ovvero... flessioni mentali.
(Proprio come le flessioni
che si fanno con le braccia!)
Lilliput Edizioni
Anno 1997
I edizione Martano (LE), 4° trimestre 1997
Edizioni LILLIPUT
Paolo Coluccia, via Castrignano 51
73025 MARTANO (LE)
Tel. 0368 419399
Riproduzione libera.
***
Quando si è creato un personaggio lo si ama più della propria vita.
Per incamminarsi in un sentiero bisogna comunque decidersi una buona volta ad avvicinarvisi. Arrivare fino in fondo può essere importante, ma non in ogni caso necessario: occorre oltremodo sforzarsi!
Se non hai l'ispirazione e la mente non riesce a trasmettere alla penna qualcosa da scrivere - ebbene! - pensa alla tua vita e mettila su carta, anche in maniera trasfigurata: è così che comincia ogni filosofia.
Il ricordare perpetua il momento passato durante il quale è accaduto qualcosa: questo è sempre vivo e pulsante in noi, nel medesimo modo.
Il compromesso mette molte volte d'accordo gli animi. Sembra un paradosso, ma nella vita si ricorre continuamente a tale atteggiamento. Al contrario la rettitudine e i discorsi razionali, lontani da ogni compromesso, ci procurano tanti nemici.
Quando imperversa un temporale mettiti sotto la grondaia; se il tuo animo ribolle - portalo in un calderone d'acqua bollente!
Un giorno tranquillo vale più dogni ricchezza. Ma questo desiderio somiglia al voler riempire d'acqua un'anfora bucata.
Sentire, credere, amare: tre verbi ormai dimenticati da tutti.
E' inutile spremersi il cervello per pensare qualcosa dimportante: non sgocciola fuori alcunché. Ma questo, in ogni caso, non vuol dire che non viene fuori assolutamente nulla.
Si può credere e ci si può fidare - rispettivamente - in qualcosa e di qualcuno che si è creato personalmente.
Il piacere si ottiene col vivere serenamente e intensamente.
Questo sembra essere il destino del filosofo: sbattere la testa contro qualcosa al buio e non sapere mai dove si è andati a sbattere.
"Che cosa, in primo luogo, esige un filosofo da se stesso? Superare dentro di sé il proprio tempo, diventare 'senza tempo'. Con che cosa, dunque, ha da sostenere la sua lotta più dura? Con ciò in cui precisamente egli è figlio del proprio tempo. Orbene! Io sono... il figlio di questo tempo, voglio dire un decadente: solo che io ho compreso ciò. Il filosofo dentro di me si è difeso da tutto ciò". Queste parole di Nietzsche risuonano continuamente nella nostra testa, ma quante delle nostre menti filosofiche del nostro tempo le hanno lette almeno una sola volta?
Dunque: esiste il problema di porre "il problema di una scelta filosofica" oggi? Esiste ancora il fantasma, la parvenza o l'illusione dell'"homo philosophicus"? Oppure, in altri termini, chi pretende di far filosofia, oggi, (in generale di pensare - anche nel senso temerario del termine) può ritenersi un uomo determinato socialmente o, al contrario, un perditempo, uno al di fuori del tempo, della realtà, in un'unica e brutta parola: un fallito? A causa di questi interrogativi si è tentati di desumere che la storia del pensiero filosofico attraversi nella contemporaneità un periodo assai negativo, quasi un vuoto storico, tipicamente fallimentare, con unica direzione l'insuccesso, che i posteri non inseriranno certamente nei loro manuali storiografici. Forse oggi l'unica filosofia, ancora pertinente con la nostra menopausa concettuale, è da identificare con una specie di filosofia che può benissimo chiamarsi "dell'insuccesso"! Ma non siamo noi, noi ultimi retrogradi e ultimi filosofi, ultimi mozziconi del pensiero speculativo, al di fuori dell'oggi - ma da esso ubriacati fino all'inverosimile -. Non siamo, dicevamo, già nella storiografia filosofica futura? Non lavoriamo già forse per l'indomani, disinteressandoci del passato, comprimendo il presente e divinando, con la nostra perenne meraviglia, il futuro?
Dal dubbio scaturisce la riflessione, dalla riflessione la filosofia: siamo proprio in un bel circolo vizioso.
La vita passata è il bagaglio filosofico più grande che l'uomo si porta faticosamente come un fardello sulle spalle. Somiglia ad un pulman che prende continuamente su passeggeri, che non scarica mai nessuno alle fermate intermedie al capolinea. Si arricchisce sempre di nuove esperienze, fino alla fermata finale, dove si svuota, tutti in un attimo scendono per ritornare ciascuno poi a risalire alla propria prossima fermata.
Non è importante che i genitori si compiacciano dei propri figli, ma occorre che i figli si compiacciano dei propri genitori.
L'amore che i genitori portano verso i propri figli è assai diverso da quello che i figli provano nei confronti dei loro genitori. Il primo contiene sempre un sottofondo narcisistico, da cui scaturisce inevitabilmente un certo egoismo; il secondo, quando è veramente autentico e non falsamente manifestato, si estrinseca con un'assoluta dedizione ed una decisa ammirazione, ma giammai sostenuto da sentimenti di rivalsa o di compensazione, come purtroppo incresciosamente evidenzia il primo. Non bisogna, perciò, tormentarsi, da genitori, per trovare, con un confronto, un amore di analoga natura e di eguale intensità in quello che i propri figli giornalmente ricambiano. Siamo su un piano completamente diverso, su un livello di amore diverso.
Ogni affettività che si evince da situazioni socio-culturali diverse (per esempio tra genitori e figli, tra marito e moglie, tra amici ecc.) possiede peculiarità differenti e ritmi diversi, ma nello stesso tempo, proprio per la loro profonda differenziazione, interessantissime. Se fosse, infatti, possibile ridurre tutte queste forme di amore in un'unica ed universale formula, forse si raggiungerebbe in breve a comprendere l'idea di bene, il punto più alto e sicuro di riferimento per un pieno successo in positivo delle nostre azioni. Ma questo è il sogno utopistico di filosofi idealisti e spregiudicati, da sperimentare solo con la fantasia e con l'immaginazione, anche se non possiamo certamente, per amore di professione, ritenerlo impensabile...
Cambiano le forme e le apparenze, ma il mondo, nel suo insieme, rimane sempre lo stesso.
Chi voglia cominciare a riflettere con serietà non può esimersi dal dover mettere in parentesi ogni cosa, il monco e la stessa storia universale. Per aver pensato ciò, Husserl è stato veramente geniale, un maestro della metodologia filosofica, come nessun altro - né prima né dopo - nella storia della filosofia. Neanche lo scienziato più empirico più negare questo insegnamento: ne andrebbe di mezzo la sua stessa scienza. Da questo principio fondamentale parte ogni ricerca, spietata fino all'inverosimile, ma sincera e profonda, beffarda delle apparenze e delle verità più osannate. Si deve sempre fare i conti con l'epoché. L'uomo, come problema, viene dopo: egli è un minuscolo programma, un finale inserimento, anche se indispensabile, un processo esistenziale indiscutibile, ma sempre ultimo giro di vite a quella macchina che si chiama storia. Per tutto questo non siamo avanzati di un solo passo!
L'esistenza è volontà. Volontà è in alto e in ciascuno di noi.
Un brusco risveglio causa stanchezza e nausea per un'intera giornata. Ma a volte, quando si ha il sonno leggero, regala anche qualche bel sogno.
L'amore che nasce tra due persone spesso è visto dagli altri come la rottura inevitabile della migliore amicizia.
Sesso e denaro sono complementari per il raggiungimento della felicità: il denaro non dà felicità, ma la felicità è difficile senza il denaro; il sesso non è l'amore, ma l'amore è difficoltoso senza il sesso.
Si è a volte già tristi di primo mattino. Ma il bello è che non si sa minimamente il perché, anche se allo stesso tempo si è consapevoli che un certo perché deve inevitabilmente esistere...
L'esistenza si basa su teorie scientifiche e su credenze fideistiche: ma tutto ciò non riveste alcun interesse pratico.
Massima per la vita: vivere la propria esistenza nel miglior modo possibile, seguendo gli stimoli del proprio pensiero.
Se ci sarà una vita ultraterrena proponiamoci di viverla serenamente e nel miglio modo possibile, senza inganni di sorta, senza lamenti, come del resto dobbiamo fare per questa che stiamo vivendo odiernamente.
Se siamo convinti che la vita è una o più d'una, cioè che l'uomo sia mono esistente o poli esistente, in un modo o nell'altro ci si dovrà convincere che si partirà sempre da zero.
Delle volte un dispiacere piccolo piccolo fa provare un grande sconforto durante tutto l'arco della propria vita.
L'esistenza è fatta anche di sconfitte, il più delle volte volute personalmente.
La morte è un fenomeno naturale, della quale, una volta sopraggiunta, non dovremmo minimamente accorgercene. Sentiremo dolore solo se ci sarà una morte causata da violenza fisica, ma in quei momenti di dolore saremo ancora in vita. E' in vita che si sente dolore. Non bisogna, perciò, impressionarsi della morte e lasciarsi prendere dallo sconforto, quasi sentire una morsa nel cuore, un artiglio che scalfisce il nostro animo, poiché il morire è tanto naturale quanto lo è il nascere. Non dovremmo accorgerci minimamente di morire; così come nessuno si è mai accorto di esser nato. Lo sconforto che sentiamo dentro di noi quando pensiamo alla morte esiste solo in virtù del fatto che non ci sentiamo soddisfatti per qualcosa che, seppur desiderato, durante la vita non abbiamo ancora raggiunto. Vale perciò in eterno la massima di un grande filosofo greco, Epicuro: "Quando ci siamo noi la morte non c'è; quando c'è la morte noi non siamo più".
Se la bontà di un dio ci permetterà di iniziare una nuova vita dopo di questa dobbiamo in ogni caso ritenerci fortunati. Se tutto, invece, si risolverà con questa breve e casuale esistenza... beh, contentiamoci lo stesso. Viviamo perciò con ogni possibile soddisfazione in questa vita. Nessuna delle due ipotesi, in ogni caso, dipende dalla nostra misera volontà.
Forse lo scetticismo greco è la filosofia che può essere considerata fino ad oggi come la più gaia ed indolore. Con ciò non vogliamo in ogni caso intendere che essa sia quella più adatta per essere ossequiata come l'unica per l'uomo. Tutto sta nell'importanza che si dà alle cose, per non fraintendere che certe supposizioni quasi possano essere considerate uniche regole per la vita umana.
Dio? - un problema impossibile ed insolubile: perché arrovellarsi il cervello e confondersi ancor di più le idee con le insolubilia?
Perire per un dolore è un inutile sacrificio.
Se qualcosa ci comunica l'esistenza di dio, improvvisamente le si affianca qualcosa d'altro che le si contrappone. Ma qui siamo nel campo delle congetture della coscienza.
Dio? - incomprensibile problema! Giammai, comunque, certezza dinesistenza!
Solo una cosa non la si desidera veramente: la morte. Chi la invoca di continuo lo fa per tenerla il più lontano possibile...
Anche se non si riuscisse a soddisfare nella vita un piccolo o un grande desiderio non occorrerà certamente per questo invocare coraggiosamente la morte. Saremmo in una subdola contraddizione.
Il suicidio è la volontà che ha cessato di desiderare qualcosa.
Chi si uccide non desidera la morte: cerca solo di riscattare una parte della sua vita.
Colui che si uccide ha già smesso di vivere parecchio tempo prima.
Il suicidio non è un atto conseguenza di una riflessione, ciò la soluzione di qualcosa: esso, come fenomeno esistenziale, rappresenta - nella sua incidenza storica - un particolare atto estremo della vita umana in generale.
Chi è colui che può vantarsi di non aver rivolto almeno una volta il suo pensiero, anche se per un breve istante, al suicidio? Lo stesso dicasi per il pensare alla morte. Ma con il solo pensarci, in entrambi i casi non è mai accaduto nulla di grave.
Alcuni, scaltri, hanno pensato che la morte non è nessuna cosa. Altri, invece, più sottili, hanno affermato che anche il niente è qualcosa. Dunque, anche la morte è qualcosa. Purtroppo non riusciremo mai a capirla e a documentarla.
Quante volte le più profonde meditazioni si accompagnano, in vita, al tema della morte.
La cosa più difficile di cui convincersi è che la morte non sia assolutamente dolore: se l'uomo si convincesse di questo vivrebbe più serenamente e in maniera molto più naturale la propria vita.
Di una cosa occorre darsi serena convinzione: l'uomo non riuscirà mai a dare una risposta concreta o conclusiva ai problemi come la vita, la morte e dio...
Da quanto detto nell'ultimo aforisma si può derivare la conseguenza di essere votati al fallimento di ogni ricerca intorno a certi temi. Ma ciò non vuol dire che l'uomo debba perdere l'abitudine e la voglia di indagare, fin dove gli è possibile, con tutte le sue forze fisiche ed intellettuali, su queste problematiche.
La filosofia è il frutto della volontà speculativa dell'essere umano. Quasi sempre il filosofo è consapevole di non poter essere in grado di poter raggiungere un risultato certo e definitivo. Il vero filosofo sa che il perenniter philosophare è sempre da contrapporr3e ad ogni philosophia perennis, subdola congettura, quest'ultima, della teoria hegeliana.
Bisogna credere nelle proprie idee, se si hanno! Ma è anche necessario distruggerle continuamente!
Il destino di ogni uomo poggia... ma dove? Chi mai può dirlo? Non siamo neanche nelle nostre stesse mai: figuriamoci se possiamo fidare sugli appoggi ... degli altri!
Chi crede in se stesso in maniera assoluta è un vero incosciente: non fa che ingannarsi da sé, continuamente. Questa è la cosa più stupida su cui l'uomo possa in definitiva basare la propria esistenza. E' sempre preferibile che siano gli altri ad ingannarci e mai noi stessi con le nostre più serie convinzioni. Avremo così almeno un modo per salvarci la faccia, per reagire...
"Io non credo a niente e a nessuno!" - afferma con superbia e con rabbia il nichilista. ma la sua è soltanto una gonfia messa in scena. Infatti, a se stesso e alla sua potenza ci crede, eccome! - e qui sottilmente si contraddice!
Siamo in balia di temperature e di umori più o meno salubri o passionali, che ci rendono a volte scontrosi con gli altri e cupi con noi stessi. Umori, temperature e passioni sconvolgono la nostra breve esistenza, ci orientano, ci consumano, a volte ci annientano definitivamente.
E' mai possibile che l'uomo non possa essere qualcosa di più concreto?
La nostra crudeltà rappresenta la sintesi estrema delle nostre svogliatezze con tutte le intemperie meteorologiche che sorgono in noi.
Chiede il discepolo: "E' cercando in se stessi che si può scoprire la precisa entità del proprio essere?" Dubitando di questo, figliolo, ci verrebbe a mancare ogni piccola volontà di vivere!
Nelle contraddizioni più eclatanti riveliamo per intero la nostra vera umanità. Non siamo, infatti, qualcosa di precostituito, ma inventiamo giorno dopo giorno il senso della nostra vita e giorno dopo giorno diamo un nome diverso alle cose essenziali che ci circondano. Chi è quello sfrontato che può esclamare con arroganza: "Il mio intelletto non conosce la contraddizione!"?
- Instabilità quotidiana - Ci sono momenti che penso... Ma a che serve pensare e a progettare? Domani potrei cambiare completamente idea.
Chi ha consumato tutta la sua vita per creare un sistema filosofico senza crepe e tutto d'un pezzo, non è stato altro che un gran fannullone!
- La tristezza? - Qualcosa che soltanto il cinico - il cane - dice di non conoscere. Ma lo dice e basta. E fa bene! Essa, infatti, tende a scomparire il giorno successivo o con il passare del tempo. Perché, dunque, prenderla seriamente in considerazione?
Siamo così lontani dall'essere veramente qualcosa che non vale nemmeno la pena di considerarsi un nulla. Così tradiamo la nostra onestà intellettuale, supposto che questa rappresenti sul serio qualcosa...
Nietzsche? - Un punto di partenza, giammai un a conclusione: questa sarebbe una grande contrarietà al suo pensiero più genuino!
Cosa dice il filosofo più incallito? Questo: in un momento di calma interiore si può raccogliere le messi che i propri semi, germogliati in terra fertile, hanno generato, piantine forti e robuste, dal lungo stelo e cariche di frutti. E cosa è stato di quei semi sfortunati che son caduti tra i sassi? Beh, a chi vuoi che importi di essi? Occorre purtroppo raccogliere i frutti, almeno per poter avere qualcosa da mettere sotto i denti...
Delle volte basta una sola parola, per far andare a male un'intera giornata.
Il fuoco dell'alcool, oltre che bruciare nel ventre, determina l'angoscia. Molti bevono per non essere tristi, altri bevono per diventarlo...
Uno sprazzo di luce e il cuore si rasserena, ma solo per pochi attimi. Poi il buio ritorna e la ricerca carponi ricomincia...
Non occorre scrivere molto, ma l'essenziale. Costringeremmo il lettore a sottolineare i nostri passi più importanti, con grande spreco di carta e d'inchiostro!
*****
Edizioni LILLIPUT
1997