia.

Io ho avuto un’evoluzione nel mio modo di pensare le Banche del tempo. All’inizio la definizione Banca del tempo mi dava un certo fastidio, perché l’immaginario della banca, quindi di quel luogo economico dove si deposita il denaro e se ne prende in prestito, e l’immaginario del tempo che nella modernità è visto come tempo di lavoro, e quindi come qualcosa che serve perché possa esserci un tornaconto, mi creavano una certa difficoltà a capire in questi ambiti concettuali l’azione di reciprocità di un sistema di scambio locale.

Il libro doveva avere un sottotitolo: un’azione di solidarietà e di reciprocità. E’ saltato per una svista di stampa. Il concetto di azione è anche un concetto alla base della sociologia moderna. Qui, invece, in queste pratiche di scambio, ci troviamo piuttosto in un "sistema", dove una certa mentalità, un patto, un’interazione tra soci può determinare quello che, sempre in termini moderni, viene chiamato sviluppo della solidarietà e della reciprocità e quindi anche lo sviluppo sociale ed economico (Fukuyama, Putnam, Donati, Zamagni ecc.).

Però lo sviluppo sociale ed economico fa sempre capo all’economia di mercato, nel senso che per sviluppo economico nell’immaginario collettivo c’è solo ed esclusivamente lo sviluppo economico rapportato al denaro e al suo possesso e alle sue derivazioni, quali proprietà, recinzioni, potere, progresso, comodità, lusso, ambizioni, opulenza, spreco.

Serge Latouche, nell’Introduzione al libro, dice una frase molto schietta. Noi abbiamo in testa un chiodo, che è quello dell’economia, e pertanto vediamo tutte le cose, le guardiamo dal lato del martello, nel senso che ormai la società occidentale non riesce più a fare a meno di concetti che non siano il profitto, il consumo, la competitività, lo sviluppo.

Qui, in questi gruppi che sono le BdT, siamo nell’ambito della reciprocità e della relazione sociale, che può anche comprendere delle azioni di supporto materiale, ovvero contribuire a far evolvere l’uomo e la comunità anche dal punto di vista economico, però siamo in uno spazio d’azione completamente diverso: siamo nella sfera della reciprocità.

La reciprocità, in sostanza, è soprattutto un vincolo, un legame, è un patto di scambio nel quale non rientra la classica formula: "Se io compro un video registratore ti pago in denaro"; oppure quella del negoziante dall’altra parte che pensa a sua volta: "Io ti do il videoregistratore e tu mi dai del denaro o una cambiale o un assegno".

Nel vincolo-rapporto di reciprocità non vale neanche il detto che dice: "Io faccio oggi questo a te se tu domani farai qualcosa per me". Nella reciprocità (indiretta) non vale il do ut des. Vale invece la formula: "Io faccio a te oggi questo perché ne hai bisogno, ed io chiederò domani quello di cui avrò bisogno a qualcun altro", in un circuito molto ideale, di fiducia e di prossimità, che io chiamo una "dimensione umana della reciprocità".

Quale è il successo le Bdt?

Guardi, la cosa più eclatante è che le BdT e i sistemi di scambio non attecchiscono, almeno in Italia, in luoghi dove ci sarebbe effettivamente la necessità, anche materiale, di soddisfare dei bisogni, nel senso, per esempio, che i disoccupati non entrano in queste attività di scambio; però lo fanno in Argentina, in Francia e lo hanno fatto in Inghilterra, dove esperienze analoghe di scambio non monetario hanno grande successo.

In Italia si riscontrano necessità completamente diverse, che si riferiscono sostanzialmente all’uso più razionale del tempo e sono interessate di più le donne. Molte BdT sono state istituite dalle Commissioni per le pari opportunità, dagli Enti locali e dagli assessorati sociali, nell’ambito di un miglior utilizzo dei tempi e degli orari della città e per riconoscere e valorizzare il lavoro domestico delle donne.

Esiste una legge dello stato, la n. 53 del 2000, che nell’ultimo capo individua proprio la possibilità che gli enti locali promuovano BdT in favore dei cittadini per il miglior utilizzo del tempo e per ricreare rapporti di buon vicinato e di prossimità. E’ una legge complessa, ho cercato di approfondirla, ma in essa vince in ogni caso la logica dell’azione pubblica, che ha bisogno di riscontri nei vari livelli istituzionali, di efficienza e di efficacia, per dire al cittadino che si sta offrendo un nuovo servizio pubblico che funziona. Invece, il problema, secondo me, non è tanto scorgere i risultati al momento conseguiti o lungo l’arco dell’attività istituzionale ed associativa dell’esperienza, ma nel medio e lungo termine, aldilà che possa essere o meno un modello vincente: questo lo stabilirà la storia e l’evoluzione sociale.

Comunque al momento, per quanto riguarda l’Italia, il 60% delle Bdt è sostenuto dagli enti locali, con a monte quasi sempre una delibera della Giunta Municipale, con un funzionario pubblico che fa da animatore oppure dando in gestione l’esperienza ad un altro ente associativo, ma sempre per conto del Comune. Poi c’è un altro 30% (sono percentuali stimate, sulle quali si può anche sbagliare, vista l’evoluzione continua dei dati del fenomeno) che nasce all’interno di un’altra associazione o di una cooperativa sociale o di un’organizzazione sindacale. Una minima parte è nata in forma autonoma, autogestita e autofinanziata. Personalmente, non nascondo, e questo traspare benissimo dal mio libro, una simpatia per quest’ultimo modello.

Questo modello autonomo è molto semplice, nel senso che è sufficiente che ci siano 10-15 persone che si mettono insieme, si riuniscono, si scambiano le loro informazioni (quello che sanno fare e ciò che vogliono ricevere), pattuiscono un minimo di regolamento e cominciano a scambiare dal giorno dopo, conteggiando gli scambi in tempo o con unità di conto fittizie.

Si può cominciare a scambiare da subito?

Certo, si può partire con la BdT sin dal giorno dopo, e sul mio libro sono riportati gli strumenti minimi indispensabili, e per farlo non c’è assolutamente bisogno di fondi e di attrezzature costose (computer, fotocopiatrice ecc.). Se poi la BdT dovesse ampliarsi e arrivare a 200-300 persone allora forse sarebbe opportuno gestire gli scambi in tempi reali con l’ausilio di un computer, anche di quelli che molti mettono da parte perché superati tecnologicamente, che hanno un valore minimo o irrisorio e che spesso vengono buttati via o giacciono accatastati nei magazzini di aziende, della pubblica amministrazione e di stessi privati.

Ecco perché io vedo di buon occhio anche la possibilità di un sostegno istituzionale, ma sempre nell’ambito della complementarietà da parte di altri soggetti, tra cui le istituzioni pubbliche, private e di altri gruppi di cittadini. Ai sensi della legge 142 del ’90, che riguarda l’autonomia degli Enti locali, le amministrazioni pubbliche locali hanno il dovere di sostenere e di stimolare progetti innovativi e i cittadini hanno il diritto di proporre il loro progetto associativo o di BdT e chiedere al comune se vuol dare una mano, per collaborare tutti insieme, anche perché tutti, privati e istituzioni, lavorano per lo sviluppo sociale ed economico della propria comunità. Occorre agire su un piano di parità, che non vuol dire uguaglianza.

Questo è molti di più di una promozione – come afferma lo spirito della Legge - che parta sempre e comunque dall’ente, dove rientra una logica funzionale completamente diversa. Perché se un ente deve promuovere una BdT, intanto deve fare una delibera di giunta con successiva ratifica consigliare, deve reperire ed investire fondi pubblici, deve controllare quello che entra e quello che esce dalla BdT, si viene a creare proprio uno sportello (di cui tanto si è sentito parlare riguardo alle BdT italiane in generale), dove arriva un cliente-utente che accredita le sue ore o preleva ore di altri per servizi (e pertanto l’immaginario del sistema economico-bancario è completo e prende il posto dello spirito della reciprocità), mentre, a mio modesto avviso, sarebbe auspicabile che l’idea "emerga" da un gruppo di individui, carburati dalla volontà di partecipare con la loro azione allo sviluppo sociale ed economico della propria comunità, con un’azione propria e, quindi, con una proposta. Ben venga l’aiuto e ben venga la complementarietà, ben venga l’azione comune (la comunicazione intersoggettiva, l’interazione ad altri livelli) e quindi il discorso informativo che a livello locale è chiamato comunicazione sociale, cioè un’azione coordinata di più soggetti sociali istituzionali e diversificati nella sfera d’influenza, che producono informazione sul territorio, nel locale, poiché tutti insieme operano per lo sviluppo sociale ed economico della comunità d’appartenenza. Purtroppo questo è un concetto assai difficile da comprendere e su questo, credo, sono cadute molte attese ed aspettative di molte esperienze di scambio, tra cui quella che abbiamo sperimentato a Martano verso la fine degli anni ’90.

Chi può trarre utilità della Bdt?

Riporto alcune riflessioni che vado facendo nella mia attività lavorativa. Il nostro sistema sociale è stato improntato sul principio di dover garantire a tutti ogni cosa, che alla lunga si è rivelato un non garantire più nulla a nessuno. Oggi si sta cercando di promuovere l’imprenditorialità, l’auto-imprendiotorialità, il self di se stessi da attuare con l’espressione di se stessi e delle proprie capacità, il mettersi in proprio, il cooperare con gli altri. Lo si sta dicendo, però, in termini molto vaghi e spesso molto tecnici e semplicemente legislativi.

A livello pratico chi fa i progetti non si è mai preoccupato e curato di creare le premesse di fondo per cui sostanzialmente si cominci a sentire intimamente la necessità che si metta su un’impresa o una cooperativa. Fino a quando l’individuo avrà sempre l’aspettativa che qualcuno penserà ai suoi problemi e che glieli risolverà, o nel contesto dello stato sociale o in un circuito politico-economico, non si preoccuperà minimamente di venire da se stesso incontro alle sue stesse necessità.

Perché ciò avvenga si dovrà intanto costituire il capitale sociale che è a capo della cooperazione e dell’imprenditorialità e poi capire che avere la possibilità di interagire con l’altro (che può essere un altro individuo nella sua stessa condizione di difficoltà ma anche un altro in condizioni socioeconomiche favorevoli) può essere importante, in quanto l’interazione può e deve essere alla base della soluzione di molti problemi. Se riusciamo ad individuare che il rapporto di reciprocità, che non è soltanto una "bella" parola ma prefigura un obbligo, un dare, un ricevere e quindi un dedicarsi all’altro e un ricevere anche dagli altri una chance e una possibilità, è importante, riusciremo a incrementare le nostre e le altrui capacità.

Purtroppo il fenomeno della modernizzazione e quindi l’economia di mercato, sorretta dal pensiero "unico", la fanno ancora da padroni sullo scenario sociale, perché quando si sente parlare di globalizzazione, di liberismo, di profitti, di competitività, molta gente non capisce fino in fondo queste parole, però c’è sempre chi a turno si alza la mattina e dall’alto della sua influenza dice "non possiamo più farne a meno, il mercato è l’unica legge giusta che può aiutare l’uomo".

E così molti individui ci credono, per molti individui è così! Non si ha più la possibilità di capire che la propria ricchezza non è quella del proprio conto in banca, che più o meno ciascuno di noi ha e riesce a concretizzare in lire ed in euro, ma la nostra vera ricchezza dovrebbe scaturire da ciò che noi sappiamo fare e come noi stessi riusciamo a metterlo a disposizione degli altri.

E se poi riusciamo a far bene le torte, che scambiamo in una BdT con azioni di reciprocità, senza cioè utilizzo di denaro, e decidiamo di metterci in proprio e fare il pasticciere nell’economia di mercato, questo può essere positivo, e quindi troviamo con la BdT un input, una spinta con cui poter risolvere qualche nostro problema occupazionale ed economico.

Se l’individuo disoccupato, che ha perso il lavoro, ha la possibilità di essere ancora in attività in una BdT, di sentirsi ancora utile a qualcuno, anche senza guadagnare denaro, allora avrà anche la possibilità di non dimenticare quello che sa fare, e questo gli servirà in ogni caso per le possibilità occupazionali che in futuro gli si presenteranno.

Dove ha più successo la BdT?

Sto analizzando in questo periodo, partecipando sia con forum elettronici sia con contatti diretti, le esperienze dell’America Latina. L’America Latina è un grande calderone di idee innovative e di contraddizioni, dove un Polo sociale di Economia Solidale (PSES) per un mondo migliore, per uno sviluppo economico basato sulla solidarietà, ha accolto nel suo progetto sociale, molto complesso, l’attivazione di "club de Trueque" (club di scambio), creando una rete globale di collegamento, e in poco più di 5 anni si è passati dalla prima esperienza in un quartiere di Buenos Aires nel 1995 iniziata quasi per gioco alle circa 500 esperienze attive di oggi, con oltre 500.000 membri impegnati, almeno secondo dati e fonti ufficiose.

Potranno anche lì non essere tutte quante attive al cento per cento, però il movimento che si è venuto a creare, come dibattito e livello culturale, ma soprattutto propositivo e progettuale, è molto ampio e interessante. Su Internet si trova molto materiale documentario di queste esperienze, ma le discussioni avvengono anche in maniera diretta tra i propositori.

Gioca in modo particolare il ruolo del bisogno e su questo occorrerebbe aprire un momento di riflessione. Il bisogno, in sostanza, caratterizza sempre l’azione dell’individuo. Con questo non si vuol dire che si debba arrivare a condizioni di bisogno, anzi, per scherzare con qualche giornalista che mi fa questa domanda con una punta di sarcasmo: "Ma funzionano o no queste BdT?", io rispondo con una punta d’ironia: "Per fortuna ancora no!", e ciò vuol dire che noi, a livello di socialità secondaria (quella dello stato sociale) e a livello di socialità primaria (quella della famiglia), ancora non ce la passiamo tanto male, ancora reggiamo.

Può raccontare un’esperienza particolare?

Se si va nello Stato di NewYork, ad Ithaca, c’è un’esperienza bellissima che si chiama "Le Ore di Ithaca". Qui vengono stampate, con della carta pergamena, (io ne parlo in un’appendice del libro, anzi ne parla il fondatore del sistema Paul Glover che mi ha mandato quel documento, nel quale mi spiega per filo e per segno come funziona il tutto) le Ithaca Hours. E lì si va al cinema con le Ore di Ithaca, e stiamo parlando di una zona di NewYork, la reggia dell’economia avanzata, ma che mostra un 30% circa della popolazione che occupa la under class, cioè una sottoclasse che sta a livello di 3° e 4° mondo: questo non dobbiamo dimenticarlo.

Oggi il problema della povertà e dell’esclusione è ampio e complesso. Questo viene documentato da Rifkin, Fukuyama, Touraine ed altri. In America Latina il problema è accentuato, perché lì esiste un grande disordine a livello pubblico, politico e finanziario (stiamo assistendo proprio in questo periodo ad una grande crisi economico-finanziaria che sta attanagliando l’Argentina). La situazione in Brasile non è diversa. Anche qui, alcuni gruppi sempre denominati Club de Trueque, che si sono riuniti intorno ad un’idea di scambio "multireciproco compensato", riescono a mettere insieme una notevole produttività (per esempio tutta una serie di prodotti agricoli biologici che inseriscono nel circuito di scambio) e riescono a sopravvivere alle difficoltà socioeconomiche e finanziarie.

Il modello inglese dei Lets ha avuto una grande espansione nel periodo thacheriano. Lets significa in modo molto spicciolo: "Lasciatecelo fare!". Ed è un sistema di scambio e di commercio locale molto pratico. Significa anche, in una forma più simbolica, che mentre l’economia di mercato è rappresentata dal Titanic (che purtroppo affonda inesorabilmente con persone e tesori), il Lets è invece la sua scialuppa di salvataggio! Ovvero, in uno scenario di ipotetica catastrofe politico-economica il Lets può essere una scialuppa, un soccorso, una possibilità di salvezza. Nel periodo thacheriano, dicevamo, lo spirito associativo di stampo anglosassone, già segnalato da Tocqueville, prende forza in quanto lo stato sociale disegnato da Lord Beveridge comincia ad essere smantellato. E proprio M. Thacher inizia questa riforma sociale. In un certo senso il cittadino inglese si era intorpidito, protetto dalla culla alla tomba dalla rendita coloniale accumulata, che rimpinguava ancora le casse dello stato sociale. Ma il suo risveglio è stato brusco e le conseguenze disastrose.

In questo periodo il sistema Lets si afferma, ma successivamente a cavallo del secolo appena passato si è arenato, per cause non molto chiare. Forse, a mio avviso, è mancato un certo coordinamento degli organizzatori, che ha minato la continuità degli aderenti al sistema Lets. Non si sente più tanto parlare nelle occasioni di incontro riguardo all’Inghilterra e al Canada, terra quest’ultima da cui è partita l’idea.

Lo stesso Michael Linton, fondatore del primo Lets in Canada nella zona di Vancouver, attualmente opera con grande difficoltà in Giappone. Questo strano personaggio, molto giovane, ha una grande sensibilità e un grande spirito d’iniziativa. Ha fatto un po’ il mercante girovago della sua idea, nel senso buono del termine, ha cercato sempre di esportarla in ogni dove, perché se ne capisse il fondamento, l’intima necessità che questi sistemi rappresentano.

Se non c’è una certa necessità questi sistemi non partono, se non c’è una particolare esigenza tra un gruppo di individui, questi non si mettono insieme e non stabiliscono un patto tra loro. Se non c’è questa volontà, questo piacere d’incontro con l’altro, di aprire la porta all’altro e quindi di fare uno scambio o per fare qualcosa all’altro, ma non nella logica del volontariato, che pur encomiabile per la sua azione e per le sue attività, porta comunque una certa asimmetria interindividuale, nel senso che chi riceve, come dice Giovanni Sarpellon in un suo breve scritto su La Rivista del Volontariato, rimane sempre debitore, e dovrà sempre ricevere, mentre chi dà è sempre colui che può dare.

Ecco, questa logica non è nelle Banche del tempo, anche se alcuni all’inizio volevano impropriamente inserirle nell’ambito del volontariato. Il volontariato non c’entra nulla con le BdT, come non c’entra nulla il terzo settore, il non profit. Alcuni ricercatori e sociologi francesi in un lavoro che hanno fatto all’Università di Lione, dicono che la reciprocità del SEL (Système d’échange local) è incastonata tra il mercato e il dono, uno spazio sociale, un settore sociale nuovo.

Sulla stessa scia di Rifkin, io individuo questo settore nell’ambito della spontaneità e dell’informalità. E su questo ci troviamo molto d’accordo con Serge Latouche, che ha fatto l’introduzione al libro, dove lui spiega la grande valenza che questi sistemi hanno nell’ambito dell’informale, dell’economia informale, soprattutto in Africa. E quindi, non diciamo questo perché si voglia andare in Africa ad imparare da lì a fare società, no, ma esistono tutta una serie di idee che è importante catalizzare nel proprio presente sociale, nel proprio contesto sociale, lì dove si vive, e quindi crederci, ma senza forzature.

E sostanzialmente il punto principale che io ho sempre posto, e mi sono proposto, è quella di non forzare il sistema, ma di osservare la sua deriva, dove va, come si costruisce, perché se tu forzi il sistema in una direzione allora crei un’artificiosità, o meglio ad una artificiosità ne aggiungi un’altra, molto più deprecabile, perché si basa sul potere.

La Bdt creata dall’Amministrazione Pubblica è un artificio, spesso anche molto pesante. E nel momento in cui viene a mancare il finanziamento pubblico crolla. E’ successo a Lecce e in tante altre parti d’Italia.

A Martano i motivi del crollo sono stati differenti. Ne parlo in un altro libro.

Su cosa poggiano le Bdt?

In questi sistemi c’è egoismo e altruismo, se non c’è richiesta la banca non gira, non si fanno scambi; se non c’è accettazione che l’altro possa venire incontro alle tue necessità ugualmente non girano gli scambi perché non si chiede. E quindi bisogna chiedere e dare, e cercare di essere contemporaneamente in debito-pareggio-credito, e quindi ruotare intorno a dei minimali e a dei massimali di debito e di credito che lo stesso gruppo stabilisce. Questo è molto importante: se io non ho necessità di chiedere il conto non gira e la relazione con l’altro è difficile da creare. Se io sono disposto soltanto a dare, come avviene di norma in molte Banche del tempo, e tutti gli altri la pensano come me, non c’è nessuno a ricevere, non si attiva alcuno scambio E’ come se uno ha tanti vestiti da vendere e non va nessuno a comprarli: il mercato crolla!

Cosa dire del tempo?

Il recupero del tempo e l’inversione di tendenza al tempo perso inutilmente è un argomento vincente nelle BdT, tanto che su questo punto esse possono svolgere un interessante ruolo propedeutico, cioè educativo, nel corso quotidiano dell’esistenza.

Il progetto modernizzatore ha puntato sulla razionalità dell’uso del tempo, ma questa impalcatura, con le varie evoluzioni sociali, sta cominciando a vacillare e la risorsa tempo viene dai più sperperata in "ridicole perdite di tempo", specie nelle più banali azioni quotidiane.

Perde tempo il tifoso che spreca ore ed ore di discussione sulle proprie squadre del cuore, bevendo birra in interminabili sedute con i suoi compari, incurante della sua obesità in costante evoluzione, in contrasto con ogni attività sportiva ma spadroneggiando da tecnico consunto sulle formazioni calcistiche da mettere in campo senza mai essersi presa la briga di entrare su di un terreno di gioco.

Perde tempo il cittadino scontento e litigioso nelle interminabili discussioni politiche da marciapiede, dove detta legge con sottili argomentazioni di buon governo e di legittimazione politica, quando poi il suo agire politico quotidiano non rasenta che la passività più completa, se non per il fatto di leggere i titoli più grossi della cronaca politica su qualche quotidiano sventolato sotto il braccio, che se si dovesse leggerlo tutto da cima a fondo occorrerebbero almeno 30 ore, e quindi addio notizie quotidiane!

Perde tempo la casalinga nelle chiacchiere quotidiane con le sue colleghe di società dei consumi o nella solipsistica attesa di vedere come va a finire la 500centesima puntata della telenovela di turno e nelle curiosità indecenti elargite a piene mani in trasmissioni stupide che non fanno altro che prendersi i fatti degli altri.

Si perde tempo nella pubblica amministrazione, dove la qualità della prestazione non si può misurare per mancanza di mezzi e per mentalità primitive, dove si consuma indecorosamente tutte le mattine, esclusi i festivi, e qualche pomeriggio quel ridicolo rituale (così lo definisce De Masi) del timbro del cartellino con buona pace di tutti i dirigenti e a deprimento ansiolitico di tanti che aspettano che passi quell’ultimo minuto che non scorre mai, a differenza del tempo di entrata che passa inesorabilmente presto.

Perde tempo il funzionario che si prosciuga il cervello alla ricerca di regolamenti e di disegni strategici che immancabilmente falliscono per illogicità già dal primo giorno di adozione, facendo la fine di tante norme cavillose ed intricate, inapplicabili e rompicapo, fatte a posta per far perdere del tempo a tanti altri poveracci che stazionano lungo la piramide amministrativa.

Perdono tempo tanti lettori che si accollano l’onere di leggere sontuosi mattoni elucubrativi di idee insulse o romanzi scialbi, spesso pubblicati da case editrici rinomate, che lasciano il vuoto dentro e causano a volte anche la nausea, con il risultato che, se i malcapitati sono studenti che devono leggerli per forza in virtù dell’autorità dei loro docenti, abbiamo di conseguenza che gli italiani non leggono per niente, tanto che molti di essi in età adulta sono quasi analfabeti e stentano a leggere correntemente, e questo, purtroppo, è visibile soprattutto tra le medie e giovani generazioni.

Sarebbe possibile continuare all’infinito, tanto che si perde tempo in ogni dove, tra spettacoli deficienti dell’estate e rituali magici di discoteche rumorose ed esilaranti in inverno, per il divertissement ad ogni costo, direbbe Blaise Pascal, causa di spreco e di intorpidimento, d’irragionevolezza e di inutili perdite di occasioni, tempo che potremmo impiegare meglio con e per gli altri, il che vorrebbe semplicemente dire per noi stessi.

A questo punto non dispiacerebbe una rilettura dell’Epistola ai Corinti di Paolo di Tarso che comincia proprio invitando alla riflessione che dice: "Il tempo è breve"! Questo forse non sarebbe il caso da seguire fino in fondo, ma sarebbe importante seguire l’indicazione che ci proviene da un simpatico vecchio, conosciutissimo nell’ambiente dei SEL e dei sistemi di scambio locale, visto che in Francia ha fondato il primo SEL nell’Ariège, il quale ha detto in occasione dell’incontro tenuto a Martano (LE) nell’estate del 1998: "La vera ricchezza di un paese sono le ore che ciascuno va a donare alla sua comunità!".

Qual è il rapporto con il volontariato?

Il volontariato è un fenomeno complesso ed ampio. E’ un mondo variopinto e multiculturale, anche se occorre notare che in Italia l’ispirazione che lo anima è quasi esclusivamente cristiano-cattolica… e da qui il salto obbligato nella carità è immediato.

A livello internazionale le fonti ispiratrici delle associazioni di volontariato sono multiformi ed essenzialmente, per non dire esclusivamente, laiche, ovvero provenienti dal popolo, dalla così detta società civile. Lo aveva già notato Alexis de Tocqueville nel suo libro La democrazia in America, analizzando la forte capacità d’intervento dell’associazionismo della società anglosassone ed americana in particolare.

Il volontariato, aldilà di tutte le sue forme, credi e provenienze ideologiche, religiose, svolge, lo dico in premessa, un’opera encomiabile, arrivando a risultati importanti con ruoli e situazioni precari, anche se con istituzioni rilevanti presenti, ma in modo deficiatario, appartenenti sia al settore pubblico che privato, come pure al terzo settore no profit, avviluppato nei meandri dei finanziamenti pubblici e privati.

Ma con altrettanta chiarezza e semplicità, senza voler togliere nulla a nessuno, occorre comunque sottolineare il profondo divario che rimane o quasi si pretende che rimanga, tra l’assistito e l’assistente, venendosi così a strutturare una profonda a-simmetria sociale che non tende a risolvere fino in fondo il problema dello squilibrio socioeconomico.

Rivedere il concetto di dono unilaterale è un preciso dovere di chi si pone nella necessità dell’intervento e la sconfitta dello stato di necessità di alcuni, che nelle società complesse e pluristratificate, nonché opulente e spendaccione, tendono stranamente ad aumentare. Quindi la soluzione del problema delle differenze e dell’esclusione è una cosa, l’intervento per lenire la sofferenza è un’altra.

Qui occorre fare seria e serena autocritica da parte di tutte le fonti ispiratrici di azioni volontaristiche, delle associazioni di volontariato in Italia. Trovo conferma in queste mie riflessioni nelle parole, poco sopra accennate, di Giovanni Sarpellon, che scrive in un editoriale del n. 3/2001 de La rivista del volontariato: "Anche se so di non rendermi simpatico mi vien da pensare a certe forme di volontariato che, pur meritorie per ciò che fanno, si presentano come parentesi chiuse in una vita del tutto diversa: momenti di altruismo che lasciano intatti i meccanismi che generano la sofferenza che poi ci si mette a curare. Forse in tanti casi altro non si può fare e, piuttosto che niente… Ma almeno rendiamocene conto!".

Un ultimo accenno alle strane pretese e prese di posizioni fuorvianti da parte di organizzazioni di volontariato molto rappresentative sul territorio italiano alla notizia dell’abolizione del servizio militare di leva obbligatoria di qualche anno fa. La domanda che si ponevano era la seguente: se scompare la leva obbligatoria, non ci saranno gli obiettori di coscienza, che svolgono notoriamente il servizio civile in queste organizzazioni di volontariato, dietro versamento di una quota onerosa alle stesse da parte dello stato: e allora, come si farà a tirare avanti senza obiettori, senza fonti di denaro? Come si potrà intervenire per prestare soccorso volontario?

E’ strano, ma si è arrivati anche a questo nella nostra Italia "dei cachi" (come diceva una canzone di qualche anno fa). A mio avviso, comunque, sta qui l’enorme contraddizione sull’idea che accomuna forze armate-guerra-obiezione-pace-volontariato-intervento-sostegno-interessi-denaro-disimpegno pubblico.

Non è mia intenzione spingere fino in fondo il dito nella piaga: altri dovrebbero ritrarlo! Ma l’intera storia del finanziamento pubblico e delle frequenti e mastodontiche collette e sottoscrizioni plurimiliardarie per sostenere gli interventi solidaristici dovrebbero decisamente rientrare ed essere ridiscussi, anche se molti non faranno altro che storcere il naso di disappunto o gettare anatemi e candide parole veementi e contrarie a chi solleva questo problema!

___________________